Corte di cassazione
Sezione II civile
Sentenza 5 novembre 2009, n. 23477

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.F. proponeva opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione emessa dalla Prefettura di Trapani per violazione della l. n. 164 del 1992, deducendone l'illegittimità per violazione degli artt. 14, secondo comma, e 24 della l. n. 689 del 1981.

Con sentenza depositata il 10 febbraio 2006 il Tribunale di Marsala accoglieva l'opposizione, sul rilievo che la contestazione della violazione era stata notificata oltre il termine di novanta giorni dall'accertamento. Secondo il Giudicante doveva al riguardo escludersi che il suddetto termine potesse decorrere -come invece sostenuto dall'Amministrazione - dal nulla osta disposto dalla Procura della Repubblica di Marsala, non trovando applicazione la disposizione di cui al terzo comma del citato art. 14, secondo cui il termine decorre dalla ricezione degli atti da parte dell'autorità amministrativa quando questi sono trasmessi dall'autorità giudiziaria sul rilievo che tale disposizione concerne le ipotesi di sanzioni amministrative depenalizzate. Né a conclusioni diverse poteva portare l'adombrata connessione dell'illecito amministrativo con l'illecito penale per il quale l'ingiunto risultava indagato, perché tale connessione non sussisteva, tant'è vero che il P.M. aveva dato il nulla osta e poi chiesto l'archiviazione per i reati per i quali stava procedendo: in caso contrario, l'ingiunzione sarebbe stata illegittimamente emessa dall'autorità amministrativa, stante la competenza dell'autorità giudiziaria; la perentorietà del termine di cui all'art. 14 escludeva che lo stesso potesse decorrere dalla ricezione degli atti da parte dell'autorità giudiziaria, perché ciò comporterebbe una inammissibile rimessione in termini.

Nella specie, era risultato che gli agenti accertatori erano in possesso dei dati emergenti dalla perizia D'Onghia, disposta e depositata il 26 gennaio 1998 nell'ambito del procedimento penale pendente nei confronti dell'ingiunto, tant' è vero che sin dal 1998 gli agenti avevano escusso l'opponente per renderlo edotto dei dati in loro possesso: pertanto, doveva considerarsi tardiva la contestazione dell'infrazione avvenuta il 12 agosto 2000.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la Prefettura - Ufficio territoriale del Governo - di Trapani sulla base di tre motivi.

Ha resistito l'intimato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell'art. 6 del r.d. n. 1611 del 1933 deduce l'incompetenza per territorio del Tribunale di Marsala in favore del foro erariale, cioè del Tribunale di Palermo, ove ha sede l'Avvocatura distrettuale dello Stato: trattandosi di competenza inderogabile, la stessa può essere eccepita o rilevata, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio ex art. 9 del r.d. n. 1611 del 1933.

Il motivo è inammissibile.

La questione è nuova, in quanto non risulta trattata dalla sentenza impugnata: la ricorrente avrebbe dovuto allegare e dimostrare di avere sollevato la relativa eccezione non oltre la prima udienza di trattazione, deducendone l'omessa pronuncia ai sensi dell'art. 112 c.p.c., tenuto conto della portata di carattere generale di cui all'art. 38, primo comma, c.p.c., che prevede la preclusione di rilevare, anche d'ufficio, oltre la predetta udienza, l'incompetenza territoriale inderogabile che, ai sensi dell'art. 28 c.p.c., è prevista oltreché nei casi ivi elencati espressamente in tutti quelli in cui essa è stabilita dalla legge: pertanto la disposizione dell'art. 38 trova applicazione anche nell'ipotesi di cui agli artt. 6 e 9 del r.d. n. 1611 del 1933.

Con il secondo motivo la ricorrente, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.), censura la sentenza che non aveva esaminato la questione dedotta dall'Amministrazione relativa all'esistenza del segreto istruttorio che aveva impedito la contestazione della violazione amministrativa prima del nullaosta dell'autorità giudiziaria.

Con il terzo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 14 della l. n. 689 del 1981, 329 c.p.p., deduce la tempestività della contestazione dell'illecito, posto che in relazione alle circostanze accertate nel corso di indagini penali vige il segreto istruttorio, che impedisce ogni forma di contestazione, ivi inclusa quella realizzata con la contestazione di cui al citato art. 14; osserva ancora che nella specie, seppure non sussisteva la connessione fra condotte illecite, prevista dall'art. 24 della l. n. 689 del 1981, si versava nell'ipotesi della connessione c.d probatoria, in quanto le prove raccolte per l'accertamento dell'illecito amministrativo (la perizia D'Onghia) erano utilizzabili e rilevanti anche per l'apertura del procedimento penale: ed allora sussistevano le esigenze di segretezza per il buon andamento della giustizia penale garantite dall'art. 329 citato che impedivano alla Guardia di Finanza di procedere alla contestazione prima del nulla osta della Procura: in tal caso il termine di novanta giorni prescritto dall'art. 14 citato decorre dal momento in cui viene meno il segreto istruttorio; d'altra parte, la desecretazione degli atti relativi alle indagini preliminari è possibile solo quando è necessaria per la prosecuzione delle indagini stesse ma non quando ciò sia funzionale allo svolgimento di attività amministrative. In tal senso - rileva la ricorrente - sembra deporre l'art. 63, 10 comma, d.P.R 633/1972 in materia di accertamenti e riscossione dell'I.V.A., secondo cui la Guardia di Finanza, "previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria, che può essere concessa anche in deroga all'art. 329 c.p.p., utilizza e trasmette (agli Uffici delle entrate) documenti, dati e notizie acquisiti, direttamente o riferiti ed ottenuti da altre Forze di polizia, nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria": dalla lettura di questa norma si evince che solo in ipotesi tassative ed eccezionali, come quella relativa all'accertamento delle violazioni delle norme sull'I.V.A., l'autorità giudiziaria può concedere un nulla osta in deroga all'art. 329 c.p.p., per l'uso amministrativo di verbali e rapporti acquisiti nell'esercizio dell'attività di polizia giudiziaria.

Il secondo e il terzo motivo, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.

Le censure sono fondate.

Il Tribunale, nell'accogliere l'opposizione, ha ritenuto che la contestazione della violazione amministrativa era stata notificata oltre il termine di novanta giorni dall'accertamento di cui all'art. 14: tale termine non poteva decorrere, come invece sostenuto dall'Amministrazione, dal nulla osta dell'autorità giudiziaria, atteso che gli agenti accertatori, pur essendo venuti a conoscenza degli elementi da cui era risultata la violazione amministrativa nell'ambito delle indagini penali aventi ad oggetto reato non connesso con la contravvenzione, non avevano proceduto alla notificazione della contestazione nel termine di novanta giorni dall'accertamento; nella specie, non poteva trovare applicazione il terzo comma dell'art. 14 che fa decorrere il termine dalla ricezione degli atti trasmessi all'autorità amministrativa dall'autorità giudiziaria sul rilievo che tale disposizione si riferisce all'ipotesi delle sanzioni depenalizzate.

Orbene, occorre considerare che l'art. 14 della l. n. 689 del 1981 prevede che, ove non sia possibile procedere a contestazione immediata della violazione amministrativa, gli estremi devono essere notificati entro novanta giorni dall'accertamento (secondo comma); quando gli atti relativi alla violazione sono trasmessi all'autorità competente con provvedimento dell'autorità giudiziaria i termini decorrono dalla ricezione (terzo comma).

Il successivo art. 17 (obbligo del rapporto) stabilisce che, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta, il funzionario o l'agente accertatore, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'art. 24, deve presentare il rapporto all'ufficio amministrativo competente ad emettere l'ingiunzione; l'art. 24 citato disciplina l'ipotesi della connessione per pregiudizialità, che ricorre quando l'esistenza di un reato dipende dall'accertamento di una violazione amministrativa, attribuendo all'autorità giudiziaria competente a conoscere il reato la cognizione anche della violazione amministrativa (primo comma): la vis attractiva della fattispecie penale, comportando lo spostamento della competenza del giudice penale in ordine alla violazione amministrativa, preclude fin dall'origine ogni potere sanzionatorio della P.A. e, con esso, lo svolgimento di qualsiasi attività preordinata a tal fine; qualora, essendosi chiuso il procedimento penale, gli atti vengano trasmessi all'autorità amministrativa, questa, divenuta nuovamente competente, è legittimata ad avvalersi, ai fini dell'assunzione delle proprie determinazioni, di tutti gli atti, gli accertamenti e le deduzioni difensive svolti in quella precedente sede (Cass. 14289/2006). Nel caso di connessione per pregiudizialità di cui al secondo comma dell'art. 24, il rapporto di cui all'art. 17 è trasmesso all'autorità giudiziaria, sicché i verbalizzanti non devono riferire all'autorità amministrativa, alla quale è sottratto ogni potere, ma soltanto a quella penale. Ed invero, la norma va necessariamente coordinata con gli artt. 331 e 347 c.p.p., che prevedono l'obbligo rispettivamente dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio di denunciare al P.M. un reato perseguibile d'ufficio e della polizia giudiziaria di riferire la notitia criminis d'ufficio.

Occorre sottolineare come quella disciplinata dall'art. 24 è una soltanto delle ipotesi di connessione che in astratto possono verificarsi fra l'illecito amministrativo e quello penale: fra quelle non espressamente previste, vi è la connessione c.d. probatoria che ricorre quando, come nella specie, gli elementi rilevanti ai fini della prova dell'illecito amministrativo sono acquisiti nell'ambito di un procedimento penale senza che fra l'illecito amministrativo ed il reato sussista il rapporto di dipendenza previsto dall'art. 24.

Orbene, l'interpretazione sistematica della normativa in esame induce a ritenere che, anche nell'ipotesi in cui la violazione amministrativa emerga dagli atti penali senza che ricorra l'ipotesi della connessione per pregiudizialità del reato con l'illecito amministrativo di cui si è detto, gli agenti accertatori non possono trasmettere gli atti all'autorità amministrativa senza l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, atteso che spetta a quest'ultima verificare se ricorra o meno la vis attractiva della fattispecie penale e, ove ritenga che non sussistono i relativi presupposti, adottare gli eventuali provvedimenti per la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa: la previsione del segreto istruttorio di cui all'art. 329 c.p.p., che anche gli agenti accertatori sono tenuti ad osservare, impedisce che questi possano assumere l'iniziativa di portare a conoscenza dell'indagato attraverso la contestazione della violazione amministrativa gli elementi raccolti nell'ambito delle indagini penali, la cui divulgazione potrebbe compromettere l'andamento delle indagini stesse. E, in tal caso, il termine di cui all'art. 14 non può che decorrere dalla ricezione degli atti da parte dell'autorità giudiziaria secondo quanto stabilito dal terzo comma: in proposito, occorre sottolineare che la portata precettiva di tale disposizione non può essere limitata - come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata - all'ipotesi di sanzioni amministrative depenalizzate, sussistendo in tutti i casi in cui la competenza del giudice penale in ordine alla violazione amministrativa viene a cessare: il che si verifica non soltanto nell'ipotesi di trasmissione da parte dell'autorità giudiziaria cha accerti il difetto di giurisdizione in ordine alla violazione amministrativa, ma anche nel caso in cui il procedimento penale si chiude per estinzione del reato o per difetto di una condizione di procedibilità (art. 24 ultimo comma).

Erroneamente, il Tribunale ha ritenuto che il termine di cui all'art. 14 potesse decorrere da un momento anteriore al nullaosta della Procura di Marsala.

La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio, anche per le spese della presente fase, al Tribunale di Marsala in persona di altro magistrato.

Il giudice di rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto:

"Al di fuori dell'ipotesi di connessione per pregiudizialità, disciplinata dall'art. 24 della l. n. 689 del 1981, qualora gli elementi di prova di un illecito amministrativo emergano dagli atti relativi alle indagini penali, il termine stabilito dall'art. 14 della citata legge per la notificazione della contestazione decorre dalla ricezione degli atti trasmessi dall'autorità giudiziaria all'autorità amministrativa".

P.Q.M.

Accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese della presente fase, al Tribunale di Marsala in persona di altro magistrato.

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