Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 25 febbraio 2014, n. 13233

FATTO

1. Con sentenza del 10 maggio 2012, la Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza pronunciata in data 12 febbraio 2019 dal Tribunale di Bergamo - ed impugnata dal Procuratore Generale - dichiarava T. Maurizio colpevole dei reati di estorsione continuata ai danni di G. Tiziano di cui ai capi sub 1-2-3 della rubrica.

2. Avverso la suddetta sentenza, l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

2.1. Violazione dell'art. 546/1 lett. g) c.p.p.: il ricorrente ha eccepito la nullità della sentenza in quanto, nel momento in cui venne pubblicata in data 18 giugno 2012, non era stata firmata dal Presidente estensore il quale, solo in data 5 giugno 2013, la sottoscriveva come risultava da un'annotazione in calce alla sentenza, scritta e firmata dallo stesso Presidente estensore che ne ordinava altresì la notificazione all'imputato e al difensore. Il ricorrente ha eccepito l'illegittimità della suddetta correzione in quanto «con la pubblicazione o al limite con il deposito la sentenza diventa intangibile, salvo il meccanismo di correzione previsto dall'art. 547 c.p.p. che esclude la sottoscrizione postuma del giudice».

2.2. Manifesta illogicità della motivazione: il ricorrente ha censurato la sentenza sotto i seguenti profili:

2.2.1. in ordine alla circostanza della costituzione del circolo di lega Ambiente: la Corte aveva ritenuto attendibile il G. nella parte in cui aveva dichiarato che aveva conosciuto il T. ben prima del 2002 e che le estorsioni e le dazioni di denaro erano avvenute prima di questa data perché egli si ricordava che «le prime dazioni di denaro sono state date in lire e nel 2002 le lire non c'erano più». Il ricorrente sostiene che quanto riferito dal G. non poteva essere vero perché egli aveva fondato il circolo di Lega Ambiente di Cavernago nel dicembre 2001 e conobbe il G. nella primavera del 2002, sicché non avrebbe potuto percepire dazioni in lire. La Corte, quindi, aveva erroneamente affermato che il ricorrente aveva conosciuto il G. già del 1998 ed aveva, inoltre, travisato la dichiarazione resa dal teste L. Pier Luca il quale aveva sì affermato che il T. anche da lui si era presentato come un rappresentate della Lega Ambiente ma ciò era avvenuto nel 2001/2002.

2.2.2. in ordine alle discrasie tra le dichiarazioni di G. e Go.: il ricorrente sostiene che la Corte aveva superato l'affermazione del tribunale - che aveva rilevato che le deposizioni di G. e Go. non coincidevano su punti salienti della ricostruzione - in modo contraddittorio. In particolare, il Go., a differenza del G., non aveva riferito di alcuna minaccia da parte del T. così come ognuno dei suddetti testi aveva dichiarato cose differenti in ordine all'ammontare delle somme e sulla cadenza con la quale venivano versate al T.: ma ciò non era credibile perché entrambi vivevano a stretto contatto nella gestione aziendale e, quindi, non era possibile che su fatti così importanti per la vita aziendale il Go. riferisse una cosa diversa da quella del G.;

2.2.3. in ordine alla discordanza tra le dichiarazioni del G. e quelle del luogotenente C.: il ricorrente sostiene che la contraddizione fra le due suddette dichiarazioni era stata superata dalla Corte smentendo il C. sulla base di un inciso estrapolato da un più ampio contesto nel quale aveva smentito il G. secondo cui era stato proprio il C. ad invitarlo a denunciare il T.;

2.2.4. in ordine alle conversazioni intercettate T.-Go., il ricorrente contesta la motivazione con la quale la Corte aveva spiegato le ragioni per le quali, in quelle conversazioni, il Go., pur avendone la possibilità, non aveva affrontata la questione delle dazioni di denaro;

2.2.5. in ordine al collegamento tra articoli di giornale e comportamento penalmente rilevante, il ricorrente osserva che la Corte aveva motivato in modo contraddittorio perché, da una parte, aveva affermato che gli articoli di giornale avevano una valenza neutra ma, dall'altra, non aveva considerato che la suddetta condotta costituiva proprio l'elemento materiale del reato contestato;

2.2.6. in ordine alla prova del reato costituita dalla consegna della busta contenente la somma di Euro 10.000,00 e ripresa da una telecamera nascosta, il ricorrente rileva la contraddittorietà della motivazione perché travisa le affermazioni di esso ricorrente e valuta l'elemento probatorio costituito dal fatto che l'imputato aveva preso la busta riponendola in tasca «oltre la sua essenza e conformità al contenuto».

3. Violazione dell'art. 629 c.p. per avere la Corte ritenuto che il comportamento tenuto dal ricorrente fosse idoneo ad incutere timore, pur senza indicare quale pregiudizio diretto ed immediato fosse stato paventato da esso ricorrente e pur avendo escluso che il ricorrente avesse scatenato contro la GTM gli organi di stampa.

DIRITTO

1. Violazione dell'art. 546/1 lett. g) c.p.p.: la censura è manifestamente infondata per le ragioni di seguito indicate.

In punto di fatto, sulla base degli atti processuali, si è accertato che:

a) il dispositivo della sentenza fu letto all'udienza dibattimentale del 10 maggio 2012;

b) la sentenza, la cui motivazione era stata redatta dal Presidente del collegio dott.ssa Genalizzi, fu depositata il 18 giugno 2012 (cfr. attestazione del cancelliere a margine della sentenza) pur non essendo stata sottoscritta;

c) nonostante il deposito, nessuna notifica fu effettuata alle parti;

d) in data 5 giugno 2013, il Presidente est., dott.ssa Genalizzi, appose in calce alla sentenza la seguente nota: «il sottoscritto presidente estensore dott.ssa Daniela Genalizzi dà atto di avere firmato la sentenza 10-5*012 pronunciata nei confronti di T. Maurizio in data odierna 5-6-013 e di averne altresì nella stessa data siglato le pagine pari. Si notifichi la sentenza con la presente annotazione all'imputato e al difensore. Brescia 5-6-013»;

e) a seguito della notifica, l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto il presente ricorso per cassazione.

In punto di diritto, la soluzione alla suddetta "irregolarità" procedurale, va trovata alla stregua della sentenza n. 14978/2012 rv. 254671 con la quale le SS.UU. hanno affermato il seguente principio di diritto: «La mancata sottoscrizione della sentenza d'appello da parte del presidente del collegio non giustificata espressamente da un suo impedimento legittimo e sottoscritta dal solo estensore configura una nullità relativa che non incide né sul giudizio né sulla decisione consacrata nel dispositivo, e che, ove dedotta dalla parte nel ricorso per cassazione, comporta l'annullamento della sentenza-documento e la restituzione degli atti al giudice di appello, nella fase successiva alla deliberazione, affinché si provveda ad una nuova redazione della sentenza-documento che, sottoscritta dal presidente e dall'estensore, deve essere nuovamente depositata, con l'effetto che i termini di impugnazione decorreranno, ai sensi dell'art. 585 c.p.p., dalla notificazione e comunicazione dell'avviso di deposito della stessa sentenza».

In motivazione, infatti, le SS.UU. hanno escluso che la mancata sottoscrizione da parte del presidente del collegio comporti una mera irregolarità rimediabile con il procedimento di correzione dell'errore materiale oppure una nullità riguardante l'intero giudizio con conseguente necessità di rinnovazione dello stesso o, infine, l'inesistenza della sentenza.

La soluzione che, quindi, dovrebbe adottarsi, secondo quanto statuito dalle SS.UU., è che la "sentenza documento" dovrebbe essere annullata e gli atti restituiti al giudice di appello, nella fase successiva alla deliberazione, il quale dovrebbe provvedere ad una nuova redazione della sola sentenza-documento (senza, quindi, alcuna possibilità di mutare il contenuto della motivazione) che, sottoscritta dal presidente e dall'estensore, dovrebbe essere nuovamente depositata e notificata al fine di consentire nuovamente l'impugnazione della sentenza regolarmente sottoscritta.

Sennonché, tutta la suddetta procedura, nel caso di specie, è superflua, perché, come si è detto, di fatto, è già stata effettuata dalla Corte territoriale in quanto: a) la sentenza priva di sottoscrizione, pur essendo stata depositata, non fu mai notificata all'imputato o al suo difensore, sicché il termine di impugnazione è rimasto pendente per circa un anno; b) la sentenza fu sottoscritta dal Presidente estensore il quale, con la nota in calce, ha reso palese che, appunto, provvedeva a sottoscriverla dopo il deposito, senza mutare il contenuto della motivazione; c) dopo la sottoscrizione e, quindi, di fatto, dopo la rinnovazione della sola sentenza documento, la sentenza è stata notificata; d) l'imputato ha proposto regolarmente ricorso nei termini decorrenti dalla notifica avvenuta successivamente alla sottoscrizione.

In altri termini, l'annullamento della sentenza documento, nel caso di specie, non avrebbe alcuna ragion d'essere proprio perché il procedimento indicato dalle SS.UU., finalizzato a far decorrere nuovamente i termini di impugnazione rispetto ad una sentenza regolarmente sottoscritta, è stato di fatto attuato, sicché di nulla può dolersi l'imputato.

Di conseguenza, essendo stata la questione dedotta dal ricorrente con ricorso pervenuto il 24 luglio 2013, decisa mesi prima dalle SS.UU. con la citata sentenza depositata in data 29 marzo 2013, la censura non può che essere dichiarata manifestamente infondata.

2. Manifesta illogicità della motivazione: la complessa censura dedotta dal ricorrente (che si snoda da pag. 3 a pag. 21 del ricorso), è infondata per le ragioni di seguito indicate.

2.1. Il ricorrente è stato condannato perché - avvalendosi della sua qualità di presidente del circolo di Legambiente di Cavernago costituito in data 11 dicembre 2001 - mediante minacce consistenti nel prospettare iniziative denigratorie con esposti alla Procura della Repubblica o con una campagna di stampa sui giornali locali, costringeva G. Tiziano, legale rappresentate della GTM S.p.a., a corrispondergli, tramite il di lui collaboratore Go. Giovanbattista, Euro 10.000,00 (il 17 maggio 2006: capo sub 1), Euro 8.000,00 per ogni anno dal 2001 al 2005 (capo sub 2), Euro 16.000,00, corrispondente al valore di un'Alfa 166 (tra il 31 marzo 2005 e 13 aprile 2006: capo sub 3).

2.2. In punto di diritto, va rammentato che, secondo la costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, nella specifica e particolare ipotesi in cui, a seguito dell'appello del Pubblico Ministero, il giudice di appello condanni l'imputato assolto in primo grado, è tenuto a dimostrare in modo rigoroso l'incompletezza o l'incoerenza della sentenza di primo grado, non potendosi limitare a sovrapporre - sic et simpliciter - la propria alternativa valutazione del compendio probatorio a quella del primo giudice (SS.UU. 33748/2005 rv 231674).

Il problema che, quindi, pone il presente processo è duplice:

a) verificare se la Corte territoriale abbia confutato gli argomenti posti a base dell'assoluzione da parte del primo giudice;

b) verificare se la motivazione sia o no immune da alcuno dei vizi previsti dall'art. 606, lett. e), c.p.p.

2.3. Quanto al primo punto, va osservato che la Corte, dopo avere sintetizzato a pag. 6-7 gli argomenti addotti dal primo giudice, li riprende a pag. 8 ss. della motivazione e li confuta uno per uno in modo analitico.

D'altra parte, lo stesso ricorrente non ha lamentato vizi di omessa motivazione da parte della Corte su punti decisivi addotti nella sentenza di primo grado, essendosi limitato a stigmatizzare, di volta in volta, le contraddittorietà e illogicità da cui sarebbe affetta la motivazione della sentenza.

Di conseguenza, l'esame di questa Corte sarà limitato a verificare se la sentenza impugnata sia affetta dai vizi motivazionali dedotti dal ricorrente.

2.4. La Corte, ha, innanzitutto, preso in esame la circostanza secondo la quale le prime richieste di denaro che l'imputato fece come Presidente di Legambiente risalivano a prima dell'11 dicembre 2001 e cioè in un momento in cui il circolo della Legambiente di Cavernago non era stato ancora costituito. Da questa discrepanza temporale, il giudice di primo grado aveva desunto una inverosimiglianza delle testimonianze del G. e del Go. in quanto non poteva il T. presentarsi come Presidente di un circolo che non era stato ancora costituito.

La Corte, però, alla stregua di puntuali elementi fattuali desunti proprio dalle stesse dichiarazioni rese dall'imputato nel corso dell'esame dibattimentale, ha ribattuto che non vi era nulla di inverosimile nelle dichiarazioni dei testi G. e Go. in quanto era risultato pacifico - anche dalle dichiarazioni del teste L. - che il T. era solito presentarsi come "lega Ambiente" fin dal 1999 e cioè molto tempo prima che il circolo di Cavernago fosse aperto.

A fronte di tale puntuale motivazione, il ricorrente (pag. 4-7 del ricorso), al di là che ripetere che la motivazione della Corte sarebbe illogica e contraddittoria, in realtà, non ha evidenziato in cosa si sostanzierebbe, in concreto, il suddetto vizio.

In altri termini, la Corte ha rilevato che: a) il T., anche prima che fosse costituito il circolo di Legambiente di Cavernago del quale divenne Presidente, si presentava come "Lega Ambiente"; b) di conseguenza, i testi Go. e G. che avevano dichiarato che le richieste di denaro erano iniziate prima dell'apertura del suddetto circolo, non potevano essere affatto ritenute inverosimili sol perché all'epoca, il circolo Legambiente non era stato aperto ed il T. non ne era diventato ancora Presidente.

Posto, quindi, che il dato probatorio sub a) è pacifico e non è contestato neppure dalla difesa, non è chiaro in quale contraddittorietà o illogicità la Corte sarebbe incorsa.

2.5. La Corte, poi, ha preso in esame quella parte della motivazione con la quale il tribunale aveva ravvisato delle gravi dissonanze fra le dichiarazioni dei due suddetti testi sia in relazione alle modalità di richiesta del denaro che alla loro frequenza ed ammontare ed ha ritenuto che «tali discrasie (che peraltro comprovano l'assenza di versioni concordate) sono in parte non corrispondenti al dato processuale e in parte irrilevanti»: la suddetta affermazione, è stata effettuata alla stregua di una puntuale disamina delle dichiarazioni testimoniali (pag. 9-10 della sentenza).

In questa sede, il ricorrente (pag. 7-10 del ricorso), ha censurato la suddetta motivazione, rifacendosi, in pratica, a quanto sostenuto dal primo giudice, trascurando di considerare, però, che la Corte ha preso in considerazione quella motivazione e l'ha confutata: la censura, quindi, nei termini in cui è stata dedotta, è mal posta, perché non poteva il ricorrente riproporre la propria alternativa tesi difensiva a fronte di quella sostenuta dalla Corte, ma avrebbe dovuto dimostrare dove, come e perché la motivazione della Corte era affetta da uno dei dedotti vizi motivazionali.

2.6. La Corte (a pag. 10), ha preso in esame la circostanza secondo la quale il G. sarebbe stato smentito, secondo il tribunale, sulla genesi della vicenda processuale, dal luogotenente del NOE, C. e, dopo un'analisi della vicenda, ha così concluso: «il tema non ha rilievo ai fini del decidere e nessun interesse aveva il G. a mentire su tale circostanza. A ben vedere la discrasia è molto più modesta di quanto si vorrebbe [...]».

Il ricorrente, ancora una volta, lungi dal dimostrare l'illogicità della suddetta conclusione, non fa altro che rifarsi alla motivazione del tribunale, sostenendo che «l'iniziativa accusatoria ritorsiva e vendicativa del G. nacque esclusivamente da un'iniziativa di quest'ultimo [...]».

Al che deve replicarsi che la Corte non ha mai messo in discussione che le indagini fossero iniziate a seguito della denuncia sporta dal G. in data 30 dicembre 2005: la Corte si è solo limitata a prendere atto di due fatti e cioè: a) che la genesi della vicenda processuale, era ininfluente; b) che, al di là di quello che G. e C. potessero aversi detto sulla vicenda, quello che era certo è che, il C., in data 28 maggio 2005, allorché il G. gli confidò che il T. gli estorceva denaro, aveva insistito perché lo denunciasse: il che il G. fece dopo appena due giorni.

2.7. La Corte, poi, ha preso in esame l'argomento speso dal Tribunale a favore del T. e rappresentato dagli articoli di stampa prodotti dall'Accusa che non dimostrerebbero alcun accanimento dell'imputato contro l'attività del G., ma, anzi, «attesterebbero come proprio T. avesse ad un certo punto proposto la formazione di una commissione di controllo della GTM iniziativa diretta a favorire il possibile dissequestro della GTM» (pag. 11-12 sentenza impugnata). La Corte, dopo un'analisi della suddetta documentazione, ha concluso che «trattasi di materiale sostanzialmente neutro sotto il profilo probatorio e comunque insufficiente a verificare che le variazioni di rotta fossero connesse alla dazioni di denaro». La Corte, peraltro, ha stigmatizzato l'atteggiamento ambiguo tenuto dal T. che «pochi giorni prima di accettare i 10.000,00 Euro dalla GTM si preoccupava di prospettare ad un funzionario del NOE una situazione di illegalità dell'operato della stessa che non venne però confermata dalle indagini».

Il ricorrente, in questa sede, ha sostenuto che la Corte avrebbe, contraddittoriamente, dato ragione alla tesi difensiva che aveva sempre sostenuto che non fosse stato dimostrato alcuna nesso causale fra le richieste estorsive e gli articoli di giornale pubblicati sulla stampa locale.

Al che deve replicarsi che la Corte, al di là del contenuto degli articoli di giornale (alcuni dei quali, però, contenevano attacchi frontali alla GTM) ha, comunque, stigmatizzato il comportamento ambiguo tenuto dal T., ossia proprio quel comportamento estorsivo descritto nei capi d'imputazione e consistente nel prospettare campagne di stampa contro la GTM e per evitare il quale il G., di volta in volta, pagava.

2.8. La Corte, infine (pag. 12 ss), ha preso in esame quella che si può definire la prova regina dell'accusa ossia che: a) G. e Go., pacificamente, pagarono, nella primavera del 2005, la somma di Euro 16.000,00 che il T. utilizzò per acquistare una Alfa Romeo; b) il T. venne ripreso il 17 maggio 2006 mentre intascava una busta che gli porgeva il Go. contenente la somma di Euro 10.000,00, tant'è che fu arrestato in flagranza di reato.

Nell'ambito di tali fatti, va inserito anche l'episodio riguardante il contenuto della conversazione intercettata fra T. e Go., conversazione dalla quale il tribunale aveva tratto un elemento a favore dell'imputato in quanto, in quella conversazione, il Go., pur avendone avuta la possibilità, non aveva affrontato con il T. la questione delle dazioni di denaro (pag. 11 sentenza). In ordine a quest'ultimo punto, ancora una volta, la Corte, dopo aver ricostruito la vicenda, spiega le ragioni per le quali la conclusione che il tribunale aveva tratto sull'inattendibilità del Go., doveva ritenersi affrettata, sia perché il teste, in dibattimento aveva spiegato le ragioni della sua prudenza, sia perché era del tutto pacifico che il T. aveva chiesto al Go. un contributo per cambiare la vettura.

I fatti riguardanti la dazione della complessiva somma di Euro 26.000,00, come si è detto, sono pacifici.

La tesi difensiva, recepita dal tribunale, è che la somma di Euro 16.000,00 compensavano una collaborazione prestata a favore della GTM nel reperimento di materia prima organica necessaria per la produzione di compost e che la consegna della busta contenente la somma di Euro 10.000,00 era stata in realtà "una trappola" come si desumeva dal breve colloquio che era avvenuto fra il ricorrente e lo stesso Go.

Sul punto, la Corte, (pag. 13 ss) ha ampiamente spiegato le ragioni che, sia sotto il profilo fattuale che logico, rendevano la tesi difensiva «per nulla credibile»: la motivazione, prende in esame tutti gli argomenti difensivi ma li confuta uno per uno.

In questa sede, il ricorrente, non ha fatto che ribadire la propria tesi difensiva la quale, però, con tutta evidenza, va ritenuta null'altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.

Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dal ricorrente, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile.

In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con «i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento»: infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999 rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.

Sul punto va, infatti ribadito che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev'essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze: ex plurimis SS.UU. 24/1999.

In altri conclusivi termini, il tentativo dell'imputato di dimostrare la manifesta illogicità della motivazione, s'infrange di fronte ai due dati probatori emersi con certezza dal processo e cioè la dazione di Euro 16.000,00 (serviti per acquistare un'auto) e l'ulteriore dazione di Euro 10.000, in quanto l'alternativa tesi difensiva prospettata è risultata illogica e contraria agli elementi fattuali secondo l'ineccepibile motivazione addotta sul punto dalla Corte territoriale. Ed invero, anche le testimonianze del Go. e del G., lette e valutate alla luce dei suddetti fatti, appaiono pienamente attendibili in quanto prive di contraddizioni sostanziali come pure ha dimostrato la Corte nella sua motivazione.

Di conseguenza, il ricorso, essendo fondato sulla mera riproposizione di elementi fattuali, va ritenuto manifestamente infondato.

3. Violazione dell'art. 629 c.p.: anche la suddetta doglianza è priva di alcun pregio, in quanto, ricostruiti i fatti nel senso indicato dalla Corte territoriale e, quindi, così come descritti nel capo d'imputazione, non vi può essere alcun dubbio sulla configurabilità del reato di estorsione sia sotto il profilo oggettivo (minaccia di una denuncia diretta non all'accertamento di fatti illeciti ma a conseguire un ingiusto profitto) che soggettivo.

4. In ultimo questa Corte ritiene di evidenziare quanto segue.

La Corte territoriale, come si è detto, ha riformato, la sentenza di assoluzione di primo grado, condannando, quindi, l'imputato.

Per giungere a tale conclusione, la Corte ha agito su un duplice piano:

a) ha rivalutato le testimonianze accusatorie dei testi G. e Go. ritenuti dal Tribunale, inattendibili;

b) ha rivalutato, in senso accusatorio, la ripresa video nella quale il T. veniva immortalato mentre intascava la busta contenente la somma di Euro 10.000,00 che il Go. gli porgeva.

La sentenza, quindi, oggettivamente, pone il problema del se e in che termini abbia violato l'art. 6 della CEDU.

Com'è ben noto, la Corte di Strasburgo ha affermato che coloro i quali «hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l'innocenza dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità» e che «la valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate»: sentenza 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia; in senso analogo v. anche 21 settembre 2010, Marcos Barrios c. Spagna; 27 novembre 2007, Popovici c. Moldavia.

Questa Corte di legittimità, adeguandosi all'interpretazione che la Corte di Strasburgo ha dato dell'art. 6 CEDU, ha stabilito che, da una parte, «È illegittima la sentenza d'appello che, in riforma di quella assolutoria condanni l'imputato sulla base di una alternativa interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore della motivazione, tale da far cadere "ogni ragionevole dubbio»: Cass. 49755/2012 rv.. 253909 - Cass. 1514/2012 rv.. 253940 - Cass. 1266/2012 rv.. 254024 - Cass. 8705/2013 rv.. 254113 - e, dall'altra, che «Il giudice di appello per riformare in peius una sentenza assolutoria è obbligato - in base all'art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/ Moldavia - alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale solo quando intenda operare un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova orale, ritenuta in primo grado non attendibile»: Cass. 16566/2013, Caboni; Cass. 28061/2013 rv.. 255580; Cass. 5854/2012 rv.. 254850.

Tanto premesso in punto di diritto, in ordine alla fattispecie in esame, va osservato quanto segue.

In ordine al punto sub b) (rivalutazione della ripresa video), la CEDU non è applicabile in quanto, secondo il principio di diritto enunciato da questa Corte, che in questa sede va ribadito, «il giudice di appello, per riformare "in peius" una sentenza di assoluzione, non è obbligato - in base all'art. 6 CEDU, così come interpretato nella sentenza della Corte EDU del 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia - alla rinnovazione delle prove dichiarative assunte in primo grado quando la sua decisione si fonda su un diverso apprezzamento di conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione»: Cassazione penale sez. II, 17 maggio 2013, n. 29452 rv 256467.

È chiaro, infatti, che, a fronte di una prova di natura documentale (tale deve ritenersi la ripresa video: sul punto cfr., mutatis mutandis, Cass. cit.) che non può essere rinnovata, non si pone alcun problema di applicabilità dell'art. 6 della CEDU, trattandosi solo di verificare se la motivazione che il giudice ha dato in ordine all'interpretazione di un certo fatto così come documentato da un filmato, sia o no logica, congrua ed adeguata.

In ordine al punto sub a) (rivalutazione delle testimonianze di Go. e Gismondi), invece, l'art. 6 CEDU sarebbe, in astratto, applicabile.

Sta di fatto, però, che la suddetta eccezione non è stata mai dedotta dal ricorrente (neppure in sede di discussione).

Il problema, quindi, che si pone è se l'eccezione relativa alla violazione dell'art. 6 CEDU possa o no essere rilevata d'ufficio.

Ora, pur a voler dare risposta affermativa al quesito, la questione, nella presente fattispecie, non si pone in quanto il ricorso è manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.

Dal che consegue che si rende applicabile quel consolidato principio di diritto secondo il quale l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare d'ufficio ogni eccezione: ex plurimis SS.UU. 22 novembre 2000, De Luca, Riv 217266 - Cass. 4 ottobre 2007, Impero in materia di rilevabilità delle cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p.

5. In conclusione, l'impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell'art. 606/3 c.p.p., per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Depositata il 21 marzo 2014.

R. Garofoli

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