Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 4 aprile 2014, n. 23611

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 25 ottobre 2010 la Corte di assise di Napoli dichiarava Perillo Ciro e Perillo Gerardo (figlio e padre) colpevoli dei reati previsti da: A) artt. 110, 112, 575, 577 c.p. perché, in concorso tra loro e con altre persone non identificate, cagionavano la morte di Savino Giulio contro il quale esplodevano più colpi di arma da fuoco cal. 7,65 e cal. 9 attingendo la vittima in parti vitali. Con le aggravanti di aver agito in più di cinque persone e per abietti motivi di supremazia camorristica, nonché avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p.p. ed al fine di agevolare l'attività dell'organizzazione camorristica di appartenenza denominata clan Panico-Perillo; B) reati di detenzione e porto illegale di almeno due armi da fuco, una pistola cal. 7,65 ed una pistola cal. 9; C) del delitto di occultamento di cadavere perché in concorso tra loro e in più di cinque persone, al fine di garantirsi l'impunità dal reato di omicidio, occultavano il cadavere di Savino Giulio, rinvenuto sepolto in località Olivella di Sant'Anastasia il successivo 25 aprile. Fatti commessi in Sant'Anastasia e Somma Vesuviana tra il 5 ed il 6 aprile 2005. Per l'effetto li condannava alla pena dell'ergastolo con isolamento per mesi tre.

Con sentenza del 23 gennaio 2013 la Corte di assise di appello di Napoli confermava la decisione del giudice di primo grado.

I fatti erano così ricostruiti dai giudici di merito: in data 6 aprile 2005 Molisso Carla denunciava la scomparsa del proprio convivente Savino Giulio, uscito di casa il giorno precedente alle ore 15.00 circa senza più fare ritorno; riferiva di aver appreso da De Chiara Nunzia che il proprio convivente si era allontanato da casa unitamente a Iossa Antonio, salito sull'autovettura Citroen di Savino, e seguiti dal figlio di Iossa Antonio (anch'egli di nome Antonio) alla guida della Alfa Romeo del padre, diretti a Sant'Anastasia. Pure Antonio Savino, figlio dello scomparso Savino Giulio, riferiva che nel pomeriggio del giorno 5 aprile verso le ore 15.45 aveva chiamato il padre che gli aveva riferito di trovarsi in Sant'Anastasia e che sarebbe tornato di lì a poco. Anche Marra Assunta denunciava la scomparsa dei proprio convivente Iossa Antonio e del figlio Iossa Antonio.

Le ricerche non davano esito sino al giorno 21 maggio 2005, allorché il cadavere di Savino Giulio veniva rinvenuto sepolto in una buca poco profonda, da cui fuoriusciva un arto, posta in zona adiacente il terreno di proprietà di Pianico Antonio e Francesco, sito in località Olivella di Sant'Anastasia.

Dagli accertamenti medico legali risultava che Savino era stato ucciso con quattro colpi di arma da fuoco esplosi da due pistole cal. 7,65 e cal. 9; inoltre il cadavere presentava un complesso fratturativo a larga superficie sull'emitorace sinistro.

Avverso la sentenza della Corte di assise di appello i difensori di Perillo Gerardo e Perillo Ciro propongono ricorso per cassazione formulando i seguenti motivi: 1) in riferimento a Perillo Gerardo, eccepiscono la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per omessa notificazione al difensore di fiducia avv. Terracciano dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari previsto dall'art. 415-bis c.p.p., dovendosi considerare che la nomina effettuata dall'imputato detenuto ai sensi dell'art. 123 c.p.p. ha immediata efficacia anche se non trasmessa per un disguido all'autorità giudiziaria, con conseguente nullità del decreto che dispone il giudizio e delle sentenze di primo e secondo grado, eccezione tempestivamente sollevata davanti al Giudice dell'udienza preliminare e reiterata davanti alla Corte di assise e alla Corte di assise di appello; 2) mancanza, manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova con riferimento alle dichiarazioni rese da De Chiara Nunzia e Savino Antonio; travisamento delle dichiarazioni di Marra Assunta che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, nulla riferisce in ordine al fatto che il pomeriggio della scomparsa Iossa Antonio padre sarebbe stato visto in Sant'Anastasia in compagnia di Perillo Gerardo; travisamento delle dichiarazioni rese da Savino Giovanni fratello della vittima, 2) illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto che il comportamento di Marra Assunta e Iossa Bruno che, all'indomani della scomparsa dei loro familiari, si recano da Perillo Gerardo per ottenere informazioni, costituisca una conferma di tipo logico al fatto che questi avesse incontrato i tre scomparsi il pomeriggio del giorno 5 aprile 2005; 3) travisamento della prova in riferimento alle dichiarazioni di Savino Ciro ed alla informativa di reato del Commissariato di San Giuseppe Vesuviano, avendo il giudice proceduto ad una ricostruzione parziale e fuorviante delle complessive dichiarazioni rese da Savino Ciro, dovendosi ritenere che l'omicidio di Savino Giulio provenisse dall'area del clan Fabbrocino, come si evince da brani della informativa di polizia del 12 aprile 2005 trascritti nel ricorso; 4) motivazione omessa ovvero contraddittoria o illogica, travisamento della prova e violazione dell'art. 192, comma 3, c.p.p. in relazione alla valutazione della chiamata in correità de relato del collaboratore D'Auria Giovanni: la Corte, pur dovendo ammettere che la fonte di riferimento Manfellotto non poteva essere stato presente ai fatti, introduce una conoscenza indiretta dei fatti che egli non ha mai riferito nemmeno in ipotesi; in ogni caso omessa motivazione in ordine alla inattendibilità intrinseca del collaboratore D'Auria; 5) motivazione omessa, ovvero contraddittoria ed illogica, travisamento della prova e violazione dell'art. 192 c.p.p. in relazione alla valutazione della chiamata in reità di Liguoro Marco: il collaboratore non è fonte autonoma ma de auditu da D'Auria Giovanni, a sua volta dichiarante de relato e smentito da Manfellotto; 6) motivazione omessa, ovvero contraddittoria ed illogica, travisamento della prova e violazione dell'art. 192 c.p.p. in relazione alla valutazione della chiamata in reità di Giordano Carmine: omessa motivazione in ordine alla attendibilità intrinseca del collaboratore, che si dichiara intraneo al clan Perillo-Panico mentre non risulta essere mai stato imputato per il delitto associativo, che è risultato assuntore di cocaina ed ha girovagato tra vari clan; illogicità del movente dell'omicidio indicato dal collaboratore ed inverosimiglianza del fatto che Ceriello Armando, da poco maggiorenne all'epoca dell'omicidio, potesse avere conoscenza sia diretta che indiretta di fatti di tale gravità; 7) motivazione omessa, ovvero contraddittoria ed illogica, travisamento della prova e violazione dell'art. 192 c.p.p. in relazione alla valutazione delle dichiarazioni del collaboratore Savino Giovanni: la Corte di appello omette di considerare le insanabili divergenze tra le dichiarazioni di Savino Giovanni e quanto dichiarato da Molisso Carla che non ha mai riferito che il convivente si fosse allontanato perché aveva un appuntamento con Perillo Gerardo, mentre De Chiara Nunzia aveva genericamente riferito che Iossa aveva chiesto a Savino Giulio di andare a Sant'Anastasia; omessa valutazione della inattendibilità del collaboratore che nel corso del controesame si è contraddetto più volte; 8) motivazione omessa, ovvero contraddittoria ed illogica, travisamento della prova e violazione dell'art. 192 c.p.p. in merito alle intercettazioni telefoniche ed ambientali; in particolare la telefonata del 5 aprile 2005 h. 18,09 rappresenta la scoperta di un cadavere e non il compimento dell'omicidio; l'espressione "era morto" è stata usata da Perillo Ciro per indicare al fratello Umberto con cui sta parlando di aver visto a terra un essere morto e la Corte con un ragionamento illogico travisa il dato probatorio attribuendo a Perillo Ciro la partecipazione all'omicidio anziché la scoperta di un cadavere; illogicità della ricostruzione della Corte di appello secondo cui Perillo Gerardo avrebbe partecipato alla esecuzione degli omicidi allontanandosi subito dopo senza curarsi della necessità di organizzare la sparizione di tre cadaveri e di due autovetture; erronea ricostruzione delle telefonate del 6 aprile 2005, del 7 aprile 2005, dell'8 aprile 2005, del 9 aprile 2005, del 21 aprile 2005, del 22 aprile 2005, del 21 maggio 2005; 9) motivazione omessa, ovvero contraddittoria ed illogica, travisamento della prova e violazione dell'art. 192 c.p.p. in merito al rinvenimento del cadavere, all'esame autoptico e alla perizia: non è provata l'eziologia tra il presunto colpo di pala ed il complesso fratturativo riscontrato sul cadavere, potendo lo stesso trauma ricondursi alla caduta della vittima provocata dai colpi di arma da fuoco; 10) motivazione omessa, ovvero contraddittoria ed illogica, travisamento della prova e violazione dell'art. 192 c.p.p. in riferimento alla valutazione delle chiamate in reità de relato in assenza di riscontri, in riferimento alla valutazione indiziaria e alla causale dell'omicidio; in riferimento al criterio del ragionevole dubbio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.

A) L'eccezione di nullità sollevata dal ricorrente Perillo Gerardo con il primo motivo deve essere rigettata.

1. È fondata l'argomentazione di diritto secondo cui la dichiarazione di nomina del difensore di fiducia effettuata dall'indagato detenuto, con atto iscritto nell'apposito registro della Direzione dell'istituto penitenziario a norma dell'art. 123 c.p.p., ha immediata efficacia come se fosse direttamente ricevuta dall'autorità giudiziaria destinataria; con la conseguenza che è affetto dalla nullità di carattere generale a regime intermedio di cui all'art. 178, lett. c), c.p.p. l'atto compiuto in mancanza del previo avviso al difensore di fiducia così tempestivamente nominato, ancorché la nomina non sia pervenuta all'ufficio dell'autorità procedente prima della fissazione dell'atto medesimo (Sez. Un., n. 2 del 26 marzo 1997, Procopio, Rv. 208268). Tuttavia, come rilevato dalla Corte di assise con ordinanza del 23 aprile 2008 di rigetto delle eccezioni preliminari, il difensore non ha mai documentato l'affermazione secondo cui, in data anteriore alla notificazione dell'avviso previsto dall'art. 415-bis c.p.p. effettuata il 22 ottobre 2007, era intervenuta, con le modalità previste dall'art. 123 c.p.p., la nomina quale difensore di fiducia dell'avvocato Terracciano, nei cui confronti era stata omessa la notificazione del citato avviso.

2. Anche ipotizzando l'esistenza della pregressa nomina del difensore asserita dal ricorrente, l'eccezione è ugualmente infondata. È pacifico che l'avvocato Terracciano ha ricevuto la notificazione dell'avviso (cumulativo) di conclusione delle indagini preliminari in qualità di difensore di altri coimputati, con la conseguenza che egli è stato posto in grado di svolgere l'attività difensiva in favore di tutti i propri assistiti, dovendosi escludere che possa costituire motivo di nullità della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari il fatto che tale notifica sia stata effettuata in unica copia al difensore di fiducia dell'imputato, pur essendo egli anche il difensore di altri coimputati (Sez. 6, n. 36695 del 6 ottobre 2010 - dep. 13 ottobre 2010, Drago, Rv. 248526).

3. La tesi secondo cui il difensore non avrebbe avuto tempestiva "conoscenza legale sia esplicita che implicita" del proprio status di difensore anche dell'indagato Perillo Gerardo, proprio a causa della mancata notificazione dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p., è errata giuridicamente.

L'art. 123 c.p.p., nello stabilire che le dichiarazioni presentate alla Direzione dell'istituto penitenziario hanno efficacia corrispondente alle dichiarazioni presentate direttamente all'autorità giudiziaria, pone a carico dell'Amministrazione penitenziaria esclusivamente l'obbligo di dare comunicazione dell'avvenuta nomina all'autorità giudiziaria (con le modalità stabilite dall'art. 44 disp. att. c.p.p.), mentre non prevede alcun obbligo di dare notizia della intervenuta nomina al difensore, essendo al contrario onere dell'imputato detenuto informare il proprio difensore dell'avvenuta nomina. In proposito è stata emanata apposita lettera circolare del 19 agosto 2008, avente ad oggetto "attuazione del diritto di difesa nelle carceri", con la quale il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria ha disposto che le Direzioni degli Istituti penitenziari, contestualmente alla ricezione della nomina del difensore di fiducia da parte del detenuto ed all'adempimento della comunicazione alla autorità giudiziaria previsto dall'art. 123 c.p.p., provvedano ad avvisare il detenuto della necessità che egli stesso dia immediata notizia al proprio difensore dell'intervenuta nomina, informandolo delle concrete modalità con cui può essere effettuata la comunicazione.

Ne consegue che un ipotetico mancato intervento del difensore di fiducia cagionato dal comportamento negligente dell'imputato detenuto, che trascura di dare tempestivo avviso al difensore stesso della intervenuta nomina, non può costituire causa di invalidità di atti processuali sotto il profilo della violazione del diritto di difesa.

B) Con riguardo ad entrambi i ricorrenti, le valutazioni del materiale probatorio compiute dalla Corte di assise di appello risultano affette dai vizi di travisamento della prova o di illogicità della motivazione nei termini e nei limiti di seguito specificati.

1. La Corte di assise di appello ha ritenuto provato che "i tre scomparsi quel giorno, dopo essersi incontrati siano andati proprio da Perillo Gerardo a Capodivilla di S. Anastasia" citando in proposito le dichiarazioni di Marra Assunta secondo cui "Antonio Iossa iunior proprio quel pomeriggio le disse di aver visto il padre in compagnia di Perillo Gerardo" (con richiamo ai ff. 254 e 263 della sentenza di primo grado).

La citata sentenza di primo grado riporta (a f. 252 e 260) le dichiarazioni di Marra Assunta le quali non contengono alcun riferimento a circostanze apprese da "Antonio Iossa iunior" (che neppure avrebbe potuto riferirle, essendo scomparso con il padre nel pomeriggio del 5 aprile 2005 senza più essere visto né sentito dalla madre Marra Assunta); la sentenza di primo grado (f. 262 e ss.) riporta invece le dichiarazioni di Iossa Bruno (figlio di Iossa Antonio e fratellastro di Iossa Antonio iunior) il quale non riferisce che il pomeriggio della scomparsa il padre Iossa Antonio si trovava in compagnia di Perillo Gerardo, ma dichiara cosa diversa affermando che il padre frequentava Perillo Gerardo che aveva una casa sul Monte Somma a Capodivilla di S. Anastasia, e che "quella sera aveva detto al Savino che dovevano andare insieme in quella cittadina". Neppure le sommarie informazioni rese da Marra Assunta alla polizia giudiziaria (allegate al ricorso) contengono alcuna menzione della circostanza secondo cui il pomeriggio della scomparsa il convivente della donna aveva un appuntamento con Perillo Gerardo.

La motivazione è invece logicamente corretta ed aderente alle risultanze probatorie nella parte in cui, sulla base delle dichiarazioni de relato di Molisso Carla e della teste di riferimento De Chiara Nunzia, ritiene che i due Iossa Antonio, padre e figlio, si sono incontrati con Savino Giulio ed insieme si sono diretti a S. Anastasia; la medesima circostanza è stata dedotta dal corretto apprezzamento delle dichiarazioni di Savino Antonio, figlio dello scomparso Savino Giulio, il quale pure riferisce che quel pomeriggio il padre gli comunicò telefonicamente che si doveva recare a S. Anastasia e che sarebbe tornato subito. Conclusivamente, il giudice di merito valuta correttamente le risultanze probatorie nella parte in cui afferma che il giorno della scomparsa Savino Giulio, unitamente a Iossa Antonio padre e Iossa Antonio figlio, si era allontanato da casa per recarsi a S. Anastasia; introduce un elemento non risultante dagli atti processuali indicati in sentenza allorché ritiene supportato da prove di tipo testimoniale (piuttosto che da semplici prove logico-presuntive) l'assunto che quel giorno i tre scomparsi si siano recati a S. Anastasia perché convocati da Perillo Gerardo.

2. La Corte di assise di appello ha considerato valida prova a carico le dichiarazione de relato del collaboratore D'Auria Giovanni, il quale riferiva che Manfellotto Raffaele gli aveva detto di avere partecipato all'omicidio di una persona di Somma Vesuviana insieme a Perillo Gerardo ed altri, che Perillo Gerardo era stato particolarmente crudele perché, accortosi che la vittima non era del tutto morta, l'aveva finita a colpi di pala. Il giudice di appello evidenziava che Manfellotto era stato assolto dall'omicidio di cui si autoaccusava, essendo emerso che il giorno del fatto egli si trovava a Varese ove prestava servizio militare; pertanto doveva escludersi che egli avesse partecipato all'omicidio, mentre non poteva escludersi che avesse appreso da altri presenti al fatto il dettaglio relativo alle modalità di uccisione di Savino, con conseguente parziale attendibilità del collaboratore.

La motivazione è logicamente viziata. Una volta provato che la fonte di riferimento è destituita di ogni credibilità essendo stato dimostrato che egli non poteva aver partecipato all'omicidio né essere stato presente al fatto delittuoso, poiché si trovava sicuramente altrove, ne deriva sul piano logico l'azzeramento della valenza probatoria delle dichiarazioni de relato del collaboratore D'Auria, che riporta le false informazioni ricevute dal teste di riferimento. La tesi secondo cui "non può escludersi" che Manfellotto abbia appreso da altri le circostanze riferite in ordine alle modalità dell'omicidio ha natura meramente congetturale; l'attribuzione di valenza probatoria alle dichiarazioni ipoteticamente indirette di Manfellotto, in mancanza di qualsiasi indicazione sulla fonte di riferimento, viola la disposizione prevista dall'art. 195, comma 7, c.p.p., che stabilisce la inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato quando il dichiarante non è in grado di indicare la fonte da cui ha appreso la notizia.

Ne deriva che le dichiarazioni del collaboratore D'Auria sono del tutto prive di rilevanza probatoria.

3. Ugualmente prive di valenza probatoria sono le dichiarazioni di Liguoro Marco che, come riportato nella sentenza di appello, riferiva di aver appreso del coinvolgimento di Perillo Gerardo nell'omicidio di Savino Giulio "un po' dai giornali, un po' da qualcuno che diceva di queste notizie in giro, un po' da questo D'Auria". L'indicazione, quale fonte di riferimento, delle notizie giornalistiche e di "qualcuno che diceva in giro queste cose" comporta l'inutilizzabilità della dichiarazione ai sensi del citato art. 195, comma 7, c.p.p.; la rilevata valenza probatoria nulla delle dichiarazioni di D'Auria quale teste di riferimento, si propaga alle dichiarazioni de relato di Liguoro.

4. Con riguardo alle dichiarazioni accusatorie rese da Giordano Carmine, la Corte di assise di appello ha rilevato che il collaboratore, appartenente al clan Perillo-Panico, aveva riferito di aver saputo da Ceriello Armando, nipote di Perillo Gerardo ed appartenente al medesimo clan, con lui recluso nel carcere di Secondigliano, che l'omicidio di Savino era stato commesso da Perillo Gerardo, Perillo Ciro, Panico Giovanni e Panico Francesco, che anche Ceriello si trovava insieme a loro e che "Panico Giovanni doveva fare un fosso a terra, l'unica cosa che doveva fare non l'aveva fatta bene"; Ceriello Armando, sentito in udienza aveva negato di aver riferito a Giordano alcunché in ordine all'omicidio di Savino.

La dichiarazione de relato del collaboratore di giustizia Giordano Carmine risulta correttamente apprezzata dal giudice di merito, il quale ha rilevato che Ceriello Armando era stato condannato per partecipazione al delitto associativo (con sentenza impugnata con ricorso per cassazione) e che era pacifica la comune detenzione con Giordano Carmine.

I motivi di ricorso non deducono alcun vizio rilevabile in sede di legittimità, ma prospettano valutazioni di merito difformi in ordine alla presunta "inverosimiglianza" della conoscenza di fatti di tale gravità da parte di un soggetto da poco maggiorenne, quale era Ceriello Armando all'epoca dei fatti, ovvero in ordine alle peregrinazione tra i vari clan ed all'uso di stupefacenti da parte del collaboratore Giordano.

5. La Corte di assise di appello ha valorizzato le dichiarazioni del collaboratore Savino Ciro, cugino della vittima, il quale riferiva di aver assistito ad un incontro, avvenuto poco prima della scomparsa del cugino, in cui Vincenzo Oliviero aveva formalmente ammonito Savino Giulio "a nome dei nostri amici di Somma Vesuviana" a non frequentare più due persone e a non vendere più droga a Somma Vesuviana, altrimenti gli poteva succedere qualcosa; Savino Giulio aveva risposto che si sarebbe allontanato dalle persone indicate ma che "la droga l'ho sempre fatta e continuerò a farla, quando mi vogliono ammazzare mi vengano ad ammazzare". Il collaboratore riferiva inoltre che in carcere aveva incontrato Liguoro Marco il quale, dopo aver saputo che egli era cugino di Savino Giulio, gli aveva detto che quando Savino Giulio insieme ad altre due persone era andato a questo appuntamento era presente una persona soprannominata "o canteniere" che aveva colpito suo cugino alle spalle con un piccone.

La dichiarazione di Savino Ciro è priva di valenza probatoria nella parte in cui riferisce quanto appreso da Liguoro Marco per la rilevata inutilizzabilità di tale fonte conoscitiva.

L'apprezzamento della dichiarazione di Savino Ciro è invece giuridicamente corretta, e priva dei vizi logici denunciati, nella parte in cui valorizza tale dichiarazione ai fini della individuazione del movente dell'omicidio riferibile al contrasto attinente allo spaccio di stupefacenti. In particolare si rileva che il verbale delle dichiarazioni dibattimentali rese da Savino in data 11 aprile 2011 contiene effettivamente il riferimento agli "amici di Somma Vesuviana" quali mandanti della "ambasciata" nei confronti di Savino Giulio. Sul punto deve peraltro essere richiamato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui non è necessaria l'individuazione della precisa causale dell'azione omicida allorché sussista comunque la prova dell'attribuibilità di detta azione all'imputato (Sez. 1, n. 11807 del 12 febbraio 2009, Gatti, Rv. 243485; Sez. 1, n. 6514 del 27 aprile 1998, Chiarello, Rv. 210710).

6. La Corte di merito ha ritenuto attendibili le dichiarazioni de relato di Savino Giovanni, cugino della vittima Savino Giulio (ed omonimo del fratello di questi) il quale riferiva di aver saputo da Molisso Carla, la quale lo aveva chiamato dopo la scomparsa del convivente, che questi si era allontanato da casa insieme a due amici, padre e figlio, per recarsi a Sant'Anastasia perché "erano stati chiamati da Gerardo o cantiniere" (inteso Perillo Gerardo). La valutazione della Corte trascura di considerare, e di dare plausibile spiegazione (anche, occorrendo, con la rinnovazione della istruzione dibattimentale sul punto) al contrasto esistente tra le dichiarazioni del teste de relato e le divergenti dichiarazioni della teste di riferimento Molisso Carta, che non ha mai affermato di aver saputo (e in quale modo) che il convivente si era allontanato da casa unitamente a Iossa Antonio per recarsi da Perillo Gerardo che li aveva convocati, essendosi limitata a riferire quanto apprese dalla teste De Chiara, che aveva affermato di aver visto Savino Giulio allontanarsi da casa unitamente ad un altro uomo il quale gli aveva chiesto di recarsi con lui a S. Anastasia.

Il motivo di ricorso, che denuncia il vizio di omessa motivazione sul punto, appare pertanto fondato.

7. La Corte di assise di appello ha desunto la sussistenza di inequivoci elementi del coinvolgimento di Perillo Gerardo e Perillo Ciro nel fatto delittuoso dal contenuto di una intercettazione telefonica svolta nell'ambito del procedimento penale a carico di Perillo, Panico, D'Avino ed altri per delitto associativo: in data 5 aprile 2005 h. 18,06 sull'utenza in uso a Perillo Maurizio perveniva una telefonata proveniente dall'utenza in uso al fratello Perillo Umberto in cui veniva registrata "in ambientale", ossia fuori microfono, la voce di Perillo Ciro che, parlando con il fratello Umberto, pronunciava la seguente frase, trascritta dal perito nominato dalla Corte "poi è sceso Giovanni è venuto dice: ma quello di qua dove sta? ... quelli lì mettete qua che stava... non quello in terra è morto! era morto! Mo' vedi dov'è morto vieni con me... che hai fatto"; seguiva la comunicazione di Perillo Umberto "ha detto Ciro se venite un momento qua che ha detto è urgente", diretta al padre Perillo Gerardo. Secondo il giudice di appello, la telefonata interviene nel momento in cui si procedeva all'occultamento dei corpi dei tre soggetti "scomparsi" quello stesso pomeriggio, e le frasi di Perillo Ciro si riferivano in particolare alla circostanza, riscontrata dalla perizia autoptica, che Savino Giulio non era morto immediatamente a seguito delle ferite da arma da fuoco ed era stato finito a colpi di pala; la Corte territoriale riteneva che il "Giovanni" di cui alla intercettazione poteva identificarsi in Panico Giovanni, che secondo il collaboratore Giordano Carmine aveva avuto come unico compito quello di "scavare un fosso a terra" e "non l'aveva fatto bene". Opinando diversamente dal giudice di primo grado, la Corte di assise di appello affermava che, se anche Perillo Gerardo alle ore 18.09 si trovava a casa a mangiare una pastiera, ciò non escludeva che egli fosse stato presente sul luogo al momento della commissione dell'omicidio e che vi avesse partecipato, allontanandosi subito dopo l'esecuzione materiale e lasciando agli altri correi, tra i quali il figlio Ciro, l'incombenza di procedere all'occultamento dei cadaveri.

Le argomentazione e gli apprezzamenti in fatto svolti dal giudice di merito circa la portata accusatoria del contenuto della intercettazione telefonica non presentano alcuno dei vizi logici o di travisamento del dato probatorio denunciati dai ricorrenti. Al contrario appare viziata da palese irragionevolezza la tesi "alternativa" sostenuta nel motivo di ricorso, secondo cui il contenuto della citata telefonata sarebbe meramente indicativo della scoperta di un cadavere da parte di Perillo Ciro.

La sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Napoli perché proceda a nuovo giudizio sulla sussistenza di sufficienti prove della penale responsabilità degli imputati, previa eliminazione dei dati probatori travisati e dei vizi logici della motivazione specificamente elencati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Napoli.

Depositata il 5 giugno 2014.

F. Di Marzio (dir.)

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