Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 8 maggio 2014, n. 26821

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Bari, con sentenza del 18 aprile 2013 e per quanto di interesse nel presente processo, confermava quella resa il 24 gennaio 2011 dal GUP del Tribunale di Trani con la quale C. Francesco era stato condannato alla pena di un anno di reclusione perché giudicato colpevole del reato di cui all'art. 9, comma 2, l. 1423/1956, per avere, in quanto sottoposto a misura di prevenzione con obbligo di soggiorno ed in violazione delle relative prescrizioni, guidato un ciclomotore sprovvisto di copertura assicurativa, detenuto un telefono cellulare con scheda telefonica ed omesso di portare con sé la carta precettiva.

A sostegno della decisione la corte distrettuale, replicando alle ragioni difensive esposte con l'appello, richiamava la lezione di legittimità secondo cui, in ipotesi di provvedimento di sorveglianza speciale sospeso per intervenuta carcerazione del sottoposto, la misura riprende efficacia alla scadenza della detenzione senza alcuna necessità di una nuova notifica del decreto applicativo.

2. Ricorre per cassazione avverso la decisione detta l'imputato, assistito dal difensore di fiducia, denunciandone l'illegittimità per violazione degli artt. 5 e 9 l. 1423/1956 e difetto di motivazione sul rilievo che il prevenuto, già sottoposto a misura cautelare personale, una volta cessata la misura, avrebbe dovuto essere risottoposto a quella di prevenzione speciale di p.s., di guisa che, in assenza di siffatto provvedimento, alcun onere precettivo gli faceva carico, a maggior ragione per l'obbligo di soggiorno in esso contemplato. Soltanto in detta tipologia provvedimentale infatti, deduceva la difesa, è previsto, ai sensi dell'art. 5 l. 1423/1956, l'obbligo di portare con sé la carta precettiva, obbligo non più efficace in assenza di una nuova sua consegna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per le ragioni, diverse da quelle difensive, qui di seguito precisate.

1.1. La sentenza impugnata

Giova preliminarmente annotare che la giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità è stata sin qui nel senso che, pure in caso di intervenuta carcerazione nel corso della misura, la decorrenza della sorveglianza speciale resta sospesa quale fatto automatico conseguente alla mera ricognizione dell'evento sopravvenuto (Cass., Sez. 1, 19 settembre 2007, n. 37997, Cannizzo, rv. 237733), e che essa riprende a decorrere allo scadere della carcerazione, senza la necessità di una nuova notifica del decreto applicativo (cfr. Cass., Sez. 1, 28 aprile 2010, n. 20265; Sez. 1, 21 novembre 2007, n. 7783, Pellicane, rv. 239230; Sez. 1, 22 gennaio 1997, Annarelli, rv. 207392; Sez. 1, 21 ottobre 2004, n. 49226, Medri, rv. 230321).

Analoga sospensione automatica ha sin qui riconosciuto questa corte di legittimità, ai sensi della l. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 11, comma 2, quando il titolo è definitivo, sicché, come questa sezione ha già avuto occasione di affermare, cfr. la sentenza 15 aprile 2004, Loccisano, rv. 230561, il termine di esecuzione della misura ricomincia a decorrere dal giorno in cui è stata scontata la pena (Cass., Sez. 1, 9 novembre 2007, n. 44998, rv. 238711, Guarnieri) giacché nella situazione data la misura di prevenzione non è dunque perenta.

Orbene, la corte territoriale, nel confermare con la sentenza in scrutinio la condanna pronunciata in prime cure, ha fatto puntuale applicazione, richiamandola, della lezione ermeneutica or ora sintetizzata, costantemente ribadita in sede di legittimità da quando su di essa si pronunciarono, favorevolmente, SS.UU. 25 marzo 1993, n. 6, e la stessa C. cost., ordinanza n. 124 del 2004, che ne confermò la coerenza col dettato dell'art. 3 Cost.

La corte distrettuale barese, infatti, considerata la vicenda dedotta in giudizio, ha osservato che l'imputato era stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, che successivamente, nel corso della misura, era stato sottoposto a carcerazione in forza di provvedimento cautelare, che la misura di prevenzione era rimasta sospesa in tale periodo per riprendere la sua efficacia immediatamente dopo la scarcerazione, che pertanto, al momento del controllo di polizia accertativo delle condotte delittuose contestate, il prevenuto era sottoposto a misura di prevenzione ed agli obblighi precettivi con essa imposti, che tanto integrava il reato tipizzato all'art. 9 l. 1423/1956 in relazione all'art. 5 della stessa legge.

1.2. La sentenza della Corte costituzionale n. 291/2013

Il quadro normativo di riferimento ha di recente ricevuto una significativa diversificazione con la sentenza della Corte costituzionale 6 dicembre 2013, n. 291.

Ha con essa infatti il giudice delle leggi dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 12 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui l'esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, l'organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d'ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell'interessato nel momento dell'esecuzione della misura.

In applicazione inoltre dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la corte ha altresì dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 15 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) nel quale l'art. 12 della l. 1423/1956 è stato sostanzialmente trasfuso.

Trattasi di pronuncia che la dottrina tradizionalmente qualifica di natura additiva giacché con essa non risulta espunta una statuizione normativa in contrasto con principi costituzionali, che viene invece adeguata ad una dimensione di coerenza costituzionale mercé una sua integrazione, ovvero, per meglio dire, mercé la eliminazione di un ostacolo che ne impediva l'espandersi secondo profili comunque già contenuti nella norma (una integrazione della norma del tutto avulsa dal suo contenuto violerebbe la potestà legislativa del parlamento e trasformerebbe il giudice delle leggi in legislatore).

Ebbene, deve prendersi atto che il quadro normativo regolatore della fattispecie dedotta in giudizio, è pertanto mutato e che l'art. 12 l. 1423/1956, il quale anteriormente all'intervento del giudice delle leggi recitava "Il tempo trascorso in custodia preventiva seguita da condanna o in espiazione di pena detentiva... non è computato nella durata dell'obbligo di soggiorno", dopo la pronuncia di costituzionalità è integrato nel senso che, dopo il tempo come innanzi trascorso, la medesima autorità che dispose la misura, ne deve valutare la persistente sua attualità.

Di più, a completamento della disposizione relativa alla costituzionalità della norma, la corte ha altresì indicato all'interprete, eppertanto in primo luogo al giudice, una regola ermeneutica per la sua applicazione nel testo così come modellato dal suo intervento, rilevando che è rimessa alla interpretazione giurisprudenziale la motivata delimitazione del tempo che in concreto renderà necessaria la rivalutazione circa l'attualità dei requisiti richiesti per la misura di prevenzione, apparendo di tutta evidenza la illogicità di ritenere siffatta necessità in costanza di periodi di detenzione oggettivamente brevi, in quanto tali inidonei sia ad incidere sulla delibazione a suo tempo eseguita dal giudice della prevenzione, sia a consentire il maturarsi di conseguenze positive nell'opera di risocializzazione carceraria.

In conclusione della ampia motivazione, infatti, la sentenza in commento in tal guisa conclude: "È appena il caso di aggiungere che resterà rimessa all'applicazione giudiziale l'individuazione delle ipotesi nelle quali la reiterazione della verifica della pericolosità sociale potrà essere ragionevolmente omessa, a fronte della brevità del periodo di differimento dell'esecuzione della misura di prevenzione (si pensi al caso limite in cui la persona alla quale la misura è stata applicata si trovi a dover scontare solo pochi giorni di pena detentiva)".

1.3. La decisione di legittimità

Il sostanziale mutamento, sopravvenuto, della disciplina penale regolatrice della concreta fattispecie data impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Ed invero la pronuncia di condanna è il risultato applicativo di una statuizione la quale, se interpretata nella formulazione indicata come costituzionalmente coerente dal giudice delle leggi, potrebbe portare alla esclusione della rilevanza penale della condotta accertata se ritenuta non efficace, al momento dell'accertamento delle condotte contestate, lo status di sottoposto a misura di prevenzione in quanto non rivalutata l'attualità della pericolosità a suo tempo ritenuta da parte del giudice che adottò il provvedimento di prevenzione.

Né, peraltro, può in tal senso valutare la situazione di fatto in concreto determinatasi il Collegio per una eventuale decisione senza rinvio ai sensi dell'art. 621 c.p.p., comma 1, lett. l), giacché non risulta agli atti nella sua disponibilità la durata del periodo di sospensione della efficacia della misura per la consumata carcerazione del ricorrente ed in quanto la valutazione della decisività di tale periodo ai fini della ricorrenza o meno della necessità di un nuovo esame circa l'attualità dello stato di pericolosità del sottoposto, integra giudizio di merito estraneo alla funzione giurisdizionale di questa Corte di legittimità.

Di qui pertanto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla corte distrettuale barese affinché, in diversa composizione:

- accerti in fatto la collocazione temporale del periodo di carcerazione subito dall'imputato in costanza del provvedimento di prevenzione al quale era sottoposto;

- valuti se tale lasso temporale rende ragionevole l'omissione di una reiterazione della verifica della pericolosità sociale nel suo profilo di attualità;

- articoli il sillogismo decisorio richiesto dal processo applicando, assunti i presupposti in fatto appena indicati, il seguente principio di diritto:

"In costanza di sottoposto a misura di prevenzione personale ai sensi degli artt. 3 e 4 l. 27 dicembre 1956, n. 1423, ovvero 4 e segg. d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 il quale, successivamente all'adozione della misura, sia sottoposto a misura cautelare personale ovvero alla espiazione di pena detentiva per un apprezzabile periodo temporale potenzialmente idoneo ad incidere sullo stato di pericolosità in precedenza delibata, la misura stessa deve considerarsi sospesa nella sua efficacia fino a quando il giudice della prevenzione non ne valuti nuovamente l'attualità alla luce di quanto desumibile in favore del sottoposto dalla esperienza carcerazione patita".

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari.

Depositata il 20 giugno 2014.

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