Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 5 marzo 2015, n. 1104

Presidente: Baccarini - Estensore: Buricelli

FATTO E DIRITTO

1. Nel settembre del 2011 l'Antitrust, anche in seguito a segnalazioni di singoli consumatori e dell'associazione Altroconsumo, ha avviato nei confronti di Telecom Italia un procedimento istruttorio ai sensi dell'art. 27, comma 3, del d.lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo) e dell'art. 6 del regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, avente a oggetto una condotta idonea a integrare una pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 del codice del consumo, in quanto la società avrebbe "omesso di informare in maniera adeguata gli acquirenti delle (carte) SIM dell'esistenza di servizi accessori già attivati, fra i quali, in particolare, la navigazione in internet e il servizio di segreteria telefonica. La fruizione di tali servizi comporta il pagamento di tariffe specifiche, computate in modalità "flat" o a consumo, addebitate in bolletta ai titolari di abbonamento o scalate dal credito per i titolari di SIM prepagate".

Telecom ha risposto alla richiesta di informazioni e ha formulato osservazioni presentando inoltre all'Autorità, ai sensi dell'art. 27, comma 7, del codice del consumo e dell'art. 8, comma 1, del regolamento, una proposta di impegni diretta a migliorare la trasparenza delle informazioni rese ai consumatori in merito ai servizi accessori già in funzione al momento della prima attivazione delle schede SIM di Telecom, con particolare riferimento all'attivazione automatica del servizio di segreteria telefonica su tutte le schede SIM e all'abilitazione automatica di tutte le schede SIM alla navigazione in internet da telefonino, e ai costi correlati all'utilizzo di detti servizi.

Nel gennaio del 2012 l'Autorità ha comunicato a Telecom l'estensione oggettiva del procedimento, diretta ad accertare la violazione, da parte di Telecom, degli articoli 20, 24, 25 e 26, lett. f), del codice del consumo, contestando, in particolare, in base agli elementi raccolti nel corso dell'istruttoria, come "sulle SIM commercializzate da Telecom i servizi di navigazione in internet e di segreteria telefonica fossero preimpostati e addebitati all'utente se non disattivati su espressa richiesta dello stesso" (meccanismo di opt-out: v. punto 13. della delibera impugnata avanti al Tar).

Telecom si è difesa e l'Autorità, a conclusione dell'istruttoria, ha accertato "la sussistenza di servizi preimpostati associati alle SIM commercializzate da Telecom. In particolare, al momento della prima attivazione, la SIM è abilitata tanto al servizio di segreteria telefonica quanto alla navigazione internet la cui fruizione è soggetta a fatturazione da parte del gestore finché non vengono eventualmente disattivati su sua espressa richiesta..." (v. punto 40. e seguenti della delibera).

"Rispetto a entrambe le tipologie di servizi - ha proseguito l'Autorità - ... la condotta del professionista è tale da determinare un indebito condizionamento idoneo a limitare considerevolmente la libertà di scelta del consumatore in relazione ai servizi di navigazione internet e di segreteria telefonica preattivati al momento dell'acquisto di una SIM... Telecom procede all'attivazione di alcune funzioni senza acquisire il consenso del consumatore, né renderlo edotto dell'esistenza e reimpostazione di tali servizi... il materiale promozionale posto a disposizione della clientela nel punto vendita per avere informazioni sulle tariffe... pur presentando informazioni circa l'esistenza del servizio di segreteria telefonica e di navigazione internet, risulta insufficiente a fronte della previsione di un sistema di preattivazione cui si ricollegano esborsi economici per il consumatore. Tale condotta deve ritenersi idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore rispetto all'utilizzo dei servizi a pagamento, preimpostati sulla SIM. In particolare, ove tale prodotto venisse acquistato per il servizio voce, l'utente potrebbe trovarsi esposto ad addebiti inconsapevoli connessi alla navigazione internet e al servizio di segreteria telefonica, a causa del meccanismo di opt-out utilizzato dal professionista. Detta condotta rientra, pertanto, nelle pratiche considerate aggressive ai sensi dell'art. 26, lett. f) del codice del consumo" (v. punti 46. e 47. della delibera).

L'Autorità ha quindi ritenuto di non poter accogliere gli impegni presentati da Telecom, nel corso del procedimento, ai sensi dell'art. 27, comma 7, del codice del consumo, in quanto relativi a condotte "manifestamente scorrette e gravi", e che comunque gli impegni stessi non apparivano idonei a rimuovere i profili oggetto di contestazione, dal momento che "non prevedono un intervento sul meccanismo di preattivazione dei servizi collegati alla SIM attualmente adottato dal professionista nella commercializzazione di tali prodotti" (v. punti 48. e 49.).

L'AGCM ha concluso come segue:

"(p. 51.) la pratica commerciale posta in essere da Telecom risulta aggressiva ai sensi degli articoli 24, 25 e 26, lettera f), del Codice del Consumo, in quanto idonea a determinare un indebito condizionamento tale da limitare considerevolmente, e in alcuni casi addirittura escludere, la libertà di scelta degli utenti in ordine all'utilizzo e al pagamento di servizi preimpostati, quali la segreteria telefonica e la navigazione internet, determinando, inoltre, una possibile decurtazione automatica derivante dalla fruizione di servizi onerosi che il consumatore non ha richiesto e non ha avuto la possibilità di scegliere consapevolmente anche con riferimento al profilo tariffario più aderente alle proprie esigenze.

(p. 52.) La condotta di Telecom risulta, infine, non conforme al grado di ordinaria diligenza ragionevolmente esigibile da operatori attivi nel settore della telefonia in considerazione delle significative asimmetrie che caratterizzano il rapporto tra professionisti e consumatori e che impongono ai primi, nel definire le modalità di esercizio della propria attività commerciale, una declinazione particolarmente stringente dei generali obblighi di buona fede e correttezza.

(p. 53.) La pratica commerciale in esame risulta pertanto scorretta ai sensi degli artt. 20, comma 2, 24, 25 e 26, lettera f), del Codice del Consumo, in quanto contraria alla diligenza professionale e idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione ai servizi associati alle SIM commercializzate dal professionista presso i punti vendita".

L'Autorità ha quindi vietato l'ulteriore diffusione della pratica commerciale scorretta applicando alla società una sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 300.000 (sulla quantificazione della sanzione si vedano i punti 54. e seguenti della delibera).

2. Telecom ha proposto ricorso dinanzi al Tar del Lazio con cinque motivi e il giudice di primo grado, nella resistenza dell'Autorità, con la sentenza in epigrafe:

- ha riepilogato le fasi del procedimento attivato nel 2011, ha riportato il fulcro della motivazione della delibera impugnata e ha sintetizzato i (cinque) motivi per i quali Telecom ha chiesto l'annullamento giudiziale del provvedimento sanzionatorio (v. da pag. 3 a pag. 8 sent.);

- ha esposto in modo conciso i termini della questione, deferita nel 2011 dalla VI Sezione del Consiglio di Stato all'Adunanza plenaria del Consiglio stesso, con riferimento a una controversia "pienamente analoga" al ricorso proposto dinanzi al Tar (Telecom aveva denunciato l'incompetenza dell'Antitrust a irrogare sanzioni a fronte del comportamento tenuto dalla compagnia telefonica per la restituzione del credito residuo sulle schede SIM dopo la loro disattivazione), relativamente all'individuazione dell'Autorità competente a emanare provvedimenti sanzionatori in materia di tutela del consumatore in un settore, come quello delle comunicazioni elettroniche, oggetto di una specifica disciplina; e ha sunteggiato argomentazioni e statuizioni con le quali l'Adunanza plenaria di questo Consiglio (v. sent. n. 11/2012) ha giudicato applicabile la normativa di settore sulle comunicazioni elettroniche, in ragione della sua specificità, rispetto alla disciplina generale contenuta nel codice del consumo (v. da pag. 8 a pag. 15 sent.), dichiarando illegittima la sanzione pecuniaria comminata dall'AGCM a un gestore di telecomunicazioni per asserita attività anticoncorrenziale, trattandosi di materia rientrante nella competenza esclusiva e specifica dell'AgCom;

- in particolare, alla luce degli insegnamento dell'Adunanza plenaria, il Tar (v. da pag. 16 a pag. 19 sent., punti 6. e 7.) ha ritenuto che, nel caso di specie, l'Antitrust sia "intervenuta a sanzionare condotte la cui repressione è dall'ordinamento affidata, in virtù di specifiche disposizioni normative, ad altro soggetto pubblico, ossia (l'AgCom); sotto connesso profilo, vertendosi in tema di modalità di vendita delle SIM presso i punti vendita di Telecom, ed in particolare dell'utilizzo della tecnica dell'opt-out, la stessa Autorità si è arrogata l'esercizio di una potestà regolamentare che certamente non le compete, con il risultato di incidere su una materia che dalla legge è demandata alla cura e alla potestà regolatoria dell'AgCom". Per il giudice di primo grado, pur nella diversità dei comportamenti rispettivamente in rilievo sarebbe innegabile "la piena analogia della fattispecie all'odierno esame con quella all'attenzione dell'Adunanza Plenaria, anche nel presente caso sussistendo una normativa settoriale nel cui alveo esaustivamente ricondurre il comportamento contestato all'operatore economico". Normativa che viene individuata negli articoli 4, 13, 70 e 71 del codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259/2003) in base al quale la tutela del consumatore rientra a pieno titolo tra i fini istituzionali dell'AgCom, e tanto, in coerenza con quanto previsto dalle leggi 481/1995 e 40/2007, ove si affida, espressamente ed esclusivamente, all'AgCom l'attuazione delle disposizioni, anche primarie, che concernono il settore di competenza. Alle norme primarie suindicate si aggiungono le disposizioni della l. n. 40 del 2007 e le delibere adottate dall'AgCom, nell'esercizio delle proprie prerogative, nello specifico settore della prestazione dei servizi di comunicazione elettronica e dei diritti degli utenti per disciplinare in modo compiuto la materia.

Il Tar ha richiamato le argomentazioni e le conclusioni dell'Adunanza plenaria, con particolare riguardo all'applicazione del principio di specialità sancito dall'art. 19 del codice del consumo, risolvendo in favore dell'AgCom il conflitto di competenza in discussione e soggiungendo, sotto un secondo profilo, connesso a quello precedente, "come la carenza di attribuzioni dell'AGCM sia resa ulteriormente evidente... dalla circostanza che l'Autorità ha agito come se operasse nell'esercizio di un potere di regolamentazione, peraltro estraneo alla sua sfera di attribuzioni, e ciò, sia sotto il profilo tecnico delle modalità concrete di prestazione dei servizi sia sotto quello dei rapporti interprivati posti in essere dall'operatore telefonico con i propri utenti. Ciò in quanto il provvedimento impugnato, nel vietare la diffusione o continuazione della pratica commerciale descritta, nella sostanza vieta l'utilizzo di determinate modalità di commercializzazione delle carte SIM, in tal modo venendo a porre a carico dell'operatore telefonico una regola di comportamento sconosciuta alla regolazione settoriale e alla stessa legislazione consumeristica, e tanto, nell'esercizio di un potere che esula dalle attribuzioni dell'Antitrust..." . Di qui, l'accoglimento del primo motivo di ricorso e - assorbita ogni altra censura e deduzione - l'annullamento della delibera impugnata, a spese compensate.

3.1. Il ricorso in appello dell'AGCM è stato suddiviso in due parti:

- sub A) l'Autorità, nel dedurre la violazione degli articoli 70, 71 e 98 del d.lgs. n. 259/2003 (codice delle comunicazioni elettroniche); dell'art. 1 del d.l. n. 7 del 2007, conv. con modifiche dalla l. n. 40 del 2007; degli articoli da 18 a 27 del d.lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo); degli articoli 3, § 4, e 11 della direttiva n. 2005/29 CE; degli articoli 19, comma 3, del codice del consumo e 23, comma 12-quinquiesdecies, del d.l. n. 95 del 2012, conv. con modifiche dalla l. n. 135 del 2012, ha contestato le conclusioni alle quali è giunta la sentenza impugnata nell'affermare a) che con la delibera del 6 marzo 2012 l'AGCM aveva sanzionato "condotte la cui repressione è dall'ordinamento affidata, in virtù di specifiche disposizioni normative, ad altro soggetto pubblico, ossia l'AgCom, e b) che, sotto connesso profilo, vertendosi in tema di modalità di vendita delle SIM presso i punti vendita di Telecom, ed in particolare dell'utilizzo della tecnica dell'"opt-out", la stessa Autorità si è arrogata l'esercizio di una potestà regolamentare che certamente non le compete, con il risultato di incidere su una materia che dalla legge è demandata alla cura e alla potestà regolatoria dell'AgCom..." (v. pagine da 6 a 26 del ricorso in appello);

sub B) - sul merito della controversia (da pag. 26 a pag. 41 ric. app.), dato che dall'accoglimento dell'impugnazione discende la necessità di esaminare nel merito i restanti motivi di ricorso formulati in primo grado e dichiarati assorbiti in sentenza, l'Antitrust ha riprodotto le difese svolte dinanzi al Tar a confutazione della terza, della quarta e della quinta censura dedotte nel ricorso introduttivo di Telecom.

3.2. Telecom Italia, nel costituirsi con memoria in data 24 aprile 2013, ha prima di tutto riproposto i motivi di ricorso che la sentenza ha dichiarato assorbiti, relativi:

- al divieto stabilito nel provvedimento di commercializzare carte SIM che, una volta inserite all'interno di un telefono mobile, consentono automaticamente all'utente, non solo di effettuare/ricevere chiamate vocali ed SMS/MMS, ma anche di effettuare navigazione internet da telefono mobile e di ricevere/ascoltare messaggi vocali sulla segreteria telefonica, fatta salva la possibilità per il cliente di disattivare l'uno o l'altro dei servizi in un momento successivo all'acquisto della carta SIM (c.d. meccanismo dell'opt-out - II motivo di ricorso);

- alla qualificazione della condotta di Telecom come pratica commerciale aggressiva ai sensi degli articoli 24, 25 e 26, lett. f) del codice del consumo - III motivo di ricorso;

- al rigetto della proposta di impegni avanzata da Telecom nel corso del procedimento ai sensi dell'art. 27, comma 7, del codice del consumo (la "proposta di impegni" - IV motivo di ricorso); e

- all'erronea ed eccessiva quantificazione della sanzione amministrativa pecuniaria comminata a Telecom - V motivo di ricorso).

3.3. Appellante e appellata hanno depositato memorie difensive e di replica e all'udienza del 25 novembre 2014 il ricorso è stato discusso.

Nel corso della discussione il Presidente del Collegio ha indicato alle parti, disponendo che se ne desse atto a verbale, ai sensi dell'art. 73, comma 3, del cod. proc. amm., la questione riguardante la rilevanza, o meno, sui fatti di causa, con particolare riferimento al "riparto di competenze" in materia sanzionatoria tra AGCM e AgCom, dello "jus superveniens" costituito dall'art. 1, comma 6, lett. a) del d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 il quale, nell'introdurre all'art. 27 del codice del consumo il comma 1-bis, ha stabilito che "anche nei settori regolati, ai sensi dell'articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell'Autorità di regolazione competente".

Il ricorso è stato quindi trattenuto in decisione.

4. Il ricorso va accolto per le ragioni e nei sensi e limiti che saranno spiegati in appresso.

Per l'effetto, previa riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado verrà dichiarato in parte improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse (con riferimento al primo motivo proposto da Telecom, sul difetto di competenza dell'AGCM nell'esercizio della potestà sanzionatoria), in parte sarà respinto (con riguardo alla seconda, alla terza e alla quarta censura dedotte avanti al Tar e riproposte in appello) e in parte accolto (in relazione al quinto motivo riformulato, sulla quantificazione della sanzione), con conseguente annullamento parziale della delibera impugnata in primo grado, limitatamente all'ammontare dell'importo base della sanzione applicabile a Telecom Italia, da rideterminare in diminuzione da 250.000 a 200.000 euro, con conseguente rideterminazione in diminuzione, in via proporzionale, dell'importo della sanzione da irrogare a Telecom Italia.

4.1. Sulla ritenuta incompetenza dell'AGCM per quanto riguarda l'esercizio della potestà sanzionatoria, l'appellante critica argomentazioni e conclusioni alle quali si è giunti in sentenza, sulla falsariga della ricostruzione normativa dell'Adunanza plenaria di questo Consiglio, operata sulla base dell'applicazione del principio di specialità di cui all'art. 19, comma 3, del codice del consumo ("In caso di contrasto, le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici") e, in particolare, sul presupposto dell'esistenza di una normativa speciale, di rango primario e non, nel settore delle comunicazioni elettroniche, tale da attribuire all'AgCom competenze anche sanzionatorie in materia di tutela del consumatore.

Poiché l'art. 3 della direttiva 2005/29 sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori (in seguito, direttiva), al § 4, del quale il citato art. 19, comma 3, del codice del consumo costituisce trasposizione nell'Ordinamento interno, dispone che "in caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici", la normativa speciale di derivazione comunitaria in materia di pratiche commerciali scorrette potrà prevalere sulla normativa generale solo in caso di contrasto tra discipline e solo limitatamente agli aspetti specifici cui essa si riferisce: il contrasto va ricercato e individuato a livello di Ordinamento europeo, non potendo essere ricostruito "a valle" negli ordinamenti nazionali come ha invece fatto il Tar.

Il principio di specialità opera solo nei confronti degli aspetti specifici della pratica commerciale contemplati dalla legge speciale di derivazione comunitaria (ossia da norme nazionali che recepiscono norme dell'UE), ed è un principio di specialità per fattispecie e non per settori.

Il Tar - sostiene l'Antitrust - non avrebbe accertato l'esistenza di specifiche norme settoriali di derivazione comunitaria - derivazione comunitaria da valutare verificando se nell'Ordinamento sovranazionale esistano norme più puntuali e dettagliate di quelle della direttiva 2005/29 e tali da porsi come speciali rispetto a quest'ultima e da prevalere su di esse non bastando, per contro, fare richiamo a generici princìpi di trasparenza, correttezza e buona fede - in contrasto con la normativa sulle pratiche commerciali scorrette.

Seguendo la tesi avallata in sentenza, si giunge al risultato, inaccettabile, poiché in contrasto con l'art. 3, § 4, della direttiva, di riconoscere alle norme interne e alle delibere dell'AgCom la forza d'impedire l'applicazione delle disposizioni della direttiva.

Né gli articoli 70 e 71 del decreto n. 259/2003, né le delibere dell'AgCom citate in sentenza si porrebbero in rapporto di specialità rispetto al codice del consumo e comunque disciplinerebbero quegli "aspetti specifici" ai quali fa riferimento l'art. 3, § 4, della direttiva i quali, anche nell'art. 19, comma 3, del codice del consumo e nell'art. 23, comma 12-quinquiesdecies, del d.l. n. 95/2012, rappresentano una delle condizioni cui è subordinata l'operatività del principio di specialità, non escludendo l'applicazione in via concorrente delle disposizioni del codice del consumo.

In particolare, l'art. 70, lett. b) e d e) del codice delle comunicazioni elettroniche attiene alle informazioni che devono essere fornite nel contratto al consumatore-abbonato, e non riguarda quindi la fase precontrattuale, presa in considerazione dall'Autorità.

Anche l'art. 71 del decreto n. 259/2003 non riguarderebbe il caso di specie, poiché si riferirebbe alla pubblicazione delle informazioni e non alla pubblicità commerciale.

Non solo: l'art. 1 del d.l. n. 7/2007, conv. con modifiche dalla l. n. 40/2007, sarebbe inapplicabile alla fattispecie dato che al comma 1 fa riferimento ai costi fissi e ai contributi di ricarica, e al comma 2 disciplina l'offerta commerciale dei prezzi dei differenti operatori di telefonia, stabilendo che l'offerta stessa "deve evidenziare tutte le voci che compongono l'offerta, al fine di consentire ai singoli consumatori un adeguato confronto", sicché la norma del 2007 non concerne la questione qui in discussione, che attiene al sistema di "preattivazione dei servizi".

La disciplina speciale sarebbe illegittima poiché in contrasto con la direttiva, in quanto introduce una figura ulteriore rispetto a quella contemplata dal codice del consumo, e in tal caso dev'essere disapplicata; oppure, se così non è, manca del carattere di specialità. In entrambi i casi essa non potrà comunque trovare applicazione in luogo delle disposizioni di carattere generale. Se a livello comunitario non sono individuabili, relativamente al caso di specie, norme più dettagliate di quelle della direttiva 2005/29, tali da prevalere su queste ultime, tale natura speciale non può "a fortiori" essere riconosciuta alle disposizioni del decreto n. 259/2003, pena il verificarsi di una situazione di contrasto con l'Ordinamento comunitario e, in particolare, con l'art. 3, § 4, della direttiva.

Tantomeno tale "forza derogatoria" può essere riconosciuta alla regolamentazione secondaria adottata dall'AgCom.

La sentenza del Tar ha interpretato a applicato le norme del codice delle comunicazioni elettroniche e le delibere dell'AgCom in modo non conforme al citato art. 3, § 4, della direttiva. Le norme del codice delle comunicazioni elettroniche e le delibere di dettaglio dell'AgCom vanno disapplicate e in loro luogo devono trovare applicazione le disposizioni generali del codice del consumo.

Nell'appello si fa richiamo inoltre ad alcune sentenze della Corte di Giustizia (sentenza 23 aprile 2009, cause riunite C-261/07 e C-299/07; sentenza 14 gennaio 2010, causa C-304/08), in base alle quali l'elenco delle pratiche commerciali scorrette di per sé ingannevoli o aggressive contenuto nella direttiva 2005/29/CE ha carattere esaustivo, al fine di dimostrare che la disciplina dettata da tale direttiva sia l'unica applicabile in materia di pratiche commerciali scorrette.

Il criterio di delimitazione dell'àmbito di competenza riservato a ciascuna Autorità, ricavabile dall'art. 3, § 4, della direttiva, ha trovato conferma nell'art. 23, comma 12-quinquiesdecies, del d.l. n. 95 del 2012, conv. con mod. dalla l. n. 135 del 2012, per il quale la competenza ad accertare e a sanzionare le pratiche commerciali scorrette è dell'Antitrust "escluso unicamente il caso in cui le pratiche commerciali scorrette siano poste in essere in settori in cui esista una regolazione di derivazione comunitaria, con finalità di tutela del consumatore, affidata ad altra autorità munita di poteri inibitori e sanzionatori e limitatamente agli aspetti regolati...": di questa norma il Tar non ha tenuto conto nella sua decisione.

Qualora vi fossero dubbi interpretativi sull'applicazione da dare al criterio di specialità nel nostro Ordinamento, l'appellante ha chiesto a questo Consiglio di rinviare alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE), ai sensi dell'art. 267 del TFUE, la questione relativa all'interpretazione dell'art. 3, § 4, della direttiva 2005/29, non sussistendo dubbi sulla rilevanza della questione ai fini della decisione della controversia.

È stato quindi segnalato che con lettera di costituzione in mora, ex articolo 258 del TFUE, del 18 ottobre 2013 la Commissione ha aperto una procedura di infrazione (n. 2013-2169) nei confronti della Repubblica Italiana per scorretta attuazione ed esecuzione della direttiva 2005/29/UE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e della direttiva al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica.

La Commissione contesta in primo luogo l'inadeguata applicazione da parte italiana dell'articolo 3, paragrafo 4, e degli articoli da 11 a 13 della direttiva in materia di pratiche sleali. In sostanza, nell'ordinamento italiano non sarebbe correttamente applicato il principio della "lex specialis" contenuto nella direttiva, che regola il coordinamento tra tale disciplina (a carattere transettoriale) e le normative specifiche di settore.

In particolare, la Commissione addebita all'Italia che tale errata applicazione del diritto europeo (riconducibile a criteri interpretativi delle disposizioni italiane di recepimento della normativa europea stabiliti in alcune sentenze di giudici amministrativi e in delibere dell'AGCM) avrebbe provocato la mancata attuazione della direttiva pratiche commerciali sleali nel settore delle comunicazioni elettroniche.

La Commissione contesta, in particolare, la tesi per cui l'esistenza di una disciplina specifica settoriale, in quanto considerata esaustiva, comporterebbe la prevalenza di tale disciplina su quella generale, ancorché di derivazione europea, in materia di tutela dei consumatori. Nell'interpretazione data dalle autorità italiane si determinerebbe un contrasto tra legge speciale e norma generale non soltanto quando esista una «opposizione» - tesi sostenuta dalla Commissione europea - ma anche in presenza di una sovrapposizione per cui la disciplina speciale regolerebbe la totalità delle fattispecie al punto che non avrebbe ragione l'applicazione, sia pure in funzione sussidiaria o come «norma di chiusura», della disciplina generale.

Secondo la Commissione, inoltre, a causa di tale lacuna in Italia non vi sarebbe alcuna autorità indipendente competente a far rispettare la direttiva pratiche commerciali sleali nel settore delle comunicazioni elettroniche.

Nell'atto di avvio della procedura d'infrazione si legge tra l'altro che "l'art. 3, § 4, della direttiva non consente di concludere che l'applicazione della stessa possa essere esclusa solo perché esiste una legislazione più specifica per un dato settore. Tale affermazione è corretta solo se tale legislazione più specifica si fonda su altre norme dell'Unione e se è limitata agli aspetti da essa disciplinati".

In prossimità dell'udienza di discussione del ricorso l'Antitrust ha ribadito che l'opzione interpretativa seguita dal Tar presenta gravi profili d'incompatibilità con l'Ordinamento europeo e in particolare con l'art. 3, § 4, della direttiva. La sentenza contiene statuizioni in contrasto col diritto europeo e che, se avallate, perpetueranno una soluzione che la Commissione, nell'avvio della procedura d'infrazione, ha giudicato tali da non poter garantire una corretta attuazione della direttiva.

Telecom ha rilevato che la competenza a emanare il provvedimento dev'essere valutata alla luce delle decisioni del 2012 dell'Adunanza plenaria.

In particolare, esistono specifiche disposizioni settoriali di derivazione comunitaria che disciplinano le condotte rilevanti nel presente giudizio.

Il Tar non avrebbe errato nell'interpretare il principio di specialità di cui all'art. 19, comma 3, del codice del consumo.

La richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sarebbe inammissibile, anche per irrilevanza.

L'appellante ha confermato di avere interesse a coltivare l'appello e a chiedere il rinvio pregiudiziale.

Il Collegio, ribadito che sulla possibile rilevanza, ai fini della decisione della questione sul riparto di competenze, dello "jus superveniens" costituito dall'art. 1, comma 6, lett. a) del d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, è stato dato avviso alle parti ai sensi dell'art. 73, comma 3, del c.p.a., ritiene che alla luce, appunto, dello "jus superveniens" in corso di giudizio, debba essere dichiarata improcedibile, per sopravvenuta carenza d'interesse, la censura d'incompetenza dell'AGCM, con il conseguente venire meno dell'interesse dell'appellante a coltivare il motivo di gravame sopra riassunto.

Al riguardo va rammentato in primo luogo che:

- con l'art. 1, comma 6, lett. a), del d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, recante attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori (v. anche l'art. 1, e l'Allegato B, della l. n. 96/2013 - legge di delega europea 2013), è stato inserito, nell'art. 27 del codice del consumo, il comma 1-bis, secondo cui "anche nei settori regolati, ai sensi dell'articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell'Autorità di regolazione competente";

- la relazione illustrativa allo schema del d.lgs. n. 21/2014 evidenzia che la norma di modifica del codice del consumo con la quale si attribuisce in via esclusiva all'Antitrust, acquisito il parere dell'Autorità di settore, la competenza a intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, ha l'obiettivo di superare la procedura d'infrazione n. 2013/2069 avviata dalla Commissione europea con lettera di costituzione in mora del 18 ottobre 2013, relativa ai conflitti di competenza e alle lacune applicative della normativa in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori regolati.

Ciò posto, va ricordato che anche in un sistema - come il processo civile - che riconosce il principio dell'irrilevanza delle sopravvenienze in tema di giurisdizione e di competenza la giurisprudenza avverte che detto principio, essendo diritto a favorire la perpetuatio iurisdictionis, non ad impedirla, trova applicazione solo nel caso di sopravvenuta carenza di giurisdizione del giudice originariamente adìto, non anche qualora il mutamento dello stato di diritto o di fatto comporti, invece, l'attribuzione della giurisdizione al giudice che ne era privo al momento della proposizione della domanda (cfr. da ultimo Cass., 8 ottobre 2014, n. 21221).

Nel caso di specie, tenuto anche conto delle particolari ragioni poste a base dell'"attribuzione specifica" di "competenza esclusiva" all'AGCM e comunque del mutamento sopravvenuto della normativa in materia, trova applicazione senza limiti il principio "tempus regit actum" in base al quale l'Amministrazione adotta i provvedimenti di sua competenza sulla base della normativa - anche, appunto, relativa alla competenza - vigente nel momento (nella specie, posteriore alla modifica normativa intervenuta) dell'adozione del (nuovo) provvedimento da emanare nel riesercizio del potere amministrativo.

Da ciò, tenuto conto, in generale, della dimensione dinamica della funzione amministrativa, che impone un costante adeguamento del rapporto regolato dall'Amministrazione, in un determinato momento, al mutamento dell'assetto che il Legislatore ha inteso disporre; e avuto riguardo alle peculiari ragioni, legate all'esigenza di superare la procedura d'infrazione comunitaria, che hanno mosso il Legislatore ad attribuire in modo specifico all'AGCM "competenza esclusiva" sulla materia, discende il venire meno dell'interesse alla pronuncia di annullamento per incompetenza dell'Antitrust alla quale, come si è visto, spetterebbe il riesercizio della funzione sanzionatoria.

4.2. Se l'interesse al motivo d'incompetenza dell'AGCM per quanto attiene all'esercizio della potestà sanzionatoria è venuto meno, è viceversa fondato e merita di essere accolto il profilo di censura incentrato sulla erroneità della - ritenuta, dal Tar - "incompetenza (dell'AGCM) per esercizio di potestà regolamentare", con il quale l'Autorità tende a confutare la tesi del giudice di primo grado secondo cui, "vertendosi in tema di modalità di vendita delle SIM presso i punti vendita di Telecom, ed in particolare dell'utilizzo della tecnica dell'opt-out, la stessa Autorità si è arrogata l'esercizio di una potestà regolamentare che certamente non le compete, con il risultato di incidere su una materia che dalla legge è demandata alla cura e alla potestà regolatoria dell'AgCom" (v. anche punto 8. sent., pag. 20, là dove si afferma che "la carenza di attribuzioni dell'AGCM (è) resa ulteriormente evidente... dalla circostanza che l'Autorità ha agito come se operasse nell'esercizio di un potere di regolamentazione, peraltro estraneo alla sua sfera di attribuzioni, e ciò, sia sotto il profilo tecnico delle modalità concrete di prestazione dei servizi sia sotto quello dei rapporti interprivati posti in essere dall'operatore telefonico con i propri utenti. Ciò in quanto il provvedimento impugnato, nel vietare la diffusione o continuazione della pratica commerciale descritta, nella sostanza vieta l'utilizzo di determinate modalità di commercializzazione delle carte SIM, in tal modo venendo a porre a carico dell'operatore telefonico una regola di comportamento sconosciuta alla regolazione settoriale e alla stessa legislazione consumeristica, e tanto, nell'esercizio di un potere che esula dalle attribuzioni dell'Antitrust...").

Va soggiunto che il profilo di censura d'appello dell'Autorità "si lega" col II motivo di ricorso di primo grado di Telecom, rinnovato in appello, con cui la società muove dall'assunto che l'Autorità, con la delibera 6 marzo 2012, avrebbe - in modo illegittimo - vietato "vendite abbinate" del servizio voce e dei servizi accessori (navigazione in internet e segreteria telefonica), sicché deduzioni dell'appellante AGCM e dell'appellata Telecom su questi punti possono essere esaminate e decise insieme.

Diversamente da quanto afferma la sentenza e rileva Telecom, nel caso in esame non viene in questione una "nuova regola", estranea alle attribuzioni dell'Antitrust e consistente nell'introduzione di un divieto di vendite abbinate (traffico voce e navigazione in internet) da cui sarebbe derivato l'obbligo, per la società, di commercializzare anche carte SIM abilitate in via esclusiva alla telefonia vocale.

Più semplicemente, come si osserva nell'atto di appello in modo assai convincente, l'Autorità, con la delibera impugnata, nel vietare la diffusione e la continuazione della specifica pratica commerciale scorretta descritta nella delibera stessa, non ha esercitato alcuna potestà regolatrice, né ha imposto o introdotto alcuna regola generale e astratta nei confronti del professionista, ma si è limitata ad esprimere un "comando particolare e concreto" relativo a una caso peculiare, ad accertare e a sanzionare una fattispecie illecita, chiedendo a Telecom di non preattivare i servizi accessori senza adeguata informazione.

(Fattispecie illecita che l'Autorità ha - in modo legittimo, come si vedrà meglio più avanti, al p. 4.3. - valutato come riconducibile tra le pratiche commerciali aggressive ex art. 26, lett. f), del codice del consumo, sub specie di "fornitura non richiesta", caratterizzata per il fatto che il consumatore si trova a dover pagare per un servizio - fornito dal professionista ma - che il consumatore non ha richiesto, non essendo stato, quest'ultimo, adeguatamente informato sulla preattivazione dei servizi).

Come correttamente osserva l'Avvocatura dello Stato, nella fattispecie oggetto dell'intervento dell'Autorità il consumatore, a causa della condotta della società, non ha ricevuto informazioni chiare e trasparenti circa l'acquisto, con la carta SIM, di una pluralità di servizi (in particolare, navigazione in internet e segreteria telefonica), ma li ha trovati già preimpostati.

Ciò ha comportato che, là dove il consumatore aveva acquistato la carta SIM per fruire solo del servizio voce, si è trovato esposto ad addebiti inconsapevoli connessi alla navigazione in internet e al servizio di segreteria telefonica.

A fronte di una tale situazione, segnalata da alcuni consumatori e da un'associazione, e che ha provocato le verifiche dell'Autorità, è emersa la mancanza di un'informazione adeguata circa la preattivazione dei servizi e l'impossibilità per il consumatore di poter escludere, all'atto dell'acquisto della carta SIM, servizi della cui fornitura non intendeva avvalersi, dato che i servizi erano preimpostati.

L'Autorità ha rilevato che, in presenza di un meccanismo come quello dell'"opt-out", utilizzato in un mercato contraddistinto da un'elevata complessità tecnologica e da una situazione di asimmetria informativa, il consumatore, nell'attività promozionale e precontrattuale, andava reso edotto del fatto che la carta SIM conteneva l'attivazione di diversi servizi dal cliente non richiesti, per effetto del cui uso, ancorché inconsapevole, si sarebbero dovuti sostenere costi.

A questo riguardo appare significativo aggiungere che l'Autorità, ai punti 41. e 42. della delibera, ha osservato che "... nel settore della telefonia mobile, caratterizzato dal proliferare di aspetti tecnologici complessi... riconducibili alle sempre maggiori funzionalità connesse all'utilizzo di una SIM, la previsione di adeguati strumenti volti a garantire scelte economiche consapevoli si caratterizza come un onere minimo del professionista al fine di consentire la percezione delle caratteristiche dei servizi utilizzati e attenuare, per quanto ragionevolmente possibile, gli effetti associati all'asimmetria informativa del consumatore medio. Nel caso in esame, a fronte dell'eterogeneità di servizi associati all'acquisto di una SIM, che non sono più circoscritti al servizio voce tradizionale, il generale principio di correttezza e obbligo di protezione del consumatore impone... che all'utente sia consentito di scegliere consapevolmente, al momento dell'attivazione della SIM, i servizi di cui intende fruire oltre al traffico voce sulla base di un adeguato spettro informativo. Tali considerazioni valgono... tanto con riferimento a servizi innovativi, quali la navigazione internet in mobilità, quanto rispetto a servizi accessori, quale la segreteria telefonica... (p. 42.) ... la circostanza che tali servizi siano già attivati al momento dell'acquisto e possano essere disattivati soltanto su richiesta (meccanismo di opt-out) espone i consumatori, in assenza di adeguati meccanismi di scelta consapevole, al rischio di utilizzare un servizio a pagamento non richiesto consultando la segreteria telefonica o interagendo con le funzionalità internet dell'apparecchio" (con l'internet preimpostato - chiosa l'appellante - l'acquirente resta esposto ad attivazioni inconsapevoli, e ad inconsapevoli addebiti).

In definitiva, da un lato, come si dirà anche più avanti, l'Autorità ha ritenuto, in modo attendibile, che la condotta della società ricadesse nella pratica commerciale aggressiva "sub specie fornitura non richiesta", di cui all'art. 26/f) del codice del consumo.

Dall'altro, e soprattutto, per quanto qui più specificamente rileva, non è stato posto in essere alcuno sconfinamento in "spazi di regolazione" avendo, come detto, l'Autorità, circoscritto l'àmbito della propria azione col vietare la diffusione o la continuazione della pratica scorretta, ossia col vietare di applicare costi per servizi non richiesti dal cliente non adeguatamente informato in via preventiva rispetto alla conclusione del contratto, nei termini che seguono: "delibera che a)... la pratica commerciale descritta... costituisce... una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 24, 25 e 26, lett. f), del codice del consumo, e ne vieta la diffusione o continuazione; b) di irrogare alla società Telecom Italia una sanzione amministrativa pecuniaria di 300.000 euro...".

Il divieto in questione è conforme all'esercizio del potere sanzionatorio non pecuniario previsto dai commi 2 e 8 dell'art. 27 del decreto n. 206/2005, potere che, insieme alla comminatoria della sanzione pecuniaria, di cui al comma 9 dello stesso art. 27, consegue all'accertamento della pratica commerciale scorretta.

Dall'insieme delle considerazioni svolte sopra si ricava come l'Autorità non abbia introdotto nuove regole, non vietando vendite "abbinate", come detto, né imponendo la vendita di carte Sim con attivato unicamente il traffico vocale.

Non viene cioè in questione il divieto di utilizzare determinate modalità di commercializzazione di carte SIM o l'imposizione, a Telecom, di una modalità di vendita alternativa.

Vengono in rilievo invece le - inevitabili - conseguenze derivanti dalla diffida a continuare la pratica commerciale scorretta e aggressiva oggetto di accertamento.

Diversamente opinando si giungerebbe al risultato - paradossale e inaccettabile - per cui ogni qual volta l'Autorità diffida un professionista dal proseguire in una condotta scorretta, per ciò solo eserciterebbe un potere regolatorio.

Dai rilievi su esposti discende l'inappropriatezza del richiamo, fatto da Telecom, al carattere asseritamente discriminatorio, ai danni della stessa società, del divieto imposto con la delibera impugnata.

In conclusione, il disposto divieto di diffusione o continuazione della pratica "de qua" non si è concretizzato in un indebito esercizio di potestà regolatrice.

Le sopra riassunte statuizioni di cui ai punti 6. e 8. della sentenza vanno perciò riformate, e dalle considerazioni su esposte discende anche il rigetto del II motivo del ricorso di primo grado riformulato da Telecom nella memoria di costituzione in giudizio, col quale si muove dall'assunto, erroneo, per cui nella specie si verterebbe in un'ipotesi di divieto di vendita abbinata del servizio voce e dei servizi accessori, il che, come si è visto, non è.

4.3. Le considerazioni svolte sopra impongono di esaminare i motivi dichiarati assorbiti in sentenza e riproposti da Telecom.

Circa il motivo sub II si è detto sopra, al p. 4.2.

Sub III - violazione dell'art. 26/f) del codice del consumo, travisamento dei fatti, difetto d'istruttoria e di motivazione; vale a dire sulla correttezza, o meno, della qualificazione data alla condotta di Telecom come aggressiva, ai sensi dell'art. 26/f) del codice del consumo, la società ritiene che una mera negligenza informativa non potrebbe essere classificabile come condotta aggressiva, non venendo in questione molestie, coercizioni, comportamenti attivi invasivi, pressioni, eccetera.

Del resto, la stessa delibera, nel censurare la condotta di Telecom, farebbe riferimento in più punti a valutazioni di "ingannevolezza".

Come si è anticipato sopra, la censura è infondata e va respinta.

In primo luogo va rammentato che l'art. 18, lett. l), del codice del consumo, intende per "l) "indebito condizionamento": lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole...".

L'art. 24 del codice medesimo, intitolato "pratiche commerciali aggressive", stabilisce che "è considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

Infine, in base a quanto dispone l'art. 26, lett. f) del decreto n. 206/2005, è considerata in ogni caso aggressiva la pratica commerciale che consiste nell'esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto.

Guardando adesso più da vicino la fattispecie odierna - alla luce "di tutte le caratteristiche e circostanze del caso", tra cui l'elevato grado tecnico delle conoscenze richieste per poter considerare consapevole la scelta del consumatore, e le asimmetrie informative (v. delibera AGCM, punti 41. e 42., cui si rinvia) -, va sottolineato "in primis" come in modo attendibile "l'indebito condizionamento idoneo a limitare considerevolmente la libertà di scelta del consumatore in relazione ai servizi di navigazione internet e di segreteria telefonica preattivati" al momento dell'acquisto della SIM sia stato correlato, dall'Autorità, ai punti 46., 47., 50. e 51. della delibera, su cui v. sopra, in maniera plausibile e adeguatamente motivata, alla complessità tecnologica, e alle asimmetrie informative, che contraddistinguono il settore della telefonia mobile, come tale "particolarmente sensibile" alle pratiche commerciali scorrette.

Inoltre, e ciò assume rilievo decisivo, alla qualificazione della condotta di Telecom come aggressiva ex art. 26/f) del codice del consumo, "sub specie" di "fornitura non richiesta", caratterizzata dal fatto che il consumatore si trova a dover pagare per un servizio - fornito dal professionista ma - che non è stato richiesto, non avendo, il cliente, ricevuto informazioni adeguate sulla preattivazione dei servizi, ha concorso come detto la combinazione data dall'assenza di informazioni adeguate circa l'acquisto, con la SIM, dei servizi di navigazione in internet e di segreteria telefonica, e dal fatto che detti servizi fossero stati già preimpostati sulle SIM.

Ciò appare sufficiente per considerare legittima la qualificazione della condotta di Telecom come "aggressiva" ex art. 26/f) cit.

Vale aggiungere, per quanto riguarda le decisioni con le quali l'AGCM ha censurato l'utilizzo di meccanismi di "opt-out" considerando detta pratica non aggressiva ma ingannevole, che, come giustamente osservato dalla difesa dell'Autorità, un conto è poter deselezionare una determinata opzione onerosa prima di aderire a un'offerta, e tutt'altro è, come avviene nella specie, non poter deselezionare i servizi preattivati.

Infine, l'inciso con cui Cons. St., Ad. plen., n. 14 del 2012, p. 10., ha qualificato il "silenzio tenuto (dalla società destinataria di una delibera dell'AGCM di applicazione di una sanzione pecuniaria) su punti rilevanti dell'operazione commerciale sottoscritta dal cliente, tale da creare in quest'ultimo un deficit informativo certamente idoneo a condizionarne le scelte, (come non inquadrabile) nella fattispecie di cui all'art. 24, piuttosto che in quelle previste dal precedente art. 22 del Codice del consumo", in primo luogo riguarda una fattispecie peculiare, rispetto alla quale l'odierno procedimento si distingue sotto molteplici aspetti, e inoltre non costituisce principio di diritto dal quale si possano trarre le conseguenze di cui all'art. 99, comma 3, del c.p.a.

4.4. La censura sub IV, concernente violazione e falsa applicazione dell'art. 27, comma 7, del codice del consumo, con la quale Telecom lamenta l'illegittimità della delibera nella parte in cui l'Autorità ha respinto la proposta di impegni presentata da Telecom, è infondata e da respingere.

In via preliminare va ricordato "in primis" che l'art. 27, comma 7, del codice del consumo prevede che: "ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale, l'Autorità può ottenere dal professionista responsabile l'assunzione dell'impegno di porre fine all'infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità. L'Autorità può disporre la pubblicazione della dichiarazione dell'impegno in questione a cura e spese del professionista. In tali ipotesi, l'Autorità, valutata l'idoneità di tali impegni, può renderli obbligatori per il professionista e definire il procedimento senza procedere all'accertamento dell'infrazione.

In secondo luogo va rammentato che sul tema la Sezione (v. sent. n. 3511/2011) ha affermato che l'AGCM gode di ampia discrezionalità nell'accogliere o nel respingere le offerte di impegno a cessare dal comportamento scorretto da parte dei soggetti che risultano destinatari dell'apertura di una procedura di infrazione. Tale lata discrezionalità si estrinseca, più nel dettaglio, in una duplice direzione: anzitutto nell'accertare se il caso, per la sua gravità intrinseca e per la natura manifesta della scorrettezza accertata, merita in ogni caso la finalizzazione del procedimento sanzionatorio, che resterebbe altrimenti inibita dall'accettazione della dichiarazione di impegno; in secondo luogo, nella valutazione dei contenuti specifici della dichiarazione espressiva dello ius poenitendi.

Nella specie l'Autorità (v. punti 48. e 49. della delibera) ha considerato inaccoglibili gli impegni proposti da Telecom in quanto relativi a condotte "manifestamente scorrette e gravi", per le quali l'art. 27, comma 7, del codice del consumo, non può trovare applicazione. Tali condotte, infatti, appaiono caratterizzate da un elevato grado di offensività in quanto suscettibili di incidere su di un ampio numero di consumatori, coincidenti con tutti i clienti che utilizzano SIM Telecom i quali potrebbero aver subìto un esborso economico non consapevole al momento di associare la SIM ad apparecchi che consentono la navigazione in mobilità o con applicazioni "always on" o abbiano richiesto di ascoltare la segreteria telefonica... gli impegni non sono idonei a rimuovere i profili oggetto di contestazione nella misura in cui prospettano un miglioramento del set informativo fornito al cliente, a fronte della evidenziata complessità di servizi associati a una SIM e della conseguente presenza di opzioni che possono determinare esborsi economici per il consumatore in maniera inconsapevole... le misure proposte non prevedono un intervento sul meccanismo di preattivazione dei servizi collegati alla SIM attualmente adottato dal professionista nella commercializzazione di tali prodotti".

Al p. 50. la condotta contestata viene qualificata come "aggressiva".

Ciò posto, il Collegio ritiene che l'Autorità, tenuto conto dell'ampia discrezionalità alla stessa attribuita dal codice del consumo, abbia in modo legittimo considerato non accoglibili gli impegni proposti da Telecom dando conto, in maniera adeguata, nella su esposta motivazione, delle ragioni poste a base della scelta compiuta.

In particolare, appare tutt'altro che irragionevole la correlazione compiuta dall'Autorità tra la manifesta scorrettezza e gravità della condotta e l'elevato grado di offensività della stessa, oltre al suo carattere di pratica (legittimamente riconosciuta come) "aggressiva" il che, indipendentemente da obiezioni ulteriori è di per sé sufficiente per considerare giustificato il rigetto degli impegni proposti da Telecom.

Non pare inutile tuttavia segnalare, con l'Avvocatura, come il "miglioramento del set informativo fornito al cliente" sia stato positivamente preso in considerazione dall'Autorità in sede di quantificazione della sanzione (v. p. 59. della delibera).

4.5. È invece fondato e va accolto, per le ragioni ed entro i limiti che seguiranno, il V motivo di ricorso, imperniato sull'affermata eccessività della misura della sanzione pecuniaria applicata, anche per violazione del principio di proporzionalità.

Al riguardo, se è condivisibile quanto osserva la difesa dell'AGCM sull'ampia discrezionalità spettante all'Autorità in sede di determinazione degli importi delle sanzioni e sul rilievo dato in concreto alla gravità e alla durata della violazione (salvo quanto si dirà tra breve), d'altra parte colpisce il segno il profilo di censura (di cui al punto 45. della memoria di costituzione 24 aprile 2013) con cui Telecom segnala il travisamento dei fatti, e quindi il vizio logico e istruttorio in cui è incorsa l'Autorità nell'aver fissato l'importo base della sanzione da applicare a Telecom nella misura di 250mila euro (v. p. 60. della delibera) muovendo dall'assunto, erroneo (su cui v. p. 56. della delibera) in base al quale Telecom rappresenterebbe "il principale operatore di servizi di telefonia mobile a livello nazionale".

E invero, a differenza di quanto si afferma nella delibera, in base ai dati del 2011-2012 indicati da Telecom e non contestati dalla difesa dell'Autorità, la stessa Telecom non è più il principale operatore di servizi di telefonia mobile a livello nazionale, essendo stata sorpassata da Vodafone.

E poiché nel provvedimento dell'AGCM del 6 marzo 2012 a carico di Vodafone, "parallelo" a quello che ha dato luogo al presente giudizio, l'Autorità ha individuato l'importo base della sanzione inflitta a Vodafone nella misura di 200mila euro, assai inferiore a quello di Euro 250.000 preso a riferimento per Telecom, e ciò sul presupposto che Vodafone rappresentasse "uno dei principali operatori di servizi di telefonia mobile a livello nazionale", appare erroneo, in quanto violativo del principio di parità di trattamento in presenza di situazioni omogenee, l'aver fissato l'importo base della sanzione a carico di Telecom in 250mila euro anziché in 200mila euro.

La difesa dell'Autorità, pur non contestando che Telecom non sia più il principale operatore di telefonia mobile nazionale, ritiene corretta una sanzione più elevate nei confronti di Telecom, alla luce del parametro delle condizioni economiche dell'impresa, giacché il fatturato complessivo del Gruppo Telecom è assai superiore a quello di Vodafone: senonché l'argomento, oltre a rappresentare un'indebita integrazione postuma della motivazione della delibera, come tale inammissibile, dato che in essa l'Autorità aveva considerato la dimensione economica di Telecom non sulla base del fatturato complessivo, ma esclusivamente sull'errato rilievo per cui Telecom "attualmente rappresenta il principale operatore di servizi di telefonia mobile a livello nazionale" (v. p. 56. della delibera), non tiene conto del fatto che il maggiore fatturato di Telecom non deriva dal mercato della telefonia mobile ma da quello della telefonia fissa ove, in effetti, Telecom, quale ex monopolista, mantiene una dimensione economica maggiore di quella di Vodafone.

Così opinando, la difesa dell'Autorità non considera però che, nella valutazione della dimensione economica del professionista, occorre tenere conto del fatturato derivato dai soli prodotti o servizi interessati dalla pratica contestata, anziché del fatturato complessivo della società.

Indipendentemente quindi dall'attribuzione, al giudice amministrativo, in base a quanto dispone l'art. 134, comma 1, lett. c) del c.p.a., di giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie aventi a oggetto provvedimenti dell'AGCM di applicazione di sanzioni pecuniarie, il che consente al Tar Lazio e al Consiglio di Stato non solo di annullare gli atti impugnati in tutto o in parte, ma anche di modificare, sulla base di una propria valutazione, la misura delle sanzioni pecuniarie con essi comminate, alla stregua delle considerazioni su esposte l'importo base della sanzione amministrativa pecuniaria applicata a Telecom va diminuito da 250mila a 200mila euro, con conseguente ricalcolo proporzionale in diminuzione della sanzione pecuniaria da irrogare alla ricorrente in primo grado.

Nella parziale reciproca soccombenza il Collegio ravvisa, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., eccezionali ragioni per l'integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie per le ragioni e nei sensi e limiti specificati in motivazione (v. p. 4.2.) e, per l'effetto, previa riforma della sentenza impugnata:

- dichiara il ricorso di primo grado in parte improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse (v. p. 4.1.), in parte lo respinge (v. punti da 4.2. a 4.4.) e in parte lo accoglie (v. p. 4.5.), con conseguente annullamento parziale della delibera impugnata in primo grado, limitatamente all'ammontare dell'importo base della sanzione applicabile a Telecom Italia, da rideterminare in diminuzione da 250.000 a 200.000 euro, con conseguente riduzione, in via proporzionale, dell'importo della sanzione da irrogare alla stessa Telecom Italia.

Spese di ambedue i gradi di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

F. Caringella

Codice amministrativo

Dike Giuridica, 2024

M.N. Bugetti

Amministrazione di sostegno

Zanichelli, 2024

L. Bolognini, E. Pelino (dirr.)

Codice della disciplina privacy

Giuffrè, 2024