Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 17 marzo 2015, n. 5263

Presidente: Salvago - Estensore: Nappi

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Napoli confermò il rigetto della domanda proposta dalla Mida s.a.s. nei confronti della Unità sanitaria locale 37 di Napoli per il pagamento di forniture e prestazioni di servizio eseguite negli anni dal 1989 al 1993, vantando un credito di complessive Lire 321.164.536.

Ritennero i giudici del merito che, essendo indiscutibilmente la Unità sanitaria locale 37 di Napoli un ente pubblico, il contratto dedotto in giudizio dalla società attrice avrebbe richiesto la forma scritta. Sicché, non essendo stato prodotto un tale documento, la domanda risultava infondata, mentre non poteva essere valutato l'ingiustificato arricchimento dell'amministrazione convenuta, perché non era stata proposta la relativa domanda ex art. 2041 c.c.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Mida s.a.s., deducendo tre motivi d'impugnazione, cui resiste con controricorso la Unità sanitaria locale 37 di Napoli.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 17 r.d. n. 2440 del 1923, 41 r.d. n. 827 del 1924, 87 r.d. n. 383 del 1934, 1326, 1362, 2041 c.c.

Sostiene che, essendo ammessa la conclusione per corrispondenza dei contratti conclusi dalla pubblica amministrazione a trattativa privata, l'esigenza della forma scritta ad substantiam debba ritenersi salvaguardata anche quando proposta e accettazione del contratto si siano succeduti con atti sottoscritti a distanza di tempo l'uno dall'altro, risultando in tal caso irrilevante anche la mancanza dell'autorizzazione a stipulare.

Sicché, quando siano state seguite le procedure pubbliche di aggiudicazione, il richiamo ai relativi atti contenuto nei successivi carteggi è di per sé sufficiente a integrare il requisito della scrittura. Quando si è fatto ricorso alla trattativa privata, è sufficiente la corrispondenza intercorsa tra i contraenti in conformità agli usi commerciali.

Vanno dunque considerati comportamenti concludenti i pagamenti effettuati dalla Mida s.a.s., in applicazione dell'art. 1626, comma 2, c.c.; e le fatture anche insolute sottintendono contratti validamente conclusi e pienamente efficaci, in applicazione dell'art. 1326, commi 1 e 2, c.c.

Errato è infine il rilievo della corte partenopea circa il mancato esercizio dell'azione ex art. 2041 c.c., perché non si versa qui in un caso di assoluta inesistenza del rapporto contrattuale.

Il motivo è manifestamente infondato.

Secondo quanto prevede l'art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923, così come interpretato dalla giurisprudenza di questa corte, i contratti della pubblica amministrazione richiedono la forma scritta ad substantiam, «accompagnata dalla unicità del testo documentale» (Cass., sez. III, 3 agosto 2004, n. 14808, m. 577230, Cass., sez. I, 26 ottobre 2007, n. 22537, m. 599722), salvo quando si tratti di contratti stipulati per corrispondenza con imprese commerciali, nei quali la volontà contrattuale può risultare anche da distinti atti scritti (Cass., sez. L, 21 luglio 2005, n. 15293, m. 583359, Cass., sez. L, 16 aprile 2008, n. 9977, m. 602990, Cass., sez. un., 22 marzo 2010, n. 6827, m. 612316, Cass., sez. I, 20 marzo 2014, n. 6555, m. 630054).

Anche quando sia ammessa la stipulazione per atti non contestuali, dunque, i contratti della pubblica amministrazione esigono la forma scritta quale diretta modalità di esternazione della volontà di contrarre (proposta e accettazione), non essendo sufficiente che da atti scritti risultino comportamenti attuativi di un accordo solo verbale. Per questa ragione è indiscusso nella giurisprudenza di questa corte che «le fatture prodotte in giudizio dall'Amministrazione convenuta non possono rappresentare la forma scritta dell'accordo e non sono suscettibili, dunque, di rappresentare neppure un comportamento processuale, implicitamente ammissivo del diritto sorto dall'atto negoziale non esibito» (Cass., sez. I, 22 gennaio 2009, n. 1614, m. 606443), essendo impossibile una contrattazione "per facta concludentia" (Cass., sez. I, 19 settembre 2013, n. 21477, m. 627561).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano omesso di considerare la documentazione dimostrativa della esistenza di un valido rapporto contrattuale tra le parti.

Il motivo è manifestamente infondato.

I giudici d'appello hanno rilevato che in atti risulta prodotto un unico contratto in forma scritta datato 6 novembre 1989, relativo a una prestazione di circa trentamilioni di lire, estraneo quindi al rapporto dedotto in giudizio.

La ricorrente non contesta che sia appunto quello del 1989 l'unico contratto concluso per iscritto, ma pretende di ricollegare a quell'iniziale contratto successivi rapporti contrattuali, che sarebbero stati stipulati per fatti concludenti negli anni dal 1990 al 1993. Ma come s'è detto, i comportamenti concludenti non possono supplire alla mancanza della esternazione scritta dell'accordo negoziale.

Sicché è appunto manifestamente infondata la denuncia di omessa e insufficiente considerazione di documenti irrilevanti.

La ricorrente deduce poi anche contraddittorietà della motivazione, rilevando che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici del merito, v'è piena corrispondenza tra l'importo delle prestazioni del contratto stipulato nel 1989 e l'importo dei pagamenti ricevuti in adempimento di quel contratto. Sennonché i giudici d'appello hanno rilevato la mancanza di corrispondenza tra l'importo di quel contratto e l'importo del credito dedotto in giudizio dall'attrice; e ne hanno plausibilmente desunto l'estraneità di quel contratto all'attuale controversia.

3. Con il terzo motivo la ricorrente eccepisce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda di condanna dell'amministrazione convenuta al pagamento degli interessi di mora per il ritardo nel pagamento delle fatture che risultano saldate.

Anche questo motivo è manifestamente infondato.

La pretesa degli interessi presuppone esistente il credito che li produce: sicché, ove sia invalido il titolo del credito, è inammissibile la pretesa dei relativi interessi.

Non v'è dunque l'omissione denunciata, perché in tanto l'omessa pronuncia rileva come motivo di cassazione o di annullamento in quanto possa conseguirne una statuizione che affermi il dovere del giudice di esaminare la domanda nel merito. Secondo la giurisprudenza di questa corte, «l'omessa pronuncia, qualora cada su una domanda inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto alla proposizione di una tale domanda non consegue l'obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito» (Cass., sez. I civ., 25 maggio 2006, n. 12412, m. 590523, Cass., sez. II civ., 5 marzo 2010, n. 5435, m. 611622).

4. Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 7.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali e accessori come per legge.

P. Tonini, C. Conti

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