Corte di cassazione
Sezione II civile
Sentenza 18 marzo 2015, n. 5417

Presidente: Bursese - Estensore: Picaroni

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata la sentenza della Corte d'appello di Roma, depositata il 29 ottobre 2012, che ha respinto il reclamo proposto da Stefano M. avverso la sentenza del Tribunale di Roma, di non luogo a provvedere sul ricorso avente ad oggetto la decisione con la quale il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha inflitto al professionista la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per sei mesi.

1.1. La sentenza di primo grado, rilevata la mancata notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza entro il termine fissato nello stesso decreto, aveva dichiarato non luogo a provvedere.

1.2. Il dott. M. proponeva reclamo alla Corte d'appello lamentando che il decreto di fissazione dell'udienza non gli era stato comunicato ed inoltre che il Tribunale non si era pronunciato sull'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 738 c.p.c., per contrasto con l'art. 24 Cost., a seguito della riformulazione dell'art. 435, secondo comma, c.p.c., che era seguita alla sentenza della Corte costituzionale n. 15 del 1977, riguardante il rito del lavoro ma applicabile anche al rito camerale.

2. La Corte d'appello - ribadita l'applicazione del rito camerale, peraltro non contestata - richiamava l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, nei procedimenti che seguono il predetto rito, l'omessa notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, in mancanza di tempestiva istanza di proroga, determina l'improcedibilità dell'appello, a prescindere dalla verifica dell'avvenuta comunicazione - a cura della cancelleria - del decreto di fissazione dell'udienza, sul presupposto che la parte ricorrente è tenuta ad attivarsi per avere contezza dell'esito del procedimento da lei stessa introdotto. Inoltre, la sentenza della Corte costituzionale n. 15 del 1977 doveva essere letta alla luce della sopravvenuta modifica dell'art. 111 Cost., e specificamente della previsione della ragionevole durata del processo, da assicurare anche attraverso la collaborazione della parte privata, onerata di verificare, nei casi come quello di specie, il deposito ed il contenuto del decreto di fissazione dell'udienza.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Stefano M. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso il Consiglio nazione dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, che ha depositato anche memoria illustrativa.

All'udienza del 4 febbraio 2014 il Collegio, su conforme richiesta del P.G., rinviava la causa a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte sulla questione della concedibilità di un nuovo termine per la rinnovazione della notifica nelle ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza nei procedimenti di equa riparazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato in riferimento al primo motivo, con assorbimento del secondo.

1.1. Con il primo motivo è dedotta violazione di legge e vizio di motivazione.

A parere del ricorrente l'interpretazione del quadro normativo adottata dalla Corte d'appello determinerebbe la violazione del diritto di difesa e di azione, ponendosi in palese contrasto con quanto affermato dalla sentenza n. 15 del 1977 della Corte costituzionale.

La pronuncia citata ha infatti escluso la compatibilità con l'art. 24 Cost. di un sistema nel quale non sia assicurata alla parte la conoscibilità del momento di decorrenza del termine prescritto per il compimento di attività processuali - ove tale termine sia ritenuto perentorio -, senza peraltro onerare la parte di una attività di controllo giornaliero che evidentemente esula dal paradigma dell'ordinaria diligenza. Né in proposito avrebbe inciso la novella dell'art. 111 Cost., posto che la mancanza di comunicazione, ovvero la mancata verifica giornaliera dell'avvenuto deposito dei provvedimenti, non potrebbe comunque essere sanzionata con l'improcedibilità dell'azione, in evidente contrasto con il principio della parità delle parti e, più in generale, del giusto processo, configurati dall'art. 111 Cost.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ripropone l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 738 c.p.c., per contrasto con l'art. 24, secondo comma, Cost., per l'ipotesi in cui si ritenga, come ha fatto la Corte d'appello, che il termine ivi indicato sia perentorio e quindi non suscettibile di rinnovazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c.

3. La censura prospettata con il primo motivo è fondata.

3.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 5700 del 2014 (in attesa della quale il presente ricorso era stato rinviato a nuovo ruolo), hanno affermato, in riferimento ai giudizi di equa riparazione, il principio secondo cui «il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza alla controparte non è perentorio, non essendo previsto espressamente dalla legge», con la conseguenza che il giudice, nell'ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, può, in difetto di spontanea costituzione del resistente, concedere al ricorrente un nuovo termine, avente carattere perentorio, entro il quale rinnovare la notifica.

3.2. Il principio, che ha già ricevuto applicazione con riferimento alle diverse ipotesi di giudizi soggetti al rito camerale (ex plurimis, Cass., sez. VI-1, ordinanza n. 16677 del 2014; sez. VI-1, ordinanza n. 20396 del 2014; sez. I, sentenza n. 21111 del 2014; sez. I, sentenza n. 19203 del 2014), deve trovare applicazione anche nel presente giudizio.

3.3. Rimane pertanto assorbito il secondo motivo di ricorso, non essendo più rilevante la questione di legittimità costituzionale in esso prospettata, a seguito dell'adozione, da parte del giudice della nomofilachia, dell'interpretazione compatibile con il parametro evocato.

4. All'accoglimento del ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

5. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa e rinvia, anche per le spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma.

Si dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

G. Fiandaca, E. Musco

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