Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 20 marzo 2015, n. 5686

Presidente: Rovelli - Estensore: Ragonesi

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 1° marzo 2013, il Ministro della giustizia promuoveva l'azione disciplinare nei confronti del dott. Giorgio A., Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cagliari, per l'illecito disciplinare di cui all'art. 1, comma 1, e 2, comma 1, lett. g), d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 perché, nella sua qualità di Giudice per le indagini preliminari in servizio presso il predetto Tribunale e nell'esercizio delle relative funzioni, con riferimento alla trattazione del procedimento penale n. 4893/2002 R.g.n.r. e n. 896/2006 R.a. Gip, aveva omesso il controllo sulla scadenza dei termini massimi di durata della misura cautelare degli arresti domiciliari applicata all'indagato E. Emanuele, il che aveva determinato un ritardo di undici giorni rispetto ai termini di legge nell'adozione del provvedimento di scarcerazione nei confronti del predetto indagato.

In data 3 giugno 2013 il dott A. veniva sentito dal Sostituto Procuratore Generale, delegato a svolgere le funzioni di Pubblico Ministero, e depositava una memoria difensiva.

La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con provvedimento del 21 novembre 2013, rigettava una prima richiesta di non luogo a procedere avanzata dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.

Quest'ultimo, in data 29 gennaio 2014, chiedeva quindi al Presidente della Sezione disciplinare di fissare la discussione orale.

Tenutasi quest'ultima in data 20 giugno 2014, la Sezione disciplinare del CSM, con sentenza n. 134/2014, riconosceva il dott. A. responsabile della incolpazione ascrittagli e gli infliggeva la sanzione disciplinare della censura.

Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione l'A. sulla base di tre motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l'A. denuncia il mancato adeguamento da parte della Commissione disciplinare alla giurisprudenza di queste Sezioni unite, secondo cui il dovere, la cui violazione è stata ad esso addebitata, non ricorre quando il GIP non abbia la disponibilità del fascicolo.

Con il secondo motivo si duole del vizio di motivazione in ordine alla mancata considerazione del quadro giurisprudenziale rilevabile all'epoca dei fatti e anche successivamente.

Con il terzo motivo lamenta, infine, il mancato riconoscimento dell'esimente di cui all'art. 3-bis del d.lgs. 109/2006.

Il primo motivo è fondato.

Nel caso di specie è incontroverso che quando è avvenuta la scadenza dei termini di custodia il processo si trovava in fase di indagini preliminari presso il Pubblico ministero (nei cui confronti per i medesimi fatti era stato intrapreso procedimento disciplinare con successivo proscioglimento) e che la mancata scarcerazione doveva ritenersi imputabile ad una errata annotazione sull'apposita scheda redatta dal GIP del termine di durata della custodia cautelare.

In relazione a siffatte circostanze, queste Sezioni Unite non possono che ribadire quanto già affermato in analoga fattispecie ove si è chiarito quanto segue.

"Secondo quanto si desume dall'art. 328, comma 1, c.p.p., il ruolo del GIP nella fase pre-processuale è subordinato al duplice limite dei "casi previsti dalla legge" e della "richiesta di parte", non essendo egli nelle condizioni, anche quando ha emesso la misura cautelare della custodia in carcere, di poter individuare, successivamente all'esecuzione della misura ed all'espletamento dell'interrogatorio di garanzia, il relativo termine di scadenza, non avendo egli l'esatta cognizione dello sviluppo del procedimento. Tal che, sia l'eventuale formazione del "sotto-fascicolo" da allegare al fascicolo principale, nel quale raccogliere le copie degli atti che attengono all'emissione della misura cautelare e alle successive sue vicende, sia l'istituzione dello "scadenzario" dei termini di durata delle misure cautelari via via adottate, sia l'adozione di qualsiasi "diverso accorgimento" tra quelli consigliati nella circolare ministeriale n. 545 del 20 giugno 1990, non possono che avere lo scopo di "agevolare" il controllo delle scadenza, ma non di certo essere considerati decisivi e/o attendibili, non avendo il GIP modo di verificare costantemente l'attualità della misura, la permanenza della competenza, l'esattezza dei calcoli in relazione al titolo di reato originariamente indicato.

Non avendo, peraltro, il GIP, organo di garanzia "ad acta", destinato ad intervenire solo incidentalmente (Corte cost., n. 89/1998 e artt. 279 c.p.p. e 91 disp. att. stesso codice) il potere di disporre l'acquisizione del fascicolo del procedimento nella fase delle indagini preliminari richiedendolo all'Ufficio del PM, come confermato dal disposto del terzo comma dell'art. 299 c.p.p., in mancanza di alcuna istanza del PM e/o dell'indagato, non aveva il ricorrente alcun obbligo di provvedere "motu proprio", con l'effetto che il ritardo verificatosi non era in alcun modo allo stesso imputabile. Del resto l'esistenza di eccezionali poteri di ufficio del GIP in ordine alla libertà dell'indagato deve ritenersi essenziale anche per interpretare correttamente l'art. 306, comma 1, c.p.p. Nel senso che a quel giudice non possa mai essere attribuito un ruolo generale e permanente di "giudice della libertà personale" degli indagati a prescindere dalla disponibilità giuridica del procedimento; che tale disponibilità degli atti non possa che essere l'effetto di una richiesta od istanza delle parti per uno specifico "thema decidendi"; che di conseguenza sia da ritenere "impossibile" pensare ad un suo intervento di declaratoria di estinzione automatica della custodia cautelare per decorrenza dei termini senza l'attivazione di un procedimento ad istanza di una delle parti. In conclusione, il potere-dovere di ufficio del GIP di adottare i provvedimenti previsti dall'art. 306 c.p.p. sussiste soltanto quando egli sia investito del procedimento per l'esercizio di uno dei poteri appartenenti alla sua competenza funzionale" (Cass. 13557/2005; in senso conforme vedi Cass. 19097/2003, Cass. 3021/2015).

In ragione dei principi già enunciati da queste Sezioni Unite il motivo va dunque accolto. Restano assorbiti i restanti motivi.

La sentenza impugnata va pertanto cassata senza rinvio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.