Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 12 marzo 2015, n. 4953

Presidente: Rovelli - Estensore: Curzio

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il dott. V.S. chiede l'annullamento della sentenza della Sezione disciplinare dei Consiglio Superiore della Magistratura che gli ha inflitto la sanzione disciplinare della censura, ritenendolo responsabile della incolpazione ascrittagli.

2. L'incolpazione è la seguente: "illeciti disciplinari di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lett. a) ed n) del d.lgs. 109 del 2006, perché, nell'esercizio delle funzioni di sostituto procuratore di [omissis], mancando ai propri doveri di imparzialità, correttezza e diligenza, arrecava un indebito vantaggio agli imputati del processo penale a carico di C.C. - cognato della di lui moglie - ed altri, nei cui confronti il Tribunale di [omissis] in data 16 gennaio 2010 aveva emesso una sentenza di condanna per il reato di lottizzazione abusiva". In particolare, gli venivano ascritti due comportamenti illeciti: "1) avendo ricevuto, in data 23 giugno 2010, dalla cancelleria del Tribunale di [omissis] l'avviso di deposito della sentenza, ometteva di trasmetterla al sostituto che aveva sostenuto l'accusa in giudizio, dott. G.M., impedendogli in tal modo di impugnare nei termini di legge la sentenza. 2) Successivamente, disattendendo i criteri organizzativi fissati con provvedimento del Procuratore della repubblica del 3 novembre 2010, che prevedevano specifiche disposizioni in merito alle modalità di trasmissione delle impugnazioni delle parti private ai sostituti titolari dei procedimenti, una volta ricevuti dalla cancelleria gli appelli presentati dai difensori degli imputati li inviava al dott. M. oltre il limite utile per proporre appello incidentale. In tal modo il dott. S., oltre ad arrecare indebito vantaggio agli imputati nel procedimento penale di cui si tratta e danno al pubblico ministero rappresentato dall'Ufficio di cui egli stesso faceva parte, realizzava una grave inosservanza delle norme sul servizio giudiziario adottate ex art. 1, d.lgs. 106/2006 dal titolare dell'ufficio".

3. Il ricorrente propone quattro motivi di ricorso.

4. I primi due concernono l'illecito di cui alla lett. a) dell'art. 2, d.lgs. 109/2006.

5. Con il primo si denunzia violazione ed erronea applicazione della norma sostenendo che l'illecito previsto dalla lett. a) sarebbe punibile esclusivamente a titolo di dolo, quanto meno eventuale (nel caso di specie escluso in sede penale), mentre la Sezione disciplinare del CSM afferma che la responsabilità può sussistere anche a titolo di colpa.

6. La tesi sulla necessità del dolo è destituita di fondamento.

7. L'illecito in questione è configurato dal combinato disposto del primo comma dell'art. 1 e del primo comma, lett. a) dell'art. 2. L'art. 1, primo comma, prescrive: "Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell'esercizio delle funzioni". L'art. 2, primo comma, dispone: "costituiscono illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni: a) fatto salvo quanto previsto dalle lett. b) e c), i comportamenti che, violando i doveri di cui all'art. 1, arrecano ingiusto danno od indebito vantaggio ad una delle parti".

8. Quindi, vi è una norma primaria che indica i "doveri" del magistrato, stabilendo che deve esercitare le sue funzioni con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio. Vi è poi una norma secondaria che configura l'illecito disciplinare quando uno di tali doveri è stato violato e ciò ha arrecato ingiusto danno od indebito vantaggio ad una delle parti.

9. Gli clementi costitutivi dell'illecito disciplinare, pertanto, sono: l'esercizio delle funzioni, un comportamento che violi uno (o più) dei doveri elencati dall'art. 1, un ingiusto danno o un indebito vantaggio ad una delle parti arrecato da tale comportamento, il nesso di causalità tra comportamento e danno o vantaggio.

10. La norma nulla dice sull'elemento psicologico dell'illecito. Sicuramente si risponde a titolo di dolo, quando cioè l'evento sia dal soggetto previsto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. Ma deve ritenersi che l'illecito sussista anche nel caso in cui il comportamento sia colposo e l'evento non sia previsto o, anche se previsto, non sia voluto.

11. Non vi è alcun elemento nella norma che permetta di escludere l'ipotesi colposa. Anzi, dal combinato disposto dei due articoli si evince che il comportamento rilevante ai fini dell'illecito consiste nella infrazione di regole la cui violazione attiene alla sfera della colpa, prima fra tutte la diligenza nell'esercizio delle funzioni.

12. Ed infatti, Cass., sez. un., 21 maggio 2014, n. 11228, ha escluso che sia necessaria l'intenzionalità dell'evento, mettendo in evidenza che "il tenore della disposizione configura l'illecito sub a) come conseguente alle violazioni dei doveri di cui all'art. 1, tra le quali sono certamente comprese anche quelle colpose, in quanto riferite, tra l'altro, al dovere di diligenza nell'esercizio delle funzioni attribuite ai magistrato".

13. Perché l'illecito si completi è necessario che la violazione della regola abbia determinato un danno ingiusto o un indebito vantaggio ad una delle parti, ma la norma è configurata in modo tale che si risponde tanto se tale effetto è previsto e voluto, quanto se il magistrato che ha violato le regole non mirava consapevolmente ad ottenere quell'effetto, che però è la conseguenza della sua mancanza di diligenza o di laboriosità o della violazione di un altro dei doveri che, ai sensi dell'art. 1, egli deve rispettare nell'esercizio delle sue funzioni.

14. Ragionare diversamente porterebbe ad identificare la sfera dell'illecito disciplinare con quella penale, perché, se il magistrato viola i suoi specifici doveri al fine di arrecare un ingiusto danno o un indebito vantaggio ad una delle parti in causa, egli commette un reato e deve essere sanzionato penalmente. L'identificazione penale-disciplinare non è coerente con il sistema, che assegna alla sanzione penale e a quella disciplinare finalità, intensità ed ambiti diversi.

15. La difesa del ricorrente basa l'affermazione della necessità del dolo sul fatto che si è in presenza di un illecito di evento e sull'ulteriore passaggio che l'illecito di evento richiede necessariamente il dolo.

16. Deve convenirsi sulla configurazione dell'illecito in esame come "di evento". La fattispecie infatti si completa solo col determinarsi di un evento dannoso o vantaggioso. Ma non può invece convenirsi sul secondo passaggio. Il fatto che l'illecito sia di evento non implica che l'evento debba essere necessariamente previsto e voluto.

17. Persino in ambito penalistico non si sostiene affatto che il reato di evento debba essere necessariamente doloso. Sono molteplici i reati di evento in cui si risponde anche a titolo di colpa, basti pensare all'omicidio colposo o alle lesioni colpose, che sono certamente di evento, perché sussistono solo se la condotta colposa ha determinato la morte o le lesioni personali, ma al tempo stesso sono reati colposi.

18. Colpa e necessità che il comportamento penalmente rilevante determini un evento possono coesistere. L'evento che integra la fattispecie non deve necessariamente essere previsto e voluto. E se ciò è concettualmente possibile in sede penale, lo è anche e "a fortiori" in sede disciplinare.

19. Deve quindi concludersi nel senso che l'illecito disciplinare previsto dalla lett. a) del primo comma dell'art. 2 del d.lgs. 109 del 2006 sussiste anche in caso di colpa.

20. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione della medesima norma (lett. a) sotto il profilo della assenza anche di una eventuale colpa e, prima ancora, del nesso di causalità tra comportamento ed evento, nonché manifesta illogicità della motivazione, risultante sia dal testo del provvedimento che da specifici atti del procedimento, ai sensi dell'art. 606, primo comma, lett. e), c.p.p. La motivazione della sentenza sulla sussistenza del vantaggio indebito per la parte sarebbe assolutamente illogica, contraddittoria e comunque non congrua laddove afferma che la condotta del PM titolare del fascicolo al più potrebbe concorrere ma non escludere la responsabilità del dott. S.

21. Il motivo è inammissibile perché introduce profili di merito adeguatamente esaminati, valutati e motivati dalla Sezione disciplinare. Né la motivazione può dirsi, come vuole il codice di rito, "mancante, contraddittoria o manifestamente illogica".

22. Se il ricorrente ha ricevuto l'avviso di deposito della sentenza il 23 giugno e ha omesso per mesi di trasmetterlo al PM competente, la valutazione di tale comportamento, ai fini dell'adempimento del dovere di diligenza, e delle sue giustificazioni, ai fini della valutazione della colpa, spetta al giudice del merito.

23. Si sostiene poi che la sentenza sarebbe illogica, quando afferma che il dott. S. si assunse in via di fatto l'onere di smistare gli avvisi di deposito delle sentenze collegiali depositate fuori termine, perché contrasterebbe con le dichiarazioni rese dalle dott.se F. e D.P. Anche questa censura è inammissibile perché concerne il merito della valutazione della prova e la motivazione della decisione sussiste, non è certo apparente ed è coerente. Peraltro la sentenza afferma che l'incolpato aveva riconosciuto che gli spettava il compito di smistare agli altri colleghi gli avvisi di deposito delle sentenze collegiali e questa netta affermazione non viene specificamente censurata nel ricorso. Anzi, se ne ha piena conferma dagli atti allegati dalla difesa del S. alla memoria per l'udienza, fra i quali vi è il verbale dell'udienza disciplinare, nel corso della quale il dott. S. ha dichiarato che egli era il sostituto anziano, che l'aggiunto era ammalato e che pertanto egli svolgeva le funzioni di aggiunto; che si era instaurata la "prassi impropria" per cui al suo ufficio arrivavano anche gli avvisi delle sentenze depositate in ritardo dei Tribunali collegiali e che egli, poiché i segretari non erano in grado di distinguere tra competenze monocratiche e collegiali, aveva detto "portateli tutti a me che io provo a smistarli ai colleghi" (verbale d'udienza pag. 11). È chiaro che il riconoscimento da parte dell'incolpato è assorbente rispetto alle dichiarazioni dei colleghi, i quali peraltro non escludono tale assunto.

24. Una valutazione di merito è anche quella in ordine all'apporto causale del comportamento del ricorrente in relazione all'eventuale omissione posta in essere dal sostituto titolare del fascicolo. La Sezione afferma che le due omissioni possono concorrere, il che in termini di principio di diritto è affermazione pienamente condivisibile, mentre la relativa valutazione in fatto è questione prettamente di merito.

25. Si torna a sostenere poi, anche nel secondo motivo, che l'evento se pure non voluto, doveva comunque essere stato previsto, ritenendo necessaria la colpa cosciente. A parte la considerazione che la valutazione in concreto della previsione dell'evento non voluto attiene al merito, deve rilevarsi che l'affermazione non è fondata, perché, per le ragioni prima esposte (v., supra, punti n. 6 e ss.), dell'illecito disciplinare in esame si risponde a titolo di colpa, non è necessario il dolo e non è necessaria la previsione dell'evento. Se questi elementi ci sono, incideranno sulla gravità della fattispecie ed eventualmente sull'entità della sanzione, ma non sono strutturalmente indispensabili.

26. Si sostiene ancora che l'evento deve consistere non in un pericolo astratto, bensì in un danno e nel caso specifico il vantaggio per l'imputato non vi sarebbe stato. Ma la Sezione disciplinare non ha affatto affermato che il danno può risolversi in un pericolo astratto: ha accertato, valutato e motivato la sussistenza in concreto non solo di un danno, e non di un mero pericolo, per la pubblica accusa, bensì anche di un indebito vantaggio per l'imputato. Queste valutazioni attengono al merito della decisione e sono state coerentemente motivate, il che rende la censura inammissibile.

27. Deve peraltro sottolinearsi che il danno ed il correlativo vantaggio consistono nel non aver potuto vagliare la possibilità dell'appello dal parte della Procura e nel non averlo subito da parte dell'imputato. La perdita di queste possibilità costituisce in sé un danno per l'ufficio del PM (di cui faceva parte il dott. S.) e un vantaggio per l'imputato (cognato della moglie del magistrato). Non si può giungere a valutare l'esito dell'eventuale appello, come sostiene la difesa del ricorrente quando richiede un giudizio sulla "concreta possibilità di accoglimento dell'appello", spingendosi poi persino a chiedere l'acquisizione degli atti del processo penale al fine di vagliare la possibilità per l'imputato di fruire della prescrizione.

28. Il terzo motivo concerne l'illecito previsto dalla lett. n) dell'art. 2, secondo comma del d.lgs. 109 del 2006, di cui si assume violazione e falsa applicazione. La tesi è che tale illecito richiede una "colpa specifica" consistente nella "grave" inosservanza non già genericamente di norme di prudenza, equilibrio, correttezza, ecc..., ma di specifiche norme regolamentari o disposizioni sul servizio giudiziario ovvero su servizi organizzativi adottati dagli organi competenti. Ciò premesso, si assume che i due comportamenti illeciti dei quali il dott. S. è stato ritenuto responsabile non comportano violazioni specifiche di tali tipi di norme, ma semmai una negligenza generica non rientrante in una condotta tipica. Né i comportamenti sarebbe[ro] "gravi".

29. Anche queste censure sono prive di fondamento.

30. La Sezione disciplinare ha puntualmente spiegato e motivato perché le violazioni dei progetti organizzativi delle Procure integrano la fattispecie della lett. n), richiamando anche i precedenti giurisprudenziali sul punto, e dal complesso della sentenza si desume adeguatamente il perché il comportamento del dott. S. prima descritto abbia violato le previsioni organizzative della Procura.

31. Ma soprattutto la sentenza disciplinare fornisce una spiegazione puntuale della "gravità" dell'inosservanza, laddove rileva che la negligenza dimostrata è "particolarmente grave" perché il dott. S. "era al corrente del procedimento penale a carico di C. (cognato della moglie), in quanto nel corso delle indagini preliminari aveva consegnato al dott. M. (PM competente) una memoria difensiva dell'indagato, pregando il collega di leggerla. Sicché, essendo verosimilmente informato anche degli sviluppi di quel giudizio penale, avrebbe dovuto prestare particolare attenzione all'arrivo presso il suo ufficio di atti che vi si riferissero".

32. La tesi prospettata dal ricorrente per cui, una volta escluso il dolo dalla sentenza penale, non poteva ritenersi grave la sua colpa perché era provato che aveva vistato l'atto riguardante il cognato della moglie senza rendersene conto, non è fondata perché egli era a conoscenza del procedimento penale tanto che aveva portato la memoria del cognato della moglie al collega titolare del fascicolo e quindi doveva porre particolare accortezza nell'apporre i visti. In questo contesto e per questa ragione la Sezione disciplinare ha ritenuto che, pur in assenza di dolo, l'aver firmato senza rendersene conto è atto colposo di particolare gravità. Il ragionamento della sezione disciplinare è pienamente logico, coerente e pertinente ad un giudizio sulla gravità della colpa.

33. Con il quarto motivo si denunzia violazione ed erronea applicazione dell'art. 3-bis, d.lgs. 109 del 2006. Si sostiene che vi è stata una specifica richiesta di applicazione della norma, che la sentenza non si esprime sul punto e che "non può ritenersi che vi sia stato un rigetto implicito desumibile dall'aver ritenuto grave la violazione ex lett. n)"... perché "l'art. 3-bis è applicabile a tutte le ipotesi previste dagli artt. 2 e 3, anche quando la gravità del comportamento è elemento costitutivo tipico". Conseguentemente la sezione disciplinare "doveva specificamente motivare, in presenza della richiesta di applicazione dell'esimente in questione per quali ragioni essa sia stata ritenuta insussistente".

34. Anche questo motivo non è fondato. L'art. 3-bis prevede che "l'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza".

35. Se viene formulata una specifica richiesta di applicazione della norma, la sentenza deve esprimersi sul punto. La ragione della scelta può essere implicita, desumibile dal contesto della motivazione della sentenza, ma, in effetti, non può coincidere con la motivazione della sussistenza degli elementi costitutivi dell'illecito.

36. Nel caso in esame si assume criticamente che la sentenza avrebbe motivato solo sulla sussistenza della grave inosservanza di cui all'illecito previsto dalla lett. n), mentre sarebbe stato necessario aggiungere un elemento ulteriore rispetto alla gravità dell'inosservanza, in sé prevista come elemento costitutivo di quell'illecito. Altrimenti dovrebbe ritenersi che l'art. 3-bis non può per definizione applicarsi se l'illecito è quello previsto dalla lett. n).

37. Il ragionamento è coerente, però trascura il fatto che la sentenza non si limita ad affermare che l'inosservanza è grave (come richiesto dalla lett. n), ma afferma che l'inosservanza è "particolarmente grave" e ne spiega il perché con connotazioni precise e circostanziate. Quindi vi è una valutazione di gravità del caso additiva rispetto a quella ordinaria prevista dalla lett. n), il che comporta una implicita, ma innegabile e motivata, esclusione della possibilità di ritenere la violazione "di scarsa rilevanza".

38. Essendo tutti i motivi inammissibili o infondati, il ricorso deve essere rigettato. Nulla sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.