Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 27 aprile 2015, n. 2127

Presidente: Meschino - Estensore: Lopilato

FATTO

1. La signora P.S. Ileana, comproprietaria di un fabbricato in stato di abbandono e degrado sito in Rapallo, [omissis], ha presentato, unitamente ad altri comproprietari, istanza di permesso di costruire per la demolizione dell'edificio, sito in prossimità di una strada, e la sua fedele ricostruzione in posizione più arretrata, con cessione al Comune dell'area occorrente all'allargamento ed alla rettifica della sede stradale ed alla realizzazione del marciapiede.

La Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria (d'ora innanzi solo Soprintendenza), a seguito della predisposizione di una nuova soluzione progettuale, ha espresso, con atto 21 aprile 2011, prot. 12140, parere favorevole ai sensi dell'art. 146, comma 5, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). L'apposita conferenza di servizi in sede deliberante, nella seduta del 4 agosto 2011, dichiarava conclusi i lavori, esprimendo avviso favorevole all'approvazione del progetto e della variante urbanistica ad esso sottesa, demandando al Comune di Rapallo l'adozione della determinazione di conclusione del procedimento.

La Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Liguria, con provvedimento 4 aprile 2012, n. 18, ha avocato a sé la competenza nel procedimento in oggetto e ha revocato in via di autotutela il predetto parere favorevole espresso dalla Soprintendenza.

La stessa Direzione, con decreto 2 agosto 2012, n. 2667, ha dichiarato detto edificio di interesse culturale.

La parte ha impugnato, con ricorso integrato da motivi aggiunti, detti atti innanzi Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, Sezione prima.

2. Il Tribunale amministrativo, con sentenza 30 aprile 2013, n. 737, ha ritenuto fondato il motivo con cui la ricorrente ha lamentato l'omessa comunicazione di avvio del procedimento. In particolare, il primo giudice ha ritenuto che, avendo l'atto di revoca natura discrezionale, «non vi è alcuno spazio per la sanatoria giurisprudenziale di cui all'art. 21-octies, comma 2, legge n. 241 del 1990».

Il Tribunale amministrativo ha ritenuto fondati i motivi aggiunti relativi all'impugnazione del decreto del Direttore generale n. 2667 del 2012. In particolare, per il primo giudice detto decreto è privo di adeguata motivazione in ordine alla valenza culturale del bene.

3. Il Ministero per i beni e le attività culturali ha proposto appello per i motivi indicati nella parte in diritto.

2.1. Si è costituita in giudizio la ricorrente in primo grado chiedendo che l'appello venga dichiarato infondato.

3. La causa è stata decisa all'esito della camera di consiglio del 2 aprile 2015 fissata per la trattazione della misura cautelare previo avviso alle parti della possibilità di adottare una sentenza in forma semplificata.

DIRITTO

1. La questione all'esame attiene anzitutto alla legittimità degli atti con cui la Direzione generale per i beni culturali e paesaggistici della Liguria ha, dapprima, annullato in via di autotutela il parere favorevole 21 aprile 2011, prot. n. 12140, espresso dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici in ordine all'istanza di (permesso di costruire e) autorizzazione paesaggistica per demolire e ricostruire l'edificio descritto nella parte in fatto e successivamente, con decreto 2 agosto 2012, prot. n. 2667, ha dichiarato il suddetto edificio di interesse culturale ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).

2. In via preliminare deve rilevarsi che la medesima questione è stata già decisa da questo Consiglio, in relazione ad un ricorso proposto da altro comproprietario dello stesso immobile, con sentenza 14 marzo 2015, n. 1060.

3. Con un primo motivo il Ministero assume l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto fondato il motivo di violazione dell'art. 7 della l. n. 241 del 1990. In particolare, l'appellante deduce che l'art. 21-octies della detta legge trova applicazione anche in presenza di attività discrezionale e che, nella specie, l'interessata non ha dedotto alcun elemento idoneo a dimostrare che con la sua partecipazione l'esito della determinazione sarebbe stato diverso.

Il motivo è fondato.

L'art. 21-octies, secondo comma, della l. n. 241 del 1990 prevede che «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato».

Tale norma distingue due diverse fattispecie.

La prima è generale e riguarda il caso in cui l'attività amministrativa è vincolata e l'amministrazione ha violato una norma che contempla un requisito formale o procedimentale.

La seconda ha carattere particolare e riguarda il caso in cui è violata la norma che contempla il requisito procedimentale della comunicazione di avvio del procedimento.

Tale ultima fattispecie, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, si applica in presenza di attività sia vincolata che discrezionale.

Il Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare, con riferimento alla medesima fattispecie che viene in rilievo in questa sede, che l'interessato che lamenta la violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento ha anche l'onere di allegare e dimostrare che, se avesse avuto la possibilità di partecipare, egli avrebbe potuto sottoporre all'amministrazione elementi che avrebbero potuto condurla a una diversa determinazione da quella che invece ha assunto (sentenza n. 1060 del 2015, cit.; C.d.S., VI, 29 luglio 2008, n. 3786; C.d.S., V, 18 aprile 2012, n. 2257, che ha posto in rilievo come l'art. 21-octies deve essere interpretato «nel senso di evitare che l'amministrazione sia onerata in giudizio di una prova diabolica, e cioè della dimostrazione che il provvedimento non avrebbe potuto avere contenuto diverso in relazione a tutti i possibili contenuti ipotizzabili, per cui si deve comunque porre previamente a carico del privato l'onere di indicare, quanto meno in termini di allegazione processuale, quali elementi conoscitivi avrebbe introdotto nel procedimento, se previamente comunicatogli, onde indirizzare l'amministrazione verso una decisione diversa da quella assunta»).

Nel fattispecie in esame, il privato non ha addotto alcun elemento idoneo a dimostrare che la sua partecipazione avrebbe condotto all'adozione di un provvedimento diverso.

In ogni caso, l'amministrazione ha dimostrato l'irrilevanza della partecipazione del privato mediante la prova della legittimità dell'atto adottato.

4. Con un secondo motivo si è dedotta l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha ravvisato un vizio di motivazione nel decreto del dirigente di imposizione di vincolo culturale.

Il motivo è fondato.

Nel decreto impugnato si afferma quanto segue:

- «un primo corpo edilizio che viene ritenuto riferibile alla portineria di Villa Pareto Spinola, situata a levante di San Michele di Pagana, risalente alla fine del secolo XIX»;

- «successivamente l'edificio viene ampliato e assume i caratteri di edificio residenziale a schiera, con un corpo a levante ad archi su tre livelli»;

- «un'ulteriore fase edilizia, che giunge fino a noi inalterata, si fa risalire agli anni 1920-1930: la costruzione con rifusione degli edifici esistenti e con un ulteriore ampliamento lungo la strada verso est, ha assunto un aspetto unitario di palazzina di tre piani fuori terra che segue l'andamento in curva del tracciato della strada che immette nella Frazione di San Michele di Pagana con torretta, disassata rispetto al prospetto 2»;

- vi è «aggregazione delle varie fasi edilizie, non più ravvisabili nel prospetto, reso unitario dalle partiture decorative a stucco e dalla riorganizzazione delle bucature (...) questo intervento di restyling dell'esistente in palazzina con torretta è attribuibile all'arch. Riccardo Hupt (...) allo stato attuale l'edificio [...] presenta all'esterno una decorazione a stucco di gusto classicheggiante, intorno alle finestre, lungo il basamento e lungo gli spigoli della torretta, messa in evidenza sul prospetto dal bugnato angolare che ne delimita l'ingombro fin dal piano terra; sempre sulla torretta, lo stemma ad altorilievo della famiglia Pareto-Spinola».

Dall'analisi del contenuto del decreto risulta, coma già affermato con la citata sentenza n. 1060 del 2015, che il direttore regionale ha adeguatamente motivato le ragioni poste a fondamento della determinazione assunta di apposizione del vincolo di bene culturale. Né sussistono elementi che altrimenti possano fare concludere per l'inattendibilità o la radicale incoerenza di una siffatta valutazione.

In presenza della riportata motivazione l'annullamento giurisdizionale si risolverebbe, alla luce del principio costituzionale di separazione dei poteri, in una non consentita sostituzione della valutazione giudiziale alla valutazione amministrativa.

5. Con un ultimo motivo si assume l'erroneità della sentenza nella parte in cui si afferma che l'imposizione di un vincolo specifico sarebbe non proporzionata al fine di interesse pubblico perseguito.

Il motivo è fondato, in quanto l'esercizio del potere sostitutivo e di imposizione del vincolo non impedisce, come messo in rilievo dalla stessa appellante, di chiedere l'autorizzazione alla svolgimento di lavori che siano compatibili con il vincolo stesso.

6. Per completezza si rileva, al solo fine di confutare le argomentazioni difensive contenute nelle memoria di costituzione della parte relative all'esclusività del potere della Soprintendenza nei procedimenti in esame, come nella sentenza n. 1060 del 2015, più volte citata, questa Sezione, al fine di esaminare altri motivi riproposti dalla parte privata, ha anche affrontato la questione relativa alla sussistenza dello stesso potere di Direttore regionale di esercitare di un potere di autotutela.

In particolare, si è affermato quanto segue.

L'art. 17, comma 3, lett. a), d.P.R. n. 233 del 2007 dispone che il direttore regionale ha «poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo e, solo in caso di necessità ed urgenza, informati il direttore generale competente per materia ed il segretario generale, avocazione e sostituzione».

Detta disposizione: i) contempla un potere sostitutivo condizionato dalla sussistenza del requisito della necessità ed urgenza, la quale può derivare sia da fattori esterni al potere sia da fattori interni connessi alla particolare situazione in cui si trova il bene oggetto di tutela; ii) autorizza implicitamente l'esercizio del potere di annullamento da parte del direttore regionale degli atti ritenuti illegittimi dei Soprintendenti in ragione della relazione gerarchica tra direttore regionale e Soprintendente, immanente a un'organizzazione ministeriale quand'anche decentrata; iii) rinvia, sempre implicitamente, ai presupposti di legge previsti dall'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 per l'esercizio dei poteri di autotutela.

7. La novità delle questioni, al momento della proposizione del ricorso, giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) accoglie l'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado;

b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

P. Gallo

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