Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 11 giugno 2015, n. 2850

Presidente: Zaccardi - Estensore: Migliozzi

FATTO

Il dott. Francesco Vittorio Natale D.T., magistrato ordinario, all'epoca dei fatti per cui è causa in servizio presso la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, classificata come sede disagiata, impugnava con ricorso principale proposto innanzi al TAR del Lazio le deliberazioni del 26 luglio 2012 con cui il Consiglio Superiore della Magistratura aveva approvato le sedi vacanti di primo grado giudicanti e requirenti ai fini del trasferimento in detti sedi.

Il predetto che aveva presentato domanda di trasferimento alla procura di Milano impugnava i relativi bandi nella parte in cui in essi era espressamente previsto che "il termine di legittimazione per tutti gli aspiranti è quello triennale, di cui all'art. 194 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 nei sensi di cui all'art. 35, comma 3, del d.l. n. 5/2012".

Il bando disciplinante la procedura in questione stabiliva che il termine di legittimazione triennale s'interpreta nel senso che il rispetto del termine ivi previsto è richiesto per tutti i trasferimenti o conferimenti di funzione, sicché per accedere alla procedura di trasferimento devono comunque essere passati tre anni dal precedente trasferimento, anche se disposto, come nel caso del dr. D.T. presso una sede disagiata, previa sua dichiarazione di disponibilità, ex art. 1, commi 1 e 2, della l. 4 maggio 1998, n. 133.

L'interessato peraltro proponeva pure motivi aggiunti avverso la determinazione assunta dall'amministrazione in esecuzione della ordinanza cautelare assunta dallo stesso Tar e all'esito del giudizio avente ad oggetto le predette due impugnative, l'adito Tribunale amministrativo con sentenza n. 9869/2013 accoglieva il ricorso principale e dichiarava improcedibile l'atto di motivi aggiunti perché assorbito dalla sopravvenuta decisione di merito qui in rassegna.

In particolare con riferimento al gravame in origine proposto il giudice di primo grado accoglieva, ritenendole fondate le doglianze con cui si lamentava la violazione e falsa applicazione sia della l. n. 133/1998 sia dell'art. 194 dell'ordinamento giudiziario (r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), con annullamento nei limiti dell'interesse del ricorrente delle delibere impugnate nella parte in cui generalizzano il termine di legittimazione triennale rispetto a tutti gli aspiranti.

Il Consiglio Superiore della Magistratura e il Ministero della Giustizia hanno impugnato siffatto decisum relativamente al capo ad essi sfavorevole, deducendo con un unico, articolato motivo le censure di violazione degli artt. 194 r.d. n. 12/1941 e 35 del d.l. n. 5/2012; motivazione illogica e contraddittoria.

In sintesi secondo la tesi della parte appellante una corretta interpretazione del quadro normativo dettato in subiecta materia, alla luce della elaborazione giurisprudenziale intervenuta sull'argomento induce a ritenere, contrariamente a quanto (erroneamente) affermato dal giudice di prime cure che l'art. 194 dell'ordinamento giudiziario, anche in relazione alle ultime versioni legislative, nella parte in cui prevede il termine di legittimazione triennale deve trovare applicazione a tutti i trasferimenti dei magistrati ordinari, anche in caso di precedente assegnazione a sede disagiata.

Si è costituito in giudizio il dr. D.T. che ha contestato la fondatezza dell'appello, chiedendone la reiezione.

All'udienza pubblica del 3 marzo 2015 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

Occorre in primo luogo procedere ad individuare con esattezza il thema decidendum oggetto del gravame all'esame.

L'atto introduttivo del presente grado del giudizio è proposto, come espressamente in esso precisato, avverso la sentenza del Tar Lazio n. 9869/2013 in relazione ad uno specifico capo della decisione (sfavorevole all'Amministrazione), precisamente quello che si è occupato della questione della legittimità del bando per i trasferimenti delle sedi vacanti di primo grado giudicanti e requirenti nella parte in cui è stato espressamente previsto che "il termine di legittimazione per tutti gli aspiranti è quello triennale".

Questo giudice di appello è dunque chiamato a pronunciarsi sulla legittimità o meno dell'apposizione del termine triennale di cui al r.d. 30 gennaio 1941, nei sensi di cui all'art. 35, comma 3, del d.l. n. 5/2012 e in particolare dell'applicabilità di siffatto termine triennale a tutti i concorrenti, anche quelli, come il dott. D.T. che sono stati in precedenza trasferiti in una sede c.d. disagiata ai sensi della l. n. 133/1998 e successive modificazioni.

Dunque, come già sinteticamente accennato nel "fatto" il Consiglio Superiore della Magistratura e il Ministero della Giustizia sostengono la erroneità della decisione de qua per contrasto con il termine triennale evincibile dall'art. 194 r.d. n. 12 del 1941 ed applicabile in via generale, secondo l'interpretazione già seguita dal CSM precedentemente all'entrata in vigore della norma interpretativa di cui all'art. 35, comma 3, del d.l. n. 5/2012, nel senso che non sarebbero ammesse distinzioni tra magistrati che occupino la sede a seguito di trasferimento d'ufficio o a domanda.

La ratio del termine minimo triennale di permanenza risponderebbe all'esigenza di contemperare le funzionalità del sistema con le aspettative di mobilità dei magistrati in tutte le ipotesi di trasferimento, salve quelle in cui ricorrono gravi motivi di salute o gravi ragioni di servizio o di famiglia.

Tale interpretazione sarebbe stata peraltro avvalorata dal recente intervento legislativo di cui al citato art. 35 d.l. n. 5/2012 in cui sarebbe chiarito che, salvo che per il conferimento di alcune funzioni direttive, il rispetto del termine triennale è richiesto "per tutti i trasferimenti o conferimenti di funzioni, anche superiori o comunque diverse da quelle ricoperte, dai magistrati ordinari".

La normativa dettata in subiecta materia sempre secondo la difesa dell'Amministrazione procedente avrebbe fissato un termine triennale di legittimazione ai trasferimenti e/o tramutamenti richiesti da tutti i magistrati ordinari, senza che a tale regola (generale) si possa derogare per il caso dei trasferimenti effettuati, previa dichiarazione di disponibilità, presso le sedi disagiate ex lege n. 133/1998 e ss.mm.

Orbene, il su illustrato assunto difensivo non appare condivisibile alla luce degli orientamenti esegetici intervenuti specificatamente sulla quaestio iuris all'esame.

Occorre prendere le mosse dal dato legislativo come originariamente formulato e seguire l'evoluzione che lo stesso ha successivamente subito per poter accedere ad una soluzione interpretativa che sia oltreché razionale anche costituzionalmente orientata.

L'art. 194 dell'ordinamento giudiziario nel suo testo originario prevedeva che "il magistrato destinato per tramutamento o promozione ad una sede da lui chiesta o accettata non può essere di regola trasferito ad altre sedi prima di due anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano motivi di salute o ragioni di servizio".

Questa norma era poi modificata dall'art. 2 della l. 8 novembre 1991, n. 356 con la soppressione delle parole "od accettata", per poi giungere al vigente testo del citato art. 194 come introdotto dall'art. 4, comma 2, della l. n. 133 del 1998 secondo cui "il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni ad una sede da lui chiesta non può essere trasferito ad altre sedi o ad altre funzioni prima di tre anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio o di famiglia".

È quindi intervenuto l'art. 35, comma 3, del d.l. n. 5 del 9 febbraio 2012 convertito dall'art. 1, comma 1, della l. 4 aprile 2012, n. 35, quale norma interpretativa secondo cui la disposizione recata dall'art. 194 (testo vigente) "si interpreta nel senso che il rispetto del termine ivi previsto è richiesto per tutti i trasferimenti o conferimenti di funzioni, anche superiori o comunque diverse da quelle ricoperte, dei magistrati ordinari".

Ora il CSM con gli atti assunti qui gravati e l'Avvocatura dello Stato con il gravame all'esame propugnano la tesi per cui la disposizione di cui all'art. 35 del d.l. n. 5/2012 ha un ambito applicativo, per così dire omnicomprensivo, nel senso che il termine triennale si applica per tutti i tramutamenti (e/o) trasferimenti, indifferentemente che siano a domanda o d'ufficio.

Così non è.

Invero l'art. 35 citato è norma di interpretazione autentica che non va a sostituire la portata dell'art. 194 delineata nel suo testo originario e limitata al fatto che il termine triennale minimo di permanenza vale per il trasferimento e il conferimento di funzioni ad una sede chiesta dal magistrato, senza che possa configurarsi ad opera della norma interpretativa una unificazione con il termine relativo ai trasferimenti d'ufficio.

In altri termini la previsione di cui al citato art. 35 è intervenuta solo per risolvere un dubbio ermeneutico in ordine all'applicabilità dell'art. 194 dell'ordinamento giudiziario per il conferimento a domanda delle funzioni direttive, ma non ha mutato la portata di regola destinata a disciplinare i soli trasferimenti a domanda e non anche i trasferimenti di altra natura (come quello disposto, previa dichiarazione di disponibilità, presso sedi disagiate).

Un tale orientamento esegetico è stato peraltro già affermato da questa Sezione con varie pronunce (cfr. ordinanze 7 febbraio 2012, n. 528 e 22 gennaio 2013, n. 1889) e l'assunto interpretativo ha trovato poi il suo definitivo avallo nella sentenza della Corte costituzionale n. 314 del 17 dicembre 2013 in cui il giudice della legittimità delle leggi ha avuto modo di statuire che la norma interpretativa (art. 35 d.l. n. 5/2012) non è idonea ad espungere la locuzione "ad una sede da lui chiesta" contenuta nella norma interpretata (art. 194 ord. giud.).

Questo sta significare che occorre prendere atto dell'esistenza di due distinte tipologie di trasferimento, quella a domanda e quella disposta d'autorità, sia pure previa disponibilità in una sede disagiata (come avvenuto per del dott. D.T. trasferito in precedenza nella sede disagiata di Torre Annunziata), laddove in questo secondo caso non si può parlare di sede chiesta dal magistrato e/o sollecitata di sua iniziativa.

E d'altra parte a conforto di dette conclusioni soccorre il dato letterale della norma recata dall'art. 1, comma 1, della l. n. 133/1998 secondo cui "per trasferimento d'ufficio si intende ogni tramutamento dalla sede di servizio per il quale non sia stata proposta domanda dal magistrato, ancorché egli abbia manifestato il consenso o la disponibilità o che determini lo spostamento in una delle sedi disagiate".

Se così è occorre convenire che nella ipotesi di trasferimento in sede disagiata si è in presenza di una tipologia di tramutamento di funzioni ontologicamente differente rispetto alla tipologia di tramutamento a domanda e per la prima fattispecie la norma interpretativa di cui al citato art. 33 alcunché ha innovato, non avendo in particolare ampliato alla tipologia di trasferimento d'ufficio sub specie in sedi disagiate l'applicabilità del termine triennale minimo di permanenza previsto per i trasferimenti a domanda dall'art. 194 ord. giud.

Insomma la tesi interpretativa sostenuta dall'Amministrazione procedente non appare sorretta da giuridico fondamento e questo comporta che, come altresì correttamente affermato dal primo giudice la determinazione del CSM di diniego di trasferimento per pretesa carenza del possesso del termine di legittimazione triennale nella sede di servizio non può essere opposta all'attuale appellato, in precedenza trasferito d'ufficio in una sede disagiata.

In tali sensi e nei limiti dell'interesse dell'appellato gli atti impugnati vanno annullati, fatto salvo l'obbligo per l'Amministrazione procedente di ripronunciarsi sulla domanda di trasferimento dell' interessato.

Conclusivamente l'appello, in quanto infondato, va respinto, con la precisazione che le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese e competenze relative al presente grado del giudizio possono essere compensate tra le parti in ragione della peculiarità della vicenda all'esame.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese e competenze del presente grado del giudizio compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.