Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 11 giugno 2015, n. 2862

Presidente: Virgilio - Estensore: Sabatino

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 7636 del 2014, Interporto Sud Europa s.p.a. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione quinta, n. 2915 del 27 maggio 2014 con la quale è stato accolto il ricorso proposto da Carmela C. per la declaratoria dell'indennizzo conseguente all'esproprio del fondo in catasto al foglio 32, particella 48, partita 6620, di estensione di mq. 15.749.

Il giudice di prime cure così riassumeva la questione in esame:

"I. La ricorrente agisce in riassunzione a seguito di sentenza n. 140/2011 del Tribunale di Santa Maria C.V. sezione dist. di Marcianise, con la quale, in relazione alla richiesta d'indennizzo conseguente all'esproprio del fondo di proprietà per la costruzione dell'Interporto Marcianise-Maddaloni-Nola, è stato dichiarato il difetto di giurisdizione.

II. Nel riportarsi integralmente a tutti gli atti, domande, richieste ed eccezioni, chiede:

1. la dichiarazione dell'intervenuta occupazione e irreversibile trasformazione del fondo di proprietà, nell'ambito del procedimento espropriativo compiuto dalle convenute, nonché il riconoscimento della qualifica di coltivatrice diretta dell'attrice;

2. la condanna in solido, delle convenute, Comune di Maddaloni, Interporto Sud Europa (I.S.E.) S.p.A. e Naos S.p.A. - quest'ultima in qualità di mandataria dell'I.S.E. S.p.A. -, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, al pagamento dell'indennità di esproprio a seguito dell'occupazione del suolo di proprietà pari alla somma di Euro 185.129,29 oltre interessi sull'80% di detta somma a decorrere dal 6 maggio 1998, fino all'effettivo pagamento e soddisfo, decurtata della somma di Euro 96.065,50 - come da ordinanza Trib. Santa Maria C.V. sez. Marcianise n. 1 del 2008 -, già liquidata, oppure, in via gradata, oltre interessi sulla somma così decurtata a decorrere dalla data di stipula dell'accordo di cessione, e cioè dal 19 marzo 2003 oppure alla diversa somma maggiore o minore, che dovesse risultare in corso di causa anche a seguito di CTU;

3. in via ulteriormente gradata, la condanna in solido delle suddette convenute al pagamento dell'80% di Euro 185.129,29, quale indennità offerta e accettata, oltre interessi legali a decorrere dal sessantesimo giorno successivo all'immissione in possesso decurtata della somma di Euro 96.065,50 - come da ordinanza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere - sez. Marcianise, n. 1 del 2008;

4. nonché la condanna, parimenti in solido, delle dette convenute al pagamento dell'indennità per l'occupazione temporanea, ossia in una somma pari, per ciascun anno di occupazione, a un dodicesimo dell'indennità che è dovuta per l'espropriazione.

III. Si è costituita la società Interporto Sud Europa, controinteressata, eccependo, in via preliminare, il difetto di giurisdizione e l'inammissibilità del ricorso per omessa integrazione del contraddittorio e concludendo, in subordine, per il rigetto.

IV. All'udienza pubblica del 27 febbraio 2014, fissata per la discussione, la causa è stata introitata per la decisione".

Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le censure proposte, ritenendo la propria giurisdizione e sottolineando l'illegittimità dell'operato della pubblica amministrazione, in relazione al mancato perfezionamento della procedura espropriativa.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l'errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo due diverse ragioni di appello.

Nel giudizio di appello si sono costituiti, la controinteressata, Carmela C., chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso, nonché il Comune di Maddaloni, sostenendo la propria estraneità alla vicenda.

Dopo il rigetto della domanda di adozione di misure cautelari inaudita altera parte, avutosi con decreto presidenziale n. 4361 del 2014, all'udienza del 7 ottobre 2014, l'istanza cautelare veniva accolta con ordinanza n. 4568/2014.

Alla pubblica udienza del 28 aprile 2014, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. L'appello è fondato in parte e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.

2. In via preliminare, la Sezione ritiene di evidenziare come la fattispecie de qua attenga unicamente a profili di diritto e non vi sono state contestazioni sulla ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, per cui, vigendo la preclusione di cui all'art. 64, comma 2, c.p.a., deve considerarsi assodata la prova dei fatti oggetto di giudizio.

3. Ancora in via preliminare, va sottolineato come il Comune di Maddaloni risulti condannato in solido al pagamento delle somme indicate in sentenza e, come tale, parte soccombente. Lo stesso ente risulta costituito in appello con memoria non notificata per cui le ragioni ivi contenute, che mirano ad evidenziare la sua estraneità dai fatti, non possono essere esaminate, in quanto, essendo di natura impugnatoria, non sono state ritualmente proposte (in termini, da ultimo, C.d.S., sez. IV, 12 marzo 2015, n. 1318; id., sez. III, 28 ottobre 2013, n. 5174).

4. Venendo ora alle questioni sollevate con l'atto di appello, deve essere scrutinata l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, proposta dall'appellante.

4.1. La doglianza non è fondata.

La Sezione ritiene necessario puntualizzare la diversa articolazione della questione di giurisdizione, da un lato, nel rapporto tra il primo e secondo grado di giudizio e, dall'altro, nella differenziazione tra questione proposta originariamente e questione derivante da un precedente giudizio riassunto.

In linea generale, l'art. 9 del c.p.a., recante "Difetto di giurisdizione" pone in luce il limite della rilevabilità del difetto di giurisdizione nei diversi gradi di giudizio, atteso che questo può essere rilevato in primo grado anche d'ufficio, mentre "nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione".

Vi è quindi una linea di tendenza che mira a limitare gli effetti della questione di giurisdizione, al fine di conseguire un minor consumo di risorse processuali e una più celere soluzione della vertenza nel merito.

In tale senso, ma in modo ancora più marcato, si muove l'art. 11 sulla "Decisione sulle questioni di giurisdizione".

Questa disposizione, dopo aver imposto al giudice che declina la giurisdizione l'onere di indicare "il giudice nazionale che ne è fornito", prevede che "quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato".

E, al terzo comma, inserisce la disposizione più rilevante nel contesto in esame, prevedendo che "Quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest'ultimo, alla prima udienza, può sollevare anche d'ufficio il conflitto di giurisdizione".

Si tratta di un meccanismo disciplinare che si discosta considerevolmente rispetto alla disposizione di cui all'art. 9. Sono diversi i presupposti (qui vi è un giudizio riassunto, lì un giudizio proposto ex novo), i poteri del giudice (qui è anche facultato a sollevare motu proprio il conflitto di giurisdizione, lì impone la decisione sulla questione e l'indicazione del giudice attributario della funzione) e, soprattutto, i tempi (qui è rilevato "alla prima udienza", lì nel corso del giudizio di primo grado).

La diversa struttura si giustifica in relazione alla diversa situazione in cui versa il giudizio, in quanto la pronuncia di cui all'art. 9 affronta il tema della giurisdizione per la prima volta, mentre il comma 3 dell'art. 11 interviene dopo che un giudice diverso si è già pronunciato. La diversa funzione ne è quindi conseguenza, in quanto la norma deve essere letta alla luce dei principi del giusto processo, di cui all'art. 2 del codice del processo amministrativo, per cui "il giudice amministrativo e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo" ed è nel senso di impedire, oltre la prima udienza, la possibilità di sollevare ulteriormente la questione di giurisdizione. In tal senso, spingono le ragioni di economia processuale, visto che la questione è stata espressamente vagliata da un giudice e non ritenuta meritevole di attenzione dal giudice amministrativo, adito alla prima udienza. Vi è così una fattispecie processuale, a formazione complessa, che introduce un'ulteriore preclusione.

Se quindi il giudice di prime cure, alla prima udienza, non solleva d'ufficio o su istanza di parte il conflitto, la questione si radica davanti a lui e non è più oggetto di vaglio, né in quella sede né in appello. E ciò perché sarebbe incongruo ritenere applicabile alla fattispecie in esame la disciplina di cui all'art. 9 del c.p.a. che, come si è visto, riguarda la diversa fattispecie della prima pronuncia in merito. Né potrebbe estendersi al giudice di appello il potere di cui al comma 3 dell'art. 11, che è espressamente configurato come esercitabile in sede di riassunzione e solo alla prima udienza.

Al contrario deve essere rimarcata, da un lato, la considerazione che al sistema non è estranea la possibilità che la decisione venga legittimamente assunta da chi non ha la giurisdizione (si pensi al caso della mancata impugnazione del capo di sentenza che statuisce erroneamente in merito), dall'altro, la considerazione espressa del valore intrinseco della celerità del giudizio e, infine, la notazione che sul caso in questione si sono comunque espressi, implicitamente o esplicitamente, almeno due giudici (in questo senso, vedi anche C.d.S., sez. III, 23 aprile 2015, n. 2040 che, in relazione alla disciplina dell'art. 59, comma 3, della l. 18 giugno 2009, n. 69, ha escluso che questo Consiglio potesse sollevare il conflitto di giurisdizione, in riforma della sentenza appellata, in quanto la norma individuava il momento oltre il quale non fosse più esperibile tale potere, seguendo la ratio di evitare il più possibile ogni inutile dispendio di attività processuale e in modo da far divenire incontestabile la statuizione sulla competenza giurisdizionale già individuata nella precedente sentenza, come già affermato da Cass., sez. un., 19 maggio 2014, n. 10922).

Conclusivamente, deve ritenersi che, qualora nel corso di un processo riassunto, il giudice di prime cure abbia erroneamente ritenuto la sua giurisdizione o, comunque, non si sia avvalso della possibilità prevista dal comma 3 dell'art. 11 del c.p.a., non sollevando alla prima udienza il conflitto, la giurisdizione deve ritenersi definitivamente radicata, senza ulteriori possibilità di contestazione.

L'affermazione appare peraltro tanto più corretta quando si esaminano le conseguenze cui porterebbe l'impostazione opposta, quella per cui previsione potrebbe consentire a questo Consiglio di sollevare il conflitto di giurisdizione (o addirittura, semplicemente declinarla), mettendo la parte in condizione di dover ancora ricercare il suo giudice (nel caso in esame, dopo che l'atto di citazione era stato proposto nel 2005).

La questione così scrutinata impedisce quindi alla Sezione di esaminare funditus il profilo sostanziale della carenza di giurisdizione, come sollevato, sebbene non si possa non convenire con la parte appellante su come il T.A.R. abbia di fatto rovesciato la disciplina della perpetuatio iurisdictionis, ritenendo corretta e condivisibile una pronuncia che, in fine, ha condotto il giudice amministrativo a pronunciarsi sul tema delle indennità di espropriazioni, attribuite funzionalmente al giudice ordinario, giusta il disposto dell'art. 53 del Testo unico sulle espropriazioni.

5. Con il secondo motivo di diritto, viene lamentata l'erroneità della sentenza per non aver considerato che, a norma degli artt. 38, 48 e 55 della l. 2359 del 1865, non poteva essere pronunciata la condanna al pagamento diretto dell'indennità, dovendosi invece procedere al suo deposito presso la Cassa depositi e prestiti.

5.1. La doglianza va accolta.

Come correttamente evidenziato in appello, la ratio del deposito della somma presso la Cassa depositi e prestiti è data dalla circostanza che la sua quantificazione avviene al momento in cui non è ancora assodata la proprietà del fondo espropriato e che quindi, stante la natura originaria dell'acquisto in capo all'amministrazione, è sulla somma che si trasferiscono le eventuali questioni successive a mutamento della proprietà.

Nel caso in esame, si verte su una fattispecie caratterizzata dall'effettiva e corretta emanazione del decreto di esproprio, per cui effettivamente il pagamento liberatorio delle somme da parte dell'amministrazione deve avvenire tramite deposito presso la Cassa depositi e prestiti (da ultimo, Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2014, n. 12699, per cui il deposito di somma a titolo di indennità presso la Cassa depositi e prestiti, ai sensi degli artt. 48 e 49 l. n. 2359 del 1865, ha efficacia liberatoria, per l'espropriante debitore, soltanto nell'ambito della procedura espropriativa conclusasi con efficace decreto di esproprio o di occupazione temporanea - e, quindi, con riguardo sia all'indennità di espropriazione che a quella di occupazione temporanea - ma non anche allorché l'effetto ablatorio si produca a seguito di occupazione acquisitiva, nel qual caso la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno deve essere corrisposta direttamente all'espropriato con detrazione dall'importo dovuto delle sole somme eventualmente già incassate da quest'ultimo, potendo l'espropriante legittimamente chiedere la restituzione di quelle ancora giacenti presso la Cassa depositi e prestiti).

Il T.A.R. non poteva quindi disporre in maniera difforme dalla previsione di legge e pertanto, sotto tale aspetto, l'appello deve essere accolto.

6. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

7. L'appello va quindi accolto, limitatamente al secondo motivo. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla novità della questione decisa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Accoglie in parte l'appello n. 7636 del 2014 nei sensi di cui in motivazione;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

M. Marazza

Diritto sindacale contemporaneo

Giuffrè, 2024

F. Caringella

Codice amministrativo

Dike Giuridica, 2024

P. Loddo (cur.)

L'amministratore di sostegno

Cedam, 2024