Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 12 giugno 2015, n. 12223

Presidente: Salmè - Estensore: Ambrosio

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 4036 in data 3 ottobre 2011 la Corte di appello di Roma - rigettando gli appelli proposti dal gen. Salvatore L. e dal Ministero della Difesa, quest'ultimo intervenuto in primo grado ad adiuvandum - ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma n. 10553 in data 25 maggio 2007 di condanna del L. al pagamento in favore di Giuliano P. della somma di Euro 20.000,00 oltre interessi, a titolo di risarcimento dei danni conseguenti al ritenuto contenuto offensivo per la reputazione del P. di una relazione redatta dall'allora colonnello L. nell'anno 1999, inviata all'Avvocatura Generale dello Stato, per il tramite del Comando di Squadra Aerea, anche ad altri enti dell'amministrazione della Difesa (Direzione Generale degli Armamenti Aeronautici, SMA 30 reparto, Comando Logistico e Ispettorato Sicurezza Volo).

La relazione era stata redatta su richiesta dell'Avvocatura ai fini delle esigenze di difesa dell'amministrazione in relazione alle indagini penali relative all'incidente aereo verificatosi in data 8 agosto 1997 in località Monte Lupone di Cori, nel quale era deceduto il capitano Maurizio P. (figlio dell'originario attore), navigatore del veicolo comandato da altro ufficiale della forza armata.

Avverso detta sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione Salvatore L. e il Ministero della Difesa, articolando i medesimi motivi.

Ha resistito Giuliano P., depositando un unico controricorso avverso entrambi i ricorsi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La decisione impugnata - per quanto qui rileva - ha confermato le valutazioni e considerazione del primo giudice in ordine alla sussistenza dei requisiti della diffamazione, segnatamente rilevando:

che la relazione redatta dal L., per quanto accompagnata dall'indicazione di riservatezza del contenuto, era indirizzata genericamente e impersonalmente all'Avvocatura Generale dello Stato, tramite il CSA ed era perciò destinata ad essere necessariamente conosciuta da più persone nell'ambito dell'ufficio destinatario, indipendentemente dall'attribuibilità al L. del successivo allargamento degli uffici destinatari ad altri enti del Ministero della Difesa, ascrivibile al comando militare, gerarchicamente incaricato dell'inoltro del documento all'Avvocatura Generale dello Stato;

che la relazione conteneva considerazioni del tutto gratuite ed estranee alle finalità dell'atto, il quale era stato richiesto dall'Avvocatura dello Stato per ottenere utili elementi di fatto a sostenere la difesa dei militari sottoposti a procedimento penale e la non configurabilità della civile responsabilità dell'amministrazione; essa, infatti, accusava esplicitamente i congiunti della vittima del sinistro di agire in sostanziale malafede per basse ragioni speculative, eticamente riprovevoli al fine di lucrare indebiti risarcimenti;

che non era ravvisabile, neppure putativamente, la scriminante dell'adempimento di un dovere di ufficio in presenza di attacchi personali diretti a colpire, con gratuite insinuazioni, la figura morale dei congiunti della vittima.

2. Si dà atto che i ricorsi avverso la medesima sentenza sono riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c. L'esame delle censure non può che procedere unitariamente trattandosi di ricorsi di identico contenuto.

2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rappresentato dalle concrete e rilevanti modalità della comunicazione della relazione, trasmessa in plico chiuso con la stampigliatura "riservata".

2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. violazione o falsa applicazione dell'art. 595 c.p. Al riguardo parte ricorrente deduce: a) per l'ipotesi che la sentenza impugnata abbia voluto ascrivere al L. anche l'inoltro della relazione ad altri Uffici/Enti, oltre che all'Avvocatura cui era diretta, così ravvisando una pluralità di destinatari, che l'affermazione deve ritenersi errata per la considerazione che si tratta di organi della medesima "persona giuridica pubblica" tutti istituzionalmente competenti a conoscere di incidenti aviatori; b) per l'ipotesi che il requisito della "comunicazione a più persone" sia stato ravvisato nell'inoltro del documento all'Avvocatura Generale dello Stato, che anche in tal caso, alla stregua del principio di "immedesimazione organica", non può ravvisarsi l'esistenza di una pluralità di destinatari, in quanto la lettera del col. L. doveva intendersi indirizzata all'"unico difensore" dell'amministrazione statale.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. violazione o falsa applicazione dell'art. 51 c.p. Al riguardo parte ricorrente deduce che - avuto riguardo sia all'esistenza di un preciso ordine militare ricevuto dal col. L., sia alla richiesta da parte dell'Avvocatura Generale dello Stato di una relazione «sull'intera problematica connessa con l'incidente di volo» ivi compresi «i profili risarcitori della vicenda», sia ancora alla circostanza che i parenti della vittima avessero qualificato come «scandalosi» e «osceni» i comportamenti dell'Aeronautica Militare - sussistevano i presupposti per l'applicazione della scriminante almeno putativa di cui all'art. 51 c.p.

3. I primi due motivi vanno trattati unitariamente in quanto, sia pure sotto diversi versanti, affrontano la medesima questione, e cioè la pretesa insussistenza del requisito essenziale del delitto di diffamazione, costituito dal fatto che l'offesa sia recata "comunicando con più persone", come richiesto dall'art. 595 c.p.

Orbene va innanzitutto rilevato che i motivi - enfatizzando, l'uno, il carattere "riservato" della "nota" redatta dal L. e, l'altro, la natura istituzionale del destinatario della stessa - ignorano l'argomento centrale su cui si fonda la decisione e, cioè, che trattavasi di una relazione che «era destinata ad essere conosciuta necessariamente da parte di più persone nell'ambito dell'ufficio destinatario». Se poi si vuole assegnare una rilevanza alla qualificazione del destinatario, essa incide, piuttosto, in senso contrario, in quanto maggiore è il carattere lesivo della reputazione di un soggetto, se l'affermazione denigratoria è destinata ad un organo che ha il compito di orientare la difesa dello Stato nei confronti del soggetto denigrato.

Si rammenta che è giurisprudenza costante che la comunicazione con più persone, ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, si realizza anche quando la notizia offensiva venga comunicata ad una sola persona, perché sia comunicata anche ad altra. In particolare la destinazione alla divulgazione può trovare il suo fondamento, oltre che nella esplicita volontà del mittente-autore, anche nella natura stessa della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare) che deve essere portato a conoscenza di altre persone, diverse dall'immediato destinatario, sempre che l'autore della missiva prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi (cfr. ex multis Cass. pen. 29 aprile 2014, n. 26560). E nella specie, non può ragionevolmente ritenersi che la propalazione dello scritto non venne preventivata e voluta dall'autore dello scritto, avuto riguardo proprio alle finalità dello stesso scritto, quali indicate in ricorso.

Entrambi i motivi all'esame risultano, dunque, infondati e vanno rigettati.

4. Il terzo motivo mira, attraverso la surrettizia deduzione della violazione dell'art. 51 c.p., a sollecitare null'altro che una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite nell'impugnata sentenza, muovendo censure del tutto inammissibili.

Invero ritiene il Collegio che il fatto offensivo dell'altrui reputazione può ritenersi scriminato in relazione all'art. 51 c.p. solo ove sia riferito nel contesto di un'attività strettamente inerente all'incarico ricevuto dal pubblico funzionario, risultando strettamente connesso all'adempimento del dovere sullo stesso gravante, oltre che privo, nella forma adottata, di attacchi personali diretti a colpire, su un piano individuale, la figura morale del soggetto criticato.

Nel caso di specie i giudici del merito hanno evidenziato - con argomentazioni più che adeguate, sorrette da precisi richiami testuali - che tale inerenza non vi era (segnatamente osservando che «il L. non si limita ad una, sia pure virulenta contestazione della fondatezza delle censure mosse dalla famiglia P. ad appartenenti alle istituzioni militari e all'Aeronautica militare») e che, in ogni caso, le considerazioni svolte dall'odierno ricorrente erano del tutto gratuite ed estranee alle finalità della relazione richiesta dall'Avvocatura (per essere il L. giunto, tra l'altro, ad affermare che «la vertenza è improntata interamente dalla prospettiva risarcitoria "al di là di ogni possibile mascheratura" e che "con riferimento all'etica" le enfatiche proclamazioni di dolore e di desiderio di giustizia "si traducono sempre più in un accettabile volontà di ritorsione»), correttamente escludendo l'applicazione della scriminante.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al d.m. n. 55 del 2004, seguono la soccombenza e fanno, dunque, carico in solido ai ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, li rigetta e condanna le parti ricorrenti, in solido, al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali.

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