Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia
Sentenza 26 giugno 2015, n. 318

Presidente: Zuballi - Estensore: Zuballi

Il ricorrente, assistente capo della Polizia dello Stato, impugna chiedendone l'annullamento il decreto del Ministero dell'Interno del 6 marzo 2015 che gli ha inflitto la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.

Al ricorrente venne imputato di essersi dolosamente disinteressato della presenza di un cittadino nel commissariato dove operava. Dopo l'annullamento in autotutela di un primo procedimento, venne avviato un secondo procedimento disciplinare per i medesimi fatti che si è concluso con l'impugnata destituzione.

A sostegno il ricorrente deduce:

Travisamento dei fatti, sia da parte del funzionario istruttore sia da parte della Commissione di disciplina.

Il ricorrente ricostruisce poi i fatti evidenziando come il ritardo nell'accedere alle richieste del cittadino che voleva denunciare lo smarrimento di documenti, è dovuto sia al comportamento del cittadino medesimo, sia alla disorganizzazione dell'ufficio, sia alla scarsa collaborazione tra i dipendenti. Nessuna negligenza invece gli sarebbe imputabile.

Il ricorrente deduce poi la carenza di istruttoria, la violazione del giusto procedimento, la manifesta illogicità, la genericità e indeterminatezza delle mancanze addebitate, la contraddittorietà e la carenza di motivazione.

Fa presente che egli era al lavoro nella sala operativa e che i fatti addebitatigli sono stati distorti sia dal funzionario istruttore sia dalla Commissione di disciplina.

Deduce poi i vizi di violazione dell'art. 4 della l. 300/1970, del giusto procedimento, degli artt. 24 e 97 Cost., il travisamento dei fatti, lo sviamento dalla causa tipica e dall'interesse pubblico.

L'intero procedimento disciplinare risulta illegittimo dall'inizio anche per l'uso di registrazioni delle telecamere di servizio.

Deduce infine la violazione dell'art. 1 del d.P.R. 737/1981 e infine la sproporzione tra mancanza e sanzione.

Il Collegio ritiene innanzitutto sussistenti i presupposti di legge per definire il giudizio nella presente sede cautelare con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 del c.p.a., come preannunciato alle parti nel corso della discussione.

Va da subito evidenziato come il ricorso non risulta fondato.

Oggetto del presente ricorso è il provvedimento datato 6 marzo 2015 che ha inflitto al ricorrente la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, nonché gli atti prodromici, inclusa la relazione del funzionario istruttore e la delibera del consiglio provinciale di disciplina.

Il fatto posto alla base della sanzione disciplinare avvenne il 16 gennaio del 2014, presso la sede del commissariato di pubblica sicurezza di Cividale del Friuli. Il ricorrente ha tenuto un atteggiamento disdicevole nei confronti di un cittadino che si era presentato per denunciare lo smarrimento di alcuni documenti. Il comportamento è consistito nel disinteressarsi dei motivi della presenza del cittadino, in una risposta negativa a un altro operatore di polizia che gli chiedeva di fornire all'utente il modulo da compilare, comportamento che ha indotto il cittadino dopo 26 minuti di attesa ad allontanarsi dall'ufficio e a rivolgersi alla struttura dell'Arma dei Carabinieri.

A fondamento della sanzione si afferma che i testimoni hanno confermato lo svolgimento dei fatti, che nel tempo in considerazione non risultano comunicazioni radio o interrogazioni in banca dati per cui il ricorrente, sulla base dei compiti che gli spettavano, era senz'altro in grado di rispondere alle richieste del cittadino.

Sempre a fondamento della sanzione disciplinare l'amministrazione richiama la precedente reiterata riprovevole condotta del ricorrente che ha portato all'irrogazione di 28 sanzioni disciplinari, tra cui tre sospensioni dal servizio e tre deplorazioni. Inoltre il ricorrente era stato diffidato dal Ministero a ravvedersi e a comportarsi in modo corretto. Le ultime sanzioni tra l'altro sono recenti, comminate il 7 ottobre 2014 e il 10 ottobre 2014.

In sostanza, il ricorrente non ha rispettato le norme di condotta per gli appartenenti al polizia di Stato, previste dagli artt. 2 e 13 del d.P.R. n. 782/1985. Si aggiunge poi che il comportamento del ricorrente ha arrecato grave pregiudizio all'immagine e al decoro dell'amministrazione di pubblica sicurezza, ha comportato turbamento nella regolarità e continuità del servizio di istituto, determinando il cittadino rivolgersi ad altra forza di polizia.

Occorre premettere che le sanzioni disciplinari per il personale dell'amministrazione di pubblica sicurezza ed i relativi procedimenti sono disciplinati dal d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737.

L'art. 1 del predetto decreto, dopo aver individuato le diverse sanzioni disciplinari (richiamo orale; richiamo scritto; pena pecuniaria; deplorazione; sospensione dal servizio; destituzione), dispone che le "sanzioni devono essere graduate, nella misura, in relazione alla gravità delle infrazioni ed alle conseguenze che le stesse hanno prodotto per la Amministrazione o per il servizio" e che "il provvedimento che infligge la sanzione deve essere motivato".

L'art. 7 del d.P.R. n. 737/1981 con specifico riferimento alla sanzione della "destituzione" (che consiste nella cancellazione dai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza del soggetto la cui condotta abbia reso incompatibile la sua ulteriore permanenza in servizio) individua le ipotesi nelle quali detta sanzione può essere irrogata (per atti che rivelino mancanza del senso dell'onore o del senso morale; per atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento; per grave abuso di autorità o di fiducia; per dolosa violazione dei doveri che abbia arrecato grave pregiudizio allo Stato, all'Amministrazione della pubblica sicurezza, ad enti pubblici o a privati; per gravi atti di insubordinazione commessi pubblicamente o per istigazione all'insubordinazione; per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari; per omessa riassunzione del servizio, senza giustificato motivo, dopo cinque giorni di assenza arbitraria).

L'art. 13, I comma, del d.P.R. n. 737/1981 dispone invece "L'organo competente ad infliggere la sanzione deve: tener conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e dell'anzianità di servizio..."

Nel caso il Ministero dell'Interno, nell'irrogare la sanzione disciplinare della destituzione, ha effettuato una completa e autonoma valutazione della fattispecie concreta e del suo disvalore sul piano deontologico, tenendo conto della versione dei fatti fornita dallo stesso ricorrente in sede di procedimento disciplinare e fornendo una motivazione puntuale e approfondita delle ragioni che hanno determinato l'irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio (T.A.R. Puglia, Lecce, 12 marzo 2014, n. 752).

Nel caso, la questione in diritto va correttamente ricondotta alla norma della recidiva d'un comportamento non consono ai doveri d'ufficio e già sanzionato ai sensi del citato art. 6, III comma, n. 7) del d.P.R. 737/1981. Invero, siffatta recidiva, come indicata nel ripetuto art. 7, II comma, n. 6), implica la destituzione non solo quando essa s'invera nella reiterazione mera delle infrazioni, ma pure per la "... persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari...", come avvenuto nel caso in esame.

Va poi aggiunto che l'agente di P.S., senza possibilità di attenuazioni - pure in relazione al giuramento di fedeltà alla Repubblica che ha prestato -, è tenuto ad un in sé legittimo e ragionevole surplus di prudenza, accortezza e sagacia. Sicché non si configura nella specie quel manifesto travisamento dei fatti che, alla luce di prevalente giurisprudenza (cfr., p. es., C.d.S., VI, 5 aprile 2006, n. 1767; id., 22 maggio 2008, n. 2438; id., IV, 6 dicembre 2011, n. 6417), costituisce, come l'irragionevolezza e la sproporzione delle conclusioni raggiunte, il limite al contempo della larga discrezionalità da parte della P.A. in ordine all'apprezzamento della gravità delle infrazioni addebitate e della conseguente sanzione da irrogare e del sindacato di legittimità spettante a questo Giudice in soggetta materia.

Da ciò discende l'impossibilità di configurare nel caso in esame l'assenza di proporzionalità nell'irrogazione della sanzione espulsiva. Una volta assodata il difetto d'ogni concreto ed evidente travisamento sui fatti in questione, il convincimento della P.A. stessa sulla responsabilità disciplinare del ricorrente si formò sulla base di un processo logico e coerente. Questo prese le mosse dall'apprezzamento delle vicende dianzi descritte per pervenire, secondo un giudizio anche di alta probabilità logica non espressamente confutata e tenuto conto della situazione di recidiva del ricorrente, giunse a formulare la sanzione espulsiva quale repressione dell'obiettiva inammissibilità del comportamento di quest'ultimo.

Non sfugge certo al Collegio la pronuncia del Consiglio di Stato (C.d.S., III, 14 marzo 2014, n. 1273), secondo cui, pur a fronte dell'ampia sfera di discrezionalità dell'Amministrazione della P.S. circa l'apprezzamento della gravità dei fatti commessi dai suoi dipendenti e la graduazione della relativa sanzione, questa si deve sempre conformare a criteri di ragionevolezza e proporzionalità rispetto all'illecito commesso. Nondimeno, tal principio è temperato dalla repressione degli illeciti disciplinari in capo al recidivo. A ben vedere detta sanzione s'appalesa appropriata ogni qual volta la recidiva manifesti, come nel caso qui esaminato, il persistente atteggiamento dell'incolpato nel sentirsi slegato dai doveri di probità connessi al giuramento di fedeltà ed alla peculiare caratteristica della funzione di polizia (C.d.S., 9 settembre 2014, n. 4583).

Risulta pertanto infondata è la censura con la quale è stata contestata la sproporzione della sanzione irrogata rispetto al caso concreto.

Al riguardo, va ribadito che l'Amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale nell'apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari, con valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo, se non per macroscopici vizi logici.

Nel caso di specie, avuto riguardo alla gravità degli addebiti contestati e dell'intera vita lavorativa dell'interessato, la sanzione inflitta non risulta sproporzionata o inficiata da errori macroscopici o vizi manifesti, considerato che il dipendente è stato sanzionato per atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento e per dolosa violazione dei doveri che abbiano arrecato grave pregiudizio allo Stato, all'Amministrazione della pubblica sicurezza, ad enti pubblici o a privati.

Va, infine, respinta la censura di difetto di motivazione degli atti impugnati, considerando che il provvedimento sanzionatorio costituisce l'atto finale del procedimento disciplinare che reca l'indicazione delle ragioni poste a base delle scelte compiute dall'Amministrazione e risulta motivato per relationem alla delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina da intendersi integralmente trascritta oltre che al verbale della trattazione orale, da cui emergono chiaramente le ragioni per le quali al ricorrente è stata inflitta la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio (T.A.R. Lazio, Roma, 2 dicembre 2014, n. 12165).

Per tutte le su indicate ragioni il ricorso va rigettato, laddove non necessita pronunciarsi sulle spese di giudizio, non essendosi costituita l'amministrazione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi del ricorrente, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.