Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
Sezione I
Sentenza 26 giugno 2015, n. 740

Presidente: Amoroso - Estensore: Vitanza

FATTO E DIRITTO

La ricorrente ha attivato l'istanza per il risarcimento del danno, ovvero, in subordine dell'indennizzo ex art. 21-quinquies l. 241/1990, per asserita illegittimità del comportamento della resistente che ha revocato il bando di gara per la gestione del servizio di illuminazione pubblica attivato dalla predetta a mente dell'art. 278 del d.P.R. n. 297/2010.

La disamina del petitum evidenzia che la stessa non ha chiesto l'annullamento del provvedimento di revoca, né degli atti presupposti, limitando la richiesta giudiziaria al mero risarcimento del danno precontrattuale asseritamente patito, o, in subordine, alla corresponsione dell'indennizzo a mente del citato art. 21-quinquies.

La presente vicenda, pertanto, si colloca, teoricamente, nella particolare e nota "querelle" della c.d. pregiudiziale amministrativa che, allo stato, non merita ulteriori approfondimenti, atteso che le antitetiche soluzione dei diversi plessi giudiziari hanno indotto il legislatore a definire la questione nei termini di cui all'art. 30 c.p.a.

Sul punto, invero, il dato positivo, che ha riconosciuto l'autonomia della conseguente azione risarcitoria, sembrerebbe aver accolto la tesi già sostenuta dal giudice di legittimità (Cass. S.U. civ. ord. nn. 13659 e 13660 del 13 giugno 2006; sent. nn. 30254/2008; 19048 e 23595 del 2010 e 405/2011).

Infatti, l'art. 30, comma 1 e comma 3, primo periodo, comma 4 dell'art. 7 e commi 2 e 3 dell'art. 34, funzionalmente collegati alla pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale espressa dall'art. 1 del codice del processo amministrativo, confermerebbero, nel loro dato testuale, l'autonomia e l'indipendenza dell'azione risarcitoria, svincolata così dal preventivo annullamento del provvedimento lesivo.

In realtà la Plenaria, con la famosa e nota decisione (C.d.S., Ad. Plen., n. 3/2011) ha esattamente definito e adeguatamente precisato i termini della questione.

Scrive la plenaria al riguardo: "... Operando una ricognizione dei principi civilistici in tema di causalità giuridica e di principio di auto-responsabilità, il codice del processo amministrativo sancisce la regola secondo cui la tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa (secondo il criterio del "più probabilmente che non": Cass., sez. un., 11 gennaio 1008, n. 577; sez. III, 12 marzo 2010, n. 6045), recide, in tutto o in parte, il nesso casuale che, ai sensi dell'art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili. Di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell'omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall'ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi".

La mancata proposizione, pertanto, dell'azione di annullamento del provvedimento della resistente è di per sé sufficiente ad escludere il risarcimento proprio perché, in tesi, tale azione avrebbe potuto impedire, ab origine, la realizzazione dell'asserito danno.

Lo stesso dicasi con riferimento alla richiesta di corresponsione dell'indennità di cui all'art. 21-quinquies citato.

In ogni caso, in disparte tali rilievi, il ricorso è infondato nel merito.

Risulta dagli atti che la situazione economica dell'ente territoriale resistente, proprio in considerazione delle generali condizioni finanziarie del Paese, ha subito una sensibile contrazione, sia per la riduzione delle provvidenze statale del fondo di solidarietà (euro 414.845,63), che per effetto del d.l. 66/2014 (spending review 2014).

A fronte di tale estemporanea e non prevedibile riduzione di bilancio, l'ente territoriale ha dovuto necessariamente provvedere alle conseguenti riduzioni di spesa, secondo criteri e scelte altamente discrezionali, la cui censura può essere affidata ad esclusive ragioni di evidente contraddizione logica, irrazionalità, arbitrarietà, errore e travisamento dei fatti, che, però, il Collegio non ravvisa nella presente vicenda (C.d.S., Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257).

Ne consegue che la revoca della gara, peraltro non ancora iniziata, per la mancata copertura finanziaria dovuta, come detto, a fattori estemporanei non prevedibili al momento della sua pubblicazione, non può configurarsi illegittima, atteso che la valutazione comparativa degli interessi pubblici e la gerarchia degli stessi pertiene, in via esclusiva, come detto, alla scelta della p.a., così che il danno, che in linea teorica potrebbe ravvisarsi, non è ingiusto.

Di ciò ne dà conto la p.a. nella motivazione del provvedimento impugnato in cui è evidenziato un preciso e concreto interesse pubblico rappresentato dai limiti di bilancio dell'ente e, come tale, in grado di giustificare e legittimare la scelta operata (C.d.S., Sez. III, 11 luglio 2012, n. 4116).

A tal proposito deve essere richiamata la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui le sopravvenute difficoltà finanziarie possono legittimamente fondare provvedimenti di ritiro in autotutela di procedure di gara, anche se queste siano giunte all'aggiudicazione definitiva e, a maggior ragione, come nel caso di specie, per quelle non ancora iniziate (C.d.S., Sez. IV, 14 gennaio 2013, n. 156; Sez. V, 2 maggio 2013, n. 2400), e fino a che il contratto non sia stato stipulato (C.d.S., Ad. plen., 20 giugno 2014, n. 14).

Sul punto la giurisprudenza del Consiglio di Stato è unanime: "... costituiscono valida ragione del provvedimento di revoca dell'atto amministrativo l'esigenza di conseguire risparmi di spesa imposti per factum principis in ragione di una crisi economica" (C.d.S., Sez. V, 29 dicembre 2014, n. 6406) e delle mutate condizioni delle risorse finanziarie disponibili (C.d.S., Sez. III, 26 settembre 2013, n. 4809).

La legittimità, alla luce dei suindicati insegnamenti giurisprudenziali, della scelta operata dalla p.a. comporta, pertanto, la esclusione, sia della richiesta indennità, che, a maggior ragione, del risarcimento del danno precontrattuale.

Con riferimento a quest'ultimo, infatti, la responsabilità attiene all'accertato comportamento contrario alla buona fede tenuto dalla parte nel corso delle trattative contrattuali.

Tale evenienza richiede, pertanto, un minimo di concretezza nella relazione negoziale, ossia è necessario che il contatto tra le parti sia addivenuto e caratterizzato da una adeguata consistenza tale da ingenera un serio affidamento della parte alla conclusione del negozio.

Tale evenienza è, dalla pacifica giurisprudenza amministrativa, individuata, per quanto riguarda i contratti ad evidenza pubblica, con l'aggiudicazione provvisoria (C.d.S., Sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 662).

La ragione di tale orientamento è evidente.

Si vuole impedire di ampliare a dismisura la platea dei soggetti che, in qualche modo, coinvolti nella gara, possono legittimamente pretendere il risarcimento ex artt. 1337 e 1338 c.c.

Con riferimento, infine, alla richiesta corresponsione della indennità ex art. 21-quinquies l. 241/1990, la norma prevede e statuisce che il provvedimento di secondo grado riguardi un atto ad efficacia durevole.

Nel caso di specie, invero, l'atto di revoca ha attinto un provvedimento, di per sé, aleatorio, che rimane tale, per comune opinione giurisprudenziale, sino alla stipulazione del conclusivo contratto con l'aggiudicatario definitivo.

Per tali ragioni il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida complessivamente in euro 2.500,00 (duemilacinquecento), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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