Corte costituzionale
Sentenza 9 luglio 2015, n. 144

Presidente: Cartabia - Redattore: Frigo

[...] nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 20 dicembre 2012 (Atti Senato, XVI legislatura, Doc. IV-ter, n. 30-A), relativa alla insindacabilità, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall'on. Maurizio Gasparri nei confronti di Marco Travaglio, promosso dal Tribunale ordinario di Roma, prima sezione civile, con ricorso notificato il 14 febbraio 2014, depositato in cancelleria l'11 marzo 2014 ed iscritto al n. 10 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2013, fase di merito.

Visti l'atto di costituzione del Senato della Repubblica, nonché l'atto di intervento di Marco Travaglio;

udito nell'udienza pubblica del 9 giugno 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per il Senato della Repubblica e Paola Rizzo per Marco Travaglio.

RITENUTO IN FATTO

1.- Con ordinanza-ricorso depositata il 2 agosto 2013, il Tribunale ordinario di Roma, in composizione monocratica, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in ordine alla deliberazione del Senato della Repubblica del 20 dicembre 2012 (Atti Senato, XVI legislatura, Doc. IV-ter, n. 30-A), con cui l'Assemblea ha affermato che le dichiarazioni in relazione alle quali, nel giudizio civile pendente davanti a detto giudice, è stata avanzata domanda risarcitoria da parte di Marco Travaglio nei confronti del senatore Maurizio Gasparri, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni e sono pertanto insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il giudice ricorrente premette che Marco Travaglio ha proposto domanda di risarcimento dei danni derivanti dalle affermazioni, lesive della propria immagine e diffamatorie, rilasciate dal convenuto senatore nel corso dei programmi televisivi RAI "Rainews24" (25 settembre 2009) e "Porta a porta" (15 ottobre 2009), nonché in successive pubbliche dichiarazioni riprodotte dalle agenzie di stampa (28 settembre, 1°, 9 e 17 ottobre 2009): in particolare, secondo l'attore, il senatore Gasparri avrebbe aspramente criticato la moralità di Travaglio, accusandolo di essere andato in vacanza in Sicilia a spese di un ex maresciallo della Guardia di finanza, condannato per reati di mafia.

Le frasi che sarebbero state pronunciate dal senatore Gasparri - riprendendo, a suo dire, i fatti in questione da un'inchiesta giornalistica di Giuseppe D'Avanzo sul quotidiano "La Repubblica" - come riportate dall'attore e oggetto della delibera di insindacabilità ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost., sarebbero, tra le altre, del seguente tenore: «io vorrei fare una trasmissione dedicata al fatto che Travaglio anni fa in Sicilia è andato in vacanza a spese di un condannato per mafia [...]. Questo è Travaglio! Andava in vacanza in un posto e il conto lo pagava un signore condannato per mafia. Poi va a parlare di Schifani e altro. La moralità di Travaglio non esiste [...] quindi vorrei fare un'intervista [...] a Travaglio sulle sue frequentazioni di persone in Sicilia condannate per mafia. Questo vorrei discutere, gli italiani ne sanno poco» (25 settembre 2009); «Non prendiamo lezioni di antimafia da chi si faceva pagare le vacanze da un condannato per mafia» (28 settembre 2009); «Leggo divertito un articolo di Marco Travaglio che contiene solo spocchia senza fatti. L'euforia dell'articolista è ben nota, fin dai tempi in cui condannati per mafia provvedevano ad organizzare le sue vacanze in Sicilia» (1° ottobre 2009); «Molto ci sarebbe da dire sulla faziosità della conduzione e sulla pochezza dei contenuti della trasmissione Annozero [...]. Ci limitiamo solo a chiedere: perché [...] durante la puntata in onda ieri sera non si è parlato dei condannati per mafia che hanno organizzato le vacanze in Sicilia di Travaglio-» (9 ottobre 2009); «ognuno si occupa di quello che vuole in questo paese. C'è un editorialista di punta, Marco Travaglio, che è stato un anno e mezzo fa colpito da molti articoli di D'Avanzo, giornalista di Repubblica, che evidenziò che Travaglio andava a fare delle vacanze organizzate da personaggi poi condannati per mafia [...]. La vacanza è stata organizzata da uno condannato poi per mafia. L'ex maresciallo Ciuro [...] È la verità!» (15 ottobre 2009); «In materia di lotta alla mafia, la sinistra ed alcuni suoi addetti stampa hanno ben poco da dire. Per quanto riguarda Marco Travaglio confermo al di là di ogni smentita che, come scrisse D'Avanzo su Repubblica, le sue vacanze in Sicilia alcuni anni fa furono caratterizzate dalla presenza e dalla attività organizzativa di personaggi condannati per concorso in associazioni mafiose» (17 ottobre «2008» [recte: «2009»]).

Il senatore Gasparri si è costituito in giudizio eccependo, in via preliminare, l'improcedibilità del giudizio ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost. e dell'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato) - che, al comma 1, prevede l'applicabilità della norma costituzionale «per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento» - trattandosi di opinioni espresse nell'esercizio delle sue funzioni di parlamentare. A seguito della trasmissione degli atti al Senato della Repubblica, quest'ultimo comunicava che l'Assemblea, nella seduta del 20 dicembre 2012, aveva deliberato che le suddette dichiarazioni costituivano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni ed erano, perciò, insindacabili, ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost.

Poste tali premesse, il Tribunale ordinario di Roma ritiene che la suindicata delibera del Senato della Repubblica, eccedendo la sfera di attribuzioni di quest'ultimo, abbia comportato una compressione della sfera di attribuzioni della magistratura, sottraendo all'autorità giudiziaria il potere di decidere la controversia, atteso che l'insindacabilità delle opinioni espresse da un membro del Parlamento extra moenia sussiste soltanto qualora queste costituiscano la riproduzione sostanziale, ancorché non letterale, di atti tipici nei quali si estrinsecano le diverse funzioni parlamentari, ovvero sostanzialmente riproduttive di un'opinione espressa in sede parlamentare.

A suo avviso, non sussisterebbero, nella specie, i presupposti circa l'applicabilità della prerogativa di insindacabilità deliberata dal Senato della Repubblica, giacché non risulta alcun atto tipico della funzione parlamentare riferibile al senatore Gasparri che possa far ritenere sussistere tra tale funzione e le dichiarazioni extra moenia sopra riportate il «nesso funzionale» richiesto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale ai fini dell'applicabilità dell'art. 68, primo comma, Cost. (sentenze n. 11 e n. 10 del 2000; n. 289 del 1998; nonché, tra le tante, n. 334 del 2011; n. 330 e n. 134 del 2008; n. 53 e n. 13 del 2007).

Né i richiami contenuti nella deliberazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari alla situazione di contrapposizione politica esistente tra le parti sarebbero conferenti, poiché tale contrapposizione non sarebbe inerente all'attività parlamentare e, conseguentemente, sarebbe palese lo sconfinamento di detta deliberazione dalla sfera di attribuzioni riservata al Senato della Repubblica.

2.- Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con l'ordinanza n. 317 del 2013, che, in base all'art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, ha assegnato al Tribunale ricorrente il termine di sessanta giorni, con decorso dalla comunicazione della stessa, per notificare al Senato della Repubblica il ricorso e l'ordinanza dichiarativa dell'ammissibilità, e il successivo termine di trenta giorni dall'ultima notificazione per il deposito degli stessi atti nella cancelleria di questa Corte.

A seguito di essa, il Tribunale ha notificato il ricorso e l'ordinanza al Senato della Repubblica il 14 febbraio 2014, dando atto, nella missiva di accompagnamento, di aver già notificato «le copie originali degli atti» tramite raccomandata del 21 gennaio 2014. Ha, quindi, spedito il 5 marzo 2014 a mezzo posta a questa Corte la copia notificata del ricorso e dell'ordinanza di ammissione, copia pervenuta in cancelleria l'11 marzo 2014.

3.- Nella presente fase si è costituito il Senato della Repubblica eccependo, in via preliminare, l'improcedibilità del conflitto per mancato rispetto del termine per il deposito del ricorso notificato, e, nel merito, l'infondatezza del conflitto.

In particolare, ha dedotto che la notifica al Senato della Repubblica risulta effettuata con raccomandata il 21 gennaio 2014, termine dal quale decorrono i termini stabiliti per il deposito del ricorso e la costituzione in giudizio delle parti. La seconda notifica, effettuata il 14 febbraio 2014, non potrebbe avere l'effetto di prolungare il termine perentorio di trenta giorni previsto, in virtù dell'art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, a tutela del notificatario, al quale si garantisce la certezza del fatto che, decorso il termine fissato per il deposito, il giudizio diverrà improcedibile.

D'altronde, non potrebbe evocarsi la giurisprudenza di questa Corte che consente la rinnovazione della notifica in caso di irritualità della stessa: gli effetti processuali della seconda notifica potrebbero difatti realizzarsi solo nell'ipotesi in cui la prima risulti viziata, mentre è improduttiva di effetti là dove la prima sia, come nel caso in esame, priva di vizi.

Nel merito, dopo aver ripercorso la giurisprudenza costituzionale ed il suo fondamento in tema di «nesso funzionale», il Senato della Repubblica rappresenta l'esigenza di un necessario ripensamento di quell'orientamento che tenga conto del fatto che, attualmente, il mandato parlamentare trova all'esterno delle sedi istituzionali la propria sfera di esplicazione. Ciò si è verificato, in particolare, a causa dei nuovi mezzi di comunicazione politica, nonché dell'accentuazione dei poteri dei gruppi parlamentari e della conseguente restrizione degli spazi di espressione individuale, dovuta anche all'utilizzo distorto di alcuni strumenti procedimentali (ad esempio, l'utilizzo combinato del maxi emendamento e della questione di fiducia), e allo spostamento della produzione normativa in sede governativa e sovranazionale. D'altronde, il ritenere che costituiscano esercizio della funzione soltanto le espressioni che trovino puntuale ancoraggio in un atto parlamentare potrebbe causare effetti irragionevoli, dal momento che non tutte le opinioni possono essere veicolate in detti atti; che, inoltre, il parlamentare "posticiperà" l'esplicazione della propria funzione al momento in cui potrà riversare i contenuti in un atto parlamentare e che, in definitiva, così configurata, la libertà d'espressione del parlamentare non sarebbe coerente con lo statuto giuridico privilegiato disegnato dalla Costituzione.

Sicché la rimodulazione del perimetro dell'insindacabilità parlamentare dovrebbe ricomprendere non solo gli atti, tipici ed atipici, che il deputato o il senatore ponga in essere nelle sedi istituzionali, ma anche le opinioni imputabili o riconducibili alla carica ricoperta e non riferibili alla propria sfera privata di interessi.

In questa prospettiva, se l'esistenza di un atto parlamentare che riproduce il contenuto della successiva esternazione costituisce un elemento sintomatico privilegiato dell'esercizio della funzione, ulteriori elementi sintomatici potrebbero rinvenirsi, in via esemplificativa, nella lettera di incarico per una missione esterna; nella presenza ad un dibattito radiofonico o televisivo in qualità di portavoce o di esponente di una forza politica; nel nesso di proporzionalità fra opinioni espresse e fine perseguito, secondo un canone di razionalità strumentale accolto, in materia, dalla Corte di giustizia dell'Unione europea e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.

Nel caso in esame, le dichiarazioni del senatore Gasparri sarebbero insindacabili in quanto espresse non già nell'interesse proprio, bensì per conto della formazione politica della quale era stato eletto capogruppo, essendo volte a difendere il proprio leader Silvio Berlusconi.

4.- La parte privata, Marco Travaglio, ha depositato atto di intervento, con cui - premessa la sussistenza dei presupposti che, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, legittimano l'intervento, nel giudizio per conflitto tra poteri dello Stato, delle parti attrici nei giudizi comuni di responsabilità, dal momento che «il presente giudizio [...] incide sulla definitiva affermazione o negazione del [...] diritto della parte interveniente di proseguire il giudizio pendente» - ha ripercorso i fatti della vicenda di cui è causa e ribadito, in diritto, le deduzioni del provvedimento introduttivo del conflitto. Ha chiesto, in accoglimento del ricorso proposto dal Tribunale ordinario di Roma, di dichiarare che non spettava al Senato della Repubblica deliberare che le dichiarazioni in questione costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost.

In una successiva memoria, ha contestato l'eccezione di improcedibilità sollevata dal Senato della Repubblica, e, nel merito, ha ribadito le considerazioni già svolte nell'atto di intervento a sostegno dell'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in composizione monocratica, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato ed ha chiesto a questa Corte di dichiarare che non spettava al Senato della Repubblica affermare, con deliberazione del 20 dicembre 2012 (Atti Senato, XVI legislatura, Doc. IV-ter, n. 30-A), che le dichiarazioni in relazione alle quali pende giudizio civile per risarcimento dei danni promosso da Marco Travaglio nei confronti del senatore Maurizio Gasparri concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, come tali insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il Tribunale ricorrente premette che Marco Travaglio ha proposto domanda di risarcimento dei danni derivanti dalle affermazioni, lesive della propria immagine e diffamatorie, rilasciate dal convenuto senatore nel corso di diversi programmi televisivi, nonché in successive pubbliche dichiarazioni riprodotte dalle agenzie di stampa: in particolare, secondo l'attore, il senatore Gasparri avrebbe aspramente criticato la sua moralità, accusandolo di essere andato in vacanza in Sicilia a spese di un ex maresciallo della Guardia di finanza, condannato per reati di mafia.

Poste tali premesse, il Tribunale ordinario di Roma ritiene che la delibera di insindacabilità del Senato, eccedendo la sfera di attribuzioni di quest'ultimo, abbia comportato una compressione della sfera di attribuzioni della magistratura, sottraendo all'autorità giudiziaria il potere di decidere la controversia. L'insindacabilità delle opinioni espresse da un membro del Parlamento extra moenia sussiste, difatti, soltanto qualora queste costituiscano la riproduzione sostanziale, ancorché non letterale, di atti tipici nei quali si estrinsecano le diverse funzioni parlamentari, ovvero sostanzialmente riproduttive di un'opinione espressa in sede parlamentare.

Nella specie non risulterebbe alcun atto tipico della funzione parlamentare riferibile al senatore Gasparri che permetta di ravvisare tra tale funzione e le dichiarazioni extra moenia il «nesso funzionale» richiesto da questa Corte.

2.- Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con l'ordinanza n. 317 del 2013, comunicata il 18 dicembre 2013, che deve, preliminarmente, essere confermata sussistendo i richiesti presupposti soggettivo ed oggettivo.

3.- Allo stesso modo, va ribadito quanto deciso, con ordinanza letta in udienza ed allegata alla presente sentenza, in ordine all'ammissibilità dell'intervento di Marco Travaglio, parte del giudizio principale che ha originato il conflitto in esame.

4.- In questa fase di giudizio, si è costituito il Senato della Repubblica, il quale ha eccepito, in via preliminare, l'improcedibilità del conflitto per mancato rispetto del termine per il deposito nella cancelleria di questa Corte del ricorso notificato.

Secondo il Senato della Repubblica, difatti, i termini stabiliti per il deposito decorrono dalla prima notifica che la cancelleria del Tribunale ordinario di Roma dichiara di aver effettuato il 21 gennaio 2014. Poiché detto deposito è stato effettuato il 5 marzo successivo, esso risulterebbe tardivo, in quanto avvenuto oltre il termine di trenta giorni dalla notifica del ricorso, previsto dall'art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Pur avendo il Tribunale ricorrente provveduto ad un'ulteriore notifica il 14 febbraio 2014, quest'ultima non potrebbe avere l'effetto di prolungare il termine perentorio, previsto a tutela del notificatario, al quale si garantisce la certezza del fatto che, decorso il termine fissato per il deposito, il giudizio diverrà improcedibile.

L'eccezione non è fondata.

L'art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale stabilisce, infatti, che il ricorso per conflitto di attribuzione dichiarato ammissibile, con la prova delle notificazioni agli organi interessati eseguite a norma dell'art. 37, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), è depositato nella cancelleria della Corte entro il termine perentorio di trenta giorni dall'ultima notificazione.

Dalla documentazione depositata, in prossimità dell'udienza pubblica, dall'interveniente emerge che la cancelleria del Tribunale ordinario di Roma ha, una prima volta, «spedit[o] tramite segreteria anzi per raccomandata» il ricorso e l'ordinanza che ne dichiara l'ammissibilità al Senato della Repubblica, invitando quest'ultimo a restituirne una copia con la prova dell'avvenuta notifica.

La spedizione con raccomandata eseguita, senza l'intermediazione dell'ufficiale giudiziario, dalla cancelleria del Tribunale ordinario di Roma non rispetta, tuttavia, le formalità proprie degli atti giudiziari in materia civile: formalità che - in virtù del richiamo operato dall'art. 22 della legge n. 87 del 1953 al regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, oggi disciplinata dal codice del processo amministrativo, approvato dall'art. 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) - devono osservarsi nel procedimento davanti a questa Corte, secondo il disposto dell'art. 39, comma 2, del menzionato codice.

La successiva notifica del 14 febbraio 2014, al contrario, risulta eseguita, a mezzo posta, ritualmente, dall'ufficiale giudiziario.

L'irritualità della prima notifica comporta, secondo quanto già affermato da questa Corte, un mero vizio sanabile (ordinanza n. 56 del 2013) e che è stato in concreto sanato dalla seconda notificazione.

In applicazione degli enunciati principi il deposito, effettuato tramite spedizione postale il 5 marzo 2014, risulta, quindi, tempestivo in relazione alla notifica del 14 febbraio 2014, l'unica ritualmente effettuata.

Non osta a tale conclusione il fatto che le copie dell'ordinanza con cui questa Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto e il ricorso con cui esso è stato sollevato, notificate il 14 febbraio 2014 al Senato della Repubblica, non recano l'attestazione di conformità all'originale da parte della cancelleria di questa Corte, bensì un'attestazione da parte della cancelleria dello stesso Tribunale ricorrente.

Come già affermato da questa Corte nella sentenza n. 452 del 2006, infatti, la certezza in ordine alla corrispondenza della copia notificata all'originale non risulta pregiudicata da tale omissione, ben potendo essere agevolmente conseguita attraverso il confronto con il testo della decisione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, tanto più che tale pubblicazione è avvenuta il 27 dicembre 2013, e cioè anteriormente alla notifica da parte del Tribunale ordinario di Roma dell'ordinanza al Senato.

5.- Nel merito, il ricorso è fondato.

Il conflitto ha ad oggetto le dichiarazioni, in assunto diffamatorie, rese dal senatore Maurizio Gasparri sul conto di Marco Travaglio, al quale viene, in specie, addebitato di aver trascorso una vacanza in Sicilia a spese di una persona condannata per reati di tipo mafioso.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per l'esistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e l'espletamento delle sue funzioni di membro del Parlamento - al quale è subordinata la prerogativa dell'insindacabilità di cui all'art. 68, primo comma, Cost. - è necessario che tali dichiarazioni possano essere identificate come espressione dell'esercizio di attività parlamentare (ex multis, sentenza n. 55 del 2014). Più in particolare, per la configurabilità del nesso funzionale è necessario il concorso di due requisiti: a) un legame di ordine temporale fra l'attività parlamentare e l'attività esterna (sentenze n. 55 del 2014 e n. 305 del 2013, tra le ultime), tale che questa venga ad assumere una finalità divulgativa della prima; b) una sostanziale corrispondenza di significato tra le opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni e gli atti esterni, al di là delle formule letterali usate (sentenza n. 333 del 2011), non essendo sufficiente né un semplice collegamento tematico o una corrispondenza contenutistica parziale (sentenza n. 334 del 2011), né un mero «contesto politico» entro cui le dichiarazioni extra moenia possano collocarsi (sentenza n. 205 del 2012), né, infine, il riferimento alla generica attività parlamentare o l'inerenza a temi di rilievo generale, seppur dibattuti in Parlamento (sentenza n. 98 del 2011).

Quanto ai parametri di tale indagine, il «contesto politico» o comunque l'inerenza a temi di rilievo generale, anche dibattuti in Parlamento, entro cui le dichiarazioni esterne si possano collocare, non vale in sé a connotarle come espressive della funzione, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell'esercizio delle proprie attribuzioni, siano non già il riflesso del particolare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto dall'insindacabilità, a garanzia delle prerogative della Camera, e non di un privilegio personale conseguente alla mera qualità di parlamentare), bensì una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell'esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall'art. 21 Cost.

Nella specie, nella relazione della Giunta per le autorizzazioni manca qualsiasi riferimento a specifici atti parlamentari del senatore Gasparri cui le esternazioni in discussione sarebbero collegate, venendo espressamente evocata, piuttosto, un'insindacabilità «di ordine generale, individuabile nel diritto di critica e di denuncia politica dei parlamentari anche al di fuori delle attività tipiche». Lo stesso senatore Gasparri ha, del resto, precisato di non avere svolto attività parlamentari inerenti alla specifica questione e di avere rilasciato le dichiarazioni oggetto del processo nell'ambito, per l'appunto, della propria attività di denuncia e critica politica.

Difettano, di conseguenza, i requisiti ai quali, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è subordinata la garanzia dell'insindacabilità ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost., non essendo individuabile alcun atto parlamentare che possa valere come termine di riferimento per la verifica della sussistenza del nesso funzionale.

Tale conclusione si pone in linea, come già affermato dalla sentenza n. 115 del 2014, anche con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in base alla quale, nel bilanciamento tra le contrapposte esigenze, si richiede che tra l'atto in ipotesi lesivo e l'esercizio della funzione tipica del parlamentare sussista un «legame evidente» (sentenza n. 313 del 2013), comprovato, cioè, in modo tale da non poter essere disconosciuto da una persona ragionevole.

Va, dunque, ribadita l'inaccoglibilità della tesi sostenuta dal Senato nella memoria di costituzione, secondo la quale il perimetro dell'insindacabilità parlamentare per le opinioni espresse extra moenia andrebbe rimodulato in senso estensivo, in considerazione del mutato atteggiarsi del mandato parlamentare, fino a ricomprendervi tutte quelle occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino, illustrando opinioni imputabili o riconducibili alla carica ricoperta e non riferibili alla propria sfera privata di interessi. Tale tesi appare, «proprio per la eccessiva vaghezza dei termini e dei concetti impiegati, non compatibile con il disegno costituzionale: da un lato, infatti, essa si concentra su un'attività (quella "politica") non necessariamente coincidente con la funzione parlamentare, posto che, tra l'altro, questa si esprime, di regola, attraverso atti tipizzati (non è un caso che l'art. 68 Cost. circoscriva l'irresponsabilità dei membri del Parlamento alle "opinioni espresse" ed ai "voti dati" "nell'esercizio delle loro funzioni"); dall'altro, la tesi in questione non mette in collegamento diretto opinioni espresse e atti della funzione, ma semplicemente attribuisce allo stesso parlamentare la selezione dei temi "politici" da divulgare; al punto da rendere, in definitiva, lo stesso parlamentare arbitro dei confini entro i quali far operare la garanzia della insindacabilità» (sentenze n. 115 del 2014 e n. 313 del 2013).

6.- Si deve, di conseguenza, concludere che la delibera del Senato della Repubblica è stata adottata in violazione dell'art. 68, primo comma, Cost., ledendo le attribuzioni dell'autorità giudiziaria ricorrente, e deve essere, pertanto, annullata.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara che non spettava al Senato della Repubblica affermare che le dichiarazioni rese dal senatore Maurizio Gasparri, per le quali pende il procedimento civile davanti al Tribunale ordinario di Roma, di cui al ricorso indicato in epigrafe, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;

2) annulla, per l'effetto, la deliberazione di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica, nella seduta del 20 dicembre 2012 (Atti Senato, XVI legislatura, Doc. IV-ter, n. 30-A).

A. Di Majo

Codice civile

Giuffrè, 2024

F. Di Marzio (dir.)

Codice delle famiglie

Giuffrè, 2024

L. Carbone, F. Caringella, G. Rovelli

Manuale dei contratti pubblici

Dike Giuridica, 2024