Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna
Parma
Sentenza 8 luglio 2015, n. 205

Presidente: Radesi - Estensore: Poppi

FATTO E DIRITTO

Con delibera consiliare n. 34 del 5 novembre 2013 il Comune di Terenzio (di seguito Comune) aderiva all'Unione di Comuni Valli Taro e Ceno (di seguito Unione) approvandone contestualmente lo Statuto e l'Atto costitutivo.

In conseguenza dell'intervenuta adesione, il Comune provvedeva in data 28 marzo 2014 all'adozione delle seguenti delibere di conferimento all'Unione di funzioni fondamentali:

n. 5 relativa alla progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni;

n. 6 relativa ai servizi in materia statistica;

n. 7 relativa alle funzioni di protezione civile;

n. 8 relativa alla gestione dei sistemi informatici e delle tecnologie dell'informazione;

n. 9 relativa alla gestione dello Sportello unico telematico delle attività produttive.

Con nota n. 4489 del 3 novembre 2014 il Comune comunicava ex art. 7 della l. n. 241/1990 all'Unione e alla Regione Emilia Romagna (di seguito Regione) l'avvio del procedimento teso alla verifica del proprio interesse a permanere nell'Unione.

A conclusione dell'istruttoria avviata il Comune, con delibera consiliare n. 66 del 13 dicembre 2014, revocava le citate delibere di adesione all'Unione e di conferimento delle funzioni perseguendo il fine (esplicitato, fra le altre, nella nota datata 27 aprile 2015 e negli atti difensivi del presente giudizio, nonché, ribadito in sede di discussione del ricorso nell'odierna udienza) di far venire meno la propria appartenenza all'Unione.

L'Unione, sul presupposto che lo Statuto dell'Ente, approvato anche dal Comune, non consentisse di recedere prima del decorso del termine di anni 5, impugnava gli atti e provvedimenti in epigrafe specificati deducendo la violazione degli artt. 32 del d.lgs. n. 267/2000 e degli artt. 19 e 24 della l.r. n. 21/2012; l'insussistenza nel caso di specie dei presupposti legittimanti un intervento in autotutela ex art. 21-quinquies, nonché, eccesso di potere per sviamento di potere in ragione del ricorso all'esercizio del potere di revoca al fine di eludere il divieto di recesso di fonte statutaria.

Il Comune si costituiva in giudizio affermando la piena disponibilità della propria appartenenza all'Unione e la ricorrenza dei presupposti per l'esercizio del potere di revoca in alcun modo limitato dalla precedente adesione all'Unione e dalla approvazione del relativo Statuto.

La Regione Emilia Romagna interveniva in giudizio ad adiuvandum sostenendo l'infondatezza delle ragioni addotte dal Comune a sostegno dell'adottata revoca e la vincolatività dell'impegno assunto al momento dell'adesione all'Unione.

Nella camera di consiglio del 25 febbraio 2015, con ordinanza n. 40/2015, veniva respinta l'istanza di sospensione per difetto del periculum in mora sul presupposto che "lo Statuto dell'Unione, all'art. 5 comma 4, non consente alle amministrazioni comunali il recesso dall'Unione anteriormente al decorso del termine di 5 anni dall'adesione ("il recesso deve essere deliberato, fermo restando un periodo minimo di adesione di anni 5...")" e che "il vincolo statutario trova la propria fonte nell'art. 19, comma 4, della L.R. n. 21/2014 a norma del quale "lo statuto regola altresì la durata minima dei conferimenti di funzioni all'Unione, che comunque non può essere inferiore a cinque anni. La revoca anticipata dei conferimenti è priva di ogni effetto, salvo che non sia disposta di comune accordo tra tutti gli enti aderenti".

Il Comune, con nota n. 892 del 7 marzo 2015, rappresentava all'Unione che, in virtù del richiamato esito cautelare, non poteva che considerarsi revocata la propria adesione all'Ente poiché il collegio, nell'occasione, "si sarebbe espresso unicamente con riferimento alla possibilità per il Comune di Terenzio di esercitare il diritto di recesso... ma non anche con riferimento alla sussistenza del potere di revoca".

L'Unione, preso atto della posizione assunta dal Comune, con atto depositato il 17 marzo 2015 avanzava istanza di esecuzione della citata ordinanza n. 40/2015 ai sensi dell'art. 59 c.p.a. "mediante la prescrizione delle modalità dell'ottemperanza" o "mediante chiarimenti" ai sensi dell'art. 112 c.p.a. con richiesta di abbreviazione dei termini ex art. 53 c.p.a.

Il Comune, con memoria depositata il 24 marzo 2015, eccepiva preliminarmente il difetto di notifica dell'istanza effettuata via pec; la violazione dell'art. 53 c.p.a. e dell'art. 24 della Costituzione in ragione dell'eccessiva ristrettezza del termine concesso e, infine, l'insussistenza dei presupposti di cui all'art. 59 c.p.a. essendo proposta per l'esecuzione di una pronunzia di rigetto.

Nella camera di consiglio del 26 marzo 2015, la ricorrente rinunciava alla domanda di esecuzione e veniva fissata la discussione nel merito del ricorso.

La ricorrente precisava la propria posizione con memoria depositata l'11 maggio 2015 riaffermando l'impossibilità per il Comune di recedere dall'Unione se non decorso il termine quinquennale previsto dallo Statuto.

Il Comune, con memoria depositata il 21 maggio 2015, ribadiva l'inconferenza della contestata violazione dello Statuto poiché il vincolo di appartenenza che lo legava all'Unione non sarebbe venuto meno in ragione di un atto di recesso ex art. 5 dell'atto statutario ma in conseguenza di un atto di revoca adottato ai sensi dell'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990.

All'esito della pubblica udienza dell'11 giugno 2015 la causa veniva trattenuta in decisione.

Con il presente ricorso l'Unione (sulla base di argomentazioni condivise dalla difesa regionale) censura la serie provvedimentale con la quale il Comune di Terenzio ha disposto la revoca delle delibere in forza delle quali aveva aderito all'Unione dei Comuni Valli Taro e Ceno e conferito a quest'ultima una pluralità di funzioni fondamentali.

In particolare, con il primo motivo di ricorso deduce la violazione dell'art. 32 del d.lgs. n. 267/2000, degli artt. 19 e 24 della l.r. n. 21/2012 e dell'art. 5 dello Statuto sostenendo che, una volta intervenuta l'adesione all'Ente, il rapporto fra quest'ultimo e il Comune aderente non potrebbe che essere disciplinato dalla fonte statutaria che inibisce il recesso se non dopo 5 anni.

Il Comune avrebbe, inoltre, erroneamente applicato l'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990 poiché l'istituto della revoca è previsto dall'ordinamento in relazione a provvedimenti aventi efficacia durevole mentre la delibera revocata avrebbe esaurito i propri effetti al momento dell'adesione all'Unione in vista della quale era stata adottata.

Da tale momento si sarebbe, infatti, determinata la soggezione del Comune aderente alla disciplina statutaria, espressamente approvata all'atto dell'adesione all'Unione.

L'impossibilità di incidere mediante interventi in autotutela su atti negoziali, avvalendosi dell'istituto della revoca in luogo di quello del recesso, troverebbe il conforto della giurisprudenza amministrativa che lo avrebbe ripetutamente affermato (C.d.S., Ad. Plen., 20 giugno 2014, n. 14; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 6 marzo 2013, n. 2432).

Con il secondo motivo viene ulteriormente contestata la ricorrenza dei presupposti di legge di cui al più volte citato art. 21-quinquies in ragione dell'insussistenza delle esposte ragioni di interesse pubblico poste alla base della rivalutazione dell'interesse alla permanenza nell'Unione.

Il Comune nega di essere incorso nella contestata violazione avendo agito in autotutela revocando i provvedimenti di adesione e conferimento in questione senza avvalersi della clausola di recesso di cui all'art. 5 dello Statuto.

Sul punto il Comune sostiene, in particolare, che i due istituti (revoca e recesso) risponderebbero a differenti esigenze trovando fondamento in diversi presupposti.

La revoca, in quanto espressione del principio generale di inesauribilità del potere amministrativo non potrebbe essere in alcun modo limitata o condizionata dalle previsioni dello Statuto che disciplinano il diverso istituto del recesso che si fonderebbe, invece, su una disciplina negoziale con "effetti destinati a prodursi esclusivamente sul piano dei rapporti con i contraenti" (pag. 4 del ricorso).

La disposizione statutaria, pertanto, non inibirebbe l'esercizio del potere di revoca ma si limiterebbe a prevedere una diversa possibilità di "svincolarsi" dall'Unione "senza particolari motivazioni e aggravamenti procedimentali" (pag. 6 del ricorso).

Considerando, inoltre, che si verte in tema di norme che contribuiscono a definire il contenuto minimo normativo nei rapporti fra privati e pubblica amministrazione, l'attribuzione di un diverso significato alla disposizione statutaria (nella specie in senso conforme alle posizioni espresse dall'Unione) determinerebbe una violazione dell'art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione che riserva alla potestà normativa statale la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali".

Il principio da ultimo enunciato troverebbe ulteriore conferma nell'art. 29 della l. n. 241/1990 laddove si precisa, al comma 1, che "le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali" e, al comma 2, che "le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge".

Per tali ragioni sarebbe inconferente la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente (afferente alla materia degli appalti) poiché la costituzione dell'Unione dovrebbe essere "ricondotta nell'alveo dei c.d. negozi di diritto pubblico tra pubbliche amministrazioni" che, poiché finalizzato al perseguimento di un interesse pubblico, potrebbe sempre "essere rivisto e il relativo consenso essere legittimamente ritirato" (pag. 42 della memoria di costituzione datata 19 febbraio 2015).

Il ricorso è fondato.

Preliminarmente, ai fini di un corretto inquadramento dell'odierna controversia, si rende necessaria una sintetica ricostruzione del contesto normativo di riferimento.

L'art. 32 del d.lgs. n. 267/2000 afferma che "l'unione di comuni è l'ente locale costituito da due o più comuni, di norma contermini, finalizzato all'esercizio associato di funzioni e servizi" (comma 1) e a tale scopo è dotata di "potestà statutaria e regolamentare" (comma 4) che "sono approvati dai consigli dei comuni partecipanti con le procedure e con la maggioranza richieste per le modifiche statutarie. Lo statuto individua le funzioni svolte dall'unione e le corrispondenti risorse".

L'art. 14, comma 26, del d.l. n. 78/2010, prevede che "l'esercizio delle funzioni fondamentali [specificate nel successivo comma 27] dei Comuni è obbligatorio per l'ente titolare" disponendo al comma 28 che "i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane, esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole e il comune di Campione d'Italia, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali dei comuni di cui al comma 27, ad esclusione della lettera l)".

Il richiamato disposto normativo trova attuazione a livello regionale nella l.r. n. 21/2012 approvata al dichiarato scopo di adottare "d'intesa con le Province, i Comuni e le loro forme associative e, ove necessario, sulla base di accordi con le amministrazioni statali interessate, misure per assicurare l'adeguamento dell'articolazione delle funzioni amministrative sul territorio regionale ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, alla luce delle disposizioni di riordino territoriale e funzionale contenute nel decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78" (art. 1) assumendosi il compito di individuare "la dimensione territoriale ottimale per lo svolgimento in forma associata delle funzioni fondamentali, le forme di esercizio associato di funzioni e servizi comunali, le modalità di incentivazione alle forme associative e alle fusioni dei Comuni" (art. 3, comma 2).

L'art. 19 della medesima fonte normativa dispone che "Lo statuto dell'Unione di Comuni individua la sede e le funzioni svolte dall'Unione, le competenze degli organi, le modalità per la loro costituzione e funzionamento, nonché la durata dell'Unione, comunque non inferiore a dieci anni. Lo statuto definisce altresì le procedure per lo scioglimento dell'Unione e per il recesso da parte dei Comuni partecipanti ed i relativi adempimenti, inclusa la definizione dei rapporti tra l'Unione e il Comune uscente, nonché gli effetti, anche sanzionatori e risarcitori, del recesso di un Comune prima della scadenza del termine di durata dell'Unione. La disciplina del recesso deve comunque garantire la continuità dello svolgimento delle funzioni e dei rapporti di lavoro del personale che presta servizio a qualsiasi titolo presso l'ente. Deve altresì prevedere l'obbligo per il Comune recedente di farsi carico delle quote residue dei prestiti eventualmente accesi".

Il successivo art. 24, comma 6, prevede che "La durata dei conferimenti di funzioni da parte dei Comuni che sono per legge statale soggetti all'obbligo di gestione associata deve essere a tempo indeterminato, salvo recesso che non potrà intervenire prima di cinque anni, mentre per gli altri Comuni il conferimento deve avere durata di almeno cinque anni".

Lo Statuto dell'Unione approvato, come anticipato, dal Comune resistente prevede all'art. 5 che "ogni Comune partecipante all'Unione può recedere unilateralmente con deliberazione consiliare adottata con le procedure e le maggioranze richieste per le modifiche statutarie" ma "fermo restando un periodo minimo di adesione di anni cinque".

La previsione di una permanenza minima, pertanto, trova fonte in una norma di legge frutto di una scelta del Legislatore regionale (non sindacabile in questa sede) la cui ratio è specificata dallo stesso nell'esigenza di assicurare stabilità all'assetto istituzionale dell'Unione a tutela della continuità dello svolgimento delle funzioni da gestire in forma associata.

Il Comune, pertanto, una volta determinata in piena autonomia la propria appartenenza all'Unione ed approvato il relativo Statuto ne resta vincolato per tutto quanto riguarda la gestione del rapporto con quest'ultima.

Ne deriva che è da considerarsi illegittimo il ricorso all'esercizio del potere di revoca di cui all'art. 21-quinquies l. n. 241 del 1990 (esercitato come evidenziato, e ammesso, al fine di recidere il vincolo di appartenenza all'Unione) poiché il Comune può recedere dall'Unione unicamente nei tempi, modi e forme previsti dallo Statuto dal medesimo approvato, ovvero, mediante attivazione della procedura di recesso e sempre che ne ricorrano i relativi presupposti.

Il potere di revoca, infatti, come correttamente rilevato dalla ricorrente, essendo finalizzato a determinare la cessazione ex nunc degli effetti di un precedente provvedimento, presuppone necessariamente che l'atto oggetto di revoca esplichi i suoi effetti al momento dell'intervento di secondo grado.

Nel caso di specie, invece, il provvedimento revocato ha esaurito i propri effetti all'atto della costituzione dell'Unione con contestuale approvazione dell'Atto costitutivo e dello Statuto.

Relativamente al provvedimento impugnato devono ulteriormente ritenersi fondati i dedotti vizi di eccesso di potere per difetto di istruttoria e sviamento di potere.

La verifica circa l'attualità dell'interesse a permanere all'interno dell'Unione è stata delegata dal Sindaco al Segretario Comunale - Responsabile del procedimento e si è conclusa con atto del medesimo responsabile n. 5056 del 3 dicembre 2014 di proposta al Consiglio comunale di revocare la delibera di adesione.

Nelle premesse dell'atto da ultimo citato è lo stesso Responsabile che dà atto che "con provvedimento n. 3 in data 02/07/2014 il neo-Sindaco del Comune di Terenzo (eletto a seguito delle elezioni amministrative del maggio 2014) ritenendo non rispondente all'interesse pubblico l'ingresso del Comune di Terenzo nell'Unione Comuni Valli Taro e Ceno" disponeva l'avvio del procedimento istruttorio "incaricando i Responsabili dei Servizi del Comune di Terenzo di predisporre ciascuno per il settore di propria competenza, apposite relazioni sulla base delle quali effettuare, poi, le conseguenti doverose valutazioni".

Il tenore dell'atto è tale da rendere inequivocabile la predeterminazione dell'effetto che il procedimento avviato avrebbe dovuto determinare.

La non rispondenza dell'appartenenza all'Unione all'interesse pubblico che doveva costituire il risultato dell'istruttoria avviata, infatti, è affermata in via preliminare dal Sindaco che instaurava il procedimento richiedendo la predisposizione di atti istruttori (nella specie le relazioni dirigenziali) tali da supportare le "doverose valutazioni" consequenziali.

Può pertanto affermarsi, in conclusione, che la complessiva condotta del Comune in questa sede contestata risulta preordinata alla determinazione di un effetto, il recesso dall'Unione, inibito da una fonte normativa sub primaria (conforme alla legislazione regionale) cui il medesimo, approvandola, si era vincolato.

Pertanto, l'unico valore che può attribuirsi all'impugnato atto di revoca senza che lo stesso incorra nelle rilevate illegittimità, è quello di espressione della volontà del Comune di Terenzo di recedere dall'Unione una volta decorsi i cinque anni dalla costituzione della stessa. Circostanza questa evidenziata nell'ordinanza cautelare di questa Sezione e travisata dal Comune resistente.

Per quanto precede il ricorso deve essere accolto con condanna del Comune di Terenzo al pagamento delle spese di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie.

Condanna il Comune di Terenzo al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 2.500,00 in favore dell'Unione Comuni Valli Taro e Ceno e Euro 1.500,00 in favore della Regione Emilia Romagna, oltre oneri di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

M.N. Bugetti

Amministrazione di sostegno

Zanichelli, 2024

F. Caringella

Codice amministrativo

Dike Giuridica, 2024

P. Loddo (cur.)

L'amministratore di sostegno

Cedam, 2024