Corte di cassazione
Sezione VI civile
Sentenza 20 luglio 2015, n. 15179

Presidente: Petitti - Estensore: Falaschi

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato presso la Corte di appello di Potenza in data 8 settembre 2012, Rosina L. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia all'equa riparazione per la irragionevole durata di un procedimento penale, promosso a seguito di querela presentata da Pasqualina S. ex art. 590 c.p. il 6 ottobre 2006, in cui i Carabinieri avevano proceduto alla sua identificazione in data 16 ottobre 2006, mentre l'atto di citazione a giudizio era stato notificato il 26 gennaio 2010 e la sentenza di non doversi procedere nei suoi confronti per essere il reato estinto per intervenuta remissione della querela era stata depositata il 30 marzo 2012.

L'adita Corte d'appello, rilevato che ai fini dell'equa riparazione il processo penale doveva considerarsi iniziato con l'assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, individuava detta data nell'atto di notificazione dell'atto di citazione a giudizio dell'imputata, ossia il 26 gennaio 2010, e poiché il patema d'animo poteva ritenersi cessato alla data di intervenuta conoscenza della rimessione di querela (all'udienza del 1° luglio 2011), essendo trascorso circa un anno e mezzo, non era idoneo ad integrare alcuna irragionevole protrazione del processo penale, peraltro rinviato dal 3 dicembre 2010 al 25 marzo 2011 su espressa richiesta delle medesime parti, motivata dalla pendenza di trattative di conciliazione, con conseguente rigetto della relativa domanda.

Per la cassazione di questo decreto la L. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, illustrato anche da memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito l'amministrazione intimata con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l'adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con l'unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione dell'art. 2 della l. n. 89 del 2001, come modificato dall'art. 55 del d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla l. n. 134 del 2012, nonché nella versione originaria, ed ancora dell'art. 6 della CEDU e in relazione all'art. 111 Cost., dell'art. 1 CEDU, art. 6 del Trattato dell'Unione Europea e dell'art. 117 Cost., rilevando che il giudizio penale presupposto si era concluso con sentenza di non doversi procedere per essere il reato estinto per intervenuta remissione della querela e che quindi, anche secondo i più recenti indirizzi della giurisprudenza della CEDU, doveva considerarsi errato il computo della durata complessiva del procedimento penale presupposto, con l'erronea individuazione, come dies a quo, della data del 16 gennaio 2010, di notificazione del decreto di citazione a giudizio, anziché della data del 16 ottobre 2006, nella quale la ricorrente era stata convocata presso la competente stazione dei Carabinieri per la identificazione, la elezione del domicilio e la scelta del difensore, ai sensi dell'art. 349 c.p.p., con la conseguenza che detta durata è pari non ad un anno e mezzo ma a cinque anni e cinque mesi (16 ottobre 2006-30 marzo 2012, data di pronuncia della sentenza).

Il ricorso merita accoglimento.

Secondo l'ormai consolidato orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo penale, il dies a quo in relazione al quale valutare la durata del processo penale presupposto decorre dal momento in cui l'imputato ha conoscenza diretta dell'esistenza di un procedimento penale nei suoi confronti (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 22682 del 2010 e 27239 del 2009).

Nella specie, come è incontestato tra le parti (il controricorrente non contesta infatti né la relativa deduzione né il fatto che la circostanza era già stata dedotta in sede di ricorso introduttivo del presente giudizio), l'odierna ricorrente, a seguito della proposizione di querela da parte della S. per il reato di lesioni colpose, fu convocata dalla polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 349 c.p.p., per l'identificazione, l'elezione di domicilio e la nomina del difensore, in data 16 ottobre 2006.

Quanto al termine del processo, questo va identificato con il momento in cui la sentenza penale, una volta avvenuto il deposito, diviene definitiva e, cioè, non è più soggetta ad impugnazione (Cass. 24 settembre 2009, n. 20541) e non già dalla data della remissione della querela.

Infatti anche se la definizione del procedimento penale dipenda nella sostanza dalla remissione della querela, non può farsi riferimento, ai fini della predetta decorrenza, al momento della conoscenza della intervenuta remissione, i cui effetti vengono in evidenza solo quando siano fatti rifluire nel processo, con l'accertamento da parte del giudice della improcedibilità dell'azione penale.

Conseguentemente, la Corte potentina, nell'individuare i diversi termini, iniziale del 26 gennaio 2010 (corrispondente alla data della notificazione del decreto di citazione a giudizio) e finale del 10 luglio 2011 (udienza nel corso della quale era stata depositata la rimessione della querela), è incorsa nel dedotto vizio di erronea applicazione delle norme invocate.

Dunque, alla luce delle considerazioni sopra svolte il ricorso va accolto ed il decreto impugnato deve essere cassato in relazione alle censure accolte, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione.

Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d'appello di Potenza, in diversa composizione.