Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo
Sentenza 29 luglio 2015, n. 585

Presidente: Mollica - Estensore: Gizzi

FATTO

La ricorrente, istituzione sanitaria privata autorizzata all'esercizio della relativa attività e provvisoriamente accreditata dalla Regione Abruzzo, ha impugnato gli atti in epigrafe individuati recanti linee negoziali per la regolamentazione dei rapporti in materia di prestazioni erogate dalla rete di strutture provvisoriamente accreditate per l'erogazione di prestazioni riabilitative ex art. 26 l. 833/1978 per l'anno 2013, spiegando altresì istanza risarcitoria per il risarcimento del danno ingiusto asseritamente causato per effetto degli atti e provvedimenti impugnati.

Per l'esercizio 2013, il Commissario ad acta ha assunto, in data 5 luglio 2013, il decreto n. 51 con il quale ha deciso di riassegnare e ripartire in favore dei Centri di riabilitazione provvisoriamente accreditati un tetto di spesa in misura pari a euro 62.525.771,00. Con successivo decreto assunto in data 12 settembre 2013 e recante il n. 65, il Commissario ha elevato il tetto del 2013 all'importo di euro 65.697.783,00.

Da qui il ricorso che deduce: 1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 8 e ss. del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e s.m.i. e di ogni altra norma e principio in materia di regolamentazione dei rapporti con le istituzioni sanitarie accreditate e di definizione dei limiti annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario, nonché del connesso principio di negoziabilità. Violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 113 Cost., e di ogni altra norma e principio in materia di diritto di azione a tutela dei diritti e degli interessi legittimi: il decreto commissariale impugnato impone la sottoscrizione dell'art. 20 dello schema di contratto ad esso allegato, che preclude alle strutture private accreditate la tutela costituzionalmente garantita avverso gli atti della Pubblica Amministrazione, essendo la struttura obbligata a stipulare il contratto pena la sospensione dell'accreditamento; deve invece essere consentita alla struttura la possibilità di far valere le proprie ragioni con la conseguente nullità di ogni clausola che disponga difformemente; una rinuncia preventiva ad adire il giudice sarebbe, infatti, violativa del diritto di difesa; 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 8 e ss. del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e s.m.i. e di ogni altra norma e principio in materia di regolamentazione dei rapporti con le Istituzioni sanitarie accreditate e di definizione dei limiti annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario, nonché del connesso principio di negoziabilità: del pari illegittimo è l'art. 14 dello schema di contratto allegato al provvedimento impugnato secondo il quale le prestazioni per le quali le UVM prevedono un setting assistenziale diverso (ad es. RSA e RA), nelle more del trasferimento del paziente presso la struttura pertinente, saranno remunerate secondo le tariffe vigenti per tale diversa tipologia assistenziale; per i casi in cui l'UVM considerasse appropriati nuovi settings assistenziali a fronte dei quali non fossero state ancora determinate le relative tariffe, le prestazioni interessate saranno riconosciute sulla base della tariffa minima corrispondente al setting assistenziale più affine a quello approvato; il sistema così delineato è tuttavia inattuabile, perché mai si potrebbe verificare l'ipotesi contemplata, ossia la modifica del setting assistenziale ad opera dell'UVM in sede di rivalutazione di un'autorizzazione a suo tempo concessa e in virtù della quale è stato autorizzato l'accesso alla struttura di riabilitazione; invece il Commissario, mediante il meccanismo contrattuale menzionato, intenderebbe obbligare la struttura ad erogare prestazioni sanitarie differenti rispetto a quelle accreditate e nell'interesse di un paziente oramai dimesso, con violazione del diritto alla salute di cittadini e delle prerogative della stessa struttura; il paziente ricoverabile in R.S.A. verrebbe così trattato presso una struttura riabilitativa non autorizzata né accreditata per tale attività, dunque non dotata di quelle caratteristiche strutturali e mediche necessarie per svolgere in maniera appropriata la relativa prestazione, con una remunerazione non commisurata ai costi che la struttura è obbligata a sostenere per il mantenimento dei requisiti strutturali e organizzativi richiesti per le strutture di riabilitazione, con distrazione del budget assegnato alla struttura per la riabilitazione in favore di altre tipologie di assistenza (R.S.A.); il Commissario inoltre non chiarisce quali sono i criteri in base ai quali l'UVM definisce un setting assistenziale appropriato oppure non appropriato verificando le prestazioni erogate dalle strutture, criteri che non sono stati ancora apprestati; ne consegue che le U.V.M. ridefiniranno i setting assistenziali dei pazienti trattati presso la struttura della ricorrente senza alcun parametro di riferimento, come dimostrato dal decreto n. 64/2012 con il quale il Commissario ad acta ha rinviato a successivo provvedimento l'aggiornamento dei protocolli relativi ai controlli delle prestazioni riabilitative, psicoriabilitative, di RSA e RA, in attesa della concreta attuazione del decreto commissariale n. 52/2012; anche il Ministero della Salute ha ritenuto le indicazioni regionali carenti di strumenti di valutazione delle complessive condizioni psicofisiche dei pazienti; mediante l'art. 14 il Commissario ad acta ha inteso dare anticipata attuazione del decreto commissariale n. 52/2012 senza procedere all'approvazione del protocollo in base al quale effettuare le verifiche delle prestazioni riabilitative e all'approvazione delle Linee guida regionali in base alle quali provvedere in maniera completa alla rivalutazione dei pazienti stessi; peraltro, non essendo stati definiti i nuovi settings assistenziali né le tariffe da applicare (e neppure le quote di compartecipazione), la struttura viene obbligata a rendere una prestazione senza conoscere il prezzo in base al quale la prestazione viene erogata; 3) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo dell'art. 8 e ss. del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e s.m.i. e di ogni altra norma e principio in materia di regolamentazione dei rapporti con le istituzioni sanitarie accreditate e in materia di definizione dei limiti annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità, errore sui presupposti e contraddittorietà con precedenti determinazioni della stessa Amministrazione. Violazione e falsa applicazione dell'art. 15 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 135; 4) Violazione e falsa applicazione della l.r. n. 32/2007, in quanto il commissario ha ammesso a contrattare anche le strutture provvisoriamente autorizzate ed accreditate ex art. 35 della l.r. n. 6 del 2009, ossia il Centro riabilitativo polivalente Primavera di Pineto, la Fondazione il Cireneo Onlus di vasto e il Centro Piccolo Principe di Pescara, senza previa verifica dei requisiti strutturali, organizzativi e di personale e senza adottare il provvedimento espresso di autorizzazione e accreditamento previa individuazione dei posti letto disponibili; 5) Violazione e falsa applicazione della l. n. 724 del 1994, della l. n. 549 del 1995, della l. n. 662 del 1996, della l. n. 449 del 1997, del d.lgs. n. 502 del 1992, della l.r. n. 32 del 2007, degli artt. 1175 e 1337 c.c. Eccesso di potere per errore sui presupposti, illogicità, difetto di motivazione, contraddittorietà e violazione del principio di affidamento. La fissazione dei tetti di spesa sarebbe intervenuta quando l'esercizio del 2013 era praticamente trascorso, così frustrando le aspettative di programmazione economica delle strutture interessate; 6) Eccesso di potere; contraddittorietà; illogicità manifesta; difetto di istruttoria: è irragionevole stabilire per le strutture che erogano prestazioni riabilitative un tetto di spesa invece di riconoscere a priori il pagamento delle prestazioni rese (solo ad opera delle strutture private provvisoriamente accreditate e non già dalle strutture pubbliche, fatta eccezione per una piccola struttura in L'Aquila), prescritte dal medico di base e autorizzate dalle U.V.M.

Concludeva per l'accoglimento del ricorso e dell'istanza cautelare.

Si costituiva l'Amministrazione chiedendo il rigetto del ricorso e dell'istanza cautelare, stante la piena legittimità degli atti impugnati.

Si costituivano altresì la Fondazione il Cireneo Onlus per L'Autismo e il Centro Riabilitativo Polivalente Primavera.

Le parti depositavano memorie illustrative e repliche.

All'esito della pubblica udienza del 27 maggio 2015, il Collegio riservava la decisione in camera di consiglio.

DIRITTO

I. Il ricorso all'esame ha ad oggetto i decreti regionali con i quali sono stati determinati i tetti di spesa per le prestazioni sanitarie riabilitative per l'anno 2013, impugnati, sotto diversi profili, da numerose strutture private.

II. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce l'illegittimità della clausola contenuta nell'art. 20 dello schema di contratto allegato all'atto determinativo dei tetti di spesa che giova testualmente riportare: "1. Con la sottoscrizione del presente accordo la Struttura accetta espressamente, completamente ed incondizionatamente il contenuto e gli effetti dei provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa di determinazione delle tariffe e ogni altro atto agli stessi collegato o presupposti, in quanto atti che determinano il contenuto del contratto. 2. In considerazione dell'accettazione dei provvedimenti indicati al comma 1 (ossia i provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, delle tariffe ed ogni altro atto agli stessi collegati o presupposti), con la sottoscrizione del presente contratto, la Struttura rinuncia alle azioni/impugnazioni già intraprese avverso i predetto provvedimenti ovvero ai contenziosi instaurabili contro i provvedimenti già adottati e conoscibili".

Secondo la ricorrente, la clausola in questione, imponendo la sottoscrizione del contratto a condizione della rinuncia ai contenziosi in atto o futuri relativi ai tetti di spesa (e atti collegati), sarebbe violativa del diritto di difesa, giacché la mancata sottoscrizione condurrebbe alla sospensione dell'accreditamento laddove la sottoscrizione comprimerebbe indebitamente il diritto di difesa a tutela di diritti e interessi legittimi.

II.1) Il cospicuo contenzioso cautelare insorto sulla clausola in questione è stato infine risolto dal Consiglio di Stato (con plurime ordinanze e, da ultimo, con ordinanza n. 906/2015), nel senso che "si è in presenza di oggettivi vincoli e stati di necessità rigorosamente quantitativi conseguenti al Piano di rientro al cui rispetto la regione è tenuta ai sensi della normativa vigente confermata da una consolidata e univoca giurisprudenza della Corte costituzionale; gli operatori privati non possono ritenersi estranei a tali vincoli e stati di necessità, che derivano da flussi di spesa che hanno determinato in passato uno stato di disavanzo eccessivo nella regione e che riguardano l'essenziale interesse pubblico alla corretta e appropriata fornitura del primario servizio della salute alla popolazione della medesima Regione per la quale gli stessi operatori sono dichiaratamente impegnati; le autorità competenti operano in diretta attuazione delle esigenze cogenti del Piano di rientro e del Programma operativo per tutti gli aspetti quantitativi e pertanto i medesimi non sono sostanzialmente negoziabili dalle parti come ha riconosciuto l'amplissima e univoca giurisprudenza di questa Sezione sui tetti di spesa; in questo contesto la sottoscrizione della clausola di salvaguardia (art. 20 dello schema negoziale), è imposta dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e dal Ministero della salute per esigenze di programmazione finanziaria, attraverso le prescrizioni elaborate all'esito della riunione del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali tenutasi il 21 novembre 2013. Tale clausola di conseguenza equivale ad un impegno della parte privata contraente al rispetto ed accettazione dei vincoli di spesa essenziali in un regime come quello esistente in Abruzzo, sottoposto al Piano di rientro; d'altro canto, in caso di mancata sottoscrizione, l'autorità politico-amministrativa non avrebbe alcun interesse a contrarre a meno di non rendere incerti i tetti di spesa preventivati, né potrebbe essere obbligata in altro modo alla stipula...; pertanto si può escludere ad un primo esame la violazione del diritto costituzionale ad agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi limitatamente agli aspetti quantitativi relativi alle concrete fattispecie in essere, dal momento che: a) la clausola è limitata a definire un conflitto già in essere o potenziale relativo a concrete e definite questioni; b) chi intende operare nell'ambito della sanità pubblica deve accettare i limiti in cui la stessa sanità pubblica è costretta, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, pur in presenza di restrizioni finanziarie, beni costituzionali di superiore valore quale i livelli essenziali relativi al diritto di salute; c) in alternativa, agli operatori resta la scelta di agire come privati nel privato; in tali circostanze dominate dalla esistenza di un grave disavanzo e dalla necessità di corrispondere comunque a superiori diritti costituzionali facenti capo alla generalità della popolazione, la clausola di salvaguardia, in quanto sia limitata ai rapporti già in essere o che vengano contestualmente stipulati e ai loro aspetti quantitativi, possa equivalere ad una formula transattiva necessaria in presenza di fattori e vincoli di ordine costituzionale e finanziario che sovrastano la volontà delle parti".

Nella sostanza, il Consiglio di Stato, riconducendo la clausola in questione a parte di un regolamento contrattuale, ne fa discendere la natura di "formula transattiva" ("in quanto sia limitata ai rapporti già in essere o che vengano contestualmente stipulati e ai loro aspetti quantitativi"), come tale rimessa all'autonomia negoziale delle parti (pubblica e privata) non affatto "costrette" ad accettarla, posto che l'alternativa, per le strutture private, sarebbe rimanere nel mercato libero.

II.2) Le perspicue e doviziose argomentazioni spese dal Consiglio di Stato non possono evidentemente essere eluse nella presente fase di merito.

Il Collegio tuttavia intende vieppiù approfondire la questione osservando quanto segue.

L'impugnazione della clausola suddetta è, dal punto di vista delle strutture ricorrenti, strumentale a veicolare in sede contenziosa pretese a una diversa regolamentazione del rapporto con l'Autorità amministrativa.

Dette pretese possono o meno riguardare profili attinenti agli "aspetti quantitativi" del rapporto, che, secondo il Consiglio di Stato, restano gli unici "coperti" dalla clausola "transattiva" in questione.

Il che imporrebbe comunque la disamina, nel merito, delle censure sollevate per valutarne la riconducibilità ad "aspetti quantitativi del rapporto" e, a cascata, la loro inammissibilità in ragione della eventuale sottoscrizione della prevista clausola negoziale.

Ove, al contrario, la contestazione vertesse su questioni non "coperte" dalla clausola, la stessa sarebbe del tutto irrilevante ai fini del giudizio.

Naturalmente, incombe sulla struttura la scelta se sottoscrivere il contratto (e la clausola) ovvero rifiutare la sottoscrizione accettando i rischi a tanto connessi, ivi compresa l'eventuale sospensione dell'accreditamento che tuttavia, come anche questo TAR ha già in passato evidenziato, non conseguirebbe automaticamente alla mera mancata stipula ma alla sostanziale carenza di "giusti motivi" per rifiutare la stipula; e tali sarebbero certamente i motivi connessi alle scelte amministrative a monte del contratto.

II.3) Sotto diverso profilo, la richiamata natura "strumentale" dell'impugnazione della clausola ne dequota la autonoma considerazione non avendo evidentemente la ricorrente alcun interesse a vedere annullata la (sola) clausola in caso di ritenuta infondatezza delle censure di merito proposte.

Al contrario, ove le censure di merito, ex se ammissibili e/o fondate, trovassero positiva considerazione, proprio l'impugnazione "strumentale" della clausola ne consentirebbe l'azionabilità.

Le sorti del primo motivo di ricorso restano dunque inevitabilmente connesse con la disamina del merito come segue.

III. Con il secondo motivo, la ricorrente impugna l'art. 14 dello schema di contratto allegato all'atto determinativo dei tetti di spesa, che imporrebbe alle strutture la remunerazione di prestazioni diverse da quelle fissate all'atto dell'ingresso del paziente in difetto di specifica regolamentazione delle modalità di modifica dei settings assistenziali ovvero (ove si imponessero prestazioni diverse da quelle riabilitative ex art. 26) in contrasto con lo stesso titolo di accreditamento.

III.1) Il motivo è infondato.

Questo TAR, con sentenza n. 84/2015, ha già avuto modo di affrontare la questione, ritenendo che "appare... ragionevole, non illogico né foriero di discriminazioni e conforme ai criteri di economicità ed efficienza l'applicazione, anche alla struttura ricorrente: a) del criterio di remunerazione tariffaria previsto dall'art. 14 dello schema negoziale approvato con decreto commissariale n. 51/2013, secondo il quale "per le prestazioni per le quali le UVM prevedano un setting assistenziale diverso (ad es. RSA e RA), nelle more del trasferimento del paziente presso la struttura pertinente, le prestazioni erogate saranno remunerate secondo le tariffe vigenti per tale diversa tipologia assistenziale..." e b) del criterio di liquidazione disposto con l'atto del Commissario 13 settembre 2013, n. RA/225407, secondo il quale "per i casi in cui l'UVM considerasse appropriati nuovi settings assistenziali a fronte dei quali non fossero state ancora determinate le relative tariffe, di riconoscere prudenzialmente le relative prestazioni sulla base della tariffa minima corrispondente al setting assistenziale più affine a quello appropriato"; tanto sulla scorta delle considerazioni che "la circostanza che le prestazioni rese erano state tutte autorizzate dalle Unità di valutazione multidimensionale (U.V.M.) non esclude che, alla luce di verifiche effettuate ex post sulle cartelle cliniche dei pazienti in trattamento (...) la non appropriatezza dei trattamenti autorizzati rispetto a quelli poi effettivamente erogati ai pazienti, il che non appare affatto illogico e contraddittorio ma compatibile con i progressi e l'evoluzione clinica dei pazienti. Di conseguenza la scelta di remunerare le prestazioni secondo il setting assistenziale appropriato alle condizioni effettive dei pazienti e ai trattamenti meno impegnativi a questi effettivamente erogati, lungi dal rivelarsi manifestamente illogica e contraddittoria, è invece coerente non solo con il principio privatistico di corrispettività delle prestazioni, ma anche con il principio di efficienza ed economicità che deve informare l'azione amministrativa, tanto più in una situazione straordinaria e di emergenza, quale quella della regione Abruzzo, in cui il Commissario ad acta nominato dal Consiglio dei Ministri in data 11 dicembre 2009 nella persona del presidente pro tempore della regione è tenuto ad attuare un piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario".

III.2) Il Collegio non ha ragioni per discostarsi dall'orientamento già assunto, dovendosi, nondimeno, precisare che la questione, come nella presente sede sollevata dalla ricorrente, e il suo stesso interesse non riguardano tanto la misura del corrispettivo da erogarsi (regolata dall'atto impugnato sulla base dei criteri già disaminati dal TAR e fondamentalmente riconducibili al già sopra richiamato principio di corrispettività), quanto le modalità con cui si perviene alla diversa valutazione di appropriatezza della prestazione, modalità che tuttavia non discendono affatto dall'atto impugnato ma che sarebbero - alternativamente - non ancora definite o compiutamente attuate (e dunque, nella sostanza, non operative, con conseguente inapplicabilità del descritto meccanismo di "regressione tariffaria") ovvero regolate da altro atto (di pianificazione, di determinazione linee guida o similari) non oggetto del presente giudizio.

III.3) Nel merito, invero, la ricorrente pretenderebbe di rendere immodificabile il setting assistenziale di ingresso del paziente e di ancorare la tariffa erogabile a quella applicabile al trattamento, appunto, d'ingresso anche in ipotesi di ipotizzata modifica del setting nel senso dell'erogabilità di un trattamento meno impegnativo, e tanto in sede di proroga del trattamento ovvero di determinazione assunta sulla prosecuzione delle cure alla scadenza del periodo inizialmente preventivato.

Tanto sulla scorta di due distinte considerazioni, l'una relativa alla pretesa mancanza di criteri per la definizione della verifica di appropriatezza dei setting riabilitativi, l'altra alla pretesa illegittimità dell'imposizione, alle strutture accreditate per le prestazioni riabilitative, di rendere prestazioni diverse (per le quali non sarebbero in tesi accreditate) così sopportando costi (e utilizzando il budget) invece necessari al mantenimento dei requisiti strutturali di una struttura riabilitativa. Osserva il Collegio che una volta accertato che le strutture riabilitative possono erogare anche prestazioni diverse da quelle ex art. 26 in sede di proroga del trattamento del paziente, compatibilmente con la disponibilità delle strutture, ne consegue che la tariffazione non può che essere congruente con la diversa prestazione resa o a rendersi, come ritenuta appropriata dalle UVM, e non restare immutabilmente ancorata alla diagnosi di ingresso ovvero alla qualificazione "nominale" della struttura.

È del tutto evidente, infatti, che il diverso trattamento consegue non già ad una valutazione ex post addirittura successiva all'erogazione della prestazione ma "prima" che tale diversa prestazione sia effettivamente erogata, con la conseguenza che non sarebbe più pretensibile la remunerazione erogabile per il più impegnativo trattamento prescritto in fase di ingresso ma ritenuto non più "proprio" all'esito della detta rivalutazione del paziente.

Né sarebbe ragionevole (e neppure sostenibile sul piano economico da parte dell'Amministrazione) la pretesa delle strutture di continuare ad erogare una più complessa prestazione non più "utile" per il paziente solo perché tale è stata la valutazione iniziale, evidentemente non immutabile ma inevitabilmente sottoposta a revisione nel corso del tempo.

IV. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.

IV.1) Sostiene la ricorrente: a) che le disposizioni sulla spending review non sarebbero applicabili alle prestazioni riabilitative, ma solo alle prestazioni di assistenza ospedaliera e di specialistica ambulatoriale (art. 15, comma 14, d.l. n. 95/2012, conv., con modificazioni alla l. n. 135/2012); b) che, comunque, non sarebbe giustificato l'abbattimento nella misura del 5% a fronte di riduzioni complessive del 2% per le altre branche come prevista dalla disposizione della spending review rispetto alla spesa consuntivata per l'anno 2011; c) che il Commissario non avrebbe tenuto conto di quanto previsto dal comma 14 dell'art. 15 del d.l. 95/2012 per effetto del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, conv., con mod. in l. 9 agosto 2013, n. 98 secondo il quale "qualora nell'anno 2011 talune strutture private accreditate siano rimaste inoperative a causa di eventi sismici e per effetto di situazioni di insolvenza, le indicate percentuali di riduzione della spesa possono tenere conto degli atti di programmazione regionale riferiti alle predette strutture rimaste inoperative, purché la regione assicuri, adottando misure di contenimento dei costi su altre aree della spesa sanitaria, il rispetto dell'obiettivo finanziario previsto dal presente comma"; d) che, invece, nella specie sarebbe mancata ogni valutazione in ordine alla effettiva produzione realizzata dalle strutture rimaste inattive per le ragioni legate al sisma o allo stato di insolvenza del gruppo Villa Pini; e) che l'abbattimento non sarebbe neppure giustificato dalla riduzione di 600 milioni di euro contemplata dalla successiva l. n. 228/2012 che riguarda le spese connesse ai contratti di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi ma non quelle connesse all'acquisto di prestazioni sanitarie, oggetto di specifica e autonoma regolamentazione; f) che, dunque, le strutture sanitarie riabilitative non sarebbero destinatarie di alcuna misura normativa diretta di riduzione della spese e che la misura dell'abbattimento sarebbe stata decisa immotivatamente, in percentuale irragionevole in quanto superiore anche alla percentuale prevista dal legislatore del 2013 per l'assistenza specialistica ambulatoriale e per l'assistenza ospedaliera.

IV.2) Il motivo è infondato.

Giova anzitutto evidenziare che la Regione non ha affatto inteso applicare le disposizioni relative alla spending review (automatica decurtazione percentuale della spesa nella misura normativamente prevista) ma ha viceversa autonomamente imposto, nel 2013, il taglio operato quale misura attuativa del piano di rientro, idonea, come altre, relative a diverse ambiti, a conseguire gli obiettivi di risparmio programmati, intervenendo anche sul livello di spesa per gli acquisti delle prestazioni sanitarie presso gli operatori privati accreditati.

Sul punto, anche la Corte costituzionale, fin dagli anni '90, con monito tuttora valido, ha osservato che i diritti sociali a prestazione positiva, quali il diritto alla salute, devono confrontarsi necessariamente con le risorse a disposizione dell'amministrazione e ciò vale a maggior ragione in presenza delle esigenze di risanamento della finanza pubblica (cfr. Corte cost., 23 luglio 1992, n. 356, secondo al quale "non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni quale ne sia la gravità e l'urgenza: è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie da determinarsi previa valutazione delle priorità e compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute...").

Le risorse disponibili per la copertura della spesa costituiscono, quindi, un limite invalicabile non solo per l'amministrazione ma anche per i privati operatori e proprio a garanzia di una corretta gestione delle disponibilità finanziarie è prevista la citata attività di programmazione (cfr., sul punto, ex multis, C.d.S., Ad. plen., 12 aprile 2012, n. 3).

La questione è, evidentemente, ancora più pregnante a seguito della concreta operatività dell'obbligo di pareggio di bilancio, a seguito della riforma di cui alla l. cost. n. 1/2012 , derivante dal c.d. "Fiscal Compact", con riferimento al quale va operato il bilanciamento a livello costituzionale tra l'art. 81 e l'art. 41 Cost.

Ne consegue che la descritta finalità di riduzione della spesa è autosufficiente a motivare il descritto "taglio" che, peraltro, per quanto è dato evincere dai dati di fatturato esibiti dalla difesa di parte resistente, non produce, in particolare per la posizione della ricorrente, alcun significativo scostamento.

V. Con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della l.r. n. 32/2007, in quanto il commissario ha ammesso a contrattare anche le strutture provvisoriamente autorizzate ed accreditate ex art. 35 della l.r. n. 6 del 2009, ossia il Centro riabilitativo polivalente Primavera di Pineto, la Fondazione il Cireneo Onlus di Vasto e il Centro Piccolo Principe di Pescara, senza previa verifica dei requisiti strutturali, organizzativi e di personale e senza adottare il provvedimento espresso di autorizzazione e accreditamento previa individuazione dei posti letto disponibili.

Il motivo di ricorso è infondato, in quanto, come dedotto dalle strutture controinteressate e dall'Amministrazione resistente, il Centro riabilitativo polivalente Primavera di Pineto, la Fondazione il Cireneo Onlus di Vasto e il Centro Piccolo Principe di Pescara risultano titolari del provvedimento di autorizzazione definitiva rilasciato, ai sensi della l.r. n. 32 del 2007, dai comuni di rispettiva competenza, che ne hanno pertanto verificato i requisiti strutturali e organizzativi.

Detti soggetti, peraltro, risultando provvisoriamente accreditati, erano titolati a negoziare con l'Amministrazione regionale, senza alcuna ulteriore verifica da parte di questa.

Per quanto concerne poi le doglianze relative al centro Maristella s.r.l., di cui la ricorrente lamenta l'ammissione alla contrattazione, osserva il Collegio che i decreti commissariali gravati evidenziano come sia stata autorizzata la voltura dell'accreditamento provvisorio relativo all'attività di riabilitazione in capo alla società Maristella s.r.l. in favore della società CISE s.r.l. e come il commissario abbia concesso il nulla osta al trasferimento del centro riabilitativo presso la struttura sita in Palena (Medical Center Maria Ausiliatrice). Ciò appare sufficiente a giustificare l'ammissione dell'ex Maristella s.r.l., oggi CISE s.r.l., alla negoziazione con l'Amministrazione sanitaria.

VI) Con il quinto motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione del principio di affidamento, perché la fissazione dei tetti di spesa sarebbe intervenuta quando l'esercizio del 2013 era praticamente trascorso, così frustrando le aspettative di programmazione economica delle strutture interessate.

VI.1) La giurisprudenza amministrativa, a partire dalle sentenze n. 3 e 4 del 2012 dell'Adunanza Plenaria, ha chiarito i limiti di tutela dell'affidamento delle strutture sanitarie private di fronte alla fissazione di tetti di spesa ad effetto retroattivo.

In sintesi, l'esercizio, con effetto ex tunc, del potere di programmazione per la fissazione di tetti di spesa sanitaria si deve svolgere in modo da bilanciare l'esigenza del contenimento della spesa con la pretesa degli assistiti a prestazioni sanitarie adeguate e, soprattutto, con l'interesse degli operatori privati ad agire con logica imprenditoriale sulla base di un quadro, nei limiti del possibile, certo e chiaro circa le prestazioni remunerabili e le regole applicabili. La tutela di tale affidamento richiede, pertanto, che le decurtazioni imposte al tetto dell'anno precedente, ove retroattive, siano contenute, salvo congrua istruttoria e adeguata esplicitazione all'esito di una valutazione comparativa, nei limiti imposti dai tagli stabiliti dalle disposizioni finanziarie conoscibili dalle strutture private all'inizio e nel corso dell'anno. Più in generale, la fissazione di tetti retroagenti impone l'osservanza di un percorso istruttorio, ispirato al principio della partecipazione, che assicuri l'equilibrato contemperamento degli interessi in rilievo, nonché esige una motivazione tanto più approfondita quanto maggiore è il distacco dalla prevista percentuale di tagli (cfr. C.d.S., Ad. plen., 12 aprile 2012, n. 3 e n. 4).

Sono pertanto legittime le determinazioni regionali che fissano in corso d'anno, con effetto retroattivo dall'inizio dell'anno, tetti massimi di spesa con riguardo alle prestazioni sanitarie già rese dalle strutture private accreditate, posto che le strutture private, fino a quando non venga adottato un provvedimento definitivo di determinazione del tetto di spesa, ben possono fare affidamento sull'entità della spesa dell'anno precedente, diminuita dell'ammontare corrispondente alla quota di riduzione della spesa sanitaria stabilita dalle norme finanziarie per l'anno in corso (cfr., oltre ad Ad. plen., n. 3/2012, da ultimo, sez. III, 18 giugno 2013, n. 3327 e 8 luglio 2013, n. 3590; sez. III, 10 dicembre 2014, n. 6065).

VI.2) Nel caso in esame, in cui si controverte sulla legittimità dei tetti di spesa regionali, la relativa determinazione è avvenuta sì ad anno inoltrato, ma pochi giorni dopo la fine del primo semestre dell'anno. Il decreto commissariale n. 51, infatti, è stato adottato in data 5 luglio 2013, mentre il successivo decreto n. 65, assunto in data 12 settembre 2013, ha determinato solamente un aumento del tetto fissato dal precedente decreto n. 51 e, quindi, non può considerarsi, in sé per sé lesivo di alcun affidamento.

Inoltre, è stato confermato il tetto di spesa già determinato per gli anni precedenti, con una riduzione del 5%.

In conclusione, sia per l'epoca in cui il decreto di fissazione dei tetti di spesa è stato adottato, sia per l'entità della riduzione rispetto all'entità di spesa degli anni precedenti, sia per le modalità di adozione del decreto commissariale stesso, notificato alle strutture interessate che godevano di un tempo per presentare eventuali osservazioni e controdeduzioni, deve ritenersi che il motivo di ricorso in esame sia infondato.

VII) Con il sesto motivo, la ricorrente deduce la illegittimità della stessa determinazione dei tetti di spesa sul rilievo che la natura "autorizzata" della prestazione (a seguito di rituale prescrizione medica) sarebbe "autosufficiente" a renderla di per sé remunerabile senza limiti quantitativi.

Il motivo, potenzialmente idoneo a minare alla radice l'intero sistema di programmazione sanitaria, è infondato.

Detto sistema è invece indiscutibilmente fondato sul principio della necessaria previa programmazione sanitaria che investe il controllo sul volume complessivo della domanda quantitativa delle prestazioni mediante la fissazione di livelli uniformi di assistenza sanitaria e l'elaborazione di protocolli diagnostici e terapeutici, ai quali i medici di base devono attenersi nella prescrizione delle prestazioni; tale principio, applicabile sia alle aziende ospedaliere che ai soggetti, pubblici e privati, accreditati, è stato da ultimo confermato, con modifiche, dall'art. 1, comma 32, della l. 23 dicembre 1996, n. 662.

L'evoluzione normativa ha accentuato, e non affievolito, la natura autoritativa della programmazione sanitaria, come risultante dal combinato disposto dell'art. 32, comma 8, della l. 27 dicembre 1997, n. 449, dell'art 12, comma 3, del d.lgs. n. 502/1992 e dell'art. 39 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.

Il citato art. 32 della l. 449/1997 dispone in particolare che le regioni, proprio in attuazione della programmazione sanitaria, tra l'altro individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni; il citato art. 12, comma 3, del d.lgs. 502/1992 statuisce, per parte sua, che il Fondo sanitario nazionale è ripartito con riferimento al triennio successivo entro il 15 ottobre di ciascun anno, in coerenza con le previsioni del disegno di legge finanziaria per l'anno successivo, dal CIPE, su proposta del Ministero della sanità, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome; infine l'art. 39, comma 1, del d.lgs. 446/1997 statuisce che il CIPE, su proposta del Ministero della sanità, d'intesa con la Conferenza stato-regioni, delibera annualmente l'assegnazione in favore delle regioni, a titolo di acconto, dell'importo complessivo presunto del gettito dell'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche di cui all'art. 50 e della quota del gettito dell'imposta regionale sulle attività produttive di cui all'art. 38, comma 1, stimati per ciascuna regione. Il CIPE con le predette modalità provvede entro il mese di febbraio dell'anno successivo all'assegnazione definitiva in favore delle regioni delle quote del fondo sanitario nazionale, parte corrente, ad esse effettivamente spettanti, salve le eventuali compensazioni cui dovrà procedere il ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

Su tali basi, solidamente fondate su previsioni di spesa vincolate e vincolanti, giacché condizionate alle rigidità connaturate alla finanza da trasferimento, le Regioni hanno il compito di adottare le determinazioni di natura autoritativa, aventi ad oggetto i limiti alla spesa sanitaria, in coerenza con l'esigenza che l'attività dei soggetti operanti nel sistema sanitario si svolta nell'ambito della descritta pianificazione finanziaria, e tale funzione programmatoria, a garanzia della corretta gestione delle risorse disponibili, è dunque indispensabile, nella misura in cui la fissazione dei limiti di spesa costituisce l'adempimento di un obbligo, in grado di incidere sulle modalità di utilizzazione delle risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogate.

Le regioni, da parte loro, esercitano tale attività di programmazione con un'ampia discrezionalità attraverso il bilanciamento dell'interesse pubblico al contenimento della spesa e ad una maggiore efficienza delle strutture pubbliche, con il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate e con le aspettative degli operatori privati, ma nei limiti, per così dire ontologici, della programmazione finanziaria.

La determinazione di un "volume massimo di prestazioni erogabili dalla struttura" è, peraltro, espressamente prevista dall'art. 8 d.lgs. 28 luglio 2000, n. 254 così come la determinazione di un corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate.

L'atto programmatorio regionale si configura dunque come indispensabile e ineludibile strumento di equilibrio e di razionalizzazione della spesa per le strutture sanitarie pubbliche e private, attraverso cui l'amministrazione regionale fissa le direttive da seguire in sede di determinazione consensuale delle quantità e tipologie di prestazioni erogabili dal singolo operatore.

Del tutto eccentrica è dunque la pretesa di parte ricorrente di vedersi retribuite tutte le prestazioni erogate e non solo quelle perimetrate quantitativamente per effetto del budget assegnato.

Né giova, a sostegno delle tesi ricorrente, il richiamo alla sentenza Consiglio di Stato n. 5242/2012 che riguarda la diversa fattispecie della remunerabilità di R.S.A. extrabudget ("in relazione alla remunerazione per le prestazioni extrabudget effettivamente erogate...") e che dunque segue necessariamente una verifica a consuntivo ma anche regole diverse di remunerabilità delle prestazioni.

VIII. La ritenuta infondatezza del ricorso impugnatorio fa conseguire il rigetto dell'istanza risarcitoria pure spiegata.

IX. La complessità delle questioni trattate consente la integrale compensazione delle spese di giudizio, fatta eccezione per il contributo unificato che grava, come per legge, su parte ricorrente soccombente.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo - L'Aquila, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate e contributo irripetibile.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

R. Garofoli

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