Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 14 luglio 2015, n. 35840

Presidente: Cortese - Estensore: Boni

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto reso in data 9 ottobre 2014 il Magistrato di Sorveglianza di Torino dichiarava inammissibile il reclamo, proposto ai sensi dell'art. 35-ter ord. pen. da J.I.M.S. per ottenere la riduzione della pena detentiva, secondo quanto previsto dall'art. 1 del d.l. 26 giugno 2014, n. 92, convertito nella l. 11 agosto 2014, n. 117; a fondamento della decisione rilevava, quale condizione ostativa all'accoglimento della domanda, la mancata indicazione della data di presentazione del ricorso già pendente innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l'interessato personalmente, il quale ne ha chiesto l'annullamento, deducendo di avere inserito nel proprio reclamo l'indicazione del mese di presentazione del ricorso alla Corte EDU, ma non il giorno perché circostanza a lui non nota, nonché il numero col quale lo stesso era stato protocollato, sicché da esso era possibile risalire alla data completa di presentazione.

Ha quindi illustrato le condizioni disumane e degradanti nelle quali aveva espiato pena detentiva presso vari istituti penitenziari, il tutto in contrasto con i principi di cui all'art. 27 Cost. e dell'art. 3 CEDU secondo quanto già riconosciuto dalla pronuncia della Corte di Strasburgo nel noto caso Torreggiani c. Italia. Ha dunque chiesto di accertare la lesione dei propri diritti soggettivi di detenuto, come riconosciuti dagli artt. 1, 5, 6 e 12 l. 354/1975, artt. 6 e 7 d.P.R. n. 230/2000, art. 3 CEDU, artt. 2, 3 e 27 Cost., e disporre la detrazione di pena pari a un giorno per ogni dieci giorni di detenzione, con ciò riformando il decreto impugnato.

3. Con requisitoria scritta depositata in data 26 gennaio 2015 il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. Paolo Canevelli, ha chiesto qualificarsi il ricorso come reclamo e trasmettersi gli atti al Tribunale di Sorveglianza di Torino.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato e va dunque accolto.

1. In primo luogo si ritiene di dover dissentire dalle conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale presso questa Suprema Corte e di dover confermare il corretto esperimento nel caso in esame del ricorso per cassazione.

1.1. Si consideri, in proposito, che l'originaria istanza veniva presentata dal M. in data 15 luglio 2014, in un momento nel quale era provvisoriamente vigente il disposto dell'art. 35-ter ord. pen., come introdotto dal d.l. 26 giugno 2014, n. 92, non ancora convertito con modificazioni nella l. 11 agosto 2014, n. 117, recante, tra l'altro: "Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali". In particolare, il legislatore ha introdotto nell'ordinamento degli specifici rimedi risarcitori e comunque compensativi a favore di quanti abbiano subito il pregiudizio, costituito dalla sottoposizione a detenzione in condizioni tali da violare l'articolo della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nell'interpretazione offertane dalla Corte EDU, consentendo loro di ottenere una riduzione della pena ancora da espiare, ovvero una somma di denaro commisurata alla protrazione dell'esecuzione carceraria della pena detentiva nelle condizioni, degradanti ed inumane, perciò non conformi con le prescrizioni convenzionali. Ha quindi regolato anche il procedimento da attivarsi da parte dell'interessato per ottenere il riconoscimento di tali rimedi e la competenza a provvedervi: al riguardo, mediante il rinvio testuale alla previsione dell'art. 69, comma 6, lett. b), della legge di ordinamento penitenziario, per coloro che non versino nelle situazioni previste dal terzo comma dell'art. 35-ter, - ossia non abbiano subito il lamentato pregiudizio in stato di custodia cautelare, non computabile nella pena definitiva da scontare, oppure non abbiano già terminato l'espiazione in carcere -, ha inteso rendere esperibile lo strumento del reclamo giurisdizionale delineato dall'art. 35-bis della stessa legge, da rivolgere al magistrato di sorveglianza secondo uno specifico procedimento.

1.2. Viene dunque richiamata espressamente la disciplina processuale di cui agli artt. 666 e 678 c.p.p. che governa il procedimento di sorveglianza ed impone l'attivazione del contraddittorio tra le parti, esteso anche all'amministrazione penitenziaria interessata, e la fissazione dell'udienza in camera di consiglio per dar modo alle stesse di partecipare ed interloquire innanzi al giudice. È altresì contemplata, quale eccezione alla regola generale, la possibilità di un epilogo decisorio anticipato del reclamo in termini d'inammissibilità ai sensi del secondo comma dell'art. 666 c.p.p., mediante pronuncia di decreto reso con procedura "de plano" ed in assenza di contradditorio, quando l'istanza sia stata "già rigettata (perché, n.d.r.), basata sui medesimi elementi", ovvero sia "manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge".

I commi 4 e 5 dell'art. 35-bis contengono anche la regolamentazione del regime d'impugnazione avverso la decisione del magistrato di sorveglianza, che è contestabile dall'interessato mediante reclamo al tribunale di sorveglianza nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito del provvedimento, mentre la decisione del predetto tribunale è ricorribile per cassazione, entro il termine di quindici giorni dalla notifìcazione o comunicazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza, per il solo vizio di violazione di legge.

1.3. L'analisi dei testi normativi di riferimento non può però arrestarsi agli artt. 35-bis e 35-ter della l. n. 354/1975; deve tenersi nel debito conto anche la disposizione dell'ultimo periodo dell'art. 666 c.p.p., comma 2, la quale prevede espressamente che contro il decreto d'inammissibilità, reso "de plano", sia proponibile ricorso per cassazione.

1.4. Né in senso contrario, è sufficiente richiamare quanto stabilito da questa sezione prima con la sentenza n. 315 del 17 dicembre 2014 (dep. 8 gennaio 2015), Le Pera, rv. 261706, secondo la quale "avverso l'ordinanza del magistrato di sorveglianza resa sull'istanza del detenuto per ottenere il risarcimento dei danni patiti per le condizioni della detenzione è ammesso il reclamo al tribunale di sorveglianza ex art. 35-bis, comma quarto, ord. pen., ma non il ricorso diretto per cassazione che, se proposto dopo l'entrata in vigore dell'art. 3 del d.l. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014), va qualificato come reclamo e trasmesso al detto tribunale per il principio di conservazione dell'impugnazione espresso nell'art. 568, comma quinto, c.p.p.". Tale decisione, al contrario, non contrasta con la linea interpretativa sopra esposta, dal momento che riguarda un caso in cui, ad onta della decisione espressasi in termini d'inammissibilità, la stessa era stata assunta nella forma dell'ordinanza ed all'esito di compiuta istruttoria, quindi all'esito di una approfondita disamina sulla fondatezza della domanda ed al di fuori dello schema procedurale di cui all'art. 666 c.p.p., comma 2.

2. Così ricostruita l'attuale cornice normativa di riferimento, l'analisi condotta in via sistematica dell'art. 35-bis citato nei suoi vari commi induce a ritenere che la previsione del reclamo al tribunale di sorveglianza riguardi soltanto le decisioni assunte dall'ufficio di sorveglianza che si sia pronunciato sul merito del reclamo, accogliendolo o respingendolo e che la declaratoria di inammissibilità sia contestabile unicamente mediante ricorso per cassazione e ciò in coerenza con la previsione più generale dell'art. 666 c.p.p., comma 2, richiamata nella sua interezza e senza eccezioni di sorta dal primo comma dell'art. 35-bis. Tale lettura, oltre a rispettarne la formulazione testuale ed il significato logico del richiamo all'art. 666, offre il vantaggio di assicurare alle parti la possibilità di uno scrutinio di merito, esteso a tutte le questioni coinvolte ed articolabile in due successivi gradi innanzi a giudici dotati di pieni poteri di cognizione sul fatto quando la decisione si sia addentrata in tali profili, mentre quando si sia limitata al riscontro immediato e formale d'inammissibilità siffatto raddoppio del sindacato di merito non è necessario ed è esperibile il solo controllo di legittimità.

Pertanto, tenuto conto del tenore della decisione impugnata nel caso di specie, l'impugnazione proposta non va riqualificata come reclamo e non va inoltrata al Tribunale di sorveglianza.

3. Tanto premesso, nel merito il ricorso va accolto, in quanto il provvedimento in verifica ha proposto un'interpretazione restrittiva, formalistica e non convincente del disposto dell'art. 2, comma 3, del d.l. n. 92/2014. Tale disposizione così stabilisce:

"Art. 2 - Disposizioni transitorie // 1. Coloro che, alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, hanno cessato di espiare la pena detentiva o non si trovano più in stato di custodia cautelare in carcere, possono proporre l'azione di cui all'articolo 35-ter, comma 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354, entro il termine di decadenza di sei mesi decorrenti dalla stessa data. // 2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, i detenuti e gli internati che abbiano già presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, sotto il profilo del mancato rispetto dell'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, possono presentare domanda ai sensi dell'articolo 35-ter, legge 26 luglio 1975, n. 354, qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità del ricorso da parte della predetta Corte. // 3. In tale caso, la domanda deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione della data di presentazione del ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo. // 4. La cancelleria del giudice adito informa senza ritardo il Ministero degli affari esteri di tutte le domande presentate ai sensi dei commi 2 e 3, nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge".

3.1. Ebbene, è erroneo ritenere inammissibile l'istanza per mancata specificazione della data di presentazione del ricorso alla Corte EDU. Nel caso di specie ricorre piuttosto una situazione di incompleta indicazione della data, avendo l'interessato precisato soltanto l'anno 2009 in cui aveva assunto tale iniziativa, mancando dunque i dati relativi a giorno e mese, ma tale carenza non pregiudica la possibilità di individuare la pratica pendente a nome del M., dal momento che tale operazione è comunque consentita dalla specificazione del numero della sua protocollazione e del codice a barre.

3.2. Va aggiunto che la finalità della prescrizione che impone al richiedente di corredare la domanda dell'indicazione della data di presentazione del ricorso alla Corte sovranazionale è quella di consentire la verifica circa l'eventuale intervento di una pronuncia sulla ricevibilità del ricorso stesso e l'eccezione, deducibile da parte del Governo italiano nei procedimenti ancora pendenti al momento di entrata in vigore della legge, del mancato esaurimento dei rimedi previsti dall'ordinamento interno.

Ebbene, siffatte finalità sono raggiungibili anche nel caso in cui la data di presentazione del ricorso non sia compiutamente declinata in giorno, mese ed anno, allorché l'avvenuto deposito del ricorso e la perdurante pendenza del procedimento siano egualmente riscontrabili mediante il contestuale riferimento ad anno, numero progressivo di iscrizione e nominativo del proponente, dati che offrono tranquillante certezza sulla circostanza di fatto da dimostrare e che realizzano la "ratio" della previsione. Le contrarie determinazioni assunte dal giudice di merito non sono condivisibili perché limitatesi alla considerazione letterale della norma, non estesa al suo significato logico-giuridico ed agli obiettivi dalla stessa perseguiti.

Pertanto, in accoglimento del ricorso, s'impone l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato con trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza di Torino per il prosieguo, che dovrà attenersi al principio di diritto sopra espresso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti al Magistrato di sorveglianza di Torino.

Depositata il 2 settembre 2015.

P. Corso

Codice di procedura penale

La Tribuna, 2024

M.N. Bugetti

Amministrazione di sostegno

Zanichelli, 2024

F. Caringella

Codice amministrativo

Dike Giuridica, 2024