Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 7 aprile 2015, n. 36213

Presidente: Marasca - Estensore: De Berardinis

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza in data 22 aprile 2014 la Corte di Appello di Bologna pronunziava la parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice monocratico del Tribunale di Ferrara, nei confronti di C. Antonio Gaetano Igor, responsabile dei reati di falso e truffa in danno del Comune per aver redatto false richieste di rimborso per sgravi fiscali (che risultavano a favore di contribuenti che avevano già adempiuto gli oneri fiscali), onde si trattava di sgravi inesistenti, in quanto non dovuti, come si desume dalla contestazione sub A) - reato ex art. 640 c.p. - accertato dal 17 settembre 2001 al dicembre 2007.

Il falso sub B) era contestato ai sensi dell'art. 479, in relazione all'art. 476 c.p. per aver redatto falsi atti pubblici.

Per tali reati la Corte dichiarava non doversi procedere perché estinti per prescrizione i fatti contestati sino al n. 36 (episodio accertato il 28 giugno 2006);

In riferimento agli episodi indicati in rubrica dal n. 37-38 sino al n. 53 (commesso in data 3 dicembre 2007) la Corte aveva rideterminato la pena in anni due e mesi dieci di reclusione, revocando la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque.

L'imputato era stato condannato al rimborso delle spese sostenute dalle costituite parti civili (Equitalia e Comune di Comacchio, e Provincia di Ferrara).

In fatto era emerso dalle indagini che l'imputato - che aveva qualifica di funzionario preposto al servizio Entrate del Comune di Comacchio, responsabile dell'accertamento e riscossione dei tributi - aveva presentato, per conto dell'Amministrazione comunale, alla Sifer, e poi ad Equitalia Ferrara (nuovo concessionario) richieste di rimborso non dovute, per l'importo totale di cui in sentenza, dal gennaio 2001 alla fine del 2007.

Dal testo della sentenza si evince che le disposizioni del Comune che avevano approvato il discarico e rimborso degli oneri fiscali, erano corredate da elenchi sottoscritti dall'imputato, che non corrispondevano a quelli inviati al concessionario (in quanto al concessionario erano indicati gli effettivi beneficiari delle somme oggetto di rimborso, ossia l'imputato o la moglie del predetto) mentre i nominativi indicati al Comune erano fittizi.

Nella specie il giudice di appello, innanzi al quale la difesa non aveva contrastato il merito in ordine alla sussistenza dei fatti per i quali l'imputato aveva ammesso gli addebiti, aveva disatteso le censure difensive inerenti alla diversa qualificazione giuridica del delitto di cui al capo 3), che l'appellante chiedeva di qualificare ai sensi dell'art. 480 c.p. riferito al falso in certificazioni amministrative.

La Corte aveva evidenziato a riguardo che l'imputato aveva agito nella qualità di pubblico dipendente del Comune, che aveva il compito di controllare anche d'ufficio la regolarità dei calcoli dell'importo di imposte versate dai cittadini, quali la Tarsu, ed altre.

In tale funzione il predetto, quale unico responsabile del procedimento amministrativo aveva falsificato le autorizzazioni per discarico amministrativo, che apparentemente risultavano a favore dei contribuenti, ed erano indirizzate prima a Sifer e poi ad Equitalia Ferrara s.p.a. Tali autorizzazioni erano peraltro formulate con riferimento agli accertamenti dell'ufficio, e dunque la Corte aveva escluso che la condotta potesse essere inquadrata nell'ambito della fattispecie del falso in certificazioni amministrative, essendo evidente che gli atti falsificati facevano seguito ad una valutazione del pubblico ufficiale.

In tal senso erano state considerate atti pubblici le "richieste di rimborso".

Inoltre era stata disattesa la censura inerente al difetto dei presupposti che integrano l'aggravante inerente al delitto di truffa (art. 640, comma secondo, n. 1, c.p.), ritenendo il reato commesso in danno di un ente pubblico: sul punto si evidenziava che ai fini della configurabilità di tale aggravante assume rilevanza la natura pubblicistica dei compiti ai quali risulta adibita Equitalia S.p.a. al pari di altre società, pur essendo queste a struttura privatistica, in sintonia con i principi sanciti da questa Corte (Cass., Sez. II, n. 42408 del 21 settembre 2012; Sez. V, n. 39837 del 2 luglio 2013) (fl.10 della sentenza).

Quanto al trattamento sanzionatorio la Corte aveva negato il giudizio di prevalenza delle già concesse attenuanti generiche, ed aveva considerato reato più grave il falso, condividendo la valutazione del primo giudice.

La pena era stata definita in riferimento al fatto sub n. 37, ritenuto di rilevante gravità (v. fl. 13 sentenza).

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo erronea qualificazione del reato di falso enunciato al capo 5) e vizi di contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

La difesa, nel ribadire che la condotta contestata era idonea a realizzare la fattispecie prevista dall'art. 480 c.p. (falso in certificati o autorizzazioni amministrative), censurava la decisione evidenziando che la stessa si basa sull'erroneo presupposto che l'imputato avesse un potere dispositivo, laddove invece la autorizzazione al rimborso (discarico) sarebbe stata da equiparare ad una mera "attestazione" di rimborso del pagamento di una tassa.

Censurava inoltre la contraddittorietà della decisione, in quanto veniva equiparato il potere di controllo del pubblico funzionario con quello dispositivo, mentre l'imputato si sarebbe limitato alla verifica delle condizioni che consentivano i rimborsi risultanti da documenti della amministrazione.

Infine evidenziava che l'autorizzazione al discarico era da considerare mera attestazione di rimborso delle somme erogate per pagamento tributi.

In base a tali rilievi il ricorrente riteneva configurabile l'ipotesi ex art. 480 c.p. (ritenendo tali atti dotati di funzione meramente ricognitiva del diritto del contribuente al rimborso).

RILEVA IN DIRITTO

Il ricorso è privo di fondamento.

In primo luogo va evidenziato che dal testo del provvedimento impugnato si desume l'adeguata motivazione resa dalla Corte territoriale in ordine alla valutazione degli elementi costitutivi dei reati ascritti all'odierno ricorrente, che in fatto non aveva contrastato l'accertamento delle condotte di falso e truffa ascrittegli in danno della P.A.

Va rilevato pertanto che i motivi di gravame hanno attinenza al tema della qualificazione giuridica della condotta ascritta al capo B), in riferimento alla quale il giudice di appello ha reso conto del corretto inquadramento normativo della contestazione riferita all'ipotesi contemplata dall'art. 479 c.p. (in relazione all'art. 476 c.p., con aggravante ex art. 61, n. 2, e continuazione ex art. 81 cpv. c.p.).

Va rilevato che le deduzioni della difesa ricorrente non valgono a porre in luce elementi idonei a smentire la qualificazione giuridica del fatto, come ritenuto in sentenza, essendo limitate alla negazione del potere attribuito all'imputato nell'esercizio delle sue funzioni amministrative.

Orbene, premesso che la Corte territoriale ha chiarito che le autorizzazioni al discarico amministrativo, che l'imputato aveva formulato, non si limitavano a riprodurre atti preesistenti, bensì contenevano una motivazione che si riferiva ad accertamenti eseguiti - mentre, d'altra parte, l'invio di richieste di rimborso alla Sifer ed a Equitalia erano la premessa per le delibere in tal senso adottate dalla P.A. - si osserva che la tesi difensiva inerente alla sussistenza della ipotesi prevista dall'art. 480 c.p. è destituita di fondamento, atteso che «al fine di qualificare come certificato amministrativo un atto proveniente da un pubblico ufficiale devono concorrere due condizioni: che l'atto non attesti i risultati di un accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente, ma riproduca attestazioni già documentate; che l'atto, pur quando riproduca informazioni desunte da altri atti già documentati, non abbia una propria distinta e autonoma efficacia giuridica, ma si limiti a riprodurre anche gli effetti dell'atto preesistente» (v. in tal senso Cass., Sez. V, 1° giugno 1999, n. 6912, rv. 213609).

Correttamente risultano qualificate come atti pubblici anche le richieste di rimborso, trattandosi di atti prodromici a successive delibere della P.A.

Sul punto appare evidente che la decisione impugnata è conforme all'indirizzo giurisprudenziale ivi annoverato (Cass., Sez. V, n. 14486 del 21 febbraio 2011 e Sez. VI, n. 11425 del 20 novembre 2012, per cui in tema di falso documentale rientrano nella nozione di atto pubblico anche gli atti interni, ovvero quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, nonché quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale ponendosi quale necessario presupposto di momenti procedurali successivi).

Tali principi trovano perfetta rispondenza nella vicenda processuale di cui è causa.

In conclusione si osserva pertanto che le censure articolate dal difensore sono prive di fondamento, in quanto non rappresentano elementi idonei a far ritenere l'assenza dei presupposti che impongono l'applicazione dell'ipotesi di falso in atto pubblico addebitata al ricorrente, la cui attività risulta, in riferimento alla condotta ritenuta dal giudice di merito, basata sul potere di accertamento tipico del pubblico ufficio rivestito, e idonea ad attivare le corrispondenti delibere della P.A.

Va quindi pronunziato il rigetto del ricorso, a cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, che vengono liquidate, per ciascuna di dette parti, in complessivi Euro 1.800,00, oltre accessori dovuti per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al rimborso delle spese sostenute dalle parti civili, spese che liquida in Euro 1.800,00 per ciascuna parte civile (Comune di Comacchio e Provincia di Ferrara), oltre accessori come per legge.

Depositata l'8 settembre 2015.

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