Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 11 settembre 2015, n. 17971

Presidente: Forte - Estensore: Acierno

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La Cris. Mar. società immobiliare s.r.l. conveniva in giudizio D.P., chiedendone la condanna al rilascio di un immobile adibito ad uso abitativo ritenuto occupato senza titolo dalla convenuta.

L'immobile era stato acquistato il 3 agosto 2006 dal proprio convivente R.R. che lo aveva già rilasciato.

La convenuta opponeva l'inammissibilità della domanda perché lesiva dei diritti delle figlie minori, avute dal convivente, che abitavano con lei l'immobile e rilevava che non era stata disposta la notifica della domanda al p.m. ex l. n. 54 del 2006.

Chiedeva la sospensione del procedimento in pendenza di giudizio davanti al Tribunale per i minorenni e nel merito affermava che la vendita era inefficace nei suoi confronti essendo stata accolta azione revocatoria da lei proposta.

Infine evidenziava che il Tribunale per i minorenni aveva accolto la sua domanda di assegnazione della casa familiare in qualità di collocataria delle figlie minori.

Il giudice di primo grado accoglieva la domanda di rilascio ritenendo che il provvedimento di assegnazione della casa familiare non fosse opponibile a terzi perché non trascritto e comunque successivo di due anni al trasferimento della proprietà del bene.

Sull'appello della convenuta la Corte d'Appello ha confermato la pronuncia di primo grado sulla base delle seguenti affermazioni:

l'azione proposta è sottoposta al rito ordinario. Ne consegue l'insussistenza di alcuna invalidità e lesione del contraddittorio;

il fatto che nel rogito d'acquisto sia scritto che l'immobile viene venduto nello stato di fatto e di diritto in cui si trova non sta ad indicare che fosse accettata da parte dell'acquirente l'occupazione di terzi;

il provvedimento di assegnazione della casa familiare non è opponibile all'acquirente perché l'immobile è stato acquistato anteriormente al predetto provvedimento in quanto la vendita è datata 3 agosto 2006 ed il provvedimento di assegnazione è del 15 novembre 2007. Il procedimento per rilascio è stato introdotto con ricorso depositato il 26 novembre 2006 ovvero anch'esso anteriormente al provvedimento di assegnazione in questione.

In conclusione l'alloggio è stato venduto in data antecedente di circa tre mesi alla proposizione del ricorso per l'affidamento dei minori e l'assegnazione dell'immobile come casa familiare;

non è infine contestato che il provvedimento di assegnazione non fu trascritto.

Non è applicabile alla specie né lo statuto della locazione né quello del comodato. Manca a tale ultimo riguardo la prova che il R. abbia rilasciato l'alloggio prima di averlo venduto, in quanto nell'ipotesi contraria egli non aveva titolo per lasciarlo in comodato alla convivente. L'onere della prova al riguardo era in capo alla M.

Infine quanto alla consapevolezza dell'acquirente dell'occupazione dell'alloggio non rileva secondo la Corte d'Appello che la legale del R. fosse socia della Cris. Mar., né che sua figlia ne fosse l'amministratrice dal momento che queste circostanze non determinano univocamente la conoscenza dell'occupazione dell'immobile. L'incidente relativo al procedimento disciplinare a carico del predetto legale per essere personalmente intervenuto al fine di acquistare ad un prezzo inferiore a quello di acquisto l'immobile al fine di sottrarlo agli obblighi derivanti dal credito alimentare in favore delle minori, non spiega effetti rispetto alla consapevolezza della preesistente occupazione dell'immobile. Peraltro tale aspetto risulta prospettato tardivamente e senza la preventiva instaurazione del contraddittorio.

Neanche l'accoglimento della revocatoria ha rilievo secondo la Corte territoriale in quanto l'azione di rilascio ha ad oggetto un diritto di godimento che non ha niente a che vedere con la consistenza del patrimonio del debitore.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la P., articolato in due motivi.

Nel primo motivo viene dedotta la violazione di legge per avere la Corte d'Appello applicato il rito ordinario invece che locatizio e per non aver disposto la partecipazione del P.M. essendovi figli minori. L'adozione del rito correttamente applicabile avrebbe determinato la corretta qualificazione della domanda come risoluzione di comodato con conseguente incremento anche dei poteri istruttori officiosi del giudice in funzione dell'interesse delle minori.

Nel secondo motivo viene dedotto il vizio di motivazione della sentenza impugnata per non avere la Corte d'Appello correttamente valutato che nel contratto di trasferimento dell'immobile era indicato che l'immobile veniva acquistato "nello stato di fatto di fatto e di diritto in cui si trova", "ben noto alla parte acquirente". La Corte non ha ritenuto che tale formula ricomprendesse l'occupazione da parte di terzi, in quanto non esplicitamente menzionata nell'atto.

La società acquirente amministrata dalla figlia della legale del R., sanzionata con sentenza della Corte di cassazione per aver ingiustificatamente ritardato la causa relativa all'affidamento e all'assegnazione della casa familiare, non poteva non sapere dell'occupazione medesima. Deve pertanto logicamente ritenersi che l'acquirente fosse a conoscenza del fatto che la P. detenesse a titolo di comodato l'immobile.

La parte ricorrente censura la qualificazione giuridica del rapporto al fine di evidenziare l'opponibilità al terzo acquirente della destinazione dell'immobile a casa familiare come fatto giuridicamente impeditivo del rilascio.

Così complessivamente qualificati i predetti motivi deve procedersi alla disamina della giurisprudenza costituzionale e di legittimità al fine di configurare in modo corretto ed esauriente la fattispecie dedotta in giudizio.

In primo luogo deve rilevarsi che la ricorrente, incontestatamente convivente more uxorio nell'immobile in questione rilasciato dall'altro convivente che ne era l'esclusivo proprietario riveste la qualità di detentore qualificato, essendo il suo diritto personale di godimento sul predetto bene del tutto equiparabile a quello riconducibile alla posizione del comodatario.

Tale qualificazione è confermata dall'orientamento di questa Corte, così massimato:

«La convivenza "more uxorio", quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare. Ne consegue che l'estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio» (Cass. 7214 del 2013; conf. Cass. 7 del 2014).

Il puntuale richiamo agli artt. 2 e 3 Cost., su cui si fonda l'assimilazione della posizione del convivente more uxorio rispetto all'immobile di cui l'altro convivente sia proprietario, consente l'immediato collegamento con l'altro basilare principio di diritto riguardante l'equiparazione dei figli nati fuori dal matrimonio a quelli nati all'interno di esso solo di recente definitiva attuazione normativa (con la legge delega n. 212 del 2012 ed il d.lgs. n. 154 del 2013) ma ampiamente realizzato dalla giurisprudenza costituzionale e dalla giurisprudenza di legittimità. Al riguardo, con specifico riferimento all'assegnazione della casa familiare deve essere richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 166 del 1998 che costituisce il sostegno primario dell'ermeneusi costituzionalmente orientata, successivamente consolidatasi nella materia. In tale sentenza la Corte ha evidenziato che: «l'interpretazione sistematica dell'art. 30 Cost. in correlazione agli artt. 261, 146 e 148 c.c. impone che l'assegnazione della casa famiglia nell'ipotesi di cessazione di un rapporto di convivenza "more uxorio", allorché vi siano figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, deve regolarsi mediante l'applicazione del principio di responsabilità genitoriale, il quale postula che sia data tempestiva ed efficace soddisfazione alle esigenze di mantenimento del figlio, a prescindere dalla qualificazione dello "status"». Il diritto dei figli minori nati fuori del matrimonio alla conservazione dell'habitat familiare costituisce una soluzione interpretativa costituzionalmente necessitata secondo questa rilevante pronuncia.

Tale indicazione ha trovato puntuale e costante conferma nella giurisprudenza di legittimità. Al riguardo si richiama Cass. n. 10102 del 2004 secondo la quale «In tema di famiglia di fatto e nella ipotesi di cessazione della convivenza "more uxorio", l'attribuzione giudiziale del diritto di (continuare ad) abitare nella casa familiare al convivente cui sono affidati i figli minorenni o che conviva con figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti per motivi indipendenti dalla loro volontà è da ritenersi possibile per effetto della sentenza n. 166 del 1998 della Corte costituzionale, che fa leva sul principio di responsabilità genitoriale, immanente nell'ordinamento e ricavabile dall'interpretazione sistematica degli artt. 261 (che parifica doveri e diritti del genitore nei confronti dei figli legittimi e di quelli naturali riconosciuti), 147 e 148 (comprendenti il dovere di apprestare un'idonea abitazione per la prole, secondo le proprie sostanze e capacità) c.c., in correlazione all'art. 30 Cost. Tale diritto è attribuito dal giudice al coniuge (o al convivente), qualora ne sussistano i presupposti di legge, (...) ed è tale da comprimere temporaneamente, fino al raggiungimento della maggiore età o dell'indipendenza economica dei figli, il diritto di proprietà o di godimento di cui sia titolare o contitolare l'altro genitore, in vista dell'esclusivo interesse della prole alla conservazione, per quanto possibile, dell'habitat domestico anche dopo la separazione dei genitori (...)».

Il principio ha avuto costante conferma ed è stato di recente ribadito da Cass. 18863 del 2011, nella vigenza dell'attuale regime giuridico dell'affido condiviso.

In conclusione, alla luce dei consolidati principi sopra illustrati può affermarsi che anche nelle convivenze di fatto, in presenza di figli minori nati dai due conviventi, l'immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell'immobile o conduttore in virtù di rapporto di locazione o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all'immobile. Egli, peraltro in virtù dell'affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto (ex art. 2 Cost.) della relazione di convivenza è comunque detentore qualificato dell'immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l'altro convivente.

Rimane da verificare se tale duplice condizione sia opponibile all'avente causa dell'ex convivente cui è stata trasferita la proprietà del predetto bene e, in caso di risposta affermativa, entro che limiti operi tale opponibilità.

Il quesito, così come formulato corrisponde esattamente alla fattispecie dedotta nel presente giudizio nella quale è incontestato che l'immobile sia stato adibito a casa familiare, che uno dei conviventi ne fosse proprietario, che ne sia stata trasferita la proprietà a terzi, che l'altro convivente sia non solo collocatario dei figli minori ma anche assegnatario della casa familiare, per provvedimento giudiziale.

Al riguardo la giurisprudenza di legittimità, ancorché in tema di rapporto coniugale, ha stabilito (Cass. S.U. 13603 del 2004) e di recente ribadito (S.U. 20448 del 2014) i seguenti principi:

Il coniuge affidatario di figli minori e assegnatario della casa familiare può opporre al comodante l'esistenza del provvedimento di assegnazione.

Il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c., sorge per un uso determinato ed ha - in assenza di una espressa indicazione della scadenza - una durata determinabile "per relationem", con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall'insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (nella specie, relative a figli minori) che avevano legittimato l' assegnazione dell'immobile.

Tali consolidati principi trovano applicazione anche nell'ipotesi in cui l'originario proprietario dell'immobile (terzo o componente della coppia è irrilevante) abbia trasferito la proprietà del bene medesimo, rimanendo immutato e senza soluzione di continuità il vincolo costituito dal comodato preesistente, giustificato da un doppio qualificato titolo detentivo: il primo costituito dalla convivenza di fatto con il proprietario dante causa, il secondo dalla destinazione dell'immobile a casa familiare, prima della alienazione a terzi, e dalla cristallizzazione di tale ulteriore vincolo mediante l'assegnazione della casa familiare. A tale ultimo riguardo deve osservarsi che non rileva, nella specie, l'anteriorità del trasferimento immobiliare rispetto al provvedimento di assegnazione dell'immobile a casa familiare disposto dal Tribunale per i minorenni, dal momento che la qualità di detentore qualificato in capo alla ricorrente è pacificamente preesistente al trasferimento immobiliare così come la indiscussa destinazione dell'immobile a casa familiare impressa anche dal proprietario genitore e convivente con la ricorrente e le minori medesime fino al suo allontanamento volontario. La relazione con l'immobile, in virtù di tale destinazione non ha natura precaria ma, al contrario, è caratterizzata da un vincolo di scopo che si protrae fino a quando le figlie minori o maggiorenni non autosufficienti conservino tale habitat domestico. Inoltre la vendita immobiliare è divenuta inefficace nei confronti della P., per essere stata accolta l'azione revocatoria proposta da tale parte (pag. 12 sentenza impugnata). Al riguardo non può condividersi l'assunto della Corte territoriale volto ad escludere integralmente l'incidenza dell'inefficacia del trasferimento immobiliare rispetto alla ricorrente. L'accertamento giudiziale sotteso alla revocatoria, infatti, postula inequivocamente, in quanto volto a riconoscere che la vendita ha avuto lo scopo di sottrarre una parte del patrimonio del debitore all'adempimento degli obblighi alimentari verso i propri familiari, che l'avente causa fosse a conoscenza della destinazione dell'immobile anche prima della consacrazione di tale destinazione dovuta al provvedimento di assegnazione a casa familiare disposta dal Tribunale per i minorenni, per la cui opponibilità infranovennale, peraltro, non è necessaria la trascrizione (S.U. 11096 del 2002). Almeno sotto tale profilo della conoscenza anteriore al trasferimento della destinazione specifica dell'immobile non può escludersi il rilievo dell'accoglimento della revocatoria, così come instaurazione dell'esito del procedimento disciplinare a carico del legale del R., genitore dell'amministrazione della Cris. Mar. Immobiliare, in quanto convergenti verso la piena e univoca consapevolezza dell'uso esclusivo dell'immobile a casa familiare e della finalità sanzionabile ex art. 2901 c.c. del trasferimento. L'assegnazione della casa familiare, pur non costituendo un provvedimento di natura economica in senso stretto (in quanto avente finalità diverse dal contributo al mantenimento dei figli), ha un'incidenza diretta sulla posizione reddituale del genitore collocatario dei figli minori.

Non è condivisibile peraltro la censura di tardività della produzione in considerazione della sopravvenienza del documento in corso di giudizio di merito.

L'accoglimento dell'azione revocatoria, di conseguenza, ha evidenziato che il terzo fosse consapevole del pregiudizio economico patrimoniale per il creditore e fosse partecipe del disegno volto alla sottrazione del bene dal patrimonio del debitore (art. 2901, n. 2, c.c.). La privazione del godimento dell'immobile unitamente ai figli minori costituisce un vulnus economico d'immediata percezione e quantificazione per la ricorrente, con conseguente erroneità delle argomentazioni svolte dalla Corte d'Appello per escluderne il rilievo. In particolare non coglie nel segno l'assunto secondo il quale il diritto di godimento non ha a che fare con il patrimonio del debitore. Al contrario tale vincolo posto dalla legge in favore del creditore che agisce in revocatoria ha una diretta influenza negativa sul valore complessivo dell'immobile, riducendone sensibilmente il prezzo di mercato, così come incide sulle ragioni del creditore privandolo del godimento del bene alle condizioni e nei limiti temporali stabiliti dalla legge.

In conclusione, come rilevato dalla parte ricorrente, la Corte d'Appello, ignorando la convergenza e l'univocità delle ragioni di diritto che conducevano al riconoscimento della qualità di detentore qualificato della parte ricorrente, e della destinazione a casa familiare impressa all'immobile, nonché alla sua posizione di genitore collocatario delle figlie minori (queste ultime rimaste senza soluzione di continuità nell'abitazione), ha ritenuto erroneamente inopponibile tale vincolo al terzo acquirente, nonostante le convergenti evidenze di fatto e di diritto (azione revocatoria accolta e procedimento disciplinare coperto da giudicato) evidenzianti la piena conoscenza anche legale della destinazione a casa familiare impressa all'immobile. La centralità che la Corte d'Appello ha conferito alle cadenze temporali relative al trasferimento immobiliare, all'instaurazione dell'azione di rilascio e della domanda di affidamento delle minori ed infine al provvedimento di assegnazione della casa familiare (la cui datazione non dipende dalla diligenza della ricorrente e che è opponibile ancorché non trascritto nel novennio), è priva di rilievo nella specie, in quanto superata dalla conoscenza della preesistenza della destinazione a casa familiare da parte del terzo acquirente dell'immobile e dalla consapevole finalità di eliminarne tale carattere mediante il trasferimento unitamente al dante causa.

Non essendo necessari accertamenti di fatto ulteriori può essere assunta decisione nel merito consistente nel rigetto dell'azione di rilascio proposta dalla Cris. Mar. nei confronti della ricorrente. Le spese processuali dei due giudizi di merito e del presente procedimento seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso e decidendo nel merito rigetta l'azione di rilascio proposta dalla s.r.l. Cris. Mar. Immobiliare contro D.P. in ordine all'immobile sito in [omissis].

Condanna la Cris. Mar. Immobiliare al pagamento delle spese processuali in favore della ricorrente che liquida per il primo grado in Euro 2800 per onorari; Euro 1330 per compensi oltre accessori di legge; per il secondo grado in Euro 800 per diritti; Euro 1800 per onorari oltre accessori di legge e per il presente giudizio in Euro 2500 per compensi; Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge.

M. Marazza

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