Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 21 settembre 2015, n. 4397

Presidente: Numerico - Estensore: Russo

FATTO E DIRITTO

1. Il dott. [omissis], magistrato di corte d'appello con funzioni di giudice nelle sezioni civili del Tribunale di Roma, subì un primo giudizio negativo, da parte del CSM e con riguardo alla nomina di magistrato di cassazione, per non aver conseguito la quarta e la quinta valutazione di professionalità a far data dal 19 marzo 1999 e, rispettivamente, dal 19 marzo 2003 (d.m. giust. 26 febbraio 2009).

Avendo il dott. [omissis] maturato il termine per accedere ad un nuovo giudizio per il successivo triennio, si sottopose ex novo alla valutazione per ottenere la quarta valutazione di professionalità (dal 19 marzo 2003) e la quinta valutazione (dal 19 marzo 2006). Sul punto, il Consiglio giudiziario di Roma ed i Presidenti della sezione X civile e della sezione fallimentare ribadirono il proprio lusinghiero giudizio su solerzia, bravura tecnica e laboriosità del dott. [omissis], pur non tacendo il parere negativo del Presidente del Tribunale di Roma. Tuttavia, il Consiglio precisò che quest'ultimo «... prende in esame, diversamente da quanto stabilito dall'art. 6, l. n. 831/73, un periodo ben più ampio, coincidente con il decennio 19.3.1996 - 19.3.2006, che, per i suoi 7/10, è già coperto da valutazione negativa formulata dal CSM...» con il precedente provvedimento negativo.

Quantunque la 4° Commissione del CSM avesse condiviso tal parere, la proposta di delibera favorevole fu però respinta dal plenum (d.m. giust. 7 ottobre 2010).

2. Il dott. [omissis] s'è allora gravato avverso tali atti innanzi al TAR del Lazio, con il ricorso n. 1288/2011 RG.

Il ricorrente ha anzitutto precisato che tanto questi ultimi, quanto la precedente valutazione negativa (separatamente impugnata con il ricorso n. 3411/2009 RG) si basano su fatti identici, che risalivano a quanto accertato da due sentenze della Sezione disciplinare rese sui procedimenti nn. 155/2004 e 19/2006 e passate in giudicato, che riguardarono vicende del periodo in cui egli era addetto alla sezione fallimentare del Tribunale di Roma. Ha quindi reso noto che tali sentenze gli inflissero la sola sanzione più lieve (l'ammonimento), mentre un altro procedimento disciplinare, avviato a suo carico nel periodo tra i citati due giudizi negativi del CSM, si è definito con assoluzione irrevocabile (proc. n. 111/2008; sentenza 17 aprile 2009) e, ciò premesso, ha dedotto due articolati gruppi di censure.

L'adito TAR, con sentenza n. 4745 del 13 maggio 2013, ha respinto la pretesa attorea, perché: I) il CSM ha apprezzato l'intero profilo professionale del ricorrente, inammissibile essendo piuttosto la di lui pretesa che si dovessero considerare i soli aspetti favorevoli, tenuti sì presenti nell'impugnata delibera, ma non reputati prevalenti rispetto ai dati disciplinari, compreso quello dell'ammonimento del 2006 (per omessa richiesta di autorizzazione all'attività didattica); II) è corretta la valutazione pure del dato disciplinare cui è seguita l'assoluzione, avendo il CSM su tal aspetto rilevato che, seppur le condotte non afferissero al periodo in valutazione, la stessa «... è relativa a fatti commessi in epoca pregressa, mai però presi in (esame)... prima e perciò oggetto di odierna considerazione...», onde, ad avviso del TAR, tali condotte attestarono comunque la non diligenza del ricorrente con riguardo a tutto il tempo del servizio nella sezione fallimentare; III) il CSM era pienamente legittimato ad esprimere tali considerazioni negative, giacché, per un verso, andava valutato un segmento temporale di attività nel cui ambito le condotte del ricorrente furono sanzionate in via disciplinare e, per altro verso, l'assoluzione dagli addebiti non può costituire un elemento di merito professionale tale da bilanciare le pronunce di condanna.

3. Appella dunque il dott. [omissis], con il ricorso in epigrafe, deducendo l'erroneità della gravata sentenza per: A) non aver considerato che l'ammonimento, su cui si basò il precedente scrutinio negativo (2009), ha continuato ad esplicare il suo effetto di blocco di carriera in capo all'appellante anche per fondare lo scrutinio del 2010, così determinando sei anni di fermo nella progressione in carriera e, quindi, la sanzione più lieve ha creato gli stessi effetti di quelle più gravi sancite dal d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109; B) la contraddittorietà del decisum, laddove al contempo afferma che il CSM s'attenne strettamente agli elementi di carriera dell'appellante nel periodo di riferimento e che trovarono comunque ingresso nella valutazione pure considerazioni critiche desunte da precedenti pronunce disciplinari negative; C) la conseguente affermazione del TAR, secondo cui, ai fini di valutare la nomina a magistrato di cassazione, il giudizio del CSM possa estendersi ad ogni dato o elemento di carriera del candidato e, dunque, anche a condotte che furono già esaminate nella sede disciplinare, che sarebbero così sempre attuali e sempre idonee a fondare una valutazione negativa sulla diligenza del magistrato con riguardo a tutto il periodo di servizio prestato, mentre, al più, dovrebbero valere solo se avessero effetti ancora attuali sulla personalità di questi, cosa, questa, su cui non v'è seria contezza; D) non aver correttamente valutato la censura sull'impossibilità di far discendere sanzioni ulteriori dai medesimi fatti già a suo tempo considerati, la questione vertendo non già se il CSM avesse realmente compiuto una comparazione tra aspetti positivi e negativi della carriera dell'appellante, bensì sulla fattuale e mera duplicazione del primo giudizio negativo; E) la conseguente statuizione del plenum, basata così sulle stesse (lievi) sanzioni già considerate per il periodo fino al 19 marzo 2003, cosa, questa, che la 4° Commissione del CSM ebbe ben presente.

Resistono nel presente giudizio le Amministrazioni intimate, che concludono per l'integrale rigetto dell'appello.

Alla pubblica udienza del 2 luglio 2015, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

4. L'appello è fondato e va accolto, nei limiti e per le considerazioni qui di seguito indicate.

S'è accennato che l'appellante ha subito due giudizi negativi ai fini del conseguimento della quarta e della quinta valutazione di professionalità, l'uno reso con la delibera del CSM del 4 febbraio 2009 e concernente la valutazione a far data dal 19 marzo 1999 (4°) e dal 19 marzo 2003 (5°) e l'altro reso con la delibera del 30 giugno 2010 e concernente quelle a far data dal 19 marzo 2003 (4°) e, rispettivamente, dal 19 marzo 2006 (5°).

Anche in questa sede, la difesa erariale non pare cogliere appieno il significato della prima parte del primo mezzo d'impugnazione al TAR, ossia la denuncia del preconcetto, derivante da taluni fatti in genere non commendevoli nella conduzione degli affari nella sezione fallimentare del Tribunale di Roma, sui quali detto secondo giudizio negativo s'è basato.

Ora, afferma l'appellante nel ricorso al TAR che questo giudizio del 2010 non è stato espresso sulla ponderata valutazione delle qualità del magistrato come già esaminate dal Capo dell'ufficio e dal Consiglio giudiziario (i cui pareri sono elementi primari ed imprescindibili di conoscenza) ed ai sensi dell'art. 1 della l. 831/1973 (applicabile ratione temporis alla sua posizione personale). Invero, il giudizio del 2010, perché ricalca quello per i rispettivi trienni precedenti, ha dato prevalente significato alle due sentenze disciplinari rese nei procedimenti n. 155/2004 e n. 19/2006 e tenute in considerazione anche in precedenza, senza, però, tener veramente conto di quella di assoluzione e ciò per il sol fatto che, per un pezzo del periodo oggetto di tal giudizio, egli era ancora addetto alla sezione fallimentare del Tribunale di Roma.

Ebbene, l'oggetto di tal doglianza certo richiama quel che dovrebbe esser il corretto modo di condurre il giudizio di professionalità ai sensi dell'art. 1 della l. n. 831 e, quindi, si riferisce in generale pure all'obbligo della valutazione globale della personalità e della professionalità del magistrato valutando. In realtà, la doglianza de qua concerne l'impossibilità di far discendere, in modo surrettizio ed attraverso siffatta "globalità", sanzioni ulteriori (in pratica, il reiterato blocco nella progressione in carriera) dai medesimi fatti già a suo tempo considerati e sui quali allora si fondò un giudizio negativo. La questione non è tanto se si debba dire corretta (e comunque non lo è, come si vedrà oltre) nel giudizio globale la prevalenza degli aspetti disciplinari su quelli favorevoli di professionalità, fermo restando che il giudizio di prevalenza, o meno, di tali aspetti su quelli positivi, come tutti quelli tecnici e non a scelta, deve esser sempre ragionevole in sé, proporzionato al fine e convincente in tutti i passaggi argomentativi. Agli occhi del Collegio, ciò che s'evince da quello impugnato al TAR, e che quest'ultimo e la difesa erariale non intendono percepire, è l'uso reiterato, si può dire pregiudiziale, di vicende negative e l'irrilevanza di quelle positive (non solo la assoluzione disciplinare), cioè l'omessa considerazione che le une sono irrazionalmente ultrattive e con un'efficacia materiale addirittura superiore alle sanzioni disciplinari più gravi e che le altre hanno un peso ictu oculi e di tutta evidenza non trascurabile o facilmente comprimibile in un serio giudizio sulle qualità professionali, culturali, personali ed umane dell'appellante.

Rettamente quindi il dott. [omissis] investe l'impugnata sentenza, non tanto laddove essa afferma, seguendo più la difesa erariale che la delibera del CSM, che quest'ultimo ne apprezzò l'intero di lui profilo professionale. In disparte la non veridicità di tal aspetto, secondo la prospettazione attorea, il vero oggetto del contendere è un aspetto collaterale, ma ben più serio di quanto afferma il TAR e che l'appellante non condivide. Si tratta del principio secondo cui, ai fini di valutare la di lui nomina a magistrato di cassazione, il giudizio del CSM si possa estendere senza limiti, logici o giuridici, ad ogni dato o elemento della di lui carriera.

In questi termini, è materialmente vero, anzi ovvio (giurisprudenza consolidata: cfr., per tutti, C.d.S., IV, 28 marzo 1992, n. 339; id., 3 giugno 2010, n. 3544), che detto giudizio debba riguardare tutto il periodo di servizio prestato, ma con una precisazione. Occorre, cioè, che questo non riconosca a taluni elementi disciplinari, ormai definiti e risalenti nel tempo, una rilevanza ultrattiva e soprattutto indipendente dal valore della sanzione e dalle vicende per le quali essa fu irrogata, una volta che questa abbia già formato oggetto o parte integrante d'un pregresso e parimenti definito giudizio negativo sul medesimo magistrato. Altrimenti, si finirebbe con il dar ingresso, nella valutazione del CSM, anche a condotte del magistrato che in varia guisa furono già vagliate in sede disciplinare, non importa con qual esito e che resterebbero, a causa pure della reiterata rivalutazione completa e non per segmenti temporali sulla quarta e la quinta valutazione di professionalità, così sempre attuali ed idonee a fondare un giudizio perennemente negativo sulle qualità professionali di questi.

Come si vede, si versa in questa sede in un caso diametralmente opposto a quello che la Sezione esaminò nel 2010 (cfr. C.d.S., IV, n. 3544/2010, cit.), laddove la sanzione fu irrogata in un momento immediatamente precedente all'adozione della delibera del CSM, che è appunto quel che accadde al dott. [omissis] per la delibera del 2009. Non dura certo fatica il Collegio a ritenere che, nel giudizio stesso, siano valutati comportamenti i quali abbiano comportato una sanzione di portata minima, giacché pure essi rilevano quali sintomi d'una mancanza di correttezza, di equilibrio e di leale collaborazione. Tuttavia, nella specie viene ben in evidenza il paventato pregiudizio sine die, giacché tali dati furono adoperati in precedenza onde, se non si vuol incorrere in un vero e proprio loop logico - argomentativo, ossia in un circolo vizioso, essi possono valere sì anche in un nuovo giudizio. Ma non, come nel caso del dott. [omissis], perché sono in vario modo o comunque riferibili al periodo in valutazione, ma solo se essi, al momento in cui il CSM formuli il nuovo giudizio, rechino effetti ancora attuali sulla personalità del magistrato, descrivendone criticità professionali e comportamentali finora non sopite o superate.

Né al Collegio sfugge che l'appellante non possa pretendere che il CSM dovesse considerare i soli aspetti favorevoli, elidendo del tutto i dati disciplinari, compreso quello dell'ammonimento del 2006 per l'omessa richiesta di autorizzazione all'attività didattica.

Non è la sede, questa, per discettare se un tal evento, ossia un insegnamento svolto (almeno per un periodo) in un'università pubblica, sia in sé attività che vada autorizzata e, in mancanza, sia tanto disdicevole, quantunque siano implicati in una tal vicenda valori costituzionali forti.

Preme, però, al Collegio notare, anche con riguardo a tal aspetto e condividendo l'assunto del dott. [omissis], che si ha un'indebita duplicazione di sanzione, in quanto si rinnova la considerazione di un fatto già colpito da un precedente disciplinare. Non è che, con ciò, il Collegio adombri una diretta e prestabilita finalità punitiva nei confronti dell'appellante, ma non può non notare che tutto questo accadde con riguardo a vicende già tenute presenti in un precedente (distinto sì, ma identico) procedimento di valutazione inter partes ed a fronte di valutazioni precise e positive del Consiglio giudiziario di Roma (tant'è che esso stigmatizzò quello negativo del Presidente del Tribunale, perché riferito a vicende pregresse) e della 4° Commissione. Sicché non si può non dire irretita da eccesso di potere, com'è dedotto nel secondo motivo del ricorso al TAR, la delibera del CSM che ha di nuovo posto un blocco alla carriera dell'appellante, tenendo conto di soli aspetti critici di dubbia attualità e non anche di un'assoluzione per insussistenza dei fatti (sulla cui irrilevanza ai fini del giudizio sul magistrato, cfr. C.d.S., IV, 16 febbraio 1998, n. 290). Dal che l'erroneità della conferma che il TAR ha voluto riconoscere alla valutazione pure del dato disciplinare cui è seguita l'assoluzione, sol perché il CSM su tal aspetto rilevò che, sebbene le condotte non afferissero al periodo in esame, la stessa «... è relativa a fatti commessi in epoca pregressa, mai però presi in (esame)... prima e perciò oggetto di odierna considerazione...». Mentre, ad avviso del TAR, tali condotte attestarono comunque la non diligenza del ricorrente con riguardo a tutto il tempo del servizio nella sezione fallimentare, il Collegio non può che, in applicazione della citata giurisprudenza, ritenerne l'irrilevanza in sé e non già per controbilanciare altre criticità del magistrato.

5. In definitiva, l'appello va così accolto, ma la peculiarità della vicenda dedotta e giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.

6. Sussistono i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 a tutela della dignità della parte ricorrente interessata per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi del medesimo dott. [omissis], nel senso che va sempre coperto il nome del ricorrente in sede di diffusione della pronuncia oltre le parti e vanno apposte le annotazioni di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione nei termini appena indicati

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 92/2014 RG in epigrafe), lo accoglie e per l'effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, con salvezza dell'ulteriore attività di valutazione da parte del CSM.

Spese compensate.

Manda alla segreteria di procedere con l'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della disposizione citata in motivazione, nei termini ivi indicati.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

R. Garofoli

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