Corte di cassazione
Sezione VI civile
Sentenza 27 ottobre 2015, n. 21903

Presidente: Di Palma - Estensore: Acierno

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

K.P., cittadino kossovaro, impugnava la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale (sez. distaccata di Bologna), di rigetto integrale delle domande proposte. Chiedeva al Tribunale che gli fosse riconosciuto lo status di rifugiato o, in subordine, la protezione sussidiaria o, in estremo subordine, un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno della sua domanda l'odierno ricorrente affermava di essere fratello di un importante leader politico, e che, proprio in ragione di tale appartenenza politica, lui e la sua famiglia erano stati oggetto di persecuzione fisica e psicologica. In particolare, uno scontro fisico tra il fratello del ricorrente e un appartenente ad altro partito politico ha costretto il primo, per la paura della vendetta del secondo, a fuggire. Conseguentemente, sapendo che il sistema politico e sociale del Kosovo prevede la "vendetta di sangue" anche nei confronti dei familiari della persona da punire, anche K. è fuggito.

Il Tribunale respingeva il ricorso, affermando che, dalla stessa prospettazione della domanda, sarebbe emersa l'insussistenza dei presupposti di cui all'art. 2, lett. d), d.lgs. n. 25/2008, poiché non risultava dal racconto di K. alcuna persecuzione politica o per altri motivi, in quanto il timore di subire vendetta riguardava un conflitto inter-familiare; peraltro, aggiungeva il primo Giudice che il ricorrente sarebbe potuto andare a vivere in una differente zona del suo Paese d'origine.

K. reclamava la decisione di primo grado, sostenendo che la sua situazione concretasse una persecuzione per ragioni politiche, e comunque che meritasse protezione internazionale in ragione dell'impossibilità di ricorrere agli organi statali per essere tutelato.

La Corte d'appello di Bologna (sentenza n. 705 del 2013) rigettava il reclamo, sostenendo che la motivazione politica dello scontro tra il fratello del ricorrente e l'altra famiglia costituiva il mero sfondo della vicenda, non rientrando il timore di subire una vendetta per motivi d'onore nei presupposti di cui all'art. 2, lett. d), d.lgs. n. 25/2008. Con specifico riferimento alla protezione sussidiaria, il Giudice d'appello la escludeva perché non c'era il rischio di un danno grave alla persona derivante da situazioni di violenza indiscriminata in presenza di situazioni di conflitto armato interno, come indirettamente confermato dal ricorrente medesimo. Inoltre, la Corte territoriale, aderendo a quanto già affermato dal Tribunale, precisava che il pericolo enunciato dal ricorrente esauriva la sua potenzialità nell'ambito territoriale ristretto della zona ove vive il ricorrente, il quale, quindi, potrebbe spostarsi in altra zona del Kosovo; e che, pertanto, neppure un permesso di soggiorno per motivi umanitari poteva essere accordato a K.

Contro la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso per cassazione K.P., affidandosi a due motivi di ricorso:

1. violazione e/o falsa applicazione art. 3 d.lgs. n. 251 del 2007 e art. 8 d.lgs. n. 25 del 2008 (360, n. 3) e art. 5, comma 6, d.lgs. n. 286 del 1998, per non avere la Corte territoriale, dopo aver dato atto della motivazione politica del conflitto tra le famiglie, attivato i poteri officiosi necessari ad un'adeguata conoscenza della situazione legislativa e sociale del Paese; e per avere rifiutato di concedere permesso per motivi umanitari sul solo presupposto che l'assenza di malattie incurabili o epidemie nel Paese d'origine osta alla concessione di tale misura.

2. motivazione omessa, insufficiente e/o contraddittoria su fatti o questioni controverse e decisive ai fini del giudizio (art. 360, n. 5), per avere la Corte territoriale escluso che i fatti narrati dal ricorrente integrino alcuna misura di protezione internazionale, nonostante l'indiscussa situazione di conflitto interno esistente in Kosovo e la natura politica del conflitto tra la famiglia di K. e l'altra appartenente a diverso partito politico.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente in ragione della contiguità delle censure loro oggetto.

Le censure afferenti la mancata concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria sono prive di pregio, tanto sotto il profilo del vizio motivazionale quanto sotto il profilo della violazione di legge. Infatti, in questo senso, la Corte territoriale ha fatto buon governo della disciplina normativa e degli orientamenti di questa Corte in tema di protezione internazionale, in quanto lo scontro tra le due famiglie, benché dovuto, presumibilmente, a ragioni politiche, non integra una situazione di persecuzione politica; ciò che esclude la possibilità di accordare al ricorrente lo status di rifugiato politico. Mentre la protezione sussidiaria è stata solo genericamente invocata da K., che si duole in modo generico dell'inerzia delle autorità del suo Paese.

Le censure sono, per contro, fondate per quanto riguarda la reiezione della domanda di protezione umanitaria. La sentenza di secondo grado, infatti, con riguardo alla reiezione della domanda di rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari, si limita ad affermare che "non sussistono ragioni di protezione umanitaria [...] laddove il pericolo enunciato dal ricorrente esaurisce la sua potenzialità nell'ambito territoriale ristretto, onde il richiedente potrebbe vivere in altre zone del suo Paese di origine senza esporsi alle conseguenze paventate". Questa affermazione è in aperta contraddizione con la consolidata giurisprudenza di questo Supremo Collegio, che ha più volte (inter alia Cass. civ. n. 2294 del 2012 e n. 8399 del 2014) precisato come la possibilità, per il cittadino straniero, di evitare il pregiudizio temuto spostandosi in una differente zona del Paese d'origine non è ragione per respingere la domanda di protezione internale. Peraltro, la Corte territoriale non ha spiegato perché i fatti narrati dal ricorrente, e in sentenza ritenuti inidonei a fondare la concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sarebbero altresì insuscettibili di giustificare la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ancorché rappresentino un quadro sintomatico di pericolosità per l'incolumità del richiedente, rappresentato dalla conservazione di un sistema di vendette private, sostanzialmente tollerato o non efficacemente contrastato, anche se non riconducibile per assenza del fumus persecutionis e della situazione di violenza incontrollata rispettivamente al rifugio politico e alla protezione sussidiaria. La Corte territoriale ha invece ritenuto erroneamente necessaria la prospettazione di fatti diversi quali epidemie o malattie incurabili nei paesi d'origine, senza esercitare i propri poteri istruttori officiosi al fine di verificare la veridicità della trattazione sia pure al limitato fine del diritto al rilascio della protezione umanitaria.

In conclusione, i motivi di ricorso devono essere accolti nei limiti di cui in motivazione, ovvero limitatamente alla reiezione della domanda relativa alla protezione umanitaria. Il provvedimento impugnato deve, pertanto, essere cassato con rinvio alla Corte d'Appello di Bologna in diversa composizione la quale dovrà attenersi al seguente principio di diritto: al fine di accertare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, il giudice della protezione internazionale può valutare le medesime circostanze sulla base delle quali ha escluso il riconoscimento delle due misure maggiori, non essendo necessario dedurre fatti o ragioni diverse od alternative, senza che assuma alcun rilievo la possibilità per il richiedente di spostarsi in un'area geografica diversa del paese d'origine.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in parte motiva e, per l'effetto, cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d'appello di Bologna, in diversa composizione.

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