Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Brescia, Sezione I
Sentenza 10 novembre 2015, n. 1470

Presidente: Calderoni - Estensore: Bertagnolli

FATTO

La società ricorrente ha acquistato, nel 2006, un compendio immobiliare ricadente in parte in zona B2 (edilizia residenziale esistente e di completamento) e in parte in zona E2 (agricola di salvaguardia)

Dopo l'avvenuta presentazione di tre diversi progetti per lo sfruttamento edilizio del suddetto compendio, la ricorrente apprendeva dal Sovrintendente che l'edificazione nell'area in parola avrebbe potuto avvenire solo traslando l'edificio verso il basso. Poiché ciò richiedeva la mutazione di destinazione d'uso del fondo collocato più a valle (agricola), prima di dare avvio al complesso procedimento per ottenere la variante, la ricorrente ha richiesto un parere positivo della Sovrintendenza, che lo ha accordato.

Dopo la complessa attività preordinata ad ottenere la necessaria variante urbanistica, però, la domanda di permesso di costruire è stata rigettata, nel 2011, a causa del parere negativo della Comunità montana.

Modificato, ancora una volta, il progetto e ottenuto il parere positivo di tale ente sotto il profilo di compatibilità paesistica, la Sovrintendenza esprimeva, invece, parere negativo (21 novembre 2011).

Tale diniego è stato impugnato e il ricorso respinto anche in Consiglio di Stato: nel corso di tale giudizio si è ritenuto, infatti, che nell'impugnato diniego non fosse ravvisabile una volontà contraria ad ogni edificazione.

Entrato in vigore il nuovo PGT, che ha confermato la destinazione edificabile dell'area di proprietà della ricorrente, questa ha presentato un nuovo progetto che, però, diversamente dal precedente (che prevedeva un grande complesso edificabile) ha dovuto essere limitato alla costruzione di sole cinque villette unifamiliari.

La Sovrintendenza, però, riteneva che tale numero dovesse essere ridotto a due e la proprietà, per evitare difficoltà ulteriori, richiedeva un nuovo parere preventivo su di un progetto così dimensionato, che otteneva il parere positivo della commissione comunale (previa integrazione della documentazione), ma veniva respinto dalla Soprintendenza per la mancanza di una lunga serie di elaborati e in particolare di quelli relativi alla rappresentazione delle opere di scavo e di sterro e riporto.

Nonostante la loro produzione, è stato, quindi, espresso, ancora una volta, un parere negativo, anch'esso impugnato con il ricorso introduttivo in esame, cui ha fatto seguito il ricorso per motivi aggiunti avverso il successivo decreto comunale di diniego di autorizzazione del 7 novembre 2014.

Nel ricorso introduttivo sono stati dedotti i seguenti vizi:

1. eccesso di potere e violazione dell'art. 146 del d.lgs. 42/2004, della circolare del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 22 gennaio 2010, prot. n. DGPBAACS04/34.01.04/2089, del d.m. 15 marzo 1958, nonché dei principi di ragionevolezza, leale collaborazione, adeguatezza, proporzionalità e trasparenza. In tali vizi sarebbe incorsa la Sovrintendenza nel bocciare un progetto frutto di specifici accordi raggiunti con la stessa e, dunque, il cui contenuto era già stato precedentemente concordato. Peraltro lo stesso parere negativo sarebbe contradditorio, dal momento che la Sopraintendenza ha lamentato l'edificazione sul versante, nonostante sia stata la medesima a chiedere la traslazione degli edifici dal crinale e il loro spostamento su di un'area agricola rispetto ai cui caratteri lamenta oggi l'incompatibilità. In sintesi, l'Amministrazione avrebbe espresso parere negativo sullo stesso progetto indicato dalla medesima come l'unico compatibile con la tutela del paesaggio e, dunque, autorizzabile sui terreni in questione, il che sarebbe espressione di una volontà della Soprintendenza di impedire qualsiasi edificazione, già sanzionata dalla giurisprudenza anche del TAR Brescia. L'atteggiamento della Sovrintendenza sarebbe, dunque, preconcetto e preclusivo di ogni soluzione, in modo del tutto contraddittorio, anche per quanto riguarda la contestazione degli "scavi eccessivi", che, invece, sono stati contenuti e ridotti di circa la metà di quelli necessari, adottando le migliori tecniche costruttive (sostegni a palafitta per evitare sbancamenti per le fondazioni, parcheggi in pendenza per evitare ulteriori scavi);

2. eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti, violazione delle norme calendate al punto precedente e della delibera della G.R. n. 9/2727 del 22 dicembre 2011. La Soprintendenza ha espresso parere negativo all'edificazione nell'area in questione - nonostante la stessa abbia formato oggetto di una pluralità di strumenti di pianificazione paesaggistica, approvati tra il 2010 e il 2012, dai quali il fondo della ricorrente risulta essere edificabile - richiamandosi ad ulteriori, supposti, "livelli di tutela" e, in particolare alla delibera della G.R. n. 9/2727 del 22 dicembre 2011. Quest'ultima contiene, secondo la ricorrente, esclusivamente delle linee guida, ma non potrebbe aggiungere alcun ulteriore vincolo: la Soprintendenza avrebbe, dunque, dovuto verificare la compatibilità del progetto con i vincoli derivanti dalla pianificazione approvata sulla scorta di tali linee guida e non anche delle linee guida stesse. Tanto più che essa avrebbe illegittimamente esteso le prescrizioni finalizzate alla tutela dei versanti che parrebbero da intendersi come "montani", dal momento che limitano impianti idroelettrici e piste da sci, ai versanti in senso ampio. Ciò, nonostante i vincoli di tutela che gravano sul territorio dei Comuni di Toscolano Maderno e Gargnano riguardino "il caratteristico susseguirsi di sontuose ville ed artistici giardini ricchi di essenze pregiate", "la caratteristica zona rocciosa di acceso colore a picco sul lago", la vegetazione, la panoramica del lago di Garda e della sponda veronese. L'edificazione sul fondo della ricorrente non andrebbe ad interferire con alcuno degli aspetti evidenziati;

3. carenza di motivazione delle singole contestazioni mosse al progetto nel parere negativo;

4. violazione degli artt. 3, 10 e 19-bis della l. n. 241/1990 ed eccesso di potere laddove la Sovrintendenza ha affermato che le osservazioni e gli elaborati prodotti dalla ricorrente a fronte del preavviso di rigetto sono stati ritenuti non inficianti "né le valutazioni di merito tecnico in ordine alla coerenza paesaggistica del progetto al contesto tutelato espresse più sopra, né le conclusioni, sempre di merito tecnico, espresse nel preavviso di diniego", con una replica del tutto apodittica alle ragioni rappresentate;

5. disparità di trattamento rispetto ad altri interventi situati nel territorio.

L'Amministrazione ha depositato un'ampia memoria difensiva nella quale ha confutato le doglianze di cui al ricorso, affermando:

a) l'inammissibilità e l'infondatezza della prima doglianza, in quanto si tratterebbe della riproposizione di quanto già dedotto nel ricorso rigettato con sentenza confermata in secondo grado (T.A.R. Brescia, 1341/2012, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1129/2013);

b) l'inammissibilità e l'infondatezza delle censure, volte a contestare l'esercizio del potere della Soprintendenza nel merito;

c) infondatezza dei motivi di ricorso, dal momento che il parere espresso dalla Soprintendenza nel rispetto dei limiti del proprio potere, sarebbe pienamente legittimo, perché espressione di valutazioni prettamente tecniche. Valutazioni che terrebbero conto di come risulti difficile praticare le soluzioni (con fondamenta in micropali) proposte nel progetto, le quali sembrerebbero non tenere conto che si tratta di zona sismica, che la realizzazione della grande area impermeabilizzata destinata al parcheggio potrebbe ingenerare pericoli di instabilità del versante, che la DGR 9/2727 non conterrebbe mere linee guida, ma sarebbe l'espressione dell'accordo tra Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e Regione Lombardia. Inoltre, non sarebbe vero che la disposizione richiamata riguarderebbe solo i versanti "montani", bensì tutti i crinali che scendono verso il lago o il fondovalle e il parere avrebbe valorizzato, oltre che la vista del crinale dal lago, la tutela della vegetazione presente e, dunque, del paesaggio agrario (come previsto dal d.m. 15 marzo 1958). Il parere sarebbe stato, così espresso, anche in ragione della carente documentazione che, comunque, non avrebbe inficiato, come si legge nel parere stesso, la valutazione degli aspetti ritenuti salienti.

Successivamente, parte ricorrente ha depositato un ricorso per motivi aggiunti, volto a dedurre l'invalidità derivata del provvedimento con cui il Comune, pedissequamente, si è limitato a richiamare il parere negativo della Soprintendenza, senza motivare il diniego. Peraltro, tale atto sarebbe comunque illegittimo, in quanto adottato, senza alcuna specifica motivazione, pur dopo il decorso del termine di quarantacinque giorni assegnato alla Soprintendenza per esprimere il proprio parere.

Dopo la fissazione dell'udienza pubblica a febbraio 2015, è stato richiesto il rinvio della trattazione e nulla di ulteriore, rispetto a quanto di cui si è dato più sopra conto, è stato prodotto in vista dell'udienza pubblica del 28 ottobre 2015, nel corso della quale le parti hanno chiesto che la controversia fosse posta in decisione.

DIRITTO

La questione oggetto del ricorso in esame scaturisce dal diniego, sotto il profilo paesaggistico, opposto da anni e con più provvedimenti, all'edificazione di un lotto classificato dallo strumento urbanistico come suscettibile di sfruttamento edilizio (ancorché ricadente in zona gravata da vincolo ambientale), tanto da configurare, secondo parte ricorrente, un tentativo di rendere, di fatto, inedificabile l'area.

Ciò premesso, debbono essere preliminarmente superate le eccezioni di inammissibilità introdotte dalla difesa erariale.

Invero appare chiaro come il ricorso non tenda a provocare una nuova pronuncia su aspetti su cui si è già formato il giudicato, ma contenga il richiamo alle pregresse vicende autorizzatorie che hanno avuto ad oggetto la medesima area in questione e si sono sempre concluse con provvedimenti idonei a precludere l'edificazione dell'area, al solo fine di dimostrare la tesi secondo cui l'Amministrazione preposta alla tutela del Paesaggio avrebbe assunto un atteggiamento di preclusione rispetto all'intervento edilizio voluto dalla ricorrente, rendendo di fatto inedificabile l'area mediante il ricorso al diniego dell'autorizzazione paesaggistica in relaziona a qualsiasi proposta progettuale avanzata.

Ciò chiarito in ordine all'ammissibilità del ricorso e delle sue doglianze, si ritiene opportuno precisare che è pur vero che alcune affermazioni contenute nell'impugnato diniego suonano, come sostenuto nel ricorso, in effetti, generiche e strumentali:

a) l'affermazione che il progetto "non risulta finalizzato ad un miglioramento della qualità paesaggistica complessiva dei luoghi", appare del tutto inconferente, dal momento che appare effettivamente molto difficile che un progetto di edificazione possa avere la funzione di migliorare l'aspetto paesaggistico dell'ambiente. Si tratta, semmai, di inserirvi un'edificazione senza incidere sullo stesso in modo non conforme alla legge;

b) secondo la Soprintendenza l'edificazione delle ville "si configura come sostanziale modifica dei caratteri strutturali del terreno agricolo": tale effetto appare, invero, ineliminabile rispetto a qualsiasi intervento di edificazione in un'area precedentemente agricola e poi trasformata in edificabile.

Anche il passaggio del ricorso in cui si sottolinea, con riferimento al modus operandi della Soprintendenza che: "Dopo aver bocciato il progetto sul piano e sul crinale, viene bocciato quello sul "versante". Dopo aver bocciato il progetto in area erbosa, viene bocciato quello in area alberata. Bocciato il progetto con gli interrati, viene bocciato anche i progetto senza interrati" (così il ricorso, al primo capoverso di pag. 16) non può non attirare l'attenzione di questo Tribunale.

Inoltre, è incontestabile che nella parte iniziale e nella parte finale, il provvedimento impugnato indulge in considerazioni generali sulle caratteristiche dell'area che sarebbero pertinenti se si stesse discutendo dell'edificabilità dell'area. Non a caso, infatti, la Soprintendenza dedica l'intera pagina 1 del proprio provvedimento a richiami alla DGR 9/2727 del 22 dicembre 2011, contenente indicazioni che dovrebbero essere considerate e valutate, nonché rispettate, proprio in sede di pianificazione e cioè sono destinate ad orientare le scelte sull'utilizzazione del territorio compiute dal pianificatore.

A parere del Collegio, infatti, il richiamo, contenuto nel parere impugnato, alle regole che escludono e/o limitano l'edificazione sui versanti e a quelle che garantiscono il rispetto dei terrazzamenti (terrazze e ciglioni) che caratterizzano il paesaggio agrario lombardo collinare, integrano più un'inammissibile censura della scelta urbanistica, che una critica alle soluzioni progettuali sottoposte all'attenzione della Soprintendenza.

Nel caso di specie, invece, lo strumento urbanistico ha operato una precisa scelta in ordine all'edificabilità dell'area, che non può, come già più volte affermato dalla giurisprudenza, essere vanificata dal rigetto di ogni possibile soluzione costruttiva da parte dell'ente competente ad esprimere l'obbligatorio parere di compatibilità paesistica.

Se il parere si limitasse a ciò, dunque, risulterebbe superato il limite della potestà attribuita all'autorità preposta a verificare il rispetto dei vincoli di tutela del paesaggio (che deve tendere, data l'edificabilità dell'area, all'individuazione della soluzione progettuale di minor impatto con l'ambiente, prendendo le mosse dal punto fisso che non può esistere l'opzione zero, dal momento che l'edificazione modificherà sempre il paesaggio, in specie in una zona particolarmente delicata come quella in questione), così come sostenuto da parte ricorrente.

Ciononostante, l'impugnato parere negativo non si riduce a questo, ma alle pagine 2 e 3 individua una molteplicità di specifiche ragioni che, al di là delle considerazioni generali, hanno indotto la Soprintendenza all'espressione di un giudizio negativo sul progetto.

In primo luogo, al di là della controversa (in quanto contestata, da parte ricorrente) estensione del fronte delle ville - che non potrebbe nemmeno essere messa in discussione, se la Dolomites avesse prodotto documentazione tecnica sufficientemente precisa -, il parere si fonda, in primo luogo, su di una lamentata mancata analisi e valutazione delle trasformazioni dell'orografia del sito, indubbiamente necessarie a fronte della sovrapposizione con storici ciglionamenti di particolare interesse non solo per il valore storico, ma, prima ancora che per la loro importantissima funzione di stabilità del versante e della previsione della realizzazione di due parcheggi a raso e una strada di accesso destinati ad incidere su di un'area che la stessa Relazione tecnica definisce come "fortemente articolata" inserita in un sito "impervio e scosceso".

La Soprintendenza evidenzia come si deve presumere che ciò determinerà inevitabilmente sbancamenti ingenti, in assenza di specifica valutazione dei profili connessi, come sarebbe dimostrato dalla mancata allegazione di una sezione di sterro e riporto. Essa dà espressamente conto, peraltro, della tavola 4, richiamata anche nel ricorso, relativa alla sezione dei soli edifici e non anche del terreno, ma ne evidenzia l'insufficienza e la contraddittorietà con la tavola 5-bis che prevede la modifica dello stato attuale in corrispondenza del retro degli edifici. Tale carenza documentale non può essere superata da quanto evidenziato in ricorso e dalla documentazione allegata che, in effetti, appare inidonea ad integrare una compiuta valutazione degli aspetti connessi alla trasformazione del terreno che si renderà necessaria per l'attuazione del progetto.

Né la ricorrente ha prodotto elementi idonei a smentire il giudizio di "non coerenza" delle due ville progettate rispetto agli edifici preesistenti, di dimensioni molto più ridotte e rispetto alle quali è stata scelta una collocazione finalizzata a massimizzare la panoramicità delle nuove edificazioni, ma che, nel contempo, massimizza anche l'incisività dell'edificazione sul paesaggio: anche su questo punto il parere appare ampiamente motivato.

La Soprintendenza stigmatizza, inoltre, la carenza progettuale, sia sotto il profilo della rappresentazione degli effetti della manomissione vegetazionale del luogo (e, dunque, dell'esatta consistenza del bosco e dell'incidenza su di esso degli abbattimenti), che della previsione dei successivi interventi di rinaturalizzazione.

Del tutto inadeguata è stata ritenuta anche l'elaborazione progettuale dei profili relativi alla strada di accesso agli edifici e, infine, la Soprintendenza ha evidenziato come il parere espresso dalla Commissione del Paesaggio sia stato basato su di un'insufficiente considerazione del contesto, delle condizioni dello stesso e dell'incidenza del progetto, limitandosi a valutare positivamente solamente il fatto che il nuovo intervento risulta essere riduttivo rispetto a quelli precedentemente proposti.

Alla luce di tutto ciò, contrariamente a quanto asserito nel ricorso, l'impugnato parere non risulta eccedere rispetto alla competenza della Soprintendenza, anche in considerazione del fatto che deve ritenersi del tutto irrilevante il fatto che il nuovo PGT sia conforme alla pianificazione urbanistica preposta alla tutela del paesaggio, dal momento che il Piano Paesaggistico Regionale della Lombardia non è né copianificato, né concertato con il Ministero competente e, pertanto, il suo rispetto non costituisce garanzia della conformità alle disposizioni di cui al Codice dei Beni culturali e del Paesaggio: ne discende la necessità e la natura comunque vincolante del parere della Soprintendenza.

Non è stato fornito, infine, alcun principio di prova che possa determinare un'illegittimità degli atti impugnati dovuta a disparità di trattamento, anche in ragione della difficile raffrontabilità della peculiare situazione dell'area interessata rispetto ad altre.

Pertanto, premesso che è noto come l'Amministrazione non possa denegare l'autorizzazione paesaggistica limitando la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe o formule stereotipate, ma, al contrario il diniego deve essere assistito da una motivazione concreta sulla realtà dei fatti e sulle ragioni ambientali ed estetiche che sconsigliano alla Pubblica Amministrazione di ammettere un determinato intervento, dal momento che affermare che un determinato intervento compromette gli equilibri ambientali della zona interessata per le incongruenze fra tipologia e materiali scelti e contesto paesaggistico senza nulla aggiungere, non spiega alcunché sul futuro danno alle bellezze ambientali che ne deriverebbe ed è un mero postulato apodittico (T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 13 marzo 2014, n. 706; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 24 febbraio 2014, n. 459; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 4 febbraio 2014, n. 293; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 24 luglio 2014, n. 1956; T.A.R. Umbria, sez. I, 14 maggio 2014, n. 322; T.A.R. Lazio, sez. II-bis, 6 novembre 2013, n. 9478; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 28 ottobre 2013, n. 4792; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 27 settembre 2012, n. 1783; T.A.R. Piemonte, sez. I, 20 novembre 2011, n. 1153; T.A.R. Liguria, sez. I, 22 dicembre 2008, n. 2187), nel caso di specie la situazione di fatto risulta essere ribaltata. È la parte interessata all'autorizzazione (oggi ricorrente) che, omettendo di produrre specifica documentazione tecnica relativa ai profili come più sopra evidenziati ha precluso alla Soprintendenza di esprimere un compiuto parere sulla compatibilità paesistica del progetto e costretto la stessa ad evidenziare come la "sensibilità" dell'area avrebbe richiesto ben più puntuali indicazioni rispetto all'incidenza della nuova edificazione sull'ambiente circostante e sulle sue peculiarità come specificamente enucleate.

Proprio le suddette carenze documentali inducono, peraltro, ad escludere che sia effettivamente ravvisabile quel comportamento "schizzofrenico" che parte ricorrente vorrebbe attribuire alla Soprintendenza, dal momento che appare difficile ritenere che, se le soluzioni progettuali fossero state concordate, le stesse non sarebbero state anche debitamente rappresentate nelle schede progettuali.

Insufficienti a dimostrare l'illegittimità dell'impugnato diniego si ritengono, inoltre, i tentativi di superare le osservazioni critiche della Soprintendenza, in specie con riferimento agli "scavi eccessivi", rispetto a cui la ricorrente si è limitata a sostenere che gli stessi sarebbero stati contenuti e ridotti di circa la metà di quelli necessari, adottando le migliori tecniche costruttive (sostegni a palafitta per evitare sbancamenti per le fondazioni, parcheggi in pendenza per evitare ulteriori scavi), ma senza dimostrare di aver effettivamente esibito una puntuale rappresentazione dei luoghi, degli interventi previsti, della loro incidenza e delle garanzie fornite sia in relazione al rispetto delle peculiarità dell'area (con conservazione dei ciglioni), che all'esigenza di garanzia della stabilità del terreno.

Inoltre, non può trovare spazio la tesi di parte ricorrente secondo cui l'unico bene oggetto di tutela sarebbe la vista del lago dal terreno su cui si intende edificare: al contrario e a prescindere dall'esigenza di un attento inserimento degli edifici nella realtà dei luoghi, rispettandone le peculiarità (come la presenza dei ciglioni, che non possono essere sostituiti da muri in cls ricoperti di pietra), la tutela del paesaggio cui è preposta la Soprintendenza deve necessariamente includere quel bene primario che è la vista della costa dal lago (la natura di bene tutelabile della vista del lago è implicitamente riconosciuta nelle sentenze di questo Tribunale n. 308/2014 e del Consiglio di Stato, 700/2015).

Così respinto il ricorso introduttivo, conseguentemente, anche il ricorso per motivi aggiunti, in cui si deduce l'invalidità derivata del provvedimento con cui il Comune ha comunicato il decreto di diniego di autorizzazione paesaggistica datato 20 giugno 2014, prot. n. 0009763 non può trovare accoglimento.

Invero, tale ricorso per motivi aggiunti deduce anche un vizio proprio dell'atto comunale, illegittimo in quanto, essendo stato espresso, il parere della Soprintendenza, dopo il decorso dei quarantacinque giorni previsti dalla legge, il Comune non sarebbe più stato obbligato al suo rispetto, ma, al contrario, avrebbe dovuto dare corso ad una propria istruttoria e procedere a valutare motivatamente il progetto. La pedissequa presa d'atto del parere ministeriale sarebbe, dunque, priva della necessaria motivazione.

Tale censura ripropone la vexata quaestio della sorte del parere reso dalla Soprintendenza oltre il termine di cui all'art. 146 d.lgs. n. 42/2004 (nella formulazione vigente sia prima delle modifiche introdotte dall'art. 25, comma 3, del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, che dopo), in relazione alla quale non sussiste, in dottrina ed anche in giurisprudenza, concordia di opinioni.

L'art. 146 d.lgs. n. 42/2004 prevedeva, prima della sopra richiamata modifica e, dunque, nella versione applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame:

a) che il soprintendente rendesse il prescritto parere sulla compatibilità paesaggistica del progettato intervento entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti;

b) che il parere negativo fosse, in ogni caso, preceduto dalla comunicazione agli interessati del preavviso di provvedimento negativo ai sensi dell'art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241;

c) che entro i venti giorni dalla ricezione, l'amministrazione procedente (nel caso in esame, il Comune) provvedesse "in conformità".

Era, altresì, previsto che, decorso inutilmente il ridetto termine di quarantacinque giorni senza che il Soprintendente avesse reso il prescritto parere, l'Amministrazione competente potesse indire una conferenza di servizi, che si pronunziasse entro il termine (dichiaratamente) perentorio di quindici giorni (possibilità, questa, allo stato preclusa dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 133/2014, che hanno eliminato il richiamo al procedimento in conferenza). In alternativa, decorsi inutilmente sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del Soprintendente, il Comune poteva provvedere sulla domanda di autorizzazione e, nel caso di inerzia nel ridetto termine di venti giorni, l'interessato poteva attivare la competenza surrogatoria della Regione.

Appare, peraltro opportuno precisare che l'art. 146, comma 5, ha previsto che la Soprintendenza eserciti non più un sindacato di mera legittimità (come previsto nel regime previgente ed ancora, in prospettiva transitoria, dall'art. 159 d.lgs. n. 42 del 2004), ma una valutazione di "merito amministrativo", espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo paesaggistico (cfr. C.d.S., Sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 1129). Il parere vincolante che ne scaturisce ha un contenuto "sempre e soltanto valutativo e non volitivo e decisionale", restando, in quanto tale, manifestazione di attività propriamente consultiva e comportando un obbligo di conformarsi ma non di attuare l'altrui volontà che lo rende autonomo rispetto agli atti della fase decisoria.

Ciononostante, esso incide necessariamente e direttamente sul contenuto del provvedimento, onde appartiene già al momento decisionale (così C.d.S. n. 2751/2015, che parla di funzione consultiva congiunta ad una valenza sostanzialmente codecisionale rispetto alla determinazione di autorizzazione paesaggistica emanata dal Comune).

Conseguentemente, tale parere rimane estraneo all'ambito applicativo dell'art. 16 della l. n. 241/1990, non già perché (negativamente) la norma non lo richiami, ma perché (positivamente) richiama solo i pareri resi nell'esercizio di attività (tecnicamente) consultiva (come tale formalmente ausiliaria e funzionalmente neutra rispetto agli interessi in gioco).

E, del resto, consentire l'operare del meccanismo del silenzio assenso rispetto a pareri vincolanti finirebbe per integrare una insanabile contraddizione logica.

Ciò premesso, sul tema dell'efficacia del parere ex art. 146 del d.lgs. 42/2004 sono astrattamente ipotizzabili tre opzioni (esaminate, da ultimo, da C.d.S., sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2136):

a) la prima conclude nel senso dell'intervenuta consumazione del potere per l'organo statale di rendere un qualunque parere (di carattere vincolante o meno): il parere tardivo sarebbe, per l'effetto, nullo e, come tale, improduttivo di effetti;

b) la seconda opzione, dato il carattere meramente ordinatorio del richiamato termine, conclude nel senso della (piena) permanenza in capo alla Soprintendenza del potere di emanare un parere di carattere comunque vincolante (con il che - per ovvie e consequenziali, ancorché di rado esplicitate ad anche solo bene intese, ragioni di coerenza sistematica - il potere di adottare comunque il provvedimento, intestato all'Amministrazione procedente, andrebbe riguardato, nella logica imposta dall'art. 97 Cost. e del sotteso principio di legalità organizzativa, quale manifestazione di apposita competenza surrogatoria);

c) in base a una terza opzione interpretativa, il parere in parola perderebbe il carattere di vincolatività e, quindi, dovrebbe essere autonomamente valutato dall'amministrazione deputata all'adozione dell'atto autorizzatorio finale, non più assoggettava al vincolo di conformazione.

L'opzione sub a) è stata recentemente respinta dal Consiglio di Stato, nella sentenza, sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4914 (in termini simili, cfr. anche C.d.S., VI, 18 settembre 2013, n. 4656), che ha argomentato prendendo le mosse dal fatto che il termine non è qualificato come "perentorio" e, dunque, il potere della Soprintendenza continua a sussistere (tanto che un suo parere tardivo resta comunque disciplinato dai richiamati commi 5 e mantiene la sua natura vincolante) e l'interessato potrebbe solo agire per la declaratoria dell'illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dalla Soprintendenza, sempre che l'Amministrazione comunale non abbia comunque dato corso al procedimento secondo quanto espressamente previsto dalla norma.

La terza opzione interpretativa (secondo la quale, decorso il termine di quarantacinque giorni, il parere da vincolante "degraderebbe" a meramente obbligatorio: onde, per un verso, non sarebbe precluso alla Soprintendenza di formularlo tardivamente, ma l'Amministrazione procedente dovrebbe acquisirlo criticamente e motivatamente, potendovisi anche concretamente discostare) ha ricevuto recenti ed argomentati consensi (cfr. ex multis T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 22 aprile 2015, n. 2267 e soprattutto C.d.S., sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2136, in motivato dissenso rispetto alle opzioni alternative).

La tesi non merita, tuttavia, di essere seguita.

Essa muove, anzitutto, dal richiamo del pregresso orientamento che riconosceva carattere perentorio al termine assegnato alla Soprintendenza per procedere all'annullamento dell'autorizzazione paesaggistica reso dall'amministrazione competente ai sensi dell'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e non appare più in linea con la nuova attribuzione, alla Soprintendenza, di un potere di valutazione di merito, a connotazione propriamente "decisionale".

Ma, soprattutto essa risulta essere inaccettabile in quanto presuppone che il decorso del termine per provvedere finisca per mutare la stessa natura del potere attribuito alla Soprintendenza (che da decisionale e provvedimentale si trasformerebbe in meramente ausiliario e propriamente consultivo).

Allo stato, dunque, il Collegio, in conformità al recente orientamento della giurisprudenza sopra argomentato (cfr. da ultimo, T.A.R. Salerno, II, 1565/2015 del 9 luglio 2015) ritiene preferibile la tesi secondo cui il decorso del termine di quarantacinque giorni non solo non preclude alla Soprintendenza, fintantoché non sopravvenga la decisione surrogatoria del Comune, di provvedere, ma neppure sottragga al parere tardivo la sua ordinaria attitudine vincolante.

Anche sotto quest'ultimo profilo, dunque, il ricorso deve essere respinto.

Le spese del giudizio possono, invece, trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la natura prettamente interpretativa della questione dedotta.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

M. Marazza

Diritto sindacale contemporaneo

Giuffrè, 2024

L. Di Muro, G. Correale (curr.)

Codice dell'immigrazione

La Tribuna, 2024

A. Bartolini e al. (curr.)

Le riforme amministrative

Il Mulino, 2024