Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 9 dicembre 2015, n. 5580

Presidente: Numerico - Estensore: Mele

FATTO

Con sentenza n. 3007/2015 del 23 febbraio 2015 il Tribunale Amministrativo per il Lazio, Sezione Seconda, resa nei giudizi di ottemperanza n. 9047/2014 R.G. (per l'esecuzione della sentenza n. 9352/2013) e n. 13207/2014 R.G. (per ottenere chiarimenti sulle modalità di esecuzione sulle statuizioni contenute nella sentenza n. 9045/2013), così provvedeva: "... definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti n. 9047/2014 e n. 13207/2014, dichiara il secondo inammissibile ed accoglie il primo nei limiti di cui in motivazione. Per l'effetto ordina all'Agenzia delle Entrate di dare esecuzione alla sentenza n. 9352/2013, secondo le modalità indicate in motivazione, nel termine di trenta giorni dalla notifica/comunicazione della presente sentenza. Nomina, per l'ipotesi di perdurante inottemperanza, un commissario ad acta, nella persona del Dirigente responsabile della Direzione del Personale e dei Servizi del Ministero dell'Economia e delle Finanze, affinché provveda, entro il termine di trenta giorni, in sostituzione dell'Agenzia delle Entrate. Condanna l'Agenzia delle Entrate al pagamento della penalità di mora nella misura e nei termini indicati in motivazione...".

Avverso la prefata sentenza, limitatamente alle statuizioni relative alla esecuzione della sentenza n. 9352/2013, l'Agenzia delle Entrate ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, chiedendone la riforma.

Ha dedotto le seguenti censure: 1) Violazione dell'art. 112 c.p.c., ultrapetizione della sentenza n. 3007/2015 in assenza di condanna, ad opera della sentenza n. 9352/2013, all'inquadramento economico a far data dal 22 gennaio 2007; 2) Violazione dell'art. 112 c.p.c., ultrapetizione della sentenza n. 3007/2015, in assenza di condanna, ad opera della sentenza n. 9352/2013, al risarcimento del danno per le differenze retributive dal 22 gennaio 2007; in ogni caso intervenuta prescrizione e decadenza del diritto al risarcimento del danno da ritardata assunzione; 3) Violazione dell'art. 112 c.p.c., ultrapetizione della sentenza n. 3007/2015 in assenza di condanna ad opera della sentenza n. 9352/2013 all'inquadramento nella terza area dei dipendenti Barra, Saponaro e Marchetti, non collocati in posizione utile nella graduatoria riformulata; 4) Violazione dell'art. 114, comma 2, lett. e), c.p.a., per assenza di profili di colpa in capo all'amministrazione e per la natura pro futuro delle astreintes.

Si sono costituiti in giudizio i signori B. Raffaele, Massimo S., Marco M., Marco S., Giuseppe A., Cinzia D., Maria Gabriella G. e Anna M.S., deducendo l'infondatezza dell'appello e chiedendone il rigetto.

Gli stessi hanno, poi, proposto ulteriore memoria difensiva in data 6 novembre 2015.

La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione alla camera di consiglio del 24 novembre 2015.

DIRITTO

Va preliminarmente dato atto che l'Agenzia delle Entrate appella la sentenza in epigrafe con esclusivo riferimento alle statuizioni relative alla esecuzione della decisione del Tribunale n. 9352/2013, prestando invece acquiescenza alle statuizioni rese relativamente alla esecuzione della sentenza n. 9047/2014.

Giustifica ancora la proposizione del gravame nella considerazione che, avendo "interpretato rigorosamente il comando giudiziale", "non solo ha riformulato la graduatoria, ma ha anche proceduto a dare seguito alle richieste ulteriori dei ricorrenti in ottemperanza descritte a pag. 9 della sentenza del TAR paragrafo 5, punto A), ovvero a "inquadrare i ricorrenti nell'Area III con decorrenza giuridica ed economica 22 gennaio 2007".

Precisa, pertanto, che "tale rigorosa interpretazione della sentenza n. 3007/2015, che ha comportato la stipulazione dei contratti con decorrenza giuridico ed economica al 22 settembre 2007 e ha comportato l'inquadramento nella Area III anche dei dipendenti che non ne avevano titolo, in quanto non collocatisi in posizione utile nella graduatoria riformulata, è oggetto della presente impugnazione".

Ciò premesso, con il primo motivo deduce che la condanna dell'Agenzia all'inquadramento economico dei dipendenti nell'Area III a far data dal 22 gennaio 2007 non consegue alla domanda in tal senso avanzata dai ricorrenti nel ricorso in ottemperanza, né è rinvenibile una statuizione sul punto nella sentenza del Tar Lazio n. 9352/2013, non avendo questi formulato tale istanza neppure nel giudizio di ottemperanza.

La sentenza appellata sarebbe, pertanto, affetta da ultrapetizione, avendo riconosciuto una utilità maggiore rispetto a quella statuita nella sentenza passata in giudicato.

Con il secondo motivo l'Appellante Agenzia deduce che la corresponsione delle differenze retributive a far data dal 22 gennaio 2007 (momento di approvazione della originaria graduatoria) non può essere riconosciuta neppure a titolo di risarcimento del danno, considerandosi che la sentenza n. 9352/2013, passata in giudicato, non contiene alcuna statuizione di tipo risarcitorio e che alcuna domanda in proposito era stata formulata nel giudizio di primo grado.

Con il terzo motivo lamenta che la condanna all'inquadramento dei signori B., S. e M. sarebbe erronea, atteso che, a seguito della riformulazione della graduatoria, gli stessi non erano risultati in posizione utile per ottenere il passaggio di area.

Ritiene la Sezione che i primi tre motivi di ricorso siano infondati per le ragioni che di seguito si espongono.

L'Amministrazione, infatti, erroneamente desume l'obbligo di inquadramento giuridico ed economico nella III area a far data dal 22 gennaio 2007 come conseguenza diretta di una statuizione in proposito resa dal giudice di prime cure nella sentenza n. 3007/2015, oggetto del presente gravame.

L'Agenzia opera in proposito riferimento alla circostanza che al punto 6 della sentenza si dice che "alla luce delle considerazioni sin qui svolte, le prime tre domande formulate dai ricorrenti devono essere accolte..." e che nella esposizione del fatto (punto 5) la prima delle tre domande sia così individuata: "A) ordinare all'Agenzia delle Entrate di riformulare la graduatoria finale del corso-concorso, con l'esclusione dei candidati B3 inseriti in soprannumero, in modo da essere essi stessi inquadrati nell'Area III con decorrenza giuridica ed economica 22 gennaio 2007 (data di adozione della graduatoria finale) e, comunque, con decorrenza analoga a quella degli altri soggetti dichiarati vincitori".

Rileva, peraltro, il Collegio - come già chiarito in sede di pronuncia cautelare - che l'affermazione di accoglimento della domanda proposta dai ricorrenti, contenuta nel punto 6, debba essere correttamente letta alla luce delle argomentazioni svolte nel precedente punto 5, il quale contiene la specificazione della condotta amministrativa che l'Agenzia deve tenere per dare esecuzione alla sentenza n. 9352/2013.

Si legge, infatti, nel prefato punto 5, che "... il Collegio ritiene che l'Agenzia delle Entrate per dare corretta esecuzione alla sentenza n. 9352/2013 debba procedere innanzi tutto a riformulare la graduatoria finale della procedura selettiva, "con l'effettiva definitiva esclusione a tutti gli effetti dei candidati B3 illegittimamente inseriti in sovrannumero" e "attribuendo i posti conferiti ai candidati B3 illegittimamente inseriti in sovrannumero e gli eventuali posti utili... solo in base ai criteri originariamente fissati dal bando".

In tal modo, dunque, la sentenza in questa sede gravata si è limitata a stabilire la corretta regola di condotta dell'amministrazione, dettandone i criteri informativi, ma non si è affatto spinta fino ad affermare il diritto (e la conseguente condanna dell'Amministrazione) al concreto inquadramento dei ricorrenti nell'Area III con decorrenza giuridica ed economica dal 22 gennaio 2007.

L'ordine contenuto in sentenza si riferisce, dunque, alla riformulazione della graduatoria e l'attribuzione dei posti è attività successiva a tale adempimento, il cui contenuto concreto discende dagli esiti dell'attività di riformulazione della graduatoria medesima.

Di conseguenza, deve escludersi che il giudice abbia già potuto predeterminare il contenuto del provvedimento finale, in termini di inquadramento dei ricorrenti nell'Area e con la decorrenza giuridica ed economica richiesti.

La conclusione di cui sopra trova, poi, conferma nella circostanza che l'accoglimento della domanda è disposta "alla luce delle considerazioni sin qui svolte" e che la sentenza gravata espressamente specifica, al punto 6, la conseguenza dell'accoglimento, precisato nell'inciso "e, per l'effetto, si deve innanzi tutto ordinare all'Agenzia delle Entrate di dare esecuzione alla sentenza n. 9352/2013 secondo le modalità innanzi indicate", ulteriormente precisandosi in dispositivo che l'accoglimento del ricorso n. 9047/2014 è operato "nei limiti di cui in motivazione".

Dunque, nella stessa non vi è alcun immediato e diretto ordine di inquadramento dei ricorrenti nella III fascia con la prefata decorrenza giuridica ed economica, trattandosi questo di un esito solo eventuale, comunque dipendente dagli esiti della riformulazione della graduatoria, attività ordinata alla Agenzia delle Entrate con i criteri specificati in sentenza e, dunque, rimessa alla stessa senza alcuna immediata e concreta prefigurazione dell'esito.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte, pertanto, i primi tre motivi di ricorso - basati sull'erroneo presupposto che la sentenza gravata abbia ordinato il concreto inquadramento dei ricorrenti nell'Area III e con la decorrenza giuridica richiesta - devono essere respinti in quanto infondati.

Può a questo punto passarsi all'esame del quarto motivo di appello, con il quale viene dedotta la violazione dell'art. 114, comma 2, lett. e), del c.p.a., in relazione alla disposta condanna dell'Amministrazione al pagamento della penalità di mora.

L'Agenzia ritiene in primo luogo che tale condanna non doveva essere disposta in considerazione della mancata colpa dell'amministrazione nella esecuzione della sentenza n. 9352/2013. Sarebbe, inoltre, errata la decorrenza attribuita a tale penalità, a far tempo dalla notifica della predetta sentenza di primo grado.

La censura è fondata, con valenza assorbente, nella parte in cui lamenta la disposta decorrenza della penalità di mora da un momento anteriore alla pronunzia del giudice dell'ottemperanza.

L'art. 114, comma 4, c.p.a. dispone che "il giudice, in caso di accoglimento del ricorso: ... e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato...".

Osserva la Sezione che la norma collega la penalità a "ogni violazione o inosservanza successiva" ovvero ad "ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato" dopo aver precisato, nell'incipit del richiamato comma 4, che è il giudice dell'ottemperanza a fissare l'importo dovuto.

Di conseguenza, la violazione, l'inosservanza ed il ritardo che giustificano la condanna al pagamento dell'astreinte sono solo quelli successivi alla pronunzia del giudice dell'ottemperanza.

Tale conclusione, peraltro, oltre che fondata sulla lettera della norma, è in linea con la natura e la finalità dell'istituto, quali chiarite dall'Adunanza Plenaria di questo Consiglio con la sentenza n. 15 del 25 giugno 2014.

È stato, invero, precisato che, rispetto al sistema processual-civilistico, la penalità di mora nel processo amministrativo assume una più marcata matrice sanzionatoria che completa la veste di strumento di coazione indiretta e si atteggia a tecnica compulsoria che si affianca, in termini di completamento e cumulo, alla tecnica surrogatoria che permea il giudizio di ottemperanza.

Essa, dunque, assolve ad una funzione coercitivo-sanzionatoria e non ad una funzione riparatoria, onde costituisce pena e non risarcimento, trattandosi di istituto con funzione deterrente e general-preventiva.

Rileva il Collegio che tale funzione deterrente, general-preventiva e dissuasiva può realizzarsi solo per comportamenti successivi all'ordine del giudice che ne dispone il pagamento, assumendo, invece, ove la si riferisca anche ad inadempimenti pregressi, natura meramente risarcitoria.

L'appello deve, pertanto, essere accolto nei sensi sopra precisati e, per l'effetto, la sentenza è riformata nel senso che la penalità decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell'ordine di pagamento formulato dal giudice dell'ottemperanza.

Orbene, avendo il giudice dell'ottemperanza dettato la concreta regola di condotta e decorrendo la penalità da data successiva alla pronunzia di detto giudice, perde ogni rilievo la considerazione, svolta in appello, in ordine all'esistenza o meno di una colpa dell'Amministrazione nel non avere fino a tale momento dato esecuzione al giudicato.

In conclusione, dunque, l'appello è infondato con riferimento ai primi tre motivi di ricorso, con conseguente conferma per tale parte della sentenza del Tribunale Amministrativo.

L'appello deve, invece, essere accolto, nei sensi in motivazione specificati, limitatamente alla disposta decorrenza della penalità di mora, con conseguente riforma della gravata sentenza per tale esclusiva parte.

Le spese del giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti costituite, in relazione al predetto esito della lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l'appello, nei sensi in motivazione specificati, limitatamente alla decorrenza della penalità di mora e, per l'effetto, riforma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 3007/2015 del 23 febbraio 2015 in tale parte, confermandola per il resto.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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