Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 13 novembre 2015, n. 50255

Presidente: Conti - Estensore: Scalia

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22.01.2015, su appello del Procuratore Generale, la Corte territoriale di Reggio Calabria, in riforma della sentenza emessa in data 31.10.2013 dal Giudice per le indagini preliminari della medesima città, ha dichiarato Pasquale T. colpevole del reato di cui all'art. 316-ter, comma 1, c.p., limitatamente al periodo dal 01.07.2007 al 31.12.2008, risultando prescritta ogni diversa imputazione, e, concesse le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle circostanze aggravanti contestate, lo ha condannato alla pena di un anno di reclusione.

La Corte di appello ha in tal modo riqualificato l'originaria imputazione di truffa aggravata e continuata, e di falsità ideologica del privato in atto pubblico (artt. 61, nn. 7 e 9, 81 cpv, 483 e 640, secondo comma, c.p.), rispetto alla quale il Giudice per le indagini preliminari, in esito a giudizio abbreviato, aveva mandato assolto il T. con la formula "perché il fatto non sussiste".

2. Al T. eletto consigliere regionale in Calabria nell'aprile del 2000, all'inizio della VII legislatura, si imputa di aver presentato nel giugno dello stesso anno un'autocertificazione in cui egli comunicava all'ente territoriale che, a far data dal 01.07.2000, avrebbe spostato la propria residenza anagrafica, da Reggio Calabria, a Messina in Via [omissis].

Quest'ultima circostanza - non rispondente al vero avendo il T. continuato a risiedere di fatto, durante il mandato elettivo, in Pellaro di Reggio Calabria, Comune ricadente nel territorio della Provincia reggina - avrebbe consentito al prevenuto di illecitamente ottenere, quale Consigliere residente fuori Regione, rimborsi, per l'utilizzo negli spostamenti di mezzo proprio, per il maggiore importo pari ad euro 667.205,90, a fronte della minore somma di euro 378.083,30 al medesimo invece spettante quale Consigliere residente in Reggio Calabria e, quindi, nel territorio della Regione in cui egli esercitava il mandato elettivo.

2.1. Il Giudice per le indagini preliminari ha concluso in sentenza per l'insussistenza del falso e della truffa, come contestati, atteso che:

a) nel modulo predisposto dalla Regione Calabria e compilato dal T. nel luglio del 2000 al fine di ottenere l'indennità di trasporto, si richiedeva l'indicazione del luogo di residenza e non di dimora;

b) il T. non aveva mai celato di frequentare costantemente la casa, costituente suo domicilio, in San Leo di Pellaro, Comune ricompreso nella Provincia di Reggio Calabria, come emergeva dal modulo compilato e dai cedolini degli stipendi prodotti, nei quali l'indirizzo del destinatario era, per l'appunto, quello di San Leo di Pellaro;

c) nel giugno del 2000, al momento della seconda dichiarazione con cui il T. spostava la residenza da Reggio Calabria a Messina, la materia dei rimborsi era disciplinata non ancora dalle delibere dell'Ufficio di Presidenza n. 79 del maggio 2001 e n. 176 dell'ottobre del 2001, ma dalla legge n. 836 del 1973 - come dichiarato dal dottor C., dirigente della Regione, in sede di s.i.t. e di testimonianza espletata in primo grado, nel corso del giudizio abbreviato;

d) l'applicazione della legge n. 836 del 1973, tenuto conto della distanza tra Reggio Calabria, sede del Consiglio regionale, e Messina, Comune di residenza, avrebbe consentito all'imputato di lucrare un maggior rimborso per una differenza chilometrica contenuta in uno scarto di 3-4 chilometri e quindi monetizzabile in poche decine di euro.

2.2. La Corte di Appello, su impugnativa del Procuratore Generale, giunge all'affermazione di colpevolezza dell'imputato previa l'indicata riqualificazione del fatto contestato.

La Corte argomenta dall'errore di diritto in cui sarebbe incorso il primo giudice nel ritenere la materia dei rimborsi, per le tratte chilometriche percorse con mezzo proprio dagli appartenenti al Consiglio della Regione Calabria, assoggettata alla legge n. 836 del 1973, normativa disciplinante invece la diversa ipotesi della indennità di missione dei dipendenti statali.

La stessa Corte individua invece la fonte di regolamentazione della materia nella legge regionale n. 3 del 1996 che, all'art. 4, prevede, per i Consiglieri residenti fuori Regione, che si assuma come riferimento, ai fini della quantificazione forfettaria dell'indennità chilometrica, la distanza di 300 chilometri.

A corredo della decisione, la medesima Corte argomenta poi dalla circostanza che il T. non avrebbe mai abitato a Messina - ed invero l'appartamento sito in Via La Farina era stato locato a studenti universitari - e che al trasferimento della residenza anagrafica non avrebbe quindi corrisposto il trasferimento della residenza effettiva, o dimora, destinata a prevalere su quella formale e sempre rimasta all'interno del Comune di Reggio Calabria.

Su dette premesse, la Corte territoriale sottrae rilevo alla circostanza, invece valorizzata dal Giudice per le indagini preliminari al fine di escludere l'elemento psicologico del reato, costituita dalla possibilità per la pubblica Amministrazione di conoscere altrimenti - su dichiarazione resa dallo stesso T. nel medesimo modulo - la reale situazione del prevenuto.

La conoscenza della effettiva residenza sarebbe stata invero eventuale conseguenza di un riscontro incrociato di dati e, comunque, rileva ancora la Corte, quanto si era verificato non poteva escludere che l'imputato, negli anni tra il 2000 ed il 2008, avesse consapevolmente continuato a percepire un'indennità a lui non dovuta - diretta a soddisfare in via forfettaria il maggior disagio sopportato dai Consiglieri regionali nell'affrontare un viaggio più lungo per raggiungere il luogo di espletamento del mandato - non essendo egli residente in altra Regione.

In punto di diritto, la Corte reggina - escluso che la condotta dell'imputato fosse connotata dagli artifici e raggiri necessari ad integrare la truffa - ha ricondotto la fattispecie all'ipotesi speciale, residuale, di cui all'art. 316-ter c.p., irrogando quindi la pena di giustizia, dopo aver ritenuto la prescrizione, in ragione della diversa cornice edittale applicabile, per le condotte maturate entro il 30.06.2007.

3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria propone ricorso per Cassazione il T. per ministero dei propri difensori, che affidano l'articolato mezzo a due motivi.

3.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia illogicità della motivazione e violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p. in relazione all'art. 43 c.c. ed agli artt. 483 e 640, comma secondo, c.p.), per avere l'impugnata sentenza escluso l'efficacia del mendacio nella dichiarazione, ai fini dell'integrazione dell'originaria imputazione di truffa aggravata (art. 640, comma 2, c.p.), per poi riqualificare i fatti ai sensi dell'art. 316-ter c.p. Lamenta la difesa dell'imputato come, giusta la nuova operata qualificazione, la Corte territoriale non si sarebbe fatta carico di verificare se la condotta del T. fosse assistita dalla finalità di frodare l'Ente regionale.

La Corte avrebbe infatti svilito la circostanza che l'obbligo di comunicazione - assolto dall'imputato in epoca che precedeva di un anno e mezzo l'adozione della delibera regionale n. 176 del 15.10.2001 che si occupava del trattamento economico dei Consiglieri residenti fuori Regione - come indicato nel modulo predisposto dalla Regione, si esaurisse nell'indicazione del luogo di residenza anagrafica e che il T. stesso, d'altro canto, avesse reso evidente che il centro principale dei suoi interessi fosse in Reggio Calabria, presso la sua effettiva residenza.

Il prevenuto infatti avrebbe rappresentato nella compilazione del modulo insieme alla sua nuova residenza anagrafica - quella in Messina, fuori Regione - anche che ogni corrispondenza, ivi comprese le buste paga, venisse a lui inoltrata all'indirizzo di Pellaro San Leo, in Reggio Calabria.

3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente fa valere violazione di legge e vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all'art. 316-ter c.p.) per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto di potere riqualificare la condotta contestata al T., ai sensi dell'art. 316-ter c.p.

Le indennità di trasporto, infatti, di natura meramente reintegrativa - consistendo le stesse in un mero rimborso forfettario di spese sostenute -, non avrebbero potuto essere ricomprese nelle erogazioni pubbliche, economico-finanziarie, destinate a sostegno delle attività produttive, invece previste dall'art. 316-ter c.p.

Le prime non avrebbero comunque potuto essere annoverate tra le erogazioni a carattere meramente assistenziale, giustificate da situazioni di disagio sociale, sulla cui rilevanza, ai fini dell'integrazione della fattispecie ritenuta, si erano pure espresse le Sezioni Unite, con la sentenza n. 1658 del 19 aprile 2007, sul cd. "reddito minimo di inserimento".

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

1.1. Per l'adottato percorso argomentativo, la difesa del T., contestata la qualificazione operata in appello dei fatti in imputazione, tenta di recuperare l'originaria riconduzione delle contestate condotte alla truffa ai danni dello Stato (art. 640, secondo comma, n. 1, c.p.), per poi giungere, dedotta l'inconfigurabilità dell'intento fraudolento del prevenuto, ad escludere la truffa e quindi ogni ipotesi di responsabilità.

Nella motivazione della sentenza della Corte territoriale non si registra alcuna distonia, in punto di logica, per avere la prima, da un canto, rilevato l'insufficienza del solo mendacio, in difetto degli artifici e raggiri e dell'induzione in errore, ad integrare il reato di truffa aggravata (ai sensi dell'art. 640, comma secondo, c.p.), come inizialmente contestato, e per avere dall'altro, in via residuale, muovendo dai contenuti della ordinanza del Giudice delle Leggi n. 95 del 2004, qualificato la condotta osservata dal prevenuto nei termini di una indebita percezione a danno dello Stato, ai sensi dell'art. 316-ter c.p.

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, la fattispecie criminosa di cui all'art. 316-ter c.p., che sanziona, per l'appunto, l'indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, costituisce norma sussidiaria rispetto al reato di truffa aggravata (artt. 640, commi primo e secondo, n. 1, e 640-bis c.p.), essendo destinata a colpire condotte che non rientrano nel campo di operatività di quest'ultima.

La medesima - diretta a delineare una fattispecie a struttura complessa, articolata in due condotte la prima delle quali è necessariamente una dichiarazione falsa - trova infatti applicazione allorché del paradigma della truffa venga a mancare l'estremo degli artifici e dei raggiri ed il requisito dell'induzione in errore (Sez. 2, n. 49464 del 1° ottobre 2014, Gattuso; Sez. 2, n. 8613 del 12 febbraio 2009, Accardo; Sez. 2, n. 23623 dell'8 giugno 2006, Corsinovi).

La Corte di Appello, con apprezzamento di fatto rispettoso dell'indicato principio ed esente da vizio logico, e come tale non sindacabile in questa sede, ha escluso che il mero mendacio, pure riconosciuto in capo al prevenuto, potesse integrare la truffa aggravata, inizialmente contestata.

Esclusa la truffa per gli indicati estremi, la Corte è quindi correttamente pervenuta ad un'affermazione di colpevolezza in ragione della sola falsità della dichiarazione resa dall'imputato, estremo valorizzato all'interno della diversa fattispecie di cui all'art. 316-ter cit.

La Corte di Appello ha giustificatamente ritenuto la sussistenza del mendacio.

La finalità tipica del modulo compilato dal T. consisteva infatti nella indicazione del luogo di residenza del Consigliere regionale, non identificabile con il formale dato anagrafico.

Nessun errore di diritto è invero ravvisabile nella ricostruzione offerta dai Giudici di Appello della nozione di residenza, ricostruzione rispettosa delle previsioni di cui all'art. 43, comma secondo, del codice civile, e dei principi affermati da questa Corte.

La residenza di un soggetto resta, pertanto, in tal modo definita quale abituale volontaria dimora in un dato luogo contrassegnata sia dal fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia dall'elemento soggettivo della volontà di rimanervi, manifestata in fatti univoci, evidenzianti tale intenzione (Sez. 1, Sentenza n. 791 del 5 febbraio 1985).

L'interpretazione offerta dalla Corte di Appello di Messina della nozione di residenza non si affida, quindi, e correttamente, al dato formale rappresentato dalle mere risultanze anagrafiche, ma argomenta da una nozione di residenza connotata dai caratteri dell'effettività che, come tale, viene ad essere individuata nel luogo di sostanziale permanenza dell'imputato, e quindi, per l'imputato, nel territorio reggino, e non nel diverso ambito regionale siciliano in cui il T. aveva trasferito la propria residenza anagrafica.

1.2. I Giudici di Appello hanno poi escluso, con ragionamento sorretto da logica, e sottratto come tale al sindacato di questa Corte, che l'inserimento tra i dati del modulo predisposto dalla Regione Calabria, insieme alla residenza anagrafica, in Messina, del Comune di San Leo di Pellaro, posto in Provincia di Reggio Calabria, luogo indicato dal T. per la ricezione di corrispondenza e buste paga, valesse, per il contesto in cui era reso, a segnalare la volontà del prevenuto di evidenziare la propria sostanziale dimora, così orientando la Regione nella quantificazione dell'indennità di trasferimento.

Si tratta invero, rilevano i Giudici del merito, di «ulteriori annotazioni» come tali sottratte, negli effetti voluti dal dichiarante, agli esiti propri del contenuto tipico dell'atto consistenti nell'offerta, all'Ente di appartenenza, degli elementi su cui determinare la distanza chilometrica tra il luogo di residenza del Consigliere regionale e la sede della Regione presso cui il medesimo esercitava i compiti del ricevuto mandato elettivo.

Immune da censure è poi la considerazione spesa dalla Corte territoriale sulla consapevolezza del T. - con esclusione, in radice, della buona fede dell'imputato - di aver percepito nel corso degli anni 2000-2008 un'indennità di gran lunga superiore a quella lui dovuta, non essendo egli residente in una diversa Regione.

2. Il secondo motivo è infondato, non risultando la scelta qualificatoria operata dalla Corte reggina inficiata da violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui ricomprende tra le erogazioni a danno dello Stato, o di altri enti pubblici, di cui all'art. 316-ter c.p., anche le indennità chilometriche ottenute dai Consiglieri regionali per l'utilizzo del mezzo proprio nella tratta pari alla distanza tra il luogo di residenza e quello di esercizio del mandato.

Gli importi erogati dalla Regione Calabria (si esprime, ricomprendendo nella fattispecie in esame, contributi di carattere regionale: Sez. 6, n. 38293 del 14 luglio 2015, Cascino), come determinati e valorizzati dalle relative delibere di disciplina dell'Ufficio di Presidenza dell'ente (n. 79 del maggio 2001 e n. 176 dell'ottobre del 2001), ben possono rientrare nella platea delle "erogazioni" di cui all'art. 316-ter c.p.

L'art. 316-ter, comma secondo, c.p. assoggetta a medesima previsione «contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici...» senza però che, per la stessa, debbano ritenersi assoggettate a presidio penale le sole erogazioni di provvidenze destinate a sostenere le attività produttive nazionali o, al più, misure assistenziali determinate da situazioni di disagio sociale (Sez. un., n. 1658 del 19 aprile 2007, Carchivi; Sez. 6, Sentenza n. 38293 cit.).

Nell'ampiezza della formula utilizzata dal legislatore, si disvela la "ratio" della norma, diretta a sanzionare penalmente la percezione di erogazioni in genere, comunque denominate, in quanto rilasciate dallo Stato o da altri pubblici soggetti ed in quanto funzionali, nella condivisa identità di tipo, a sollevare sia pure parzialmente, così per la locuzione "contributo" - che richiama l'apporto individuale al raggiungimento di un fine al quale concorrono e collaborano più persone -, il soggetto che il contributo abbia richiesto, per utilizzo o presentazione di dichiarazioni e documenti falsi, nello svolgimento della propria attività.

Quindi anche le spese di trasporto sostenute dal Consigliere regionale per il raggiungimento della sede dell'Ente territoriale presso la quale egli svolga il suo mandato, in quanto coperte dall'Amministrazione di appartenenza con il meccanismo del rimborso, rientrano, ove indebitamente percepite, tra i contributi assoggettati alla previsione di cui all'art. 316-ter, comma secondo, c.p.

Del resto, e infine, la previsione, contenuta nella norma di riferimento (art. 316-ter, comma secondo, c.p.), di una condotta sanzionabile solo in via amministrativa, allorché la somma indebitamente percepita risulti ricompresa entro 3.999,96 euro, fa ritenere la fattispecie criminosa comprensiva anche della percezione di contributi che, nella loro modesta consistenza, appaiono come difficilmente inquadrabili in sostegni alle attività produttive nazionali, fenomeno che evoca ben più consistenti interventi pubblici per correlate elargizioni.

3. Il ricorso va pertanto rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 22 dicembre 2015.

M.N. Bugetti

Amministrazione di sostegno

Zanichelli, 2024

P. Emanuele

Compendio di diritto parlamentare

Simone, 2024

M. Di Pirro

Compendio di diritto civile

Simone, 2024