Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 29 gennaio 2016, n. 1655

Presidente: Salmè - Estensore: Pellecchia

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2010 Edo B. convenne in giudizio, ex art. 152 d.lgs. n. 196/2003, la Fiditalia s.p.a. per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito della diffusione a terzi di dati inerenti la propria posizione finanziaria.

Espose l'attore di aver stipulato nel 2007 un contratto di finanziamento con Fiditalia e che a seguito dell'omesso pagamento di alcune rate un incaricato della società aveva telefonato presso il suo studio professionale riferendo in tutti i particolari la situazione di morosità. Nel mese di febbraio 2010 un dipendente di Fiditalia aveva telefonicamente informato il legale rappresentante della società concessionaria dalla quale aveva acquistato la vettura, per il cui acquisto era stato concesso il finanziamento, del mancato pagamento delle rate.

La Fiditalia si difese sostenendo che nessun suo incaricato o dipendente, così come nessuna delle società, a cui era stato affidata l'attività di recupero crediti nei confronti del cliente inadempiente, aveva mai telefonato presso lo studio dell'attore o comunicato a soggetti diversi i dati inerenti alla sua morosità.

Il tribunale di Milano, con sentenza del 29 marzo 2012 rigettò la domanda dell'attore affermando che: a) i dati oggetto della controversia erano da qualificarsi come dati personali, ex art. 4, lett. b, del d.lgs. n. 196/2003 e non come dati sensibili; b) la lesione della riservatezza si ha se, detti dati, si portano a conoscenza di soggetti terzi, ma, nel caso di specie, la concessionaria era parte del contratto; c) nel contratto di finanziamento lo stesso B. aveva indicato quale propria residenza la sede dello studio professionale, con ciò legittimando il creditore ad effettuare ogni necessaria comunicazione presso lo studio stesso né l'illegittimità del trattamento del dato personale poteva derivare dalla circostanza che la comunicazione era stata effettuata [a] un soggetto diverso, dipendente o collaboratore, dello studio professionale, trattandosi di soggetto evidentemente dall'attore delegato all'interno della propria organizzazione professionale alla ricezione di ogni tipo di comunicazioni; d) mancava comunque la prova delle circostanze allegate.

2. Avverso tale decisione, Edo B. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

2.1. Resiste con controricorso Fiditalia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la "violazione e falsa applicazione degli art. 11 e 15 del Codice della privacy (d.lgs. n. 196 del 2003) in riferimento all'articolo 360 n. 3 c.p.c.".

Lamenta il B. che il tribunale ha erroneamente ritenuto che vi fosse un collegamento tra il contratto di finanziamento e quello di vendita dell'autovettura, che conseguentemente il concessionario non fosse un terzo estraneo al rapporto e che la divulgazione dell'informazione di natura finanziaria potesse giustificarsi in riferimento alle obbligazioni scaturenti dai due contratti di vendita e di finanziamento.

Il motivo è infondato.

L'art. 24, lett. b), del codice della privacy indica tra i casi nei quali il trattamento dei dati può essere effettuato senza consenso, quello in cui il trattamento stesso sia necessario per eseguire obblighi derivante da un contratto del quale è parte l'interessato o per adempiere, prima della conclusione del contratto, a specifiche richieste di questi. La norma, al pari di quelle contenute nelle lett. d) ed i-ter), è evidentemente intesa a favorire lo svolgersi dei rapporti commerciali e richiede che il trattamento sia necessario ai fini della conclusione o dell'esecuzione del contratto.

Nel caso di specie, correttamente la corte d'appello ha ritenuto sussistere il requisito della necessità ai fini della corretta esecuzione dei contratti di finanziamento e di acquisto del bene, tra loro collegati.

Infatti, l'art. 121, lett. d), del d.lgs. n. 385 del 1993 prevede espressamente un'ipotesi di collegamento negoziale di fonte legale tra i contratti di credito al consumo finalizzati all'acquisto di determinati beni o servizi ed i contratti di acquisto dei medesimi (v. Cass. n. 20477/2014). Né il ricorrente ha contestato che nella specie ricorressero le due condizioni previste dalla norma [1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; 2) il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito] essendosi limitato a ribadire l'autonomia dei due contratti e l'impossibilità di configurare un collegamento tra gli stessi.

In caso di collegamento deve conseguentemente ritenersi lecita, in attuazione dei reciproci obblighi di buona fede e correttezza gravanti sulle parti dei contratti collegati la circolazione delle informazioni che riguardano fatti che possono avere rilevanza sulle vicende contrattuali.

3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia il "vizio di omessa motivazione e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c. n. 5)", sostenendo che il tribunale non ha ammesso una prova fondamentale senza fornire la motivazione di tale decisione.

Il motivo è inammissibile.

Come, con orientamento pacifico, è stato affermato, la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare - elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto - non alleghi e indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire ex actis alla corte di cassazione di verificare la veridicità dell'asserzione.

Poiché nella specie il ricorrente non ha provveduto a quanto richiesto da tale orientamento il motivo è inammissibile.

4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.500, di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.