Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 2 febbraio 2016, n. 398

Presidente: Virgilio - Estensore: Russo N.

FATTO

Il dott. L.P.C., magistrato della Corte dei conti, imputato per il reato di cui agli artt. 110, 319 e 321 c.p. in merito a fatti risalenti al 2003, veniva riconosciuto insieme ad altro magistrato responsabile del reato ascrittogli con sentenza del Tribunale di Roma del 14 marzo 2011.

Il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, in seguito alla comunicazione del dispositivo della sentenza, nell'adunanza del 6 aprile 2011, deliberava che "il Consigliere della Corte dei conti, dott. L.P.C., in servizio presso la Sezione delle Autonomie, è sospeso dal servizio e dalle funzioni ai sensi dell'art. 4 della l. n. 97 del 27 marzo 2001, a seguito della definizione del procedimento penale n. 5928/05...".

Successivamente, in data 3 maggio 2011, quando ancora si attendeva il deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado, in relazione alla qualificazione giuridica del fatto per come operata dal Tribunale, il reato si prescriveva.

Il dott. C., con ricorso notificato in data 16 maggio 2011, impugnava la determinazione con la quale il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti aveva disposto la sospensione dal servizio e dalle funzioni e, denunciando vari vizi di illegittimità, ne chiedeva l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione.

In seguito, veniva adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, datato 31 maggio 2011 con cui il ricorrente è stato sospeso dalle funzioni ai sensi dell'art. 4 della l. 97 del 27 marzo 2001, provvedimento quest'ultimo impugnato con motivi aggiunti.

Con ordinanza n. 2104/2011 il TAR accoglieva l'istanza cautelare limitatamente all'omessa corresponsione dell'assegno alimentare per la durata del periodo di sospensione cautelare.

Il 14 dicembre 2011, esercitando la facoltà prevista dall'art. 16 del d.lgs. 503/1992, il dott. C. presentava domanda di trattenimento in servizio per un quinquennio oltre il limite del 70° anno di età. Su tale istanza il Consiglio di Presidenza si esprimeva in termini interlocutori.

La Corte d'Appello di Roma, 3° Sezione Penale, pronunciandosi sull'appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, con sentenza del 14 maggio 2012 dichiarava di non doversi procedere nei confronti degli imputati poiché il reato ascritto "è estinto per intervenuta prescrizione".

Conseguentemente, in data 16 maggio 2012, il dott. C. presentava al Consiglio di Presidenza apposita istanza per la riammissione in servizio, contestualmente rinnovando l'ulteriore istanza per il trattenimento in servizio oltre il 70° anno di età, che sarebbe intervenuto in data 21 maggio 2012. Ad integrazione di tale domanda, l'interessato inoltrava una nota al Presidente della Corte dei conti, con l'allegazione della favorevole valutazione espressa dal Presidente della Sezione delle Autonomie.

In data 21 maggio 2012, il Presidente della Corte dei conti, sulla scorta del parere espresso dalla I Commissione all'esito della riunione del 18 maggio 2012, emanava un decreto d'urgenza con cui le istanze del ricorrente venivano rigettate in quanto "la sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili, pronunziata dalla Corte di appello di Roma, III Sezione penale, in data 14 maggio 2012, non costituisce pronunzia di proscioglimento né di assoluzione, ai sensi dell'art. 4, comma 2, della l. n. 97/2001. Mentre, l'attuale sospensione dal servizio, con incertezza sulla sopravvivenza della causa di cessazione, e la reiterata sospensione dal servizio con decorrenza dal 2007 in poi, escludono la sussistenza della particolare esperienza professionale in funzione dell'efficiente andamento del servizio, richiesta dal comma 7 dell'art. 72 del d.l. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008".

Con delibera adottata nell'adunanza del 22-23 maggio 2012, il Consiglio di Presidenza, considerata l'opportunità di deliberare separatamente le due istanze del ricorrente - riammissione e trattenimento in servizio - riteneva di non accogliere quella di trattenimento oltre il compimento del 70° anno di età, mentre rinviava l'esame della domanda di riammissione.

Avverso questi ultimi provvedimenti il dott. C. interponeva secondi motivi aggiunti, deducendo i seguenti profili di illegittimità:

I. Violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 2, della l. 97/2001, in relazione agli artt. 157 c.p. e 531 c.p.p., nonché dei principi generali sull'adozione degli atti amministrativi e delle misure cautelari - Carenza di motivazione - Eccesso di potere per perplessità e sviamento - Invalidità derivata;

II. Invalidità derivata - Violazione e falsa applicazione del comma 7 dell'art. 72 del d.l. n. 112/2008, convertito nella l. n. 133/2008 - Violazione dell'art. 3 della l. n. 241/1990 - Eccesso di potere sui presupposti, contraddittorietà, sproporzione, irragionevolezza ed erronea valutazione delle risultanze documentali - Violazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento - Sviamento.

Con ordinanza collegiale n. 2835/2012 il Tar accoglieva l'istanza di misure cautelari, sospendendo la delibera consiliare nella parte in cui il Consiglio di Presidenza non aveva provveduto in merito alla riammissione del ricorrente, facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione.

Successivamente, con nota del 4 settembre 2012, al ricorrente veniva comunicato il d.P.C.M. dell'11 giugno, con cui era stato collocato a riposo per raggiunti limiti di età a decorrere dal 22 maggio 2012 ed ammesso al trattamento di quiescenza spettante per legge.

Avverso tale decreto il dott. C. proponeva il terzo atto per motivi aggiunti, con il quale riproponeva le censure già formulate.

Con delibera adottata nell'adunanza del 2-3 ottobre 2012, il Consiglio di Presidenza si pronunciava in merito alla ratifica del decreto del Presidente della Corte dei conti del 21 maggio 2012 nella parte relativa al rigetto dell'istanza di riammissione in servizio del dott. C. e disponeva la permanenza del ricorrente in posizione di sospensione facoltativa dal servizio e dalle funzioni nel periodo compreso dal 14 al 21 maggio 2012.

Con il quarto atto per motivi aggiunti il ricorrente impugnava la suindicata delibera chiedendone l'annullamento per il seguente articolato motivo: Violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 2, della l. n. 97/2001 in relazione agli artt. 157 c.p. e 531 c.p.p., nonché dei principi generali sull'adozione degli atti amministrativi e delle misure cautelari - Elusione di provvedimenti giurisdizionali - Violazione delle disposizioni partecipative di cui agli artt. 7 e ss. della l. 241/1990 e reg. disc. dei magistrati della Corte dei conti - Eccesso di potere per ingiustizia manifesta e sviamento della funzione - Violazione dell'art. 21-septies della l. n. 241/1990.

All'udienza del 4 dicembre 2013 la causa veniva trattenuta in decisione e, con sentenza n. 3388 del 27 marzo 2014, il TAR Lazio, Sez. I, ha accolto le censure rivolte avverso i provvedimenti di rigetto delle istanze di riammissione e di trattenimento in servizio.

Il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, a mezzo del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, con ricorso in appello N.R.G. 9418/214 impugnavano, quindi, la sentenza del TAR Lazio, deducendone l'erroneità e l'ingiustizia e chiedendone l'integrale riforma sulla base di due articolati motivi:

1. Violazione e/o falsa ed erronea applicazione dell'art. 4 della l. n. 97/2001 - Vizio di motivazione.

2. Violazione e/o falsa ed erronea applicazione dell'art. 72, comma 7, del d.l. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008 - Vizio di motivazione della sentenza (in particolare, in relazione alla mancata considerazione della motivazione posta a base del diniego di trattenimento in servizio).

Si è costituito in giudizio il dott. C. e con memoria del 16 ottobre 2015 ha concluso per il rigetto dell'appello.

In vista dell'udienza di discussione le parti hanno depositato memorie e repliche, insistendo per l'accoglimento delle rispettive domande, deduzioni e conclusioni.

Alla pubblica udienza del 17 novembre 2015 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L'appello verte su due articolati motivi d'impugnazione: il primo si collega alla riammissione in servizio conseguente alla cessazione della sospensione obbligatoria dalle funzioni prevista dall'art. 4 della l. 97/2001; il secondo riguarda il diverso istituto del trattenimento in servizio disciplinato dall'art. 72, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008.

In via preliminare, occorre sgombrare il campo da alcuni equivoci connessi al mutato contesto normativo determinato dalla disciplina che nelle more del presente giudizio è stata introdotta dall'art. 1 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, il quale ha abrogato l'art. 16 del d.lgs. 503/1992 e ha disposto, al comma 2, che "i trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e non ancora efficaci alla data del presente decreto-legge sono revocati". Diversamente da quanto ritenuto dall'amministrazione appellante, la disciplina in parola appare ininfluente rispetto alla questione della "riammissione" in servizio, che si collega alla sospensione obbligatoria di un magistrato ancora in servizio e ai poteri spettanti all'amministrazione. Delle problematiche di coordinamento potrebbero semmai porsi rispetto all'istituto del trattenimento in servizio, ma ciò non elide l'interesse alla definizione della vicenda, quanto meno sotto il profilo risarcitorio.

2. Con il primo motivo d'appello, l'amministrazione denuncia una violazione e/o falsa applicazione dell'art. 4 della l. 97/2001. Il giudice di primo grado, rinvenendo un automatismo fra l'intervento di una sentenza di proscioglimento e la riammissione in servizio del ricorrente, avrebbe omesso di considerare la sussistenza di un potere di sospensione dal servizio di natura cautelare e facoltativa, peraltro, supportato da un robusto impianto motivazionale sulle cause ostative alla riammissione in servizio.

2.1. Il motivo non può essere accolto.

La questione appare posta in modo non corretto, giacché il giudice di primo grado non ha disconosciuto l'esistenza di un siffatto potere dal carattere discrezionale in capo all'amministrazione, ma ha correttamente contrapposto l'istituto della sospensione cautelare obbligatoria, disciplinata dall'art. 4 della l. 97/2001, a quello della sospensione facoltativa che, nel caso di specie, è disciplinato dalle specifiche norme dettate per i magistrati contabili (artt. 12 e 13 del Regolamento di disciplina della Corte dei conti).

Entrambi gli istituti, pur producendo i medesimi effetti, si fondano su presupposti assai diversi, perché nella fattispecie di cui all'art. 4 della l. 97/2001, l'amministrazione non dispone di alcun margine di apprezzamento sulle cause che determinano l'insorgenza e la cessazione della misura, che sono direttamente stabilite dalla legge; mentre nel caso della sospensione facoltativa l'amministrazione valuta autonomamente le esigenze cautelari che possono manifestarsi in rapporto alle varie vicende disciplinari.

2.2. Sulla base di queste distinzioni, appare certamente corretta la lettura del Tar, giacché il predetto art. 4 è inequivoco nel chiarire che l'intervento di una pronuncia di proscioglimento determini la perdita di efficacia della misura.

È pur vero che l'amministrazione, entro certi limiti, può negare la riammissione in servizio nonostante il verificarsi dei presupposti che determinano la cessazione automatica della misura della sospensione obbligatoria. Ma effetti del genere possono prodursi solo in presenza di un provvedimento che, facendo applicazione dei poteri cautelari comunque spettanti all'amministrazione, disponga l'applicazione della misura della sospensione facoltativa delle funzioni. Affinché possa concretizzarsi un prolungamento dello stato sospensivo dell'interessato è infatti necessario un passaggio formale che consenta di sostituire alla sospensione obbligatoria, che viene necessariamente meno in virtù di un'esplicita indicazione normativa, la diversa misura cautelare dal carattere facoltativo, rimessa all'apprezzamento dell'amministrazione. Infatti, se è vero che quest'ultima continua a disporre di ampi margini di apprezzamento discrezionale in ordine alla fattispecie, è innegabile che tali poteri devono essere esercitati.

2.3. Nel caso di specie, è pacifico che il ricorrente versasse in una delle condizioni che, a norma dell'art. 4, determinano l'automatica perdita di efficacia della misura. Altrettanto pacifica è la circostanza che tanto il decreto presidenziale del 21 maggio 2012, quanto la delibera del Consiglio di Presidenza del 22 maggio 2012, non abbiano disposto alcuna sospensione facoltativa dalle funzioni: il primo, assumendo erroneamente che la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato non costituisse una causa di proscioglimento rilevante ai sensi dell'art. 4 citato, si è limitato a negare la riammissione in servizio; la delibera del Consiglio di presidenza, che avrebbe dovuto ratificare il provvedimento presidenziale, invece, non ha assunto alcuna determinazione sul punto.

L'unico provvedimento che ha disposto la sospensione facoltativa dell'interessato si rinviene nella delibera consiliare n. 155 dell'ottobre del 2012, adottata dopo che l'ordinanza cautelare n. 2835/2012 aveva sospeso il provvedimento impugnato nella parte in cui il Consiglio di Presidenza non aveva provveduto alla riammissione in servizio del ricorrente.

Ma si tratta di un provvedimento intrinsecamente collegato alla mancata riammissione in servizio richiesta dall'interessato, trattandosi oltretutto - come rileva il TAR - di una decisione di ratifica di un provvedimento presidenziale avente ad oggetto il differente istituto della sospensione obbligatoria. Con ciò evidenziando, il primo giudice, ancorché implicitamente, l'illegittima commistione funzionale tra le due tipologie di sanzioni e la non meno rilevante carenza delle garanzie partecipative coessenziali al procedimento disciplinare, come del resto sancite dagli artt. 12 e 13 del Regolamento di disciplina per i magistrati della Corte dei conti; senza considerare la preclusione ad adottare misure cautelari ora per allora (cfr. C.d.S., sez. VI, 4 ottobre 2006, n. 5909).

La sentenza impugnata condivisibilmente coglie come il mancato accoglimento dell'istanza di riammissione in servizio a seguito dell'intervenuto proscioglimento, violativo dell'art. 4 della l. n. 97/2001, rappresenti una lesione conchiusa del diritto del ricorrente, che non può essere vanificato dalla successiva mutazione del titolo giuridico dell'atto. In altre parole, l'automatismo insito nella norma implicava l'esaurimento del potere in ordine alla sua applicazione.

2.4. Salvo quanto precede, la postuma riedizione di tale potere, funzionalmente orientato ad una diversa tipologia di sospensione cautelare, pone oltretutto - in ragione della sopravvenuta collocazione in quiescenza dell'interessato a seguito del compimento del 70° anno di età - il problema della adottabilità di un provvedimento disciplinare dopo la cessazione del rapporto di impiego.

I parametri normativi a cui rapportare l'esercizio del potere, in questo caso non sono quelli stabiliti in termini generali per il pubblico impiego, in quanto in virtù delle garanzie poste dall'art. 108 della Costituzione, il personale della magistratura gode di un sistema di tutele rafforzate, valevole soprattutto per ciò che concerne le vicende disciplinari. La sospensione facoltativa dal servizio trova così un'espressa regolazione nell'ambito degli artt. 12 e 13 del Regolamento di disciplina per i magistrati della Corte dei conti che vale la pena di richiamare brevemente per la definizione dei limiti e dei presupposti che governano l'esercizio del potere disciplinare nei confronti della magistratura contabile.

L'art. 1 del predetto Regolamento prevede espressamente che «ai magistrati della Corte dei conti, secondo quanto previsto dall'art. 10, comma 9, della l. 13 aprile 1988, n. 117, si applicano in materia disciplinare gli artt. 32, 33, commi 2 e 3, e 34 della l. 27 aprile 1982, n. 186 nonché, per quanto ivi non previsto, le disposizioni del presente decreto». L'art. 10 della l. 117/1988, stabilendo che il procedimento disciplinare è promosso dal Procuratore generale della Corte dei conti, a sua volta, stabilisce che nella materia «si applicano gli articoli 32, 33, commi secondo e terzo, e 34 della legge 27 aprile 1982, n. 186» e l'art. 32 da ultimo citato chiarisce che «per quanto non diversamente disposto dalla presente legge si applicano ai magistrati le norme previste per i magistrati ordinari in materia di sanzioni disciplinari e del relativo procedimento».

In funzione degli espliciti rinvii operati dalla predetta disciplina è evidente come il potere disciplinare nei confronti della magistratura contabile trovi il proprio fondamento nella medesima disciplina dettata per la magistratura ordinaria.

2.5. D'altro canto, il potere di disporre la sospensione cautelare dalle funzioni, contemplata dagli artt. 12 e 13 del Regolamento, soggiace agli ordinari limiti che concernono l'esercizio del potere disciplinare, di cui costituisce un'espressione. Pertanto, laddove sussistano delle regole che precludono l'attivazione o il proseguimento dell'azione disciplinare, anche i relativi poteri cautelari dovranno ritenersi insussistenti. Sul punto è dirimente la tempistica con cui è stato adottato il provvedimento sospensivo, giacché lo stesso è intervenuto quando il destinatario aveva cessato di appartenere all'ordine giudiziario.

La questione, prima ancora che investire la conformità del potere alle regole dettate dagli artt. 12 e 13 del Regolamento di disciplina, riguarda l'astratta esistenza del potere disciplinare nei confronti di un magistrato non più in servizio. Infatti, sia sotto la vigenza del r.d.lgs. n. 511/1946 che sulla base della disciplina introdotta dal d.lgs. 109/2006, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, come del resto il Consiglio superiore della Magistratura, hanno costantemente affermato che il collocamento a riposo dell'incolpato estingue categoricamente ogni interesse disciplinare dell'amministrazione che possa legittimare l'emissione di un qualsivoglia provvedimento (cfr. ex multis, Cass. civ., Sez. un., sent., 20 luglio 2011, n. 15878).

2.6. Il predetto orientamento non può essere irrilevante rispetto al caso di specie, giacché il potere disciplinare nei confronti della magistratura contabile, basandosi sulla medesima normativa dettata per i magistrati ordinari, soggiace naturalmente alle regole ed ai limiti per essa previsti, indipendentemente dalle modalità procedimentali con cui viene espletata la funzione disciplinare, amministrativa o giurisdizionale, fattore questo che non incide sui presupposti per l'esercizio della funzione medesima.

Per questo motivo non può ritenersi pertinente il richiamo operato da parte appellante alla diversa soluzione accolta dall'Adunanza Plenaria n. 8/1997 che, essendosi formata sulla disciplina generale del pubblico impiego, si riferisce ad un corpo normativo diverso, che non può trovare applicazione quando la disciplina speciale applicabile al caso concreto imponga una soluzione di segno opposto. Del resto, la citata giurisprudenza amministrativa non ha affatto legittimato l'esercizio di poteri cautelari postumi, ma ha ritenuto ammissibile, solo in presenza di stringenti presupposti - e, comunque, sempre nei confronti del solo personale del pubblico impiego - l'esercizio di un potere disciplinare funzionale alla definizione del trattamento economico da riservare a pregresse sospensione cautelari disposte prima del collocamento a riposo dell'incolpato. Né tantomeno appare rilevante il richiamo all'art. 30 del d.lgs. 109/2006, che limita l'applicabilità della relativa disciplina ai soli magistrati ordinari. Infatti, per effetto del rinvio operato dall'art. 32 della l. 27 aprile 1982, n. 186, tutt'ora in vigore, alla disciplina prevista per la magistratura ordinaria, troverebbe comunque applicazione il r.d.lgs. n. 511/1946 allora vigente che ha imposto in termini del tutto analoghi la permanenza in servizio come presupposto indefettibile per l'emissione di ogni provvedimento disciplinare.

2.7. I principi affermati sull'esistenza del potere disciplinare non possono che trovare applicazione anche rispetto ai provvedimenti cautelari che, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza invocata dall'amministrazione appellante, in ragione del loro carattere strumentale e provvisorio, rimangono pur sempre funzionalmente collegati al procedimento disciplinare.

Pertanto, non v'è motivo per non aderire all'orientamento espresso dalle Sezioni Unite, le quali hanno, peraltro, fatto una puntuale applicazione dei predetti principi in fattispecie sostanzialmente analoghe a quella di cui si discute oggi, affermando che, nel caso in cui il potere disciplinare non possa essere più esercitato per effetto del collocamento a riposo dell'incolpato, neanche un provvedimento recante sospensione cautelare può essere emesso (cfr. Cass., Sez. un., sentenza n. 4100/1998).

3. Con il secondo motivo d'appello, l'amministrazione lamenta una violazione e/o falsa ed erronea applicazione dell'art. 72, comma 7, del d.l. 112/2008, riscontrando, peraltro, un vizio di motivazione della sentenza in relazione alla mancata considerazione della motivazione posta a fondamento del diniego di trattenimento in servizio.

Più nello specifico si sostiene che la disciplina conferisca all'amministrazione dei poteri ampiamente discrezionali che consentirebbero un autonomo apprezzamento di ogni risultanza istruttoria, senza che possa assumere uno specifico rilievo il parere formulato in proposito dal direttore dell'ufficio.

3.1. Anche questo motivo è infondato.

Sebbene sia innegabile che l'amministrazione disponga di poteri dal carattere discrezionale nella valutazione delle istanze sul trattenimento in servizio, la stessa non è esonerata dall'osservanza delle regole generali che governano l'azione amministrativa.

Pertanto, appaiono condivisibili le conclusioni a cui è giunto il giudice di primo grado che ha rinvenuto dei chiari elementi di contraddittorietà e di illogicità nella decisione assunta dalla Corte dei conti che, nel determinarsi sull'istanza presentata dal dott. C., dapprima ha rinviato l'oggetto della decisione all'esito del giudizio d'appello pendente in sede penale, individuando come elemento ostativo all'accoglimento dell'istanza lo stato di sospensione dell'interessato, poi, una volta intervenuta la sentenza di proscioglimento, da un lato ha mantenuto gli effetti del provvedimento di sospensione dal servizio del magistrato, dall'altro ha contraddittoriamente valutato l'istanza in modo negativo, dando spazio ad altre cause ostative, quale la carenza professionale del dott. C. in ragione della attuale sospensione dal servizio.

Analogamente, appaiono condivisibili i vizi riscontrati in merito al processo decisionale condotto dall'Organo di autogoverno della magistratura contabile che ha disconosciuto l'unico elemento istruttorio esistente e disponibile, consistente nel parere del Presidente della Sezione delle Autonomie, del 17 e 18 maggio 2012, per il quale "... l'esperienza maturata dal Cons. C. negli anni di permanenza alla Sezione, unita a quella accumulata nel servizio precedentemente prestato, è suscettibile di recare un considerevole contributo alla comprensione dei nodi che bloccano l'attuazione del complesso delle disposizioni applicabili... in modo da rendere l'azione della Sezione più sollecita, sicura ed efficace...".

3.2. È chiaro che il quadro procedimentale che si è prodotto e gli elementi istruttori presenti deponessero in senso favorevole all'istante e, comunque, non potevano essere disattesi sulla base di una motivazione incongrua rispetto alle precedenti determinazioni, sul punto, dello stesso Consiglio. Pertanto, non può rinvenirsi alcun vizio di motivazione né alcuna errata interpretazione della normativa di riferimento, perché la pronuncia impugnata ha tenuto debitamente in conto sia il carattere discrezionale del potere riconosciuto dall'art. 72 del d.l. 112/2008 sia le ragioni poste a fondamento del diniego della Corte dei conti che apparivano prive di pregio, oltre che in contrasto con le risultanze dell'istruttoria.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

4. La particolarità della vicenda e la complessità delle questioni affrontate inducono il Collegio a disporre l'integrale compensazione fra le parti delle spese, competenze ed onorari del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

A. Contrino e al. (curr.)

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