Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 11 febbraio 2016, n. 610

Presidente: Contessa - Estensore: Gaviano

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso al T.A.R. per il Piemonte depositato il 10 luglio 2014 la sig.ra Patrizia Borgarello, agendo in proprio e in qualità di cittadina elettrice, impugnava la proclamazione degli eletti conseguente alle elezioni amministrative regionali del Piemonte svoltesi il 25 maggio 2014, chiedendo il suo annullamento unitamente a quello di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, tra i quali, in particolare, il verbale di ammissione della lista regionale denominata "Chiamparino Presidente" e quelli delle liste provinciali "PD Chiamparino Presidente" e "Chiamparino per il Piemonte" (Monviso), dell'ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Torino, nonché della lista provinciale "PD Chiamparino Presidente", dell'ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Cuneo.

La ricorrente, premesso di aver appreso da indiscrezioni giornalistiche della possibilità che l'ammissione delle liste della coalizione vittoriosa, facente riferimento al presidente Chiamparino, potesse essere viziata da irregolarità, esponeva di aver esercitato l'accesso agli atti della procedura elettorale e constatato, in effetti, la presenza di gravi irregolarità formali e sostanziali afferenti sia la lista maggioritaria del candidato presidente, sia alcune liste proporzionali ad essa collegate.

L'esponente deduceva che il numero di sottoscrizioni di cittadini elettori allegate alle dette liste, ove depurato da quelle invalide, non avrebbe raggiunto la soglia minima richiesta dalla legge ai fini della valida presentazione delle liste stesse.

Con i cinque motivi alla base del proprio ricorso l'interessata articolava censure che dal primo Giudice sarebbero state così sunteggiate:

1) invalidità delle autenticazioni delle firme dei sottoscrittori perché effettuate da autenticatori in conflitto di interesse, in quanto candidati nelle medesime liste;

2) irregolarità delle autentiche dei moduli delle firme dei sottoscrittori per gravi vizi di forma nonché assenza dei requisiti essenziali:

3) falsità materiali e ideologiche delle autenticazioni delle firme dei sottoscrittori;

4) falsità della autenticazione delle firme poste sui moduli di accettazione della candidatura della lista maggioritaria "Chiamparino Presidente" tali da rendere i candidati della stessa lista inferiori al numero minimo consentito di 5;

5) irregolarità del decreto di ripartizione del numero di seggi sulle circoscrizioni provinciali e del numero di seggi della lista maggioritaria.

La ricorrente conclusivamente domandava: l'acquisizione degli atti del procedimento elettorale; la concessione di un termine per proporre querela di falso dinanzi al giudice civile ai sensi dell'art. 77 c.p.a.; nel merito, l'annullamento degli atti impugnati, o, in subordine, la correzione del risultato elettorale con la sostituzione, ai candidati illegittimamente proclamati eletti, di quelli che avrebbero avuto diritto di esserlo.

Si costituiva in giudizio in resistenza al ricorso la Regione Piemonte, la quale eccepiva:

- preliminarmente, la tardività delle censure dedotte contro l'ammissione della lista regionale "Chiamparino Presidente";

- in relazione alle liste provinciali contestate, l'inammissibilità delle censure proposte dalla ricorrente per il mancato superamento della c.d. prova di resistenza, in quanto le firme contestate con il ricorso, anche ove effettivamente irregolari o false, non sarebbero state comunque numericamente sufficienti a ridurre il numero di quelle valide al di sotto della soglia minima richiesta dalla legge.

La Regione deduceva altresì l'infondatezza delle doglianze della ricorrente.

In seguito venivano proposti due atti denominati "ricorsi incidentali" dal sig. Francesco Vercelli nonché dai sigg. Onorato Passarelli, Sabrina Margherita Giovine e Sebastiana Trigila, tutti agenti in proprio e in qualità di cittadini elettori, i quali prospettavano censure e domande analoghe a quelle della ricorrente principale in ordine all'asserita falsità delle firme dei sottoscrittori, e delle relative autenticazioni, apposte sia per la lista maggioritaria regionale, sia per la lista proporzionale per la circoscrizione provinciale di Torino del PD.

Era inoltre spiegato, per converso, un intervento ad opponendum da parte di ventidue consiglieri regionali in carica, non evocati in giudizio dalla ricorrente principale, che sollevavano numerose eccezioni in rito e di merito, chiedendo conclusivamente al Tribunale di voler pronunziare con sentenza parziale: l'irricevibilità del ricorso principale relativamente alle censure concernenti il c.d. listino regionale; l'inammissibilità dei ricorsi incidentali; l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei consiglieri regionali non ancora evocati in giudizio, ai fini della trattazione dei profili di censura tempestivi e ammissibili.

Ulteriore intervento ad opponendum veniva effettuato dai sigg.ri Lorenza Morello e Emanuele Rivoira, in proprio e nella loro qualità di cittadini elettori.

Infine, un terzo atto d'intervento ad opponendum era depositato da parte della sig.ra Stefania Zicarelli e di altri cinque cittadini elettori, con un contenuto analogo a quello dei sigg.ri Morello e Rivoira.

Nel frattempo, il 5 novembre 2014 si costituivano in giudizio in resistenza ai gravami principale e incidentali il presidente della Giunta regionale eletto sig. Sergio Chiamparino e il sig. Giorgio Ferrero.

Il Tribunale con ordinanza n. 1742 del 2014 disponeva l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i consiglieri regionali in carica, e altresì l'acquisizione presso i competenti uffici di atti del procedimento elettorale.

La Corte d'appello di Torino trasmetteva indi al T.A.R. con nota del 24 dicembre 2014 una parte degli atti da questo richiesti (in particolare, gli atti di proclamazione degli eletti e i verbali di ammissione delle liste contestate), evidenziando nel contempo "l'impossibilità, invece, di trasmettere copia degli atti di cui al punto b) n. 5 della suddetta ordinanza [dichiarazioni di presentazione delle liste, dichiarazioni di accettazione delle candidature, dichiarazione di collegamento con la lista regionale] in quanto gli stessi non si trovano più nella disponibilità dell'ufficio essendo stati oggetto di sequestro penale in data 24.7.2014 da parte della Procura della Repubblica di Torino...".

Poco dopo il T.A.R. pronunziava la propria prima sentenza parziale n. 352 del 25 febbraio 2015, con la quale:

a) respingeva (con le precisazioni che si faranno più avanti) le eccezioni d'irricevibilità e inammissibilità del ricorso principale;

b) dichiarava inammissibili i ricorsi incidentali;

c) quanto al merito del ricorso principale, inoltre:

- respingeva le censure di cui al primo e al quinto motivo;

- disponeva la prosecuzione del giudizio per la disamina delle censure di cui al secondo motivo (in ordine all'accertamento delle asserite irregolarità delle dichiarazioni di autenticazione delle sottoscrizioni dei presentatori di lista), nonché al terzo e al quarto (circa l'accertamento delle asserite falsità delle sottoscrizioni dei presentatori di lista, delle dichiarazioni di accettazione delle candidature e delle dichiarazioni di autenticazione delle sottoscrizioni), all'esito delle indagini preliminari della Procura della Repubblica di Torino e del dissequestro degli atti della procedura elettorale non ancora potuti acquisire al giudizio.

Successivamente la Corte d'appello con nota del 5 giugno 2015 trasmetteva al T.A.R. tutta la documentazione richiesta.

Le parti in causa con successive memorie sviluppavano quindi ulteriormente le loro rispettive tesi.

2. Il T.A.R. pronunciava a quel punto la seconda sentenza parziale n. 1224/2015 in epigrafe, con la quale, avuto riguardo al thema decidendum residuante alla precedente sentenza n. 352/2015, così provvedeva:

a) dichiarava il ricorso inammissibile per difetto d'interesse con riferimento alle censure dedotte in relazione alla presentazione della lista regionale "Chiamparino Presidente", della lista provinciale di Cuneo "PD - Chiamparino Presidente" e della lista provinciale di Torino "Chiamparino per il Piemonte (Monviso)", in considerazione del mancato superamento della prova di resistenza;

b) dichiarava invece il ricorso ammissibile con riferimento alle censure dedotte con il suo terzo motivo nei confronti della lista provinciale di Torino "PD - Chiamparino Presidente" in considerazione dell'avvenuto superamento, allo stato, della prova di resistenza, limitatamente alla possibilità di conseguire l'annullamento dell'atto di proclamazione degli eletti nella sola parte relativa ai seggi assegnati alla suddetta lista nella circoscrizione provinciale di Torino;

c) per l'effetto, ai sensi dell'art. 77 del c.p.a., assegnava alla ricorrente il termine di giorni sessanta per proporre querela di falso dinanzi al giudice civile, ritenutane la rilevanza ai fini del giudizio, relativamente ai profili di falso denunciati con il terzo motivo di ricorso avverso l'ammissione della lista provinciale da ultimo menzionata.

3. Seguiva avverso tale nuova sentenza parziale la proposizione dei due appelli in epigrafe, tanto da parte dell'originaria ricorrente, la sig.ra Patrizia Borgarello, quanto a iniziativa dei sigg.ri Sara Franchino e altri (sopra elencati), nella duplice qualità di elettori e di candidati nel gruppo di liste provinciali denominate "Pensionati-Pichetto".

Si costituivano in giudizio in resistenza a entrambi gli appelli la Regione Piemonte e i signori Silvana Accossato e altri, consiglieri regionali eletti, tutti eccependo la parziale inammissibilità degli appelli e comunque deducendo la loro infondatezza nel merito.

Le parti appellanti insistevano invece sulle loro censure.

Nelle more il T.A.R., con ordinanza del 29 ottobre 2015, verificata l'avvenuta presentazione della querela di falso da parte della ricorrente principale nel termine assegnato, sospendeva il giudizio di primo grado per la parte in cui ancora pendente, fino alla definizione del giudizio di falso ai sensi dell'art. 77, comma 4, c.p.a.

Le parti appellanti e i controinteressati presentavano, infine, degli scritti di replica.

Alla pubblica udienza del 19 gennaio 2016 i due appelli sono stati congiuntamente trattenuti in decisione.

4. Gli appelli devono essere riuniti, siccome avversativi della medesima decisione di primo grado, giusta la previsione dell'art. 96, comma 1, c.p.a.

I medesimi sono infondati e devono essere respinti.

5. Conviene qui premettere, per linearità espositiva, un richiamo ai contenuti dei tre motivi del ricorso di primo grado che hanno formato oggetto di disamina con l'appellata sentenza parziale n. 1224/2015, nella sintetica descrizione fattane nell'occasione dallo stesso primo Giudice.

"Nella presente fase processuale vengono in decisione le censure dedotte dalla parte ricorrente con il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso principale.

Sostiene la parte ricorrente che gli atti di raccolta delle firme di cittadini elettori, necessarie per la valida presentazione delle liste di candidati, sarebbero affette da numerose irregolarità e falsità afferenti sia alla firma del pubblico ufficiale autenticatore, sia ad alcune sottoscrizioni dei presentatori di lista, sia infine ad alcune dichiarazioni di accettazione della candidature. Tali irregolarità e falsità sarebbero talmente numerose che, ove effettivamente accertate, ridurrebbero il numero di firme valide al di sotto del numero minimo richiesto dalla legge ai fini della valida presentazione delle liste medesime, con la conseguente esclusione delle predette liste dalla competizione elettorale e l'annullamento dell'esito elettorale.

In particolare, con il secondo motivo la ricorrente ha lamentato che numerosi atti di raccolta delle sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle liste sarebbero stati autenticati in assenza dei necessari requisiti di forma di cui all'art. 21 del d.P.R. n. 445/2000; in particolare:

- gli atti separati della lista "Chiamparino Presidente" presenterebbero le seguenti irregolarità formali: in alcuni casi non sarebbero indicate le generalità e/o la qualifica dell'autenticatore; in altri non risulterebbe apposto il timbro dell'ente di appartenenza dell'autenticatore; in altri ancora la firma dell'autenticatore non sarebbe leggibile; in un singolo caso, tra i presentatori della lista vi sarebbe un soggetto non identificato;

- anche gli atti separati della lista provinciale di Cuneo del Partito Democratico presenterebbero a loro volta alcune irregolarità, dal momento che in alcuni casi il soggetto autenticatore non sarebbe identificabile, mentre in altri non sarebbero indicate le modalità di identificazione di taluni sottoscrittori;

- ciascuna delle predette censure è stata specificata dalla ricorrente con l'indicazione nel modulo contestato e del vizio denunciato.

Con il terzo motivo, la ricorrente ha dedotto l'esistenza di numerose "falsità materiali e ideologiche" nelle operazioni di autenticazione delle firme dei sottoscrittori; ha osservato che le modalità di raccolta delle sottoscrizioni presenterebbero gravi anomalie e aspetti "fortemente dubbi", tali da indurre il sospetto che numerose sottoscrizioni e numerose autenticazioni siano in realtà false; ha chiesto la concessione di un termine per proporre querela di falso dinanzi al competente giudice civile, in attesa della conclusione degli accertamenti che sarebbero stati compiuti in sede penale; a fondamento del "fumus" dei propri sospetti, la ricorrente si è soffermata su alcuni episodi a suo dire particolarmente anomali che avrebbero caratterizzato l'attività di raccolta delle firme dei presentatori di lista, sia in relazione alla lista regionale sia in relazione alle liste provinciali in contestazione; in particolare:

- alcuni autenticatori si sarebbero dedicati nell'arco di quattro giorni ad un'attività di raccolta delle firme "prodigiosa", autenticando centinaia di firme e garantendo la propria contemporanea presenza di diversi luoghi del Piemonte; a titolo di "esempio", ha citato il caso del consigliere provinciale di Torino "V." (OMISSIS) il quale, nello stesso giorno ("24 maggio 2014", recte 24 aprile 2014), avrebbe autenticato "almeno 329 firme" nella città di Torino, in un arco temporale di appena 12 ore ("una firma ogni due minuti senza previsione di alcuna interruzione"), e altre "23 firme" a Cossano Canavese;

- le firme apposte da alcuni cittadini a sostegno della lista provinciale di Torino del PD risulterebbero palesemente diverse da quelle che gli stessi cittadini, paradossalmente organizzati nello stesso ordine di sottoscrizione, avrebbero apposto a sostegno della lista regionale;

- in alcuni casi l'autenticatore ha apposto la propria dichiarazione di autentica in calce ad un modulo in cui egli stesso ha apposto la propria firma come presentatore di lista, così dimostrando di non sapere quali soggetti avessero apposto la propria firma all'interno del modulo;

- in altri casi non vi sarebbe somiglianza tra la firma apposta da un soggetto nella qualità di autenticatore e la firma apposta dal medesimo soggetto in qualità di cittadino sottoscrittore;

- in altri casi ancora vi sarebbero "anomalie e dissomiglianze" nelle firme apposte dai medesimi soggetti autenticatori, tali da ingenerare il dubbio che siano state apposte dalla stessa persona;

- in altri casi, infine, sarebbero riscontrabili veri e propri "falsi grossolani", come il caso del cittadino che ha firmato sostituendo il proprio cognome con il proprio luogo di nascita e apponendo firme dissimili su moduli diversi.

Infine, con il quarto motivo, la ricorrente ha dedotto l'esistenza di falsità anche nelle operazioni di autenticazione delle firme poste sui moduli di accettazione della candidatura della lista maggioritaria "Chiamparino Presidente", tali da rendere i candidati nella lista maggioritaria inferiori al numero minimo consentito di 5; ha rilevato la ricorrente che il sospetto di tali falsità nascerebbe dalla constatazione che le autenticazioni in questione risulterebbero effettuate "in modo maggioritario" da un consigliere di un ente locale differente da quello di residenza del candidato".

6. Fatta questa premessa, la Sezione può avviare il proprio esame seguendo la sequenza dei motivi dedotti con l'appello dell'originaria ricorrente, la sig.ra Borgarello (appello n. 7690/2015); congiuntamente verranno scrutinati i motivi dell'appello dei sigg. Franchino e altri (n. 8218/2015) aventi contenuto similare; nell'ultima parte della presente motivazione saranno affrontati, infine, i motivi peculiari a questo secondo appello.

Per ragioni di semplicità espositiva si partirà dalla disamina del secondo e terzo dei mezzi dell'appello n. 7690.

6a. Il secondo motivo del gravame della sig.ra Borgarello rinviene il proprio nucleo centrale nella critica al Tribunale di avere omesso una valutazione unitaria del terzo motivo del primitivo ricorso introduttivo, che sarebbe stato arbitrariamente ristretto e frammentato in violazione dell'art. 112 c.p.c.

6b. La ricorrente, dopo aver ricordato l'ampia latitudine della propria originaria censura di falsità avverso gli atti impugnati, deduce di avere indicato nel proprio ricorso introduttivo, ma unicamente a titolo esemplificativo, alcuni episodi concreti tesi a suffragare la serietà - e fondare quindi l'ammissibilità - della propria critica d'insieme (all'esito riepilogandoli, unitamente a episodi ulteriori, nella propria memoria del 23 giugno 2015).

Il sindacato del Tribunale non poteva perciò limitarsi al vaglio dei soli particolari episodi allegati.

Viene poi puntualizzato che il T.A.R. con la propria prima sentenza parziale n. 352/2015 si era già espresso in senso favorevole sull'ammissibilità del terzo motivo di ricorso, considerato allora debitamente nella sua interezza, disattendendo l'eccezione di genericità sollevata ex adverso e riconoscendo così una volta per tutte come le relative censure fossero state dedotte in modo sufficientemente analitico.

In questo quadro il Tribunale, a fronte della già accertata specificità del terzo motivo di ricorso (coperta ormai da giudicato interno), avrebbe dovuto quindi limitarsi a fissare il termine per la presentazione della relativa querela di falso (quantomeno) in relazione a tutti i moduli già depositati in copia con il ricorso introduttivo. Questo anche perché il riscontro delle falsità dedotte atteneva non all'ammissibilità del motivo, ma al diverso aspetto di un thema probandum che era sottratto, proprio perché attinente a un incidente di falso, al sindacato del Giudice amministrativo.

Il T.A.R., inoltre, solo all'esito dell'incidente di falso avrebbe potuto verificare, alla stregua delle falsità accertate dal Giudice competente, il superamento della prova di resistenza.

Il Tribunale, invece, in occasione della sua seconda pronuncia aveva inammissibilmente ristretto il petitum di parte ricorrente, che riguardava l'accertamento di falsità commesse su tutti i moduli depositati con l'atto introduttivo, in quanto, pretendendo di procedere nuovamente, in contraddizione con il suddetto giudicato interno, a valutazioni di ammissibilità del motivo, aveva circoscritto quest'ultimo ai soli singoli episodi che erano stati citati dalla ricorrente in funzione soltanto esemplificativa e circostanziatrice, e, considerando tali episodi alla stregua di autonome censure, aveva giudicato il restante contenuto del motivo non utile ai fini della prova di resistenza.

Questo stesso errore d'impostazione aveva altresì portato il Tribunale a giudicare quali censure nuove gli episodi aggiuntivi di falsità indicati dalla ricorrente nella sua memoria del 23 giugno 2015, i quali secondo l'appellante sarebbero invece rientrati nel fuoco dell'originario motivo di ricorso e, pertanto, non avrebbero richiesto la proposizione di rituali motivi aggiunti.

6c. Il motivo è infondato.

6d. Il Collegio ai fini della corretta impostazione dell'esame del mezzo ritiene opportuno ricordare i contenuti delle censure di falsità complessivamente espresse con il ricorso di primo grado, nei termini, rimasti incontestati, in cui le relative deduzioni sono state descritte dal Tribunale.

"g) firme denunciate come false con il ricorso introduttivo:

g.1) nel ricorso introduttivo si contesta genericamente la "raccolta prodigiosa" di "centinaia di firme" avvenuta "nell'arco di quattro giorni" da parte di "alcuni autenticatori", "garantendo la contemporanea presenza in diversi luoghi del Piemonte"; poi, a titolo di "esempio", si fa il caso del consigliere provinciale di Torino V. (OMISSIS) il quale in data "24 maggio 2014" (recte, 24 aprile 2014) avrebbe autenticato a Torino "almeno 329 firme" in un "arco temporale di 12 ore", e nel contempo il medesimo, quello stesso giorno, avrebbe "trovato tempo per recarsi a Cossano Canavese per autenticare 23 firme di sottoscrittori" (si tratta dell'atto separato n. 40 della lista regionale Chiamparino Presidente, contenente 23 firme di presentatori di lista);

g.2) si contesta che alcuni cittadini avrebbero firmato contemporaneamente "e nello stesso ordine", sia pure "dinanzi a diverso autenticatore", sia a sostegno di una lista provinciale sia a sostegno del listino regionale maggioritario, e tuttavia le firme risulterebbero "dissimili" da una lista all'altra "perché rese da mano differente"; si richiamano gli atti separati n. 40 della lista maggioritaria autenticata dal consigliere provinciale di Torino V. (OMISSIS) a Cossano Canavese il 24 aprile 2014, e l'atto n. 28 della lista provinciale di Torino del Partito Democratico autenticato a Cossano in data 24 aprile 2014 da diverso autenticatore; come detto, l'atto n. 40 del listino regionale reca 23 firme;

g.3) si contesta genericamente, e senza indicazione di atti specifici, il fatto che non vi sarebbe somiglianza tra la firma apposta dal soggetto in qualità di autenticatore e la firma apposta dal medesimo soggetto in qualità di cittadino sottoscrittore; si richiamano genericamente "le firme di autenticazione del consigliere provinciale di Torino V. (OMISSIS)";

g.4) si denunciano alcuni falsi "grossolani" relativi ad alcune firme di sottoscrittori; si fa riferimento all'atto separato n. 61 del listino regionale, in cui uno dei sottoscrittori si è firmato con il luogo di nascita (Ricadi) al posto del cognome (Trecate): Ricadi Aurelia, in luogo di Trecate Aurelia;

g.5) infine si conclude affermando che "risulta ictu oculi che molti degli atti separati della lista regionale "Chiamparino Presidente"... sono falsi e pertanto devono essere dichiarati nulli o in subordine annullati".

Quelle sopra esposte sono le censure di falsità dedotte nei confronti del listino regionale con il terzo motivo di ricorso.

g.6) Un'ultima censura di falsità è quella dedotta con il quarto motivo di ricorso, in relazione alle firme di autenticazione delle dichiarazioni di accettazione delle candidature dei candidati della lista regionale; secondo la ricorrente, vi sarebbe il "legittimo e fondato sospetto che (le dichiarazioni di accettazione) non siano state autenticate in presenza del candidato sottoscrittore o comunque nel dichiarato luogo di autentica", dal momento che le stesse sono state autenticate "in numero maggioritario da consigliere di ente locale differente da quello di residenza del candidato"; a causa della falsità dell'autenticazione, la lista maggioritaria risulterebbe composta da un numero insufficiente di candidati, in quanto inferiore a cinque (il riferimento normativo, non esplicitato dalla ricorrente, è verosimilmente al disposto dell'art. 1 comma 5 della l. n. 43/1995, secondo cui "Ogni lista regionale comprende un numero di candidate e candidati non inferiore alla metà dei candidati da eleggere ai sensi del comma 3").

6e. Su queste deduzioni la decisione del Giudice di primo grado è stata la seguente.

Sono state giudicate del tutto generiche, e pertanto inammissibili, le censure rubricate come g.3 ("non vengono indicati i moduli specificamente contestati, sicché la doglianza appare inammissibile perché generica e meramente esplorativa"), g.5 ("che è macroscopicamente generica ("molti degli atti separati della lista regionale... sono falsi...") e g.6 ("oltre a non individuare specificamente le dichiarazioni contestate (fra le dieci esistenti in atti) e i candidati che avrebbero firmato la dichiarazione di accettazione della candidatura in luogo diverso da quello di resistenza, non è fondata su un principio di prova, ma su meri sospetti e congetture").

Sono state invece reputate sufficientemente analitiche quelle di cui ai punti g.1. e g.2. (riguardanti in sostanza le firme autenticate dal consigliere provinciale di Torino sig. V.), e infine quella di cui al punto g.4, concernente la firma di un solo presentatore di lista apposta sull'atto separato n. 61.

6f. A questo punto devono essere richiamati i contenuti della precedente sentenza parziale n. 352/2015 dello stesso T.A.R.

Tali contenuti vengono invocati dalle parti in prospettive contrapposte.

L'appellante se ne richiama per lamentare che, poiché con tale decisione i motivi di ricorso secondo, terzo e quarto erano stati già - in tesi - giudicati interamente ammissibili, le difformi conclusioni di cui alla seguente sentenza n. 1224/2015 di parziale inammissibilità dei loro contenuti si sarebbero poste in conflitto con il giudicato già formatosi sul punto.

Le parti appellate, dal canto loro, si richiamano alla prima sentenza parziale, invece, per dedurre che i primi quattro motivi dell'appello n. 7690 sarebbero tutti inammissibili, per la ragione che sarebbe stata già la detta sentenza n. 352/2015 rimasta inoppugnata, e non la successiva pronuncia del T.A.R.:

- a circoscrivere l'oggetto del giudizio alle sole censure di falsità mosse in termini specifici avverso moduli ben individuati (o almeno individuabili), con la correlativa inammissibilità delle doglianze non satisfattive di tale standard;

- a individuare le acquisizioni documentali rilevanti ai fini della futura definizione del ricorso, nonché le liste elettorali le cui posizioni sarebbero state prese in esame.

Queste due impostazioni contrapposte sono entrambe infondate.

6g. La sentenza n. 352/2015 con riferimento alle censure di falsità di cui al terzo e quarto motivo del ricorso introduttivo si è espressa nei termini seguenti:

"Tali censure sono state dedotte in modo sufficientemente analitico dalla ricorrente con l'indicazione degli atti impugnati, dei vizi denunciati, dei moduli contestati e, in un caso particolare, (rilevante secondo il collegio) con l'indicazione del nominativo dell'ufficiale autenticatore ("Consigliere Provinciale di Torino V." OMISSIS), del numero minimo di sottoscrizioni che questi avrebbe falsamente autenticato ("almeno 329"), nonché del luogo e del giorno in cui ciò sarebbe accaduto (a "Torino", il "24 maggio 2014")".

È stata, dunque, questa ben precisa motivazione a condurre il T.A.R. a superare l'eccezione d'inammissibilità delle dette censure formulata sul rilievo della genericità dei vizi dedotti.

6h. L'esame della motivazione appena esposta denota quanto segue.

Da un lato, che il T.A.R. nella suddetta occasione non aveva consumato il proprio potere di scrutinio dell'ammissibilità dei motivi di ricorso in discussione, avuto riguardo alla molteplicità di deduzioni in cui gli stessi si articolavano, ma si era limitato alla constatazione preliminare che, poiché i detti motivi erano almeno in parte sufficientemente circostanziati, il giudizio su di essi sarebbe dovuto necessariamente proseguire dopo il dissequestro degli atti del procedimento elettorale: ciò con il risultato di lasciare salva la possibilità di una successiva e più analitica disamina delle condizioni di ammissibilità delle censure di parte, ma non senza delineare, nel contempo, l'approccio che avrebbe potuto essere seguito per affrontare nel prosieguo la relativa problematica.

Dall'altro, che tale approccio è stato definito proprio attraverso il passaggio appena trascritto, con il quale l'indicazione dei moduli colpiti di volta in volta da sospetto di falsità è stata implicitamente posta dal T.A.R. quale condizione per il superamento dell'eccezione di genericità di ciascun profilo di censura. Come la sentenza oggetto d'appello correttamente osserva, invero, il riconoscimento della pregressa decisione che "Tali censure sono state dedotte in modo sufficientemente analitico dalla ricorrente con l'indicazione degli atti impugnati, dei vizi denunciati, dei moduli contestati, ecc." equivaleva a dire, appunto, che le censure di falsità in discorso potevano ritenersi sufficientemente analitiche "nella misura in cui" avessero offerto le specificazioni appena dette.

A conferma di tanto deve essere notato che il dispositivo della sentenza n. 352, nell'impiegare la formula decisoria "respinge le eccezioni di irricevibilità e di inammissibilità del ricorso principale", proseguiva con l'eloquente espressione limitativa "nei sensi di cui in motivazione".

Sicché il Tribunale, con la medesima sentenza, lungi dall'avere già giudicato pienamente ammissibili i motivi suddetti, offriva semplicemente il criterio in applicazione del quale gli stessi avrebbero potuto essere ammessi nel prosieguo al sindacato di merito.

6i. Alla luce di quanto esposto si rivela perciò infondato il rilievo di parte appellante che, muovendo dall'errato presupposto che con la sentenza n. 352 i motivi di ricorso terzo e quarto fossero stati già giudicati interamente ammissibili, ne desume che le diverse conclusioni di parziale inammissibilità dei motivi stessi raggiunte con la successiva sentenza n. 1224/2015 avrebbero contraddetto il relativo giudicato interno.

6l. Altrettanto infondata è, però, la contrapposta eccezione d'inammissibilità dei primi quattro motivi d'appello per omessa impugnativa della medesima sentenza n. 352.

Come si è visto, quest'ultima non recava alcuna particolare statuizione, con riferimento ai motivi dell'originario ricorso dal secondo al quarto, diretta immediatamente a circoscrivere l'oggetto del relativo giudizio e ad individuare le specifiche acquisizioni documentali reputate rilevanti ai fini della futura decisione, oltre che le liste le cui posizioni sarebbero state prese in esame.

La sentenza si limitava, con il passaggio che si è riportato nel paragr. 6g, ad anticipare il criterio che avrebbe potuto essere impiegato in occasione di una più analitica verifica di ammissibilità delle censure di parte.

Da qui l'impossibilità di ascrivere all'appellante un onere di appello esteso anche a tale prima decisione, e di riscontrare i conseguenti effetti decadenziali reclamati dalle appellate.

Si rivela quindi corretto, in se stesso, l'assunto a base del settimo motivo dell'appello n. 8218 che la sentenza parziale n. 352 non avesse espresso ancora statuizioni decisorie immediate lesive degli interessi della ricorrente rispetto ai motivi di ricorso in discussione.

Ciò non toglie, nondimeno, che il Tribunale in occasione della propria successiva pronuncia n. 1224 ben potesse ancora - come ha fatto - valutare analiticamente la problematica della sufficiente specificità delle doglianze della ricorrente, e condurre tale disamina proprio ispirandosi al criterio da esso anticipato in occasione della propria precedente sentenza n. 352.

6m. Risulta allora da quanto detto che la sentenza oggetto del presente appello, pur non potendo essere riguardata, sotto l'aspetto in esame, come strettamente esecutiva della precedente, è espressione della stessa impostazione di principio che ha ispirato la prima, con la quale è quindi del tutto coerente. Sicché ciò che mette conto definire è soprattutto il punto dell'intrinseca correttezza dell'impostazione stessa.

Tornando, quindi, alle valutazioni del T.A.R. di parziale inammissibilità dei motivi terzo e quarto, va sin d'ora detto che tali valutazioni (riportate nel precedente paragr. 6e), oltre a non confliggere con un precedente giudicato interno, sono anche in se stesse corrette (come si vedrà meglio nel paragr. 8 in occasione del vaglio del primo motivo del presente appello).

Il Collegio deve infatti osservare che la circostanza che l'oggetto dell'impugnativa originaria fosse stato individuato con precisione nell'ammissione di alcune liste concorrenti non esimeva la parte ricorrente dall'onere di dedurre avverso tale atto delle censure di legittimità determinate e circostanziate, ossia motivi di doglianza che dovevano essere specifici (oltre che sorretti dal necessario principio di puntuale allegazione), e non solo astrattamente e genericamente teorizzati.

Anche in materia elettorale, invero, come ha recentemente ricordato l'Adunanza Plenaria di questo Consiglio con la sentenza 20 novembre 2014 n. 32, esiste pur sempre un onere di specificità dei motivi di ricorso, per quanto attenuato rispetto alle regole generali.

Pertanto, al di là delle indicazioni che la ricorrente ha presentato come esemplificative, le sue ulteriori doglianze non potevano che risultare inammissibili proprio a causa dell'inadempimento del predetto onere.

Questo vale con il massimo grado di evidenza per la censura più ampia e rilevante ai fini di causa, quella secondo la quale per la ricorrente risultava "ictu oculi che molti degli atti separati della lista regionale "Chiamparino Presidente"... sono falsi e pertanto devono essere dichiarati nulli o in subordine annullati".

Una doglianza siffatta ("molti degli atti separati... sono falsi") era chiaramente generica e, per meglio dire, del tutto indeterminata, e già per questo inammissibile. Ulteriore ragione d'inammissibilità era poi quella del suo manifesto carattere esplorativo, il quale deve ritenersi esistente, secondo una valutazione riservata al giudicante, le quante volte emerga che con un ricorso "si punti a conseguire il risultato di un complessivo riesame del voto in sede contenziosa" (Ad. Pl. n. 32/2014 cit.).

D'altra parte, la circostanza che nel ricorso fosse stata sostenuta anche la falsità di taluni moduli di firme ben specifici non costituiva affatto un indizio perché potessero essere reputati falsi anche, per ciò solo, tutti gli altri moduli depositati in giudizio dalla ricorrente (né tantomeno tutti quelli impiegati nel procedimento elettorale dalla coalizione avversaria), moduli confezionati e autenticati da soggetti non di rado diversi, e comunque in momenti e luoghi differenti.

6n. In definitiva, dunque, il terzo motivo del ricorso al T.A.R. formulava "esemplificazioni" di un rilievo censorio di base che in se stesso era, tuttavia, del tutto evanescente e indeterminato, e come tale insuscettibile di qualsiasi considerazione diversa da quella tesa a sfociare nell'ineluttabile declaratoria della sua inammissibilità, a meno di non assecondare la sua evidente finalità solo esplorativa. Il che faceva sì che le c.d. esemplificazioni finissero per integrare, in realtà, delle autonome doglianze vere proprie: ossia tutte quelle che la ricorrente era stata in condizione di articolare alla luce degli elementi indiziari da essa acquisiti.

Da quanto precede si desume che il primo Giudice non ha operato alcuna arbitraria "frammentazione" di tale motivo di ricorso, bensì solo la debita distinzione tra i suoi aspetti ammissibili e quelli, invece, che tali non erano.

Ne consegue, inoltre, che il generico rilievo di falsità sottostante alle "esemplificazioni" fornite, stante la sua manifesta inammissibilità, non avrebbe potuto nemmeno fungere da fondamento d'iniziative istruttorie, le quali, ove fossero state disposte al di là del fuoco delle sole specifiche censure risultate ammissibili, ossia a servizio di doglianze indeterminate, sarebbero state prive di qualsiasi giustificazione logica.

6o. Ne discende ulteriormente che, come già osservato dal T.A.R., poiché gli episodi aggiuntivi di falsità indicati dalla ricorrente nella sua memoria del 23 giugno 2015 non rientravano nello spettro di alcuna preesistente valida censura, e pertanto integravano una modifica del thema decidendum, essi non potevano prescindere da una veicolazione nelle forme di rito attraverso la notifica di un rituale atto di motivi aggiunti (che sarebbe dovuta avvenire entro trenta giorni dalla comunicazione di Segreteria del T.A.R., a mezzo di P.E.C. dell'8 giugno 2015, dell'avvenuta acquisizione dalla Corte d'appello dei moduli di firme richiesti).

Risulta quindi con ciò stesso infondato anche il sesto motivo dell'appello n. 8218, con il quale è stato assunto, appunto, che l'allegazione dei suddetti ulteriori episodi non avrebbe operato un ampliamento del thema decidendum, ma solo una più puntuale specificazione di vizi già dedotti, con la precisazione del modo e delle forme con cui i vizi ab origine introdotti si erano estrinsecati nei vari moduli.

Senza dire, infine, che, poiché tali episodi aggiuntivi vertevano - come le appellate hanno sottolineato - sulla presunta falsità di moduli che erano stati già in precedenza prodotti dalla stessa ricorrente agli atti del giudizio, la mancata allegazione da parte sua dell'avvento di una fonte di conoscenza sopravvenuta del vizio, suscettibile di giustificare la deduzione solo differita delle nuove censure con un atto, appunto, soltanto del 23 giugno 2015, fa apparire la deduzione stessa anche come oggettivamente tardiva (il che trova conferma nell'appello n. 8218 alla pag. 41, dove si riconosce che la Corte d'appello il 5 giugno 2015 aveva trasmesso, sia pure in copia autenticata, quegli stessi moduli che la ricorrente aveva già diligentemente depositato in giudizio, onde la trasmissione di tali documenti nulla aveva cambiato "in ordine alla conoscibilità e quindi alla possibilità di una più specifica deduzione dei vizi di falso").

6p. Né vale l'obiezione che il riscontro delle falsità dedotte non atteneva all'ammissibilità del motivo, ma al diverso profilo di un thema probandum sottratto, in quanto attinente a un incidente di falso, al sindacato del Giudice amministrativo, il quale sarebbe stato pertanto ineluttabilmente tenuto a permettere alla ricorrente una generalizzata querela di falso.

Come l'art. 77 c.p.a. rende chiaro, la querela di falso possiede gli effetti che l'originaria ricorrente le annette soltanto ove - e nei limiti in cui - la questione di falsità agitata risulti effettivamente rilevante ai fini della decisione della controversia.

Esattamente, quindi, il T.A.R. ha ritenuto di poter decidere subito i profili della controversia che risultavano indipendenti dalla questione di falsità, in quanto corrispondenti a motivi di ricorso indeterminati o carenti d'interesse per mancato superamento della prova di resistenza, e di ammettere la presentazione della querela di falso nei limiti in cui questa risultava effettivamente rilevante ai fini della decisione. Il secondo comma dell'art. 77 cit. dispone, invero, quanto segue: "Qualora la controversia possa essere decisa indipendentemente dal documento del quale è dedotta la falsità, il collegio pronuncia sulla controversia".

6q. Il secondo motivo d'appello risulta pertanto infondato in tutte le sue declinazioni per le ragioni sopra esposte, le quali avviano a reiezione anche i mezzi successivi.

7. Il terzo motivo d'appello verte sul rigetto dell'istanza istruttoria che era stata presentata dalla ricorrente.

L'interessata, che unitamente al proprio ricorso aveva già depositato in copia semplice svariati moduli di raccolta di firme, aveva infatti domandato l'acquisizione di tutti gli altri moduli in possesso della Corte d'appello, al fine di verificare l'opportunità di richiedere anche con riferimento ad essi l'assegnazione di un termine per proporre la querela di falso.

Tale istanza è stata però respinta dal Giudice di primo grado, che ha valutato come non necessaria ai fini del decidere la documentazione richiesta.

7a. Il relativo capo di decisione viene qui censurato essenzialmente per violazione degli artt. 130, comma 2, lett. d), nonché 77, del c.p.a.

L'appellante, dopo aver premesso che il T.A.R. aveva ormai giudicato ammissibili, con la propria prima sentenza parziale, il terzo e quarto motivo del ricorso introduttivo, deduce che ciò faceva trasparire il carattere ingiustificato del rigetto dell'istanza istruttoria, la quale era volta ad acquisire documenti che ai detti motivi erano direttamente collegati. Non è dato comprendere, viene allora osservato, il senso utile delle previsioni codicistiche sulla possibilità di avanzare anche nel rito elettorale delle istanze istruttorie, o di proporre querela di falso, se poi tali previsioni possono finire disattese persino quando strumentali a censure già valutate con pronuncia definitiva come ammissibili (oltre che assistite da fumus boni juris).

Si deduce, inoltre, che la prova di resistenza del Tribunale non poteva arrestarsi "allo stato degli atti", ma avrebbe dovuto investire anche gli altri moduli di raccolta di firme la cui acquisizione era stata richiesta.

Viene infine lamentato che alla ricorrente sia stato impedito di entrare in possesso di elementi che le avrebbe permesso non solo di dimostrare la falsità di altri documenti, ma anche di circostanziare meglio le proprie doglianze; e che dopo l'acquisizione istruttoria richiesta essa ricorrente avrebbe potuto ben presentare un apposito atto di motivi aggiunti.

7b. Queste doglianze sono infondate.

Nei paragrafi precedenti il Collegio ha osservato, e qui non può che ribadire:

- che correttamente il Tribunale ha rilevato, nei termini già precisati, la parziale inammissibilità del ricorso;

- che l'indeterminato rilievo di falsità sottostante alle c.d. esemplificazioni offerte dal terzo motivo del ricorso non avrebbe potuto fungere da fondamento d'iniziative istruttorie, le quali, ove disposte al di là del fuoco delle sole specifiche censure risultate ammissibili, e quindi a servizio di doglianze indeterminate, e per giunta di natura manifestamente esplorativa, sarebbero state prive di giustificazione.

Non guasta rammentare, inoltre, che la ricorrente ab origine aveva già avuto un ampio accesso agli atti del procedimento elettorale presso i Tribunali del Piemonte e la Corte d'appello di Torino, e questo prima che intervenisse il sequestro penale della relativa documentazione il 24 luglio 2014, con il risultato che essa aveva potuto riversare nel proprio successivo ricorso tutti i dubbi di legittimità che il proprio ampio accesso aveva ingenerato.

Le difese appellate hanno fatto poi esattamente notare che, per quanto la disciplina processuale preveda anche nel rito elettorale la possibilità di avanzare delle istanze istruttorie, e ammetta altresì la proposizione della querela di falso, ciò non significa però che l'una e l'altra possibilità siano illimitate - o fini a se stesse - e possano essere indiscriminatamente utilizzate, dipendendo invece esse pur sempre dal soddisfacimento delle condizioni dell'ammissibilità e rilevanza dell'iniziativa di cui si tratti rispetto alla necessità di definire il thema decidendum ritualmente introdotto in giudizio.

Va anche ricordato che il Tribunale ha dato seguito alle richieste istruttorie di parte non già rispetto a un'arbitraria selezione di documenti, bensì riferendosi a tutti quelli che venivano in rilievo in causa in ragione delle doglianze di parte suscettibili di effettivo scrutinio.

Infine, le richieste istruttorie in discorso non erano sorrette nemmeno da un adeguato riscontro di indizi forniti in adempimento del pur attenuato onere probatorio gravante sulla ricorrente (onere la cui vigenza e autonoma identità è stata recentemente ribadita da Ad. Pl. n. 32/2014): le circoscritte falsità specifiche da questa denunziate non avrebbero potuto certo sorreggere l'illazione di una falsificazione generalizzata di ogni altro modulo di firme impiegato dalle liste avversarie.

7c. Conseguentemente anche il terzo motivo dell'appello n. 7690 deve essere respinto; e lo stesso esito spetta anche all'analogo quarto motivo dell'appello n. 8218.

8. Venendo al primo motivo dell'appello della sig.ra Borgarello, l'interessata, dopo avere ricordato di avere chiesto al Giudice l'acquisizione di tutti i moduli di raccolta di firme acclusi alla dichiarazione di presentazione della lista regionale e delle liste provinciali già menzionate, nonché la concessione di un termine per la proposizione di querela di falso, si duole che le proprie richieste siano state in gran parte disattese dal T.A.R. per un preteso mancato superamento della prova di resistenza da parte delle sue censure.

8a. Segnatamente, viene lamentato che il Tribunale abbia reputato ammissibili, ai fini del proprio computo per il superamento della soglia di resistenza, le sole contestazioni della ricorrente aventi a oggetto degli specifici moduli di firme, giudicando invece le altre inammissibili.

L'appellante obietta che i principi applicati dal T.A.R. sulla necessità di specifiche deduzioni da parte di chi agisce in giudizio si attaglierebbero al solo contenzioso elettorale imperniato sulla contestazione della regolarità delle schede di voto, dove chi vi abbia interesse ha la possibilità di partecipare allo spoglio e, per questa via, di acquisire contezza di eventuali vizi delle schede stesse. Gli stessi principi sarebbero invece inconferenti rispetto a un contenzioso, come il presente, in cui si faccia questione di falsità nei moduli di raccolta delle firme impiegati per la presentazione di liste, in quanto i relativi atti si formano con modalità che non permetterebbero all'elettore di verificare l'eventuale commissione di reati di falso.

Rispetto a questo secondo tipo di contenzioso, si deduce, la legge prevede che la formazione della prova delle contestazioni di chi agisce in giudizio avvenga attraverso l'impiego dello strumento della querela di falso, che alla ricorrente sarebbe stato invece ingiustamente negato.

In definitiva, il Tribunale avrebbe quindi preteso dalla sig.ra Borgarello, per poter autorizzare la proposizione da parte sua della querela di falso, degli adempimenti impossibili, non compatibili con il principio dell'onere probatorio attenuato proprio del rito elettorale, seguendo un'interpretazione che avrebbe leso il suo diritto di difesa impedendole di assolvere all'onere della prova delle proprie censure attraverso l'unico rimedio all'uopo previsto dalla legge, ossia appunto l'incidente di falso.

E l'interpretazione seguita dal primo Giudice, ove mai condivisibile, sarebbe comunque inficiata, per il fatto di tradursi in modalità di accesso alla giustizia estremamente gravose, e di compromettere il diritto ad un processo "equo", da un vizio di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 24 e 11 della Carta, nonché da una violazione degli artt. 6 e 13 della CEDU.

Con lo stesso primo motivo d'appello si ascrive infine al T.A.R. un travalicamento dei limiti della propria giurisdizione. Muovendo dal presupposto che l'unico strumento concesso dalla legge per provare la falsità di atti fidefacenti è quello del giudizio civile di falso, si deduce che il primo Giudice, con l'impedire alla ricorrente di provare la fondatezza delle sue doglianze attraverso l'unico rimedio possibile, si sarebbe "appropriato di un segmento di giurisdizione spettante al giudice civile".

8b. Anche questo motivo è infondato.

8c. In precedenza si è visto che la circostanza che l'oggetto dell'impugnativa fosse stato individuato con precisione nell'ammissione di alcune liste concorrenti non esimeva la ricorrente dall'avanzare contro tali atti delle censure di legittimità determinate e circostanziate, ossia dei motivi di doglianza specifici, e non solo astrattamente teorizzati. E si è pure visto come le doglianze reputate inammissibili dalla sentenza, sopra identificate sub g.3, g.5 e g.6, e, in particolare, il vizio di falsità dedotto dalla ricorrente in termini generali e onnicomprensivi, risultavano appunto inammissibili proprio per l'inosservanza del detto onere.

In questa sede occorre ora puntualizzare, con riferimento ai motivi di ricorso basati su un'allegazione di falsità, che affinché la relativa doglianza possieda l'indispensabile grado di concretezza e determinatezza deve ritenersi necessaria l'indicazione del documento che andrebbe in tesi ritenuto falso.

Questo porta quindi a ritenere necessaria, ai fini di causa, la specificazione dei moduli cui le falsità dedotte dalla ricorrente sarebbero dovute essere riferite.

Né può accedersi all'assunto che un'esigenza del genere sarebbe estranea a un contenzioso in cui si faccia questione di falsità nei moduli di raccolta delle firme impiegati per la presentazione delle liste, per la ragione che questi si formerebbero con modalità tali da non permettere all'elettore di verificare l'eventuale commissione di falsi.

Quella che impone la necessità che i motivi d'impugnazione siano "specifici" è una regola generalissima del sistema processuale amministrativo (cfr. l'art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a.), imposta proprio a pena d'inammissibilità del ricorso giurisdizionale (art. 40 cit. cpv.). E se è vero che la giurisprudenza, in materia elettorale, ha avuto occasione pratica di ribadirla per lo più riferendosi all'esigenza che da parte di chi ricorre siano precisate le schede contestate, non vi è dubbio che la relativa regola generale si applichi anche al contenzioso in tema di ammissione delle liste, con la conseguente necessità, per chi alleghi l'esistenza di falsi, di specificare con rigore dove i medesimi si anniderebbero.

D'altra parte, come ha ricordato la difesa dei controinteressati, entrambe le tipologie di contenzioso sono disciplinate dalle stesse regole processuali e soggette agli stessi principi.

E se è indubbiamente vero che, in punto di fatto, il controllo sociale sulla raccolta delle firme preordinata alla presentazione delle liste è meno agevole di quanto non sia quello sullo spoglio delle schede elettorali, il relativo argomento lascia tuttavia indimostrata la pretesa possibilità di applicare ai due casi delle regole antitetiche.

Quello che va poi soprattutto sottolineato è che il modello di processo che vorrebbe legittimarsi, richiamando le difficoltà pratiche esistenti per chi intenda promuovere un sindacato di legittimità sul procedimento elettorale simile a quello attivato in questa sede, sarebbe evidentemente incompatibile con le norme del giudizio elettorale, e più ampiamente del processo amministrativo: gli argomenti di parte appellante mirano infatti a convalidare l'introduzione, quali motivi di ricorso, di doglianze del tutto generiche ed esplorative, preordinate essenzialmente a promuovere un complessivo riesame del voto in sede contenziosa - nello specifico, attraverso il magistero della giurisdizione penale - per essere poi riempite di contenuto in funzione degli esiti del riesame così ottenuto.

8d. È inoltre già emerso che l'applicazione della querela di falso non è ammessa senza limiti e in modo indiscriminato, ma deve rispettare il requisito della sua rilevanza ai fini della decisione della controversia, alla stregua dei motivi di ricorso che connotano quest'ultima.

Esattamente, pertanto, il T.A.R. ha deciso subito i profili della controversia che risultavano indipendenti dalla questione di falsità, in quanto riflettenti motivi di ricorso indeterminati, oppure carenti di interesse per mancato superamento della prova di resistenza, ed ha ammesso la parte alla presentazione della querela di falso nei soli limiti in cui la medesima risultava effettivamente rilevante ai fini della decisione del giudizio.

Ne consegue che non può nemmeno sostenersi che il primo Giudice, con l'impedire alla ricorrente di provare la fondatezza delle sue doglianze attraverso la querela di falso (vista come l'unico rimedio possibile), si sarebbe "appropriato di un segmento di giurisdizione spettante al giudice civile". Come si è appena visto, la verifica della rilevanza della questione di falso ai fini della decisione costituisce uno specifico compito che l'art. 77 c.p.a. attribuisce al Giudice amministrativo, che pertanto è perfettamente rispettoso dei limiti della propria giurisdizione anche quando dinanzi all'esito negativo di tale valutazione si determina a non dare corso alla querela di falso.

8e. La stessa prova di resistenza, d'altra parte, per poter assolvere la propria funzione non poteva investire che le doglianze di parte potenzialmente suscettibili di esito favorevole, prospettiva che non assisteva certo quelle che, in quanto indeterminate, erano per ciò stesso manifestamente inammissibili.

8f. Quanto alla gravosità degli oneri processuali di cui in concreto è stato preteso l'adempimento da parte della sig.ra Borgarello, e che sarebbero stati tali da ostacolarne l'accesso alla giustizia, occorre dire che il ragguardevole impegno indubbiamente richiesto alla ricorrente nel caso concreto discendeva, in realtà, già dalla natura stessa del contenzioso da essa instaurato, posto che l'interessata ricorreva uti civis per invalidare un'elezione regionale, ed era poi acuito dall'oggettivo fattore del marcato divario di voti fatto segnare dai primi due candidati, superiore ai cinquecentomila voti, divario che le sue censure di legittimità sarebbero dovute essere tanto incisive da superare.

Dovrebbe essere però evidente che la peculiarità della vicenda non permetteva di forgiare per essa delle regole processuali ad hoc. Anche in questa fattispecie le regole applicabili non potevano essere che quelle da osservare per la generalità dei giudizi elettorali, il baricentro delle quali è la risultante della necessità di salvaguardare l'esigenza di un ampio accesso alla giustizia mediante azione popolare senza però dimenticare il particolare interesse pubblico alla stabilità e certezza del risultato elettorale.

Tutto ciò posto, poiché l'appellante ha richiamato solo genericamente le norme costituzionali e quelle della C.E.D.U., senza fornire motivati parametri specifici rispetto ai quali la peculiare disciplina del giudizio elettorale dovrebbe trovarsi in conflitto, nemmeno questo conclusivo profilo del primo motivo d'appello risulta convincente.

La Corte Costituzionale ha più volte affermato, infatti, il criterio generale che, se dai principi del giusto processo discende il diritto ad un «equo vaglio giurisprudenziale», ciò non toglie che il processo debba esser governato, per esigenze di certezza e ragionevole durata, da scansioni temporali, il cui mancato rispetto va assoggettato alla sanzione della decadenza dal compimento di determinate attività (sentenze nn. 163/2010, 11/2008 e 462/2006).

Essa ha altresì osservato che «l'ordinamento già conosce numerose leggi che, avvertendo l'esigenza di una rapida definizione del giudizio, in particolari e delicate materie, e di tempestiva salvaguardia dei relativi interessi (individuali e collettivi) coinvolti, [...] prevedono la riduzione a metà di tutti i termini processuali», ed ha, pertanto, ritenuto che una scelta legislativa siffatta - come, più in generale, tutte quelle a favore di modalità celeri di definizione del giudizio amministrativo - non siano incompatibili con il dettato costituzionale" (sentenze nn. 237/2007 e 427/1999).

E, soprattutto, la Consulta ha puntualizzato (sentenza n. 161/2000), delineando così un'impostazione suscettibile di estensione anche ad altre particolarità processuali, da un lato, che "per valutare la congruità di un termine in relazione al principio sancito dall'art. 24, occorre comparare non soltanto l'interesse di chi è onerato dal rispetto di esso, ma anche il generale interesse dell'ordinamento al celere compimento dell'attività processuale soggetta al termine di decadenza"; dall'altro, che l'irrazionalità di un termine ritenuto eccessivamente breve non può essere stabilita in astratto, "ma deve essere valutata caso per caso, considerando le speciali caratteristiche di ogni singolo procedimento".

Per contro, le deduzioni dell'appellante non si fanno alcun carico, sul piano motivazionale, dell'assoluta specialità e particolare problematicità della materia elettorale, né dello spessore delle esigenze pubbliche connaturate al relativo contenzioso, onde i relativi assunti non possono che essere disattesi siccome del tutto astratti e carenti di ogni principio di dimostrazione.

8g. Il motivo risulta perciò anch'esso infondato in tutte le declinazioni proposte.

9. Con il quarto motivo d'appello le censure articolate nei tre mezzi precedenti vengono estese sic et simpliciter alle liste provinciali antagoniste in relazione alla cui ammissione erano stati sollevati dubbi di falsità dei relativi moduli di sottoscrizione e autenticazione. L'appellante insiste, pertanto, nella richiesta di acquisire in giudizio anche tutti i moduli acclusi alle dichiarazioni di presentazione delle dette liste, e comunque di concedere un termine per la proposizione della querela di falso.

Questo motivo, da riferire evidentemente alle sole liste provinciali già investite dal primitivo terzo mezzo di ricorso, non offre tuttavia alcun autonomo argomento critico a proprio sostegno.

Ne consegue che il già avvenuto rigetto dei precedenti motivi d'appello non può che comportare anche la sua reiezione.

10. Il motivo conclusivo del gravame della sig.ra Borgarello concerne la valutazione compiuta dal Tribunale in merito all'effetto perturbatore dell'elezione ricollegabile alle censure reputate ammissibili dallo stesso T.A.R., ossia quelle dedotte con il terzo motivo a carico della lista provinciale di Torino "PD - Chiamparino Presidente".

La sentenza oggetto di scrutinio, nell'ammettere solo in parte la querela di falso, ha circoscritto anche la rilevanza dei suoi esiti alla possibilità di conseguire l'annullamento dell'atto di proclamazione degli eletti nella sola parte relativa ai seggi assegnati alla detta lista nella circoscrizione provinciale di Torino.

10a. L'appellante si duole di questo capo di decisione, deducendo che l'effetto perturbatore delle invalidità in questione dovrebbe invece portare all'annullamento dell'elezione regionale nella sua interezza.

La lista provinciale in questione, viene ricordato, ha raccolto ben 371.929 preferenze, a fronte di un numero complessivo di voti affluito al presidente eletto pari a 1.057.031; il candidato alternativo più votato, il sig. Gilberto Pichetto, ha raccolto dal canto suo 495.993 suffragi.

L'appellante, ciò posto, osserva in generale che i voti assegnati a una lista illegittimamente ammessa non possono essere considerati sic et simpliciter "nulli", ma vanno qualificati alla stregua di "voti incerti", che come tali, in assenza della lista indebitamente ammessa, sarebbero potuti andare anche al candidato risultato secondo.

Da ciò l'assunto che la consistenza dei voti da reputare nel caso concreto "incerti" avrebbe un'incidenza rilevante sul differenziale esistente tra la coalizione guidata dal Presidente eletto e quella del sig. Pichetto, sì da creare un'alterazione determinante del complessivo esito elettorale e giustificare una caducazione integrale dell'elezione.

10b. Nemmeno queste deduzioni meritano adesione.

Anche senza bisogno di approfondire l'argomento del voto disgiunto opposto ex adverso, infatti, l'infondatezza del motivo emerge con immediatezza già da quanto segue.

Se i voti raccolti dalla lista di cui si discute fossero reputati nulli tout court, lo scarto differenziale tra il presidente eletto e il candidato sig. Pichetto resterebbe assai consistente a favore del primo (assommando alla differenza tra voti 561.038 e 371.929, ossia a 189.109 suffragi), e resterebbe quindi confermato il responso delle urne.

Ma questa situazione non cambierebbe anche ove, seguendo la sollecitazione dell'appellante, i voti raccolti dalla stessa lista venissero considerati alla stregua di "voti incerti" piuttosto che nulli.

In questa prospettiva non potrebbe non rilevarsi, come già fatto dal T.A.R., che, diversamente da quanto accaduto in occasione del precedente contenzioso elettorale regionale, quando la lista risultata indebitamente ammessa era espressione, in sé, di una componente politica diversa da quella propria del candidato presidente vittorioso, nel caso odierno la lista della cui legittima partecipazione si discute, ossia la lista provinciale di Torino "PD - Chiamparino Presidente", è espressione della stessa forza politica del presidente eletto. Da qui la ragionevole presunzione che i suffragi da essa raccolti sarebbero comunque tendenzialmente rimasti per lo più all'interno della relativa coalizione (per completezza si rammenta anche che nel caso precedente la lista indebitamente ammessa aveva raccolto 15.805 voti, numero di suffragi ampiamente superiore all'esigua differenza allora riscontrata tra i due candidati presidenti, limitata ad appena 9.000 voti circa).

Ciò posto, anche la più ardita simulazione degli ipotetici risultati raggiungibili in assenza della partecipazione della lista in discorso non potrebbe pervenire in alcun modo a riconoscere al candidato sig. Pichetto, anche a tutto voler concedere, una quota dei suffragi raccolti da tale lista superiore a quella suscettibile di trovare conferma a favore del candidato sig. Chiamparino. Secondo la plausibile osservazione della memoria difensiva dei controinteressati, infatti, nella situazione descritta sarebbe un controsenso "il solo ipotizzare un travaso di oltre il 50 % dei voti da una lista espressione del medesimo partito del vincitore a quella del suo avversario".

Il divario tra i due contendenti si confermerebbe perciò vieppiù incolmabile, con la conseguenza che la sentenza oggetto d'appello risulta anche sotto questo profilo meritevole di condivisione.

11. Nel prosieguo il Collegio passerà in scrutinio i motivi propri del solo appello dei sigg. Franchino e altri (n. 8218/2015).

11a. Il primo mezzo peculiare a tale appello contesta l'esito della prova di resistenza condotta dal T.A.R. avvalendosi a tale scopo delle sopravvenute risultanze delle indagini preliminari portate a termine dalla Procura della Repubblica e desunte dagli atti da questa depositati il 23 luglio 2015, dalle quali emergerebbe l'ipotizzabilità di un fronte di falsità documentali più ampio di quello riscontrato dal Giudice di prime cure.

Viene così dedotto che dalle dette risultanze emergerebbe che le false autenticazioni ascrivibili alla presentazione della lista regionale "Chiamparino Presidente", quali ricavabili dai capi d'imputazione formulati dall'Ufficio inquirente, sarebbero complessivamente in numero di 411, cui si dovrebbero aggiungere anche altre irregolarità, oltre a quelle delle 112 firme già accertate come invalide dal T.A.R., fino a pervenire a un totale di ben 594 firme invalide, numero sufficiente a superare la prova di resistenza.

Risultanze simili investirebbero anche la presentazione della lista provinciale di Torino "PD Chiamparino Presidente" (per la quale, peraltro, lo stesso T.A.R. aveva già concluso la prova di resistenza in termini sfavorevoli alla lista stessa), in quanto rispetto ad essa si perverrebbe a 308 sottoscrizioni invalide per falsità.

La parte appellante sostiene, infine, che sulla scorta delle irregolarità complessivamente rilevate, e pur non essendovi notizia in ordine alle indagini svolte da altri uffici inquirenti della Regione, in forza di un "un giudizio prognostico" e "sulla base di criteri probabilistici" sarebbe "realistico ritenere" che anche le altre liste provinciali (Chiamparino per il Piemonte - Monviso e PD) della coalizione avversaria presenterebbero "vizi e irregolarità" in proporzione eguale alla lista maggioritaria e alla lista provinciale PD di Torino.

11b. Questi profili del primo motivo dell'appello n. 8218/2015 sono pressoché tutti inammissibili, come puntualmente eccepito dalle difese delle parti appellate.

11b1. Il Collegio deve subito ricordare, e confermare, le considerazioni svolte dalla Sezione con la sentenza n. 755/2014, proprio in occasione del precedente contenzioso elettorale regionale.

"Per la pacifica giurisprudenza, nel giudizio elettorale, si possono contestare i risultati delle operazioni elettorali solo nel rispetto dei termini perentori previsti dalla legge, specificando quali illegittimità siano state commesse (per tutte, C.d.S., Sez. V, 28 dicembre 1996, n. 1618).

Infatti, "il legislatore non ha previsto una giurisdizione di diritto obiettivo, con la quale si debba accertare quale sia stato l'effettivo responso delle urne elettorali, poiché il giudice amministrativo non può riesaminare (direttamente o tramite suoi incaricati) tutta l'attività amministrativa svoltasi durante le operazioni".

"Il legislatore, invece, anche al fine di contemperare tutti gli interessi in conflitto, ha inteso dare rilievo al principio di certezza dei rapporti di diritto pubblico (che ha uno specifico rilievo nella materia elettorale), prevedendo la giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo e il rigoroso termine di decadenza di trenta giorni, entro il quale gli atti vanno posti in contestazione e decorso inutilmente il quale i risultati elettorali diventano inattaccabili (per la parte che non è stata oggetto di tempestiva contestazione)".

... la Sezione ha più volte pure osservato che la legge (tenuto anche conto della complessità delle operazioni e della molteplicità delle sezioni e pure quando una sola sia la sezione elettorale) considera irrilevante la circostanza che l'elettore o il soggetto leso, intenzionato a proporre un ricorso giurisdizionale, abbia percepito tardivamente la sussistenza di specifici vizi delle operazioni ovvero non abbia avuto la concreta possibilità di essere a conoscenza di tutti i vizi delle operazioni elettorali: l'impugnazione del verbale di proclamazione degli eletti ha rilevanza giuridica nei limiti in cui, entro il termine perentorio previsto dalla legge, sono state proposte censure avverso di esso.

Il ricorso elettorale, dunque, delimita i poteri istruttori e decisori del giudice amministrativo nell'ambito delle specifiche censure tempestivamente formulate: ciò vale sia per il ricorso 'principale' del ricorrente, che per quello 'incidentale' del 'controinteressato' (per tutte, C.d.S., Sez, V, 11 luglio 2002, n. 3924; Sez. V, 5 maggio 1999, n. 519; Sez. V, 10 marzo 1997, n. 247), e non può ammettersi l'ampliamento sine die del thema decidendi dopo la scadenza del termine di decadenza, ad esempio dimostrando che la conoscenza di vizi delle operazioni elettorali è conseguita a indagini od informative, ovvero è derivata dalla cura con la quale si sia seguito l'andamento di un procedimento penale.

In altri termini, le modifiche o il sovvertimento del risultato elettorale non possono dipendere dalla effettiva conoscibilità dei vizi eventualmente sussistenti, in quanto l'obiettivo decorso del tempo rende immutabili i risultati, così come ufficializzati nell'atto di proclamazione: la delimitazione dell'oggetto del giudizio elettorale ha luogo mediante l'indicazione tempestiva degli specifici vizi di cui sono affette le operazioni.

Diversamente opinando, si giungerebbe ad ammettere in sede giurisdizionale una sostanziale revisione di tutte le operazioni elettorali per il solo fatto che un ricorso sia stato tempestivamente proposto, ciò che il legislatore ha espressamente escluso, con la previsione del rigoroso termine di decadenza e delle altre regole riguardanti il giudizio di legittimità..." (sentenza n. 755/2014 cit.).

11b2. Ribadite queste considerazioni, è agevole osservare come la parte appellante con il motivo in trattazione pretenda di riversare sic et simpliciter nel giudizio amministrativo, a distanza di più di un anno dall'originario ricorso introduttivo, le risultanze sopravvenute dell'attività istruttoria della Procura della Repubblica, quasi il giudizio elettorale non avesse regole proprie di forme e termini processuali da osservare, ma fosse solo una sorta di contenitore destinato a recepire automaticamente il materiale del procedimento penale a guisa di vaso comunicante.

11b3. Fermo quanto precede, con riguardo alla lista regionale "Chiamparino Presidente" è agevole rilevare come una qualificante parte delle deduzioni svolte attraverso il mezzo in esame integri dei veri e propri nuovi motivi, del tutto estranei al contenuto dell'impugnativa di primo grado. Si fa riferimento, giusta apposita obiezione della difesa regionale, alla dedotta falsità delle autenticazioni effettuate dai due sigg.ri F. e G., di cui ai capi d'imputazione sub 2-5 e 15, per un numero complessivo di sottoscrizioni nulle che la stessa parte appellante quantifica in (148 più 24, ossia) 172.

Ciò posto, è appena il caso di ricordare come una compatta giurisprudenza in materia elettorale, avvertendo la necessità di conciliare il principio di effettività della tutela giurisdizionale con quello della celerità e speditezza che deve caratterizzare il rito elettorale per permettere il corretto funzionamento delle istituzioni, restringa i motivi aggiunti deducibili, in questo settore, a quelli che costituiscono solo un'esplicitazione, puntualizzazione o svolgimento delle censure già ritualmente dedotte, escludendo invece la relativa possibilità quando si tratterebbe di introdurre nuovi motivi di ricorso derivanti da ulteriori vizi emersi (cfr. ad es. C.d.S., V, 27 novembre 2015, n. 5379; 10 settembre 2014, n. 4589; 22 marzo 2012, n. 1630; 22 settembre 2011, n. 5345; 23 marzo 2011, n. 1766).

Ebbene, la deduzione della falsità delle autenticazioni dei sigg.ri F. e G. rientra proprio in questa seconda evenienza, dal momento che l'operato dei medesimi non risulta essere stato attinto da censura di falsità nel primo grado di giudizio, né risulta avvinto da connessione sostanziale all'operato degli autenticatori originariamente contestati. La mera, generica omogeneità delle violazioni, tutte inerenti alla fenomenologia delle falsità, non potrebbe infatti bastare a far considerare le ultime contestazioni alla stregua di uno "svolgimento" delle prime, essendo le une del tutto indipendenti dalle altre.

E la detrazione delle sottoscrizioni autenticate dai sigg. F. e G. dal computo operato dall'appellante fa scendere il totale delle firme suscettibili di contestazione - non più 594, bensì solo 422 - abbondantemente al di sotto della soglia di resistenza costituita dallo scarto di 542 sottoscrizioni supplementari a disposizione della lista regionale.

Ne consegue che la sentenza impugnata può trovare conferma anche sotto l'aspetto della sua declaratoria d'inammissibilità delle censure che hanno investito il listino regionale, senza che sia ravvisabile un interesse della parte appellante che possa giustificare l'esame delle residue, ormai ininfluenti contestazioni da essa mosse sul punto.

11b4. Venendo alle deduzioni di falsità formulate, sempre con il primo motivo, a proposito stavolta della presentazione della lista provinciale di Torino "PD Chiamparino Presidente", va subito ricordato che il T.A.R. con la sentenza impugnata ha già concluso la prova di resistenza in termini sfavorevoli alla lista stessa, dichiarando il ricorso di prime cure ammissibile in parte qua, assegnando il termine per la proposizione della conferente querela di falso e, poco dopo, sospendendo il relativo giudizio: il primo Giudice ha difatti ravvisato, rispetto a tale lista, un numero di firme potenzialmente false pari ad un massimo di 264, e comunque con un minimo di 211.

Tanto premesso, con il motivo in disamina si deduce, sempre sulla scorta delle risultanze delle indagini preliminari, che le sottoscrizioni invalide per falsità connesse alla presentazione della lista assommerebbero invece complessivamente a 308.

E tuttavia agevole osservare, sulla scia di quanto appena rilevato per il listino regionale, che non può essere considerato ammissibile, in quanto irrituale motivo nuovo, quello che l'appellante trae dai capi d'imputazione sub 1-4, che investirebbe 80 sottoscrizioni asseritamente false autenticate dal già citato sig. F. (cfr. la pag. 14 dell'appello).

Fondata, quindi, è l'eccezione opposta sul punto dalla difesa dei controinteressati.

Alla luce di questa essenziale premessa non è dato riscontrare alcun effettivo interesse a sostegno del motivo d'appello in parte qua, dal momento che la sentenza impugnata ha già dato atto del superamento della prova di resistenza rispetto alla lista provinciale indicata, e questo sulla scorta di un numero di firme potenzialmente false non inferiore a quello allegato in questo grado di giudizio (tenuto conto che alla nuova cifra ipotizzata di 308 sottoscrizioni invalide deve essere sottratto l'importo delle 80 sottoscrizioni contestate con motivo risultato inammissibile in quanto del tutto nuovo).

Resta in facoltà degli appellanti aggiornare la querela di falso che è stata proposta su autorizzazione del T.A.R., fermo restando il perimetro assegnato a tale querela dallo stesso primo Giudice, al fine di adeguare i suoi contenuti ai nuovi elementi di fatto (e correlative ipotesi ricostruttive) emersi dall'indagine penale: rimangono però da verificare nel prosieguo del giudizio ammissibilità e fondatezza dei relativi rilievi, in quanto modificativi delle corrispondenti censure iniziali.

11b5. Quanto all'ultimo profilo di censura del motivo, quello che pretenderebbe di fondarsi su un "giudizio prognostico" e "criteri probabilistici" per desumere dagli esiti delle indagini preliminari l'esistenza di vizi anche a carico delle altre liste provinciali, la deduzione di parte dei vizi così genericamente ipotizzati è addirittura indeterminata, e pertanto vieppiù inammissibile per difetto della benché minima specificità.

11b6. Questi primi aspetti del primo motivo dell'appello n. 8218 devono quindi essere senz'altro disattesi.

11c. Nella seconda parte dello stesso motivo vengono invece dedotte delle irregolarità puramente formali.

11c1. In primo luogo quella concernente gli atti separati nn. 107 e 131 della lista regionale, il primo sprovvisto di data di autenticazione e il secondo del solo anno di autentica.

Questo rilievo è però ictu oculi tardivo, giusta eccezione regionale, per l'assorbente ragione che i due moduli figurano essere stati già prodotti agli atti del giudizio di primo grado, proprio dalla ricorrente, in data 16 ottobre 2014 (cfr. le pagg. 15 e 17 del relativo indice). Sicché la violazione di cui si tratta, rilevabile con immediatezza da una semplice lettura dei moduli in esame, avrebbe potuto e dovuto essere ritualmente dedotta già a tempo debito.

Quanto all'analoga censura riferita all'atto separato n. 79 relativo alla lista provinciale di Torino "PD - Chiamparino Presidente", recante 24 sottoscrizioni, poiché la sentenza oggetto della presente impugnativa ha già ritenuto superata la prova di resistenza per la detta lista, l'esame dell'ammissibilità e fondatezza del relativo rilievo, insuscettibile di rivestire rilevanza in questa sede, potrà avvenire nel prosieguo del giudizio, in sede di definizione della controversia.

11c2. In secondo luogo, con il motivo in esame (pagg. 15-17) viene dedotta una congerie di violazioni formali eterogenee facendo appello a una loro presunta rilevabilità d'ufficio da parte del Giudice, in quanto ipotesi di "nullità".

In proposito non sono mancate obiezioni difensive di merito da parte della difesa dei controinteressati: la Sezione ritiene però decisiva la considerazione, logicamente preliminare e assorbente, che, non essendo configurabile una rilevabilità d'ufficio in questa materia (per le ragioni che verranno esposte infra, nel prossimo paragr. 14d, al quale si fa rinvio), le relative doglianze non possono che essere reputate irricevibili per tardività.

11c3. In terzo luogo, la parte appellante contesta (pagg. 20-21) l'impostazione seguita dal primo Giudice in tema di requisiti formali delle autenticazioni, nella parte in cui il T.A.R. ha osservato quanto segue (paragr. 28 della sentenza in epigrafe):

"Nel caso di specie, il collegio ritiene ragionevole apportare un unico temperamento alla rigidità dei predetti principi, in relazione all'ipotesi in cui, in presenza di tutti gli altri requisiti previsti dalla legge, manchi soltanto l'indicazione a stampa del nome e del cognome del pubblico ufficiale autenticatore, ma la firma di quest'ultimo sia stata redatta per esteso e sia leggibile: il collegio ritiene che si tratti di un temperamento ragionevole, tenuto conto che gli stessi moduli utilizzati per la raccolta delle firme non richiedevano l'indicazione a stampa delle generalità del pubblico ufficiale autenticatore, ma solo la "Firma (nome e cognome per esteso) del pubblico ufficiale che procede all'autenticazione", e considerato che, in ogni caso, la sussistenza delle due condizioni predette (firma leggibile e redatta per esteso) garantisce la piena conoscibilità del soggetto autenticatore".

La Sezione, nel prendere atto che la contestazione che viene mossa al criterio appena trascritto si mantiene su un livello puramente astratto, osserva che su questo piano l'impostazione del Tribunale resiste alle critiche mossele. Ove in concreto si versi, infatti, "in presenza di tutti gli altri requisiti previsti dalla legge", e solo manchi "l'indicazione a stampa del nome e del cognome del pubblico ufficiale autenticatore", riscontrandosi tuttavia una firma del medesimo "redatta per esteso e... leggibile" in un contesto tale da garantire "la piena conoscibilità del soggetto autenticatore", la legittimità di una siffatta autenticazione non potrebbe ritenersi inficiata da alcuna violazione effettiva.

Vale poi aggiungere che lo stesso Tribunale, nella propria successiva disamina analitica, quando la firma dell'autenticatore risultava illeggibile, o la sua qualifica non constava, ha dato corso alle censure di parte ricorrente (cfr. le pagg. 34 e 36 della sentenza).

L'appellante in termini di concretezza si limita a dedurre che il T.A.R., in contrasto con quanto premesso, avrebbe ritenuto ammissibili, in realtà, anche le autentiche in cui mancava qualsiasi "indicazione anche manoscritta utile alla identificazione del pubblico ufficiale procedente": ma anche quella così portata è una critica tanto vaga e generica da risultare indeterminata, e come tale inammissibile.

12. Il secondo motivo dell'appello n. 8218/2015 concerne i moduli di raccolta di firme che si presentano autenticati dal consigliere provinciale di Torino sig. V.

12a. La parte appellante si richiama alla circostanza che l'autenticatore apparente avrebbe disconosciuto la propria autenticazione rispetto a molti dei detti moduli.

Da tanto viene fatta derivare la conseguenza che i relativi atti dovrebbero per ciò stesso essere reputati nulli, e che, di riflesso, rispetto ai medesimi, non più qualificabili come rivestiti di fede privilegiata, il giudizio di querela di falso sarebbe diventato superfluo.

Viene soggiunto che, poiché le firme invalidamente autenticate sarebbero 228, ossia in numero superiore allo scarto attivo di 209 firme supplementari depositate in occasione della presentazione della lista provinciale di Torino "PD Chiamparino presidente", il Giudice amministrativo potrebbe correggere immediatamente il risultato elettorale, riassegnando gli otto seggi già attribuiti ai candidati eletti nell'ambito della lista medesima.

12b. Neppure questa censura è persuasiva.

Arbitrario, infatti, è l'automatismo che parte appellante pretende d'instaurare tra il fatto, da un lato, del disconoscimento di una o più sottoscrizioni, da parte del pubblico ufficiale che risulti formalmente avere effettuato delle autenticazioni in occasione della presentazione di una lista, e il venir meno, dall'altro, del regime di fede privilegiata che circonda il relativo atto pubblico.

Il Collegio al riguardo non può che richiamarsi alla ben diversa posizione recentemente assunta dalla Sezione in una vicenda del tutto analoga, in cui pure si controverteva intorno alla legittimità dell'ammissione di una lista elettorale sotto il profilo della validità dell'autentica delle sue firme di presentazione, ed era intervenuto un disconoscimento della firma da parte del pubblico ufficiale in apparenza autenticante (sentenza 10 settembre 2012, n. 4789).

Nell'occasione la Sezione ha osservato quanto segue: "... gli argomenti logici e giuridici volti a ribadire che il regime civilistico degli atti fidefacenti fino a querela di falso si applichi solamente agli atti effettivamente provenienti da un pubblico ufficiale munito dei necessari poteri colgono nel segno solamente ove si verta nell'ipotesi di falso grossolano, o in simili casi di scuola, nei quali non esista alcuna apparenza giuridica da tutelare mediante l'applicazione del regime della pubblica fede, con le connesse conseguenze sul piano sostanziale e processuale.

Quando invece, come nella specie, l'atto del quale si assume la falsità abbia prodotto i propri ordinari effetti - proprio perché esso si presenta come un atto apparentemente valido sotto il profilo della provenienza da un pubblico ufficiale competente e delle altre caratteristiche formali - sussiste integralmente la ratio dell'applicazione del regime giuridico della pubblica fede" (sentenza n. 4789/2012 cit.).

Ebbene, nella presente vicenda non sono stati forniti elementi per concludere se non in quest'ultimo senso.

Come si è visto, l'intervento di un disconoscimento non fa venire necessariamente meno la natura e il peculiare regime degli atti pubblici che ne formano oggetto.

Oltretutto, il disconoscimento operato nel caso concreto dal sig. V. s'inserisce in un contesto che non potrebbe fugare in radice ogni ragione d'incertezza (basti dire che non si sarebbe potuta escludere con sicurezza la possibilità di nutrire dubbi sulla veridicità intrinseca delle attestazioni in discorso, proprio alla stregua di quanto la ricorrente aveva originariamente dedotto con riferimento al numero eccezionalmente elevato di autenticazioni apparentemente effettuate dal medesimo autenticatore nello stesso giorno).

In una situazione del genere, in cui gli atti compiuti si presentano come apparentemente validi sotto il profilo della loro provenienza da un pubblico ufficiale competente, non vi sono, dunque, ragioni suscettibili di giustificare l'invocata disapplicazione del regime di pubblica fede che per regola generale assiste gli atti stessi, e quindi motivi atti a far reputare surrogabile la querela di falso, di cui la legge prevede la necessità, attraverso un accertamento diretto della falsità, extra ordinem, da parte del Giudice amministrativo.

13a. Il terzo motivo dell'appello n. 8218 verte sulla tesi che il Tribunale avrebbe potuto assumere nuove decisioni, dopo la propria sentenza parziale n. 352/2015, solo posteriormente alla chiusura delle indagini preliminari da parte della Procura della Repubblica (evento verificatosi poche settimane dopo l'udienza di discussione al T.A.R., ossia il 23 luglio 2015), poiché con la detta sentenza esso si era così vincolato, e tanto con valenza di giudicato.

La scelta del T.A.R. di pronunciarsi senza attendere la conclusione delle indagini della Procura sarebbe, inoltre, illegittima anche ex se, in quanto "limitativa delle prerogative dell'effettiva tutela dell'esercizio dei diritti giurisdizionali di cui agli artt. 24 e 113 della Costituzione, al nucleo di principi fondanti il diritto dell'Unione Europea ed ai generali principi inviolabili di diritto internazionale".

Con questo mezzo ci si duole, dunque, della decisione del T.A.R. di "non attendere le pur risapute indagini ..., ovvero di non consentire la specificazione del thema decidendi tramite la proposizione di motivi aggiunti sulla base degli atti depositati all'esito dell'accertamento dell'autorità inquirente...", e pertanto "la traduzione in sede amministrativa degli atti delle indagini della Procura della Repubblica...".

13b. Anche questo motivo è infondato.

13c. Effettivamente il Giudice di prime cure in occasione della propria prima pronuncia parziale, all'atto di esprimere la necessità di rinviare al prosieguo l'esame del secondo, terzo e quarto motivo dell'originario ricorso, nel riferirsi all'esigenza di attendere il dissequestro degli atti della procedura elettorale non ancora acquisiti aveva fatto parola di un rinvio "all'esito dell'indagine penale tuttora in corso da parte della Procura della Repubblica" (cfr. le pagg. 45 e 49 della sentenza n. 352, come pure il suo analogo dispositivo).

Con la stessa sentenza il Tribunale aveva fissato, peraltro, per l'ulteriore trattazione della controversia l'udienza del 9 luglio 2015.

E in occasione di quest'ultima il T.A.R. ha appunto trattenuto la causa in decisione e, infine, assunto la sentenza n. 1224/2015 formante oggetto della presente impugnativa, pronuncia con la quale ha ritenuto (re melius perpensa) "non... necessaria l'acquisizione di atti ulteriori per definire le questioni giuridiche oggetto della presente fase processuale, né attendere la conclusione delle indagini della Procura della Repubblica ai fini del formale dissequestro del materiale elettorale, dal momento che quest'ultimo, nei limiti in cui può ritenersi pertinente alle questioni giuridiche dibattute nel presente giudizio, è già stato interamente acquisito".

Il mutamento d'avviso del Tribunale sulla tempistica dei successivi svolgimenti del giudizio risulta, allora, del tutto consapevole e - pur sinteticamente - motivato.

13d. Né può sostenersi che l'iniziale orientamento di attendere la conclusione delle indagini preliminari s'imponesse allo stesso T.A.R., in forza della prima pronuncia, con l'autorità di un giudicato.

Un complessivo esame della decisione denota innanzi tutto che, per quanto il Tribunale si fosse riferito anche alla chiusura delle indagini preliminari, la preminente ragione giustificativa del differimento della trattazione dei motivi di ricorso in questione si ricollegava all'esigenza di ottenere la disponibilità degli atti colpiti da sequestro (la quale sarebbe stata ottenuta di lì a poco).

Vale poi soprattutto sottolineare la circostanza che la sentenza n. 352/2015 non aveva disposto una sospensione del giudizio (nel qual caso il riferimento alla chiusura delle indagini preliminari avrebbe potuto rivestire il ruolo essenziale del termine finale della sospensione stessa), bensì semplicemente un rinvio del processo. E non è ravvisabile alcuna ragione logico-giuridica che possa giustificare il consolidamento a guisa di un giudicato dell'indicazione, espressa da un collegio giudicante, delle ragioni che gli hanno fatto disporre il rinvio della trattazione di una causa.

È appena il caso di ricordare che il giudicato si forma in relazione ai motivi di gravame, e non anche alle affermazioni ulteriori eventualmente contenute nella sentenza, in quanto l'autorità del giudicato è circoscritta in conformità alla funzione della pronuncia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande proposte, sicché ogni affermazione eccedente la necessità logico-giuridica della decisione stessa deve considerarsi alla stregua di un obiter dictum. Di conseguenza, sono inidonee a passare in giudicato, oltre alle enunciazioni narrative che, non essendo state utilizzate ai fini della decisione, sono rimaste estranee al suo percorso argomentativo, anche le osservazioni svolte dal giudicante senza essere funzionali alla decisione, ossia le enunciazioni della sentenza prive di relazione causale con il decisum identificato dalla specifica domanda giudiziale (cfr. nei termini esposti C.d.S. IV, 11 settembre 2001, n. 4744; VI, 19 gennaio 2012, n. 206; 2 maggio 2012, n. 2517; Cass. civ., II, 31 agosto 2005, n. 17568; 8 febbraio 2012, n. 1815).

13e. La Sezione deve escludere, infine, che la decisione in contestazione sia intrinsecamente illegittima, come invece viene apoditticamente sostenuto con l'appello in esame.

Il giudizio amministrativo è naturalmente indipendente da quello penale; e tanto più è tale rispetto alle semplici indagini preliminari che precedono il secondo, le quali, oltretutto, non potrebbero di per sé mettere capo alla creazione di alcun grado di certezza giuridica (il che è prerogativa del giudizio vero e proprio).

Ne consegue che tra giudizio amministrativo e indagini penali preliminari alcuna forma di pregiudizialità è ipotizzabile.

Occorre poi evidenziare che la disciplina specifica del giudizio amministrativo in materia elettorale è connotata dall'art. 130 c.p.a. in termini di marcata celerità: basti dire che il relativo ricorso va proposto nel termine di trenta giorni; l'udienza di discussione della causa deve essere fissata in via d'urgenza; la sentenza di primo grado deve essere pubblicata, di regola, entro il giorno successivo alla decisione della causa; la generalità dei termini processuali è dimidiata.

Orbene, è di tutta evidenza l'incompatibilità di un regime siffatto, univocamente improntato a snellezza e rapidità, funzionali alla superiore esigenza di certezza e stabilità del risultato elettorale, rispetto alla presunta regola, sottesa al motivo di parte appellante, secondo la quale la trattazione di un giudizio elettorale dovrebbe essere rinviata per il solo fatto che delle indagini preliminari siano in corso - evenienza tutt'altro che straordinaria -, e che il loro futuro esito potrebbe, in via solo eventuale, ispirare elementi utili per la successiva formulazione di motivi aggiunti di ricorso.

13f. Poiché, pertanto, l'impostazione a base della doglianza di parte non è conciliabile con le caratteristiche di autonomia e di concentrazione proprie del rito amministrativo elettorale, anche questo mezzo deve essere disatteso (non richiedendo un apposito esame i riferimenti solo generici e apodittici fatti dall'appellante a principi costituzionali ed extranazionali).

14. Rimane da esaminare il quinto motivo dell'appello n. 8218.

14a. Tale motivo, del tutto disomogeneo, racchiude contenuti che nel corso dell'esposizione che precede sono stati già quasi tutti superati.

Il mezzo, infatti, al di là di talune affermazioni inidonee a integrare gli estremi di puntuali censure avverso il decisum del primo Giudice, in quanto del tutto generiche (ad esempio dove ci si duole, alla pag. 31, dell'esito avuto dal quarto motivo del ricorso di prime cure), si dipana toccando specificamente le seguenti problematiche già viste:

- alle pagg. 30-33: quella secondo la quale il Tribunale si sarebbe addentrato in un sindacato sulla falsità di atti muniti di fede privilegiata, pretendendo di stabilire quali moduli potessero essere sottoposti a querela di falso, mentre la disciplina vigente gli preclude l'accertamento anche incidentale della veridicità delle attestazioni del pubblico ufficiale, onde la querela di falso avrebbe dovuto essere assentita con riferimento alla generalità dei moduli impiegati per il deposito della lista del PD: tema sul quale si può rinviare alle considerazioni già esposte, in particolare, nei paragrr. 6p, 7b e 8d;

- alle pagg. 33-37: quella per cui il Tribunale avrebbe confuso le censure realmente dedotte attraverso il ricorso con le mere esemplificazioni che delle prime erano state fornite a scopo dimostrativo, perdendo così di vista l'intero oggetto dell'impugnativa: tema sul quale valgono le osservazioni svolte nei paragrr. 6m, 6n e 6o;

- alle pagg. 38-40: quella dell'onere di specificazione dei motivi di ricorso e dell'onere probatorio che gravano, sia pure in forma attenuata, anche su chi ricorra in materia elettorale: aspetto sul quale si rinvia ai precedenti paragrr. 6m e 7b.

14b. Nell'ambito del motivo in esame solo due profili richiedono allora una considerazione specifica: quello della presunta disparità di trattamento che la trattazione del presente contenzioso avrebbe fatto segnare rispetto a quello, concernente la precedente tornata elettorale regionale, conclusivamente definito dalla sentenza della Sezione n. 755/2014 (pagg. 39-40); quello della pretesa rilevabilità d'ufficio da parte del Giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 31 c.p.a., delle nullità che inficerebbero i moduli di firme affetti da vizi formali derivanti dalla carenza di requisiti essenziali (data dell'autentica, ecc.) (pagg. 37-38).

14c. In relazione al primo di tali profili è appena il caso di ricordare: che il ricorso del quale la sentenza n. 755/2014 ha confermato l'accoglimento, diversamente dal ricorso della sig.ra Borgarello, era stato integrato da rituali motivi aggiunti (proposti già il mese successivo al suo deposito); che il relativo contenzioso censurava l'ammissione di una singola lista, che aveva raccolto 15.805 voti (numero di suffragi ben superiore alla esigua differenza allora riscontrata tra i due candidati presidenti, limitata ad appena 9.000 voti circa); che la falsità che ha comportato l'accoglimento del ricorso riguardava semplicemente le diciassette autenticazioni di firma poste in calce alle dichiarazioni di accettazione delle candidature relative alla lista.

La Sezione, ricordate così le ben marcate differenze di contesto e di proporzioni rilevabili tra il contenzioso attuale e quello che l'ha preceduto, deve osservare che l'astratta e apodittica affermazione di parte secondo la quale il Tribunale sarebbe incorso in una disparità di trattamento dei due casi non risulta sorretta da alcun fondamento. La parte non ha fornito, in particolare, alcun elemento inteso a dimostrare che le affermazioni censorie del ricorso precedente avessero gli stessi connotati di genericità dei motivi in rilievo del ricorso al T.A.R. della sig.ra Borgarello: sicché non è stato offerto alcun argomento atto a sorreggere la critica che nel primo contenzioso sarebbe stato seguito, sul punto, un criterio meno restrittivo di quello applicato nella trattazione della presente causa.

14d. Parte appellante si richiama poi a un preteso dovere d'ufficio di rilevare le nullità dei moduli comunque sottoposti all'esame del Giudice e viziati da carenze formali: tale dovere imporrebbe al Giudice medesimo di superare, attraverso i propri accertamenti, il limite delle specifiche deduzioni censorie proposte da chi lo abbia adìto.

Anche questo richiamo è infondato.

La Sezione in proposito non può che richiamarsi alle osservazioni da essa recentemente svolte con la sentenza n. 755/2014, proprio in occasione del precedente contenzioso regionale, con la quale, con dovizia di richiami alla giurisprudenza di settore, è stato puntualizzato:

- che la natura autoritativa dell'atto di ammissione di una lista a una competizione elettorale comporta che esso debba essere ritualmente impugnato;

- che la delimitazione dell'oggetto del giudizio elettorale ha luogo attraverso la tempestiva indicazione degli specifici vizi da cui sarebbero affette le operazioni oggetto di contestazione;

- che il Giudice amministrativo nel giudizio elettorale non esercita una giurisdizione "di diritto obiettivo", e pertanto non può riesaminare alcun calcolo, se non in sede di scrutinio di censure ritualmente proposte;

- che al medesimo Giudice non è consentito, pertanto, di valutare d'ufficio la legittimità degli atti delle operazioni elettorali;

- che nell'ambito delle ipotesi di violazione di legge, che comportano la semplice annullabilità dell'atto amministrativo ai sensi dell'art. 21-octies della l. n. 241/1990, non è possibile distinguere quelle "più gravi" da quelle "meno gravi";

- che nemmeno la commissione di un reato potrebbe di per se stessa determinare la nullità del conseguente provvedimento amministrativo.

14e. Ne consegue che anche il quinto motivo dell'appello dei signori Franchino e altri deve essere rigettato.

15. Per tutte le ragioni esposte entrambi gli appelli devono essere respinti, siccome infondati.

La natura e la complessità della controversia inducono, tuttavia, a ravvisare l'esistenza di ragioni tali da giustificare la compensazione delle spese processuali del presente grado tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), riuniti gli appelli in epigrafe, definitivamente pronunciando sui medesimi li respinge.

Compensa integralmente tra le parti le spese processuali del presente grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

M. Marazza

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