Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 21 gennaio 2016, n. 9950

Presidente: Ramacci - Estensore: Aceto

RITENUTO IN FATTO

1. Il Ministero della Difesa ricorre per l'annullamento dell'ordinanza del 27 aprile 2015 del Tribunale di Catania che ha respinto l'istanza di riesame proposta dallo stesso Ministero avverso il decreto del 31 marzo 2015 con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltagirone, sulla ritenuta sussistenza indiziaria del reato continuato di cui agli artt. 81, cpv., 110 c.p., 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 142, comma 1, lett. f, e 146 d.lgs. cit., e 44, comma 1, lett. c, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), commesso in Niscemi dal luglio 2011, ed al fine di interromperne la permanenza, aveva ordinato il sequestro preventivo delle infrastrutture militari costituenti il Mobile User Objective System (cd. MUOS).

1.1. Con il primo motivo reitera, in questa sede di legittimità, l'eccezione di incompetenza territoriale del G.i.p. di Caltagirone, con conseguente violazione degli artt. 321 c.p.p., 9, commi 2-bis e 2-ter, d.lgs. 7 settembre 2012, n. 155, non potendosi ritenere pendente alla data del 13 settembre 2013 il procedimento penale nell'ambito del quale il sequestro è stato disposto, ciò perché la causa del provvedimento cautelare è costituita dalle condotte commesse in epoca successiva alla sentenza del TAR del 13 febbraio 2015 che aveva annullato il provvedimento di revoca delle revoche delle autorizzazioni a suo tempo rilasciate per la realizzazione degli impianti, tant'è - afferma - che la rubrica provvisoria colloca la consumazione del reato tra il febbraio (epoca della sentenza) ed il marzo (epoca dell'accertamento delle condotte) 2015. La notizia di reato è stata perciò acquisita in epoca successiva al 13 settembre 2013, con iscrizione della stessa al procedimento rubricato con il n. 539/14. Non si tratta, dunque, del medesimo fatto, risalente, come sostiene il Tribunale, al 2011, poiché ne sono diversi sia i presunti autori (che non si identificano con gli iscritti nel procedimento n. 1564/2012 RGNR) sia le circostanze di tempo in cui il reato si sarebbe verificato. Il procedimento nell'ambito del quale il decreto è stato adottato, infatti, reca un diverso numero di registro generale (539/2014 RGNR) e la stessa rubrica provvisoria descrive il fatto in modo diverso (la protrazione dei lavori nonostante la sentenza del TAR che ne aveva sancito la natura abusiva).

In conclusione, il procedimento 539/2014 RGNR non poteva dirsi pendente alla data del 13 settembre 2013, con conseguente individuazione del G.i.p. competente ad emettere la misura cautelare reale in quello del Tribunale di Gela e non di Caltagirone, assorbito dal primo.

1.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione del principio di irretroattività della legge penale di cui agli artt. 25 Cost. e 2 c.p. Lamenta, al riguardo, che secondo il Tribunale del riesame la natura abusiva dei lavori si fonda su fatti successivi alla condotta iniziale (il sopravvenuto annullamento dei lavori), con conseguente valutazione retroattiva della loro illiceità penale, senza che sussistano le condizioni per poter sostenere la palese illegittimità delle autorizzazioni rilasciate dalla Regione Sicilia nel 2011. Prima della pubblicazione della sentenza del tribunale amministrativo - conclude sul punto - il fatto non sussisteva, puramente e semplicemente.

1.3. Con il terzo motivo eccepisce la violazione dell'art. 321 c.p.p., perché il reato per il quale si procede - deduce - non è configurabile nemmeno astrattamente sulla scorta degli atti di indagine indicati dal G.i.p. (la nota della Sezione di PG del 3 marzo 2015), non sussistendo la prova né della effettiva protrazione dei lavori dopo la sentenza del TAR, né della conoscenza di quest'ultima da parte degli indagati. Non si tratta - afferma - di una censura di natura fattuale, bensì di un'eccezione che ha ad oggetto il dovere del giudice del riesame di non limitare il proprio sindacato ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto del fatto indicato dall'accusa alla fattispecie criminosa ipotizzata, ma di estenderlo alla verifica di effettiva sussistenza degli elementi dedotti dall'accusa e delle contestazioni difensive. Orbene, prosegue, l'esame degli atti indicati dall'accusa (e utilizzati dal G.i.p.) evidenzia un totale scollamento con i fatti contestati, oltremodo stigmatizzata dalla omessa valutazione di altri atti di indagine dai quali risulta che alcuna attività edilizia vi fu dopo la sentenza anche perché i lavori erano già stati completati.

Quanto alla sentenza del TAR, prosegue, è certo che le persone sottoposte a indagine non sono mai state parti costituite del processo amministrativo, sicché non v'è un solo indizio dal quale dedurre che fossero a conoscenza dell'annullamento.

2. Con memoria depositata il 4 gennaio 2016 l'Avvocatura dello Stato ha ulteriormente illustrato le ragioni che militano a favore dell'annullamento dell'ordinanza sviluppando i temi già oggetto del terzo motivo di ricorso e argomentando che il sequestro è stato disposto sul rilievo esclusivo dell'annullamento delle autorizzazioni amministrative, espressamente indicato come «fatto nuovo» idoneo a superare la preclusione del giudicato cautelare formatosi sull'annullamento di un precedente decreto di sequestro. Deduce, quindi che, con sentenza non definitiva dell'8 luglio 2015, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha sostanzialmente sancito la piena regolarità urbanistica dell'opera e la validità dell'autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Caltanissetta e del nulla-osta dell'Azienda Regionale Foreste, residuando solo accertamenti su eventuali pericoli per la salute umana, del tutto estranei alle esigenze cautelari perseguite con il decreto di sequestro che esulano dalla contestazione provvisoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

4. Ai fini di una migliore comprensione della vicenda è necessario ripercorrerne alcuni passaggi amministrativi fondamentali.

La realizzazione del M.U.O.S. fu inizialmente autorizzata dalla Regione Sicilia con provvedimenti del 1° giugno 2011 e del 28 giugno 2011, successivamente revocati con decreti nn. 15532 e 15513 del 29 marzo 2013, dell'Assessorato Regionale Territorio e Ambiente.

I decreti di revoca furono a loro volta revocati dallo stesso Assessorato il 24 luglio 2013 con decreto annullato in sede giurisdizionale amministrativa dal TAR con sentenza del 13 febbraio 2015.

Già nel 2012 il G.i.p., su conforme richiesta del PM, dispose il sequestro preventivo degli impianti ritenendo fondata l'ipotesi accusatoria provvisoria della sussistenza del reato di cui all'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 ravvisabile previa disapplicazione delle autorizzazioni del 2011 a causa della loro ritenuta macroscopica illegittimità. Il Tribunale del riesame di Catania annullò il decreto con pronuncia irrevocabile perché impugnata dal PM con ricorso dichiarato da questa Corte inammissibile per mancanza di legittimazione a proporlo.

5. Tanto premesso, osserva il Collegio che il primo motivo di ricorso è infondato.

A norma dell'art. 9, commi 2-bis e 2-ter, d.lgs. 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), come modificato dall'art. 8, comma 1, d.lgs. 19 febbraio 2014, n. 14, «la soppressione delle sezioni distaccate di tribunale non determina effetti sulla competenza per i procedimenti civili e penali pendenti alla data di efficacia di cui all'articolo 11, comma 2, i quali si considerano pendenti e di competenza del tribunale che costituisce sede principale. I procedimenti penali si considerano pendenti dal momento in cui la notizia di reato è acquisita o è pervenuta agli uffici del pubblico ministero (2-bis). La disposizione di cui al comma 2-bis si applica anche nei casi di nuova definizione, mediante attribuzione di porzioni di territorio, dell'assetto territoriale dei circondari dei tribunali diversi da quelli di cui all'articolo 1, oltre che per i procedimenti relativi a misure di prevenzione per i quali, alla data di cui all'articolo 11, comma 2, è stata formulata la proposta al tribunale (2-ter)».

Prima delle citate modifiche l'art. 9, cit., nulla disponeva in tema di procedimenti pendenti nella fase delle indagini preliminari per i quali il PM non aveva ancora esercitato l'azione penale. La norma, infatti, si limitava a stabilire che «le udienze fissate dinanzi ad uno degli uffici destinati alla soppressione per una data compresa tra l'entrata in vigore del presente decreto e la data di efficacia di cui all'articolo 11, comma 2, sono tenute presso i medesimi uffici. Le udienze fissate per una data successiva sono tenute dinanzi all'ufficio competente a norma dell'articolo 2 (comma 1). Fino alla data di cui all'articolo 11, comma 2, il processo si considera pendente davanti all'ufficio giudiziario destinato alla soppressione (comma 2)».

L'art. 11, comma 2, cit. fissava al 13 settembre 2013 (giorno successivo alla pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale) il giorno di efficacia del decreto stesso.

Con successivo d.lgs. 19 febbraio 2014, n. 14, sono state inserite le modifiche che hanno integrato il contenuto dell'art. 2, d.lgs. n. 155 del 2012.

La norma fa riferimento ai «procedimenti pendenti» alla data di efficacia del d.lgs. n. 155 del 2012, senza operare alcuna distinzione, peraltro, a seconda che siano iscritti contro persone note ovvero contro ignoti.

Ora, non v'è dubbio che alla data del 13 settembre 2013 presso la Procura della Repubblica di Caltagirone (ufficio procedente) pendesse il procedimento penale n. 1564/2012 RGNR nell'ambito del quale fu chiesto e disposto il primo decreto di sequestro preventivo del 4 ottobre 2012, successivamente annullato dal Tribunale del riesame di Catania con provvedimento del 26 ottobre 2012. Parimenti non v'è dubbio che oggetto di tale procedimento fosse la realizzazione del M.U.O.S., ritenuto abusivo perché effettuato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e di assoluta inedificabilità sulla scorta di provvedimenti autorizzatori che il PM ha sempre ritenuto macroscopicamente illegittimi. Il G.i.p., disattendendo le considerazioni del PM secondo cui il reato doveva considerarsi permanente, aveva invece fatto derivare la natura abusiva dei lavori dalla circostanza che fossero proseguiti nonostante l'annullamento, da parte del TAR, delle autorizzazioni e dei nulla-osta paesaggistici.

L'eccezione difensiva si alimenta, pertanto, di due deduzioni: a) l'integrazione del reato mediante condotte poste in essere in epoca successiva all'annullamento degli atti autorizzativi (circostanza espressamente indicata dal G.i.p. a giustificazione del decreto); b) la acquisizione della relativa "notitia criminis" in epoca successiva al 13 settembre 2013.

Il Tribunale supera l'obiezione facendo riferimento all'identità del fatto, risalente al 2011, sul quale non ha inciso l'annullamento in sede giurisdizionale amministrativa che non ne ha fatto «gemmare uno diverso, suscettibile di nuova e autonoma iscrizione».

Il rilievo è corretto, pur con le ulteriori precisazioni che seguono.

L'iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p., comporta l'apertura di un procedimento per lo svolgimento delle indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale (art. 326 c.p.p.). A tal fine, il PM deve accertarne la fondatezza e individuarne i responsabili, sì da poter sostenere fruttuosamente l'accusa in giudizio (art. 125 disp. att. c.p.p.), dovendo altrimenti chiedere l'archiviazione del procedimento.

Il «fatto» oggetto della notizia di reato costituisce la base idonea a configurarlo come sussumibile in una determinata fattispecie di reato (Sez. un., n. 40538 del 24 settembre 2009, Lattanzi) e, costituendo materia di lavoro investigativo, non può avere la stessa consistenza, materiale e giuridica, del «fatto» cristallizzato nell'atto con il quale il PM esercita direttamente l'azione penale (art. 552, lett. c, c.p.p.) o il Giudice dispone il giudizio (artt. 429, lett. c, c.p.p.) che deve essere enunciato in forma chiara e precisa, insieme con le circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, e con l'indicazione dei relativi articoli di legge. Il «fatto» oggetto di indagini preliminari è materia fluida, magmatica, che prende forma e muta secondo le dinamiche investigative. Persino l'atto con cui il PM formalmente annuncia l'intenzione di esercitare l'azione penale deve contenere una «sommaria enunciazione del fatto» (art. 415-bis, comma 1, c.p.p.): deduzioni, eccezioni, istanze, richieste e allegazioni difensive possono mutarlo, è evenienza che lo stesso codice ritiene fisiologica nel ritenere sufficiente (anche a fini difensivi) la «sommaria enunciazione del fatto».

E così, a maggior ragione, mutamenti della qualificazione giuridica del fatto, il suo diverso atteggiarsi nella realtà come accertata di momento in momento, la progressiva individuazione dei presunti autori, dei loro ritenuti correi o di persone diverse dalle prime, comportano l'aggiornamento della iscrizione iniziale, senza la necessità di procedere a nuove iscrizioni di altrettanti procedimenti (art. 335, comma 2, c.p.p.).

Anche l'acquisizione di notizie di reato che comporterebbero il collegamento investigativo tra uffici diversi del pubblico ministero ai sensi dell'art. 371, comma 2, c.p.p., o la riunione dei processi dinanzi allo stesso giudice ai sensi dell'art. 16 c.p.p., giustificherebbe "a fortiori" l'iscrizione nel medesimo procedimento di tali notizie.

Il titolare della pubblica accusa non può certamente utilizzare i procedimenti pendenti quali contenitori di notizie di reato tra loro totalmente eterogenee, al solo fine di mantenere una competenza che non gli appartiene più; è in gioco il principio del giudice naturale precostituito per legge che, operando sin dalla fase delle indagini preliminari, attribuisce alla persona sottoposta alle indagini il potere di interloquire sulla competenza del PM assoggettandola a controllo e prevenendo, nei limiti del possibile, scelte arbitrarie (art. 54-quater c.p.p.). È altrettanto evidente, tuttavia, che in questo contesto normativo la notizia di reato che necessita l'iscrizione di un autonomo procedimento penale deve essere totalmente diversa da quella iniziale, deve essere cioè "cosa altra" non solo sotto il profilo naturalistico, oggettivo e soggettivo (il che non sarebbe di per sé sufficiente a ritenerla avulsa dal fatto oggetto delle prime indagini), ma anche sotto quello del collegamento con l'ipotesi investigativa iniziale, collegamento che deve poter essere ragionevolmente escluso sotto ogni profilo.

Non si può perciò dire che le condotte tenute in epoca successiva alla revoca delle autorizzazioni paesaggistiche costituiscano base fattuale di una notizia di reato completamente nuova e diversa rispetto a quella oggetto di iscrizione del procedimento, soprattutto se si considera che: a) il fatto oggetto della notizia di reato e dunque di iscrizione del relativo procedimento è, come detto, costituito dalla realizzazione abusiva del M.U.O.S.; b) il PM ha da sempre coltivato la tesi della macroscopica illegittimità iniziale degli atti autorizzatori, illegittimità che la loro revoca ha, nella sua ottica, pienamente confermato, integrando quel "fatto nuovo" ritenuto idoneo a superare la preclusione del giudicato cautelare ma non una notizia di reato nuova o comunque del tutto avulsa dall'iniziale ipotesi investigativa; c) la consumazione del reato ad opera di altre persone, ulteriori e diverse rispetto a quelle inizialmente iscritte non comporta una diversa notizia di reato ma solo l'obbligo del PM di aggiornare le iscrizioni relative al procedimento già pendente.

La difesa erariale ricorrente, infatti, trascura che la base fattuale della «notizia di reato» è rimasta identica a prescindere dalla circostanza che ulteriori soggetti possano aver, con condotte successive e indipendenti, concorso alla consumazione del reato che essa, sin dall'inizio, evocava.

Ne consegue che il primo motivo di ricorso è, come detto, infondato.

6. Il secondo motivo è totalmente infondato poiché di fatto presuppone che ai fini del sequestro preventivo di cui all'art. 321, comma 1, c.p.p. necessitino gravi indizi di colpevolezza, piuttosto che sufficienti indizi di reato (Sez. un., n. 4 del 25 marzo 1993, Gifuni, Rv. 193117; Sez. un., n. 7 del 23 febbraio 2000, Mariano, Rv. 215840; Sez. 1, n. 15298 del 4 aprile 2006, Bonura, Rv. 234212; Sez. 6, n. 10619 del 23 febbraio 2010, Olivieri, Rv. 246415; Sez. 6, n. 45908 del 16 ottobre 2013, Orsi, Rv. 257383, che ha ricordato come nella giurisprudenza di questa Corte si è già avuto modo di chiarire che il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, e indipendentemente dall'accertamento della esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell'agente ovvero della sussistenza dell'elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all'adozione della misura cautelare reale; Sez. 3, n. 11290 del 13 febbraio 2002, Di Falco, Rv. 221268, secondo cui la giustificazione della misura cautelare reale deriva dalla pericolosità sociale della cosa e non dalla colpevolezza di colui che ne abbia la disponibilità, così che il sequestro preventivo, di cui all'art. 321, comma 1, c.p.p., pur se condizionato alla sussistenza di una ipotesi di reato, prescinde dalla individuazione del suo autore e dall'indagine sulla colpevolezza di questi).

La validità di tale principio non solo non è esclusa, ma è implicitamente confermata anche da quell'indirizzo interpretativo che pretende, in sede cautelare reale, l'indagine sull'elemento psicologico dell'autore proprio del reato allorquando si ipotizzi che sia commesso in concorso con l'estraneo (Sez. 6, n. 31382 del 28 giugno 2011, Loiodice, Rv. 250441; Sez. 5, n. 26596 del 21 maggio 2014, New S.r.l., Rv. 262638). Ciò perché l'elemento volitivo dell'autore proprio qualifica la rilevanza penale del fatto ascritto in concorso con altri ed in assenza del quale il reato non sussiste. Così come non è smentito dal principio per il quale il "fumus commissi delicti" è escluso dalla mancanza dell'elemento soggettivo che sia rilevabile "ictu oculi" (Corte cost. n. 153 del 2007; Sez. 1, n. 21736 dell'11 maggio 2007, Citarella, Rv. 236474; Sez. 4, n. 23944 del 21 maggio 2008, Di Fulvio, Rv. 240521) perché in tal caso la mancanza dell'elemento soggettivo che sia immediatamente rilevabile incide sulla possibilità stessa di ipotizzare la sussistenza anche solo indiziaria del reato.

7. Dello stesso vizio risente anche il terzo motivo (nella parte in cui eccepisce la mancanza di conoscenza della sentenza del TAR). La pur suggestiva tesi della eccepita applicazione retroattiva della norma penale a fatti inizialmente leciti (divenuti abusivi, secondo il Ministero ricorrente, a tutto voler concedere solo a seguito dell'annullamento della revoca delle revoche delle autorizzazioni paesaggistiche), non considera da un lato che - come già detto - quel che conta, ai fini del sequestro, è l'oggettiva consumazione, a livello indiziario, del reato ipotizzato (certamente sussistente, nel caso di specie, quantomeno per la prosecuzione dei lavori in epoca successiva all'annullamento del provvedimento di revoca delle revoche), dall'altro che la natura abusiva del reato contestato è stata sin dall'inizio collegata alla macroscopica illegittimità di quei provvedimenti iniziali. Non v'è dunque alcun effetto retroattivo della sentenza del TAR (che avrebbe semmai sancito la validità dell'iniziale ipotesi accusatoria della macroscopica illegittimità e la validità della revoca iniziale), né ha rilevanza la deduzione secondo cui la natura macroscopica della illegittimità sarebbe smentita, nei fatti, dal tortuoso iter amministrativo che aveva condotto dapprima alla revoca dei provvedimenti, quindi alla revoca delle revoche, infine all'annullamento della revoca delle revoche. La presunzione di legittimità degli atti amministrativi e la loro immediata efficacia, da un lato non priva il giudice ordinario (in questo caso penale) del potere-dovere di conoscerli e di disapplicarli ove in contrasto con la legge, dall'altro il problematico iter dell'annullamento della revoca delle revoche non ha la forza di escludere con immediata evidenza l'elemento soggettivo del reato, sufficientemente desumibile, in sede cautelare, anche dalla iniziale revoca delle autorizzazioni, a prescindere dalla formale conoscenza delle successive vicende giurisdizionali (nella specie, la sentenza di annullamento della revoca delle revoche).

8. È inammissibile, perché generico e manifestamente infondato, il terzo motivo per la parte che riguarda l'eccepita insussistenza del "periculum in mora".

A tal fine, il Ministero deduce l'esistenza di atti di indagine (video-riprese effettuate da attivisti del comitato "NO MUOS") dai quali si evincerebbe che alle date del 3 e del 10 marzo 2015 le attività edificatorie erano ormai concluse, circostanza - afferma - in qualche modo attestata anche dal G.i.p.

Sennonché il ricorrente prescinde completamente dagli argomenti addotti dal Tribunale secondo il quale sussiste il "periculum in mora" «tenuto conto del "carico urbanistico" scaturente dalla operatività dell'impianto oggetto dell'odierno procedimento, involgendo la necessità di una continua presenza di personale addetto alla manutenzione dei dispositivi di alta tecnologia collocati nelle opere "in vinculis". Proprio il riferimento al detto "carico urbanistico" - prosegue l'ordinanza - fa ritenere irrilevante la questione legata all'eventuale (ed invero assai probabile, alla luce delle pertinenti allegazioni e deduzioni di parte ricorrente) ultimazione delle relative opere (...). La circostanza della ubicazione dell'intervento edilizio abusivo in area sottoposta a vincolo paesaggistico (...) rende di per sé legittima la misura reale applicata indipendentemente dall'esito positivo dell'indagine in ordine all'effettivo aggravio del carico urbanistico, stante la persistente incidenza sull'assetto del territorio vincolato determinata dall'esistenza stessa dell'opera abusiva e della sua utilizzazione».

È dunque lo stesso Tribunale a dare atto che le opere sono pressoché completate, tant'è che fonda l'esigenza cautelare su considerazioni conformi all'ultradecennale insegnamento di questa Suprema Corte in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, secondo il quale la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo indipendentemente dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata (Sez. 3, n. 43880 del 30 settembre 2004, Macino, Rv. 230184; Sez. 3, n. 30932 del 19 maggio 2009, Tortora, Rv. 245207; Sez. 3, n. 24539 del 20 marzo 2013, Chiantone, Rv. 255560; Sez. 3, n. 42363 del 18 settembre 2013, Colicchio, Rv. 257526; Sez. 3, n. 5954 del 15 gennaio 2015, Chiacchiaro, Rv. 264370).

Il tema è stato totalmente negletto dal ricorrente, rendendo oltremodo generico il ricorso in parte qua. Come affermato da questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 9 febbraio 2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 256 del 18 settembre 1997, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 4, n. 5191 del 29 marzo 2000, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, n. 39598 del 30 settembre 2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez, 4, n. 34270 del 3 luglio 2007, Scicchitano).

9. Non ha alcuna rilevanza, da ultimo, la sentenza non definitiva del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana che non solo non ha affermato la illegittimità del provvedimenti di revoca delle revoche, ma ha disposto ulteriori accertamenti sui pericoli per la salute dell'uomo dell'insediamento in questione, pericoli che non sono certamente estranei ai valori tutelati dalle norme in materia paesaggistica e ambientale. Va ricordato al riguardo che l'ambiente non costituisce solo un valore estetico da salvaguardare nella sua staticità, ma luogo nel quale l'uomo esprime la propria personalità individuale e sociale senza pregiudizio per la salute, elevata a diritto fondamentale dell'individuo ed interesse della collettività (Sez. 3, n. 421 del 10 novembre 1982, Mazzola, Rv. 156964).

In ogni caso, assume portata dirimente la considerazione che allo stato l'opera risulta ancora priva delle relative autorizzazioni, con quanto ne consegue in termini di persistente sussistenza delle esigenze cautelari così come individuate dal Tribunale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 10 marzo 2016.

P. Emanuele

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