Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
Sezione I
Sentenza 30 marzo 2016, n. 297

Presidente: Daniele - Estensore: Peruggia

FATTO E DIRITTO

Il signor Gino G. si ritiene leso dal silenzio serbato dalla regione Liguria in merito all'atto di significazione e diffida inviato il 16 ottobre 2015, per cui ha notificato il ricorso depositato il 29 dicembre 2015, con cui lamenta:

violazione degli artt. 1 e 2 della l. 7 agosto 1990, n. 241 con riferimento agli artt. 39, 40 e 41 della l. 11 marzo 1953, n. 87 ed all'art. 42 dello statuto regionale. Violazione degli artt. 114, 119, 121, 122, comma 4, e 123, comma 1, Cost. Violazione del principio di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost., eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, dell'istruttoria e della motivazione, sviamento di potere.

violazione degli artt. 1 e 2 della l. 7 agosto 1990, n. 241 con riferimento agli artt. 39, 40 e 41 della l. 11 marzo 1953, n. 87 ed all'art. 42 dello statuto regionale, violazione degli artt. 114, 119, 121 comma, 122, comma 4, e 123, comma 1, Cost., violazione del principio di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost., eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, dell'istruttoria e della motivazione, sviamento di potere.

È proposta la domanda risarcitoria.

La regione Liguria si è costituita in giudizio con atto depositato il 3 febbraio 2016 con cui ha chiesto respingersi la domanda.

Le parti hanno poi depositato memorie e documenti.

Il ricorrente ha svolto la funzione di consigliere della regione Liguria dal 2005 al 2015, ed in relazione a tale incarico ne è stato chiesto il rinvio al giudizio del tribunale di Genova per il delitto di peculato continuato in concorso con il capogruppo consiliare per avere:

esposto la somma di euro 7.902,74 quale rimborso dovuto per le attività istituzionali degli anni 2010 e 2011, mentre si trattava di spese personali non inerenti alla carica ricoperta;

esposto la somma di euro 4,20 quale rimborso dovuto per l'attività istituzionale in data 4 marzo 2011, trattandosi invece di spese personali non inerenti l'attività ricoperta;

esposto la somma di euro 7.610,28 quale rimborso dovuto per l'attività istituzionale 2012, trattandosi invece di spese personali non inerenti l'attività ricoperta.

Egli si è difeso nel corso delle indagini preliminari e nella fase successiva agli atti del PM di cui agli artt. 416 ss. c.p.p. osservando di essersi attenuto alle direttive del consiglio, ed in particolare a quelle emanate dal capogruppo consiliare del raggruppamento politico di appartenenza, essendo questi il soggetto avente la qualifica di pubblico ufficiale rilevante per la configurazione della contestata fattispecie di cui all'art. 314 c.p.

Non è noto quale sia stato il rilievo attribuito nel corso dell'udienza preliminare a tali difese, ma in questa sede il ricorrente lamenta il silenzio serbato dall'amministrazione regionale sulla sua richiesta di essere dichiarato immune dalle accuse mosse per avere egli svolto un'attività di rilevanza costituzionale, come tale insindacabile dal giudice penale ed eventualmente da quello contabile.

La ricostruzione contenuta nel ricorso muove dalla collocazione della regione nel disegno costituzionale dei poteri dello Stato, richiama le innovazioni apportate alla materia della riforma costituzionale del 2001 e conclude con l'affermazione dell'obbligo in capo alla regione Liguria di tutelare la propria autonomia politica ed organizzativa dagli altri poteri dello Stato. In tale contesto la resistente sarebbe risultata inadempiente rispetto alle prescrizioni che derivano dalle disposizioni costituzionali denunciate allorché non ha riscontrato la significazione e diffida notificata: essa avrebbe infatti dovuto dar corso all'impulso così ricevuto e proporre il conflitto di attribuzioni avanti alla Corte costituzionale al fine di conseguire il dovuto rispetto alla propria autonomia autorizzativa a fronte dell'ingerenza dell'autorità giudiziaria.

Così riassunte le censure, il ricorso va innanzitutto dichiarato ricevibile, posto che la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentt. 10 aprile 2003, n. 116 e 30 gennaio 2004, n. 58) ha chiarito che la legge ha inteso svincolare la proposizione dei ricorsi quale è quello in esame dall'osservanza dei termini decadenziali, così da favorire la decisione delle questioni di natura politico-costituzionale che vengono proposte.

L'oggetto di tali contese fuoriesce per lo più dall'ambito che caratterizza le controversie ordinariamente rimesse alla decisione dei giudici, sì che già la l. 31 marzo 1877, n. 3761 in termini di conflitti di attribuzione aveva sottrarre la loro deduzione dall'osservanza delle cadenze che invece sono imposte per le liti comuni. In tal senso l'omessa indicazione di ogni termine da parte della l. 11 marzo 1953, n. 87 ha il preciso significato indicato, cosa che induce a disattendere l'eccezione di tardività formulata dalla regione Liguria.

Nel merito si può osservare che la descrizione degli assetti costituzionali richiamati può prescindere dalle innovazioni che la riforma introdotta dalla l. cost. 20 aprile 2012, n. 1 ha apportato alla legge fondamentale, posto che l'art. 6 della novella ha postergato all'esercizio 2014 l'efficacia delle norme introdotte, e così ad un'epoca successiva alle condotte contestate. Tale riforma ha prestato particolare attenzione alla finanza della cosa pubblica, sì che in qualche misura l'autonomia regionale potrà essere in futuro posposta rispetto a "... l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico..."; tuttavia la norma transitoria citata esclude la possibilità di conoscere la presente fattispecie anche nell'ottica della novella costituzionale citata.

Ciò premesso, l'enunciazione delle doglianze muove da un profilo che non può essere condiviso dal tribunale, derivando da ciò l'inammissibilità del ricorso.

Il presupposto dell'esposizione in diritto è infatti nel senso che a seguito della diffida del consigliere G. la regione Liguria avrebbe dovuto esprimersi con un atto ufficiale di proposizione del conflitto di attribuzioni insorto tra lo Stato (il tribunale di Genova) ed essa regione (art. 134 Cost.), ovvero denegando la sussistenza della violazione ascritta dalla magistratura: tale determinazione costituirebbe un atto di alta amministrazione, sì che il silenzio denunciato sarebbe giustiziabile avanti al tribunale amministrativo adito, non dovendosi con ciò fare applicazione dell'art. 7, primo comma, ultimo capoverso, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 che esclude il potere del giudice amministrativo di sindacare gli atti politici.

La differenziazione tra gli atti politici e quelli di alta amministrazione è stata oggetto di riflessioni si può dire sin dall'individuazione della nozione di Stato di diritto, essendo sempre risultata necessaria l'enucleazione di una sfera di attribuzioni riservata alla politica nella quale gli altri poteri non possono intromettersi.

Tale vicenda ha avuto risvolti particolari nell'ordinamento italiano, attese le alterne vicende conosciute nel tempo dai rapporti tra i poteri statuali.

La Costituzione vigente ha scandito in modo preciso gli ambiti di attribuzione delle funzioni riconosciute, ma anche il disegno così delineato nel 1948 è stato toccato dai mutamenti occorsi nella società italiana. Va notato al riguardo che la possibilità di esercitare un sindacato giudiziale sugli atti politici ovvero di altra amministrazione è stata regolata per molto tempo dal testo unico sul consiglio di Stato del 1924, a cui è stata data con gli anni una lettura sempre più aderente al testo costituzionale.

In oggi sono intervenuti dapprima la legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali e successivamente il codice del processo amministrativo che si sono tuttavia limitati a ribadire l'inammissibilità delle impugnazioni avverso gli atti politici, demandando alla giurisprudenza la delimitazione del mutevole confine tra le due ipotesi.

La distinzione operata tra le due ipotesi è nel senso che l'atto politico è sostanzialmente libero nel fine da individuare, mentre quello di alta amministrazione si colloca all'interno dell'esercizio di una funzione ampiamente discrezionale, che deve tuttavia svolgersi in un ambito finalistico predeterminato dalla normativa.

In giurisprudenza sono stati ricompresi tra i provvedimenti impugnabili, perché esercizio dell'attività di alta amministrazione, la soppressione di un'ambasciata italiana, la scelta per la provvista delle alte cariche pubbliche, la nomina di un difensore civico, l'atto governativo di superamento dell'esito di una conferenza dei servizi (art. 14-quater della l. 7 agosto 1990, n. 241), la nomina del presidente di un conservatorio di musica, la conferma o la mancata conferma del direttore generale di un'azienda sanitaria, la nomina e la revoca degli assessori regionali; un esame delle ipotesi considerate induce a ritenere che si tratta comunque di determinazioni che restano nell'ambito della funzione amministrativa, quella cioè che deve provvedere alla gestione della cosa pubblica in nome dei cittadini o di parte di essi affinché la vita associata risulti il più possibile desiderabile.

Se ne conclude sul punto che le norme non possono descrivere con precisione tutte le ipotesi che la realtà sottopone alla funzione pubblica, sì che in alcuni casi è opportuno che talune autorità, in genere di vertice, abbiano una sfera di discrezionalità particolarmente ampia per conformare al meglio le situazioni giuridiche allo stato effettivo delle cose.

Diversa è stata l'individuazione della categoria degli atti politici, che sono previsti dall'ordinamento per la libertà dei fini che li caratterizza, e nell'ordinamento attuale sono più strettamente legati alla natura elettiva diretta od indiretta degli organi titolati alla loro adozione.

In giurisprudenza (in termini la già citata decisione 10 aprile 2003, n. 116 della Corte costituzionale) è stato chiarito che la commistione di funzioni che induce ad individuare l'atto politico si rinviene in special modo allorché un soggetto dotato di attribuzioni pubbliche interviene in un ambito di possibile pertinenza di altro ente, anch'esso titolare di mansioni di generale interesse.

Poste tali premesse va condivisa la narrativa del ricorso nella parte in cui sottolinea che la giurisprudenza ha via via limitato lo spazio assegnato dall'ordinamento agli atti politici: si è registrato con ciò l'ampliamento del perimetro che la giurisdizione ha ritenuto di sua competenza, in quanto organo deputato al controllo dell'esercizio di un potere amministrativo che non può sottrarsi alle previsioni degli artt. 24 e 113 Cost.

Non di meno la Costituzione individua degli spazi di azione in cui gli organi più elevati dello Stato o degli enti previsti dalla norma fondamentale si esprimono liberi nei fini, perseguendo gli interessi di maggior rilievo per la collettività: al riguardo è possibile operare un istruttivo rinvio alla decisione 29 maggio 2014, n. 2792 del consiglio di Stato nella parte in cui ha distinto l'attività (di alta amministrazione) di una commissione istituita per legge nell'ambito del ministero della marina mercantile incaricata di fornire pareri su un contenzioso diplomatico insorto con uno stato estero, e l'atto ministeriale (politico) di accoglimento o diniego del parere stesso.

In tale fattispecie la funzione di verifica dell'interesse nazionale eventualmente da tutelare viene demandata dapprima ad un organo tecnico che pondera l'interesse nazionale alla composizione della controversia ed alle eventuali modalità per giungere a ciò, mentre il ministro deve apprezzare in modo insindacabile come dar tutela al naviglio nazionale nei confronti di uno stato straniero.

Il caso qui in esame riguarda invece i rapporti più delicati tra un potere statuale e quello regionale: il tribunale di Genova ha aperto il procedimento nei confronti dell'interessato svolgendo la funzione costituzionalmente garantita di determinare in modo definitivo (proscioglimento o condanna) il potere di giudizio attribuitogli.

La Regione Liguria ha a sua volta una sfera intangibile di attribuzioni che la Costituzione riconosce e tutela al fine dar corpo ai principi di autonomia (artt. 5 e 114 Cost.) che costituiscono un fondamento dell'ordinamento vigente; in tal senso è stato chiarito (Corte costituzionale 1° ottobre 2003, n. 303) che la regione ha una posizione ordinamentale differente dal comune, posto che solo il primo dei due enti citati ha la capacità esser parte avanti la corte costituzionale al di fuori di quanto accade nel corso dei comuni giudizi già instaurati; soltanto lo Stato e la regione possono chiedere la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge che ritengono lesiva delle rispettive attribuzioni, ovvero possono adire la corte ai sensi dell'art. 134 Cost.

La vicenda rientra pertanto in un ambito simile a quello definito recentemente dalla Corte costituzionale (sent. 7 luglio 2015, n. 137) allorché ha operato la ricognizione di quali sono i presupposti necessari per ritenere sussistente il conflitto tra i poteri, sì che la soluzione di tali vertenze o l'eventuale decisione di proporle non può rientrare tra gli atti di alta amministrazione.

Ed a tale proposito non può ritenersi che la formulazione letterale dell'art. 7 c.p.a. citato limiti al solo governo della Repubblica la possibilità di adottare degli atti liberi nei fini che si sottraggono al controllo del giudice, posta la condivisibilità sul punto delle argomentazioni spese dal ricorrente stesso sulla rilevanza costituzionale delle regioni. Tali enti sono infatti abilitati a promuovere i conflitti previsti dal ricordato art. 134 Cost., ma la loro decisione in tal senso non è sindacabile in questa sede, trattandosi di un ambito rimesso alla discrezione politica e non alla funzione amministrativa.

Oltre a ciò la conclusione assunta circa l'impossibilità per un consigliere regionale di sindacare la determinazione del consiglio di cui egli fa parte di adire o di non adire la Corte costituzionale ai sensi dell'art. 134 Cost. si lascia preferire in forza di un'altra considerazione.

La maggior parte delle comuni attività giurisdizionali presuppone la sussistenza della situazione di controinteresse, ovvero - per giungere al concreto - la possibilità che l'eventuale determinazione del consiglio o di altri organi regionali di adire la Corte costituzionale sia contestata in causa da altri soggetti. Così opinando si giungerebbe al trasferimento in sede contenziosa del confronto politico, una situazione la cui configurabilità è stata sempre negata dalla giurisprudenza (ad esempio T.A.R. Puglia, Lecce, 28 novembre 2013, n. 2388) allorché si tratta dell'impugnazione da parte dei consiglieri comunali delle deliberazioni dell'organo di cui essi stessi fanno parte.

La tesi esposta porterebbe quindi a conseguenze opposte a quelle che sembra desiderare il ricorrente, che intende invece tutelare l'autonomia degli organi elettivi dalle ingerenze degli altri poteri dello Stato.

È poi rinvenibile un'ulteriore discrasia nella narrativa contenuta nell'atto di impugnazione, nella parte in cui il ricorrente allega l'opportunità di ampliare la sfera delle attribuzioni del giudice amministrativo al fine di conculcare quelle del giudice penale; il collegio rileva allora che, volendolo, la regione Liguria avrebbe potuto opporre avanti alla Corte costituzionale la sua riserva di potestà a fronte dell'attività del giudice penale, sì che in tale caso la sede investita sarebbe stata idonea a pronunciarsi in materia.

Quel che non può condividersi è invece l'allegazione della sussistenza di un obbligo della regione di pronunciarsi sull'argomento che è oggetto di riserva assoluta degli organi politici dell'ente dotato delle prerogative stabilite dalla Costituzione.

In conclusione il ricorso è inammissibile e le spese vanno compensate attesa la complessità della natura del contendere.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), dichiara inammissibile il ricorso a spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

F. Caringella

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