Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 29 gennaio 2016, n. 12789

Presidente: Vessichelli - Estensore: Morelli

RITENUTO IN FATTO

1.1. Viene proposto ricorso avverso il rigetto, da parte del GUP presso il Tribunale di Pescara, della richiesta del PM di revoca della sentenza di non luogo a procedere emessa dallo stesso Ufficio in data 5 dicembre 2013 nei confronti di Buttiglione Angela e Di Bella Antonio Luca, imputati del reato di cui all'art. 30, comma 1 e 4, l. 223/1990.

1.2. Premesso che S. Silvana aveva sporto una querela per diffamazione in relazione al contenuto di alcune notizie giornalistiche riferibili ad una aggressione di cui era stata vittima, notizie riprese anche nei servizi mandati in onda sul TG3 nazionale e sul TG3 Lazio, era stata formulata richiesta di rinvio a giudizio in ordine all'ipotesi criminosa sopra enunciata nei confronti di Buttiglione Angela, direttore responsabile del TG3 Lazio, e Di Bella Antonio, direttore responsabile di TG3.

Il GUP aveva pronunciato sentenza di non doversi procedere nei confronti di entrambi per non avere commesso il fatto e, successivamente, il PM aveva chiesto la revoca della sentenza avendo proceduto ad una ulteriore attività investigativa che aveva consentito di meglio precisare il ruolo e le funzioni dei due imputati all'interno della RAI.

1.3. Con il provvedimento impugnato, il GUP ha rigettato la richiesta di revoca osservando che i reati di diffamazione commessi per il tramite di trasmissioni televisive sono disciplinati dall'art. 30, comma 4, l. 223/1990 che prevede l'applicabilità delle sanzioni di cui all'art. 13 l. 47/1948 soltanto al concessionario o alla persona delegata al controllo della trasmissione.

I direttori responsabili di un telegiornale o di una testata giornalistica televisiva non sono assimilabili né alla figura del concessionario né a quella del delegato, quindi la norma non sarebbe applicabile nei loro confronti per il divieto di un'applicazione analogica in malam partem.

2. Nel ricorso, il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Pescara deduce violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'errata interpretazione dell'art. 30 l. 223/1990 sostenendo che, nell'individuazione della persona fisica titolare, in concreto, dei poteri di controllo, deve necessariamente tenersi conto del riparto interno delle funzioni, considerato che, secondo lo statuto RAI, il legale rappresentante, cioè il presidente, non ha specifici poteri di controllo sul contenuto delle trasmissioni televisive.

In forza delle norme che disciplinano la materia e del riparto di competenze e funzioni all'interno della RAI, i poteri di controllo spettano ai direttori responsabili delle testate giornalistiche e, quindi, in relazione al caso in esame, a Buttiglione e Di Bella.

3. Il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte in cui chiede l'annullamento del provvedimento impugnato, aderendo alla prospettazione del ricorrente.

4. La difesa degli imputati ha presentato una memoria in cui evidenza come gli atti interni alla RAI a cui il PM ha fatto riferimento nel ricorso e, nello specifico, la qualifica indicata nel protocollo redatto ai fini della l. 231/2001, non siano equiparabili alla delega da parte del concessionario.

Ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 30 l. 223/1990 da parte di soggetto diverso dal concessionario, è richiesta una delega specifica e formale avente ad oggetto il controllo sulle trasmissioni televisive.

Si sostiene poi l'impossibilità di configurare, nel caso in esame, il reato di cui all'art. 30, comma 1, che si riferisce esclusivamente a trasmissioni avente il carattere di oscenità, ed anche la fattispecie di cui all'art. 30, comma 4, che introduce una sorta di responsabilità per diffamazione dolosa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Il ricorso è inammissibile sotto un duplice profilo.

1.2. L'art. 434 c.p.p. disciplina le ipotesi di revoca della sentenza di non luogo a procedere limitandole al caso in cui sopravvengano o si scoprano nuove fonti di prova ed è escluso che possano essere ritenute tali le risultanze dell'ulteriore attività investigativa espletata dalla PG su incarico del PM e diretta ad accertare i poteri dei due imputati nell'ambito dell'azienda RAI. Si veda, sul punto Sez. un., n. 8 del 23 febbraio 2000, Rv. 215412: "I nuovi elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero successivamente alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere possono essere utilizzati ai fini della revoca della sentenza e della successiva applicazione di una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato prosciolto, a condizione che essi siano stati acquisiti "aliunde" nel corso di indagini estranee al procedimento già definito o siano provenienti da altri procedimenti, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, e comunque non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica ed all'approfondimento degli elementi emersi".

2. Nel merito, l'interpretazione accolta dal GUP di Pescara è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui "Il direttore responsabile di un telegiornale non risponde per l'omesso controllo necessario ad impedire il reato di diffamazione né ai sensi dell'art. 57 c.p., dettato solo per i reati commessi con il mezzo della stampa periodica, né ai sensi dell'art. 30 della l. 6 agosto 1990, n. 223, atteso che le norme speciali previste in questa disposizione in tema di trattamento sanzionatorio e di competenza territoriale per il reato di diffamazione commesso attraverso trasmissioni televisive si riferiscono a soggetti specificamente indicati - il concessionario privato, la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione -, né possono trovare applicazione analogica" (Sez. 5, n. 50987 del 6 ottobre 2014, Rv. 261907).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.

Depositata il 29 marzo 2016.