Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 20 aprile 2016, n. 1551

Presidente: Poli - Estensore: Castiglia

FATTO E DIRITTO

1. Con delibera del 16 settembre 2009, il Consiglio superiore della magistratura (d'ora in poi: CSM), ha conferito alla dottoressa Elisabetta M. l'ufficio di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona, con conferimento delle relative funzioni direttive requirenti di primo grado.

2. Su ricorso del dottor Alberto C., anch'egli aspirante al posto e rimasto soccombente nella valutazione comparativa, il T.A.R. per il Lazio ha annullato la delibera con sentenza 14 settembre 2010, n. 32321, ordinando al CSM di rinnovare la comparazione.

3. Con sentenza 18 aprile 2012, n. 2295, il Consiglio di Stato, sezione IV, ha confermato la sentenza impugnata dal CSM.

4. Con deliberazione 26 luglio 2012, il CSM ha ancora attribuito l'ufficio alla dottoressa M.

5. Il dottor C. ha impugnato secondo il rito degli artt. 112 e ss. c.p.a. anche il nuovo provvedimento, proponendo ricorso innanzi al T.A.R. per il Lazio (allibrato al n.r.g. 9592 del 2012) che, con sentenza 10 maggio 2013, n. 4711, resa in sede di ottemperanza:

a) ha dichiarato la mancata ottemperanza della sentenza n. 32321/2010;

b) ha ordinato al CSM di provvedere nel termine di sessanta giorni;

c) si è riservato, su ulteriore impulso di parte, la nomina di un commissario ad acta ovvero la determinazione del contenuto del provvedimento ovvero ancora le determinazione dello stesso in luogo dell'Autorità preposta;

d) ha dichiarato nulla la deliberazione del 26 luglio 2012.

6. La dottoressa M. ha interposto appello contro la sentenza n. 4711/2013 (allibrato al n.r.g. 7211 del 2013).

7. Con istanza notificata il 13 giugno 2013, il dottor C. ha chiesto al T.A.R. per il Lazio la nomina di un commissario ad acta per l'ottemperanza della ricordata sentenza.

8. In data 17 luglio 2013 il CSM ha deliberato di:

a) non impugnare la sentenza;

b) ottemperare al giudicato formatosi sulle precedenti decisioni del giudice amministrativo;

c) procedere al riesame dell'affare;

d) rivalutare la posizione dei magistrati concorrenti tenendo conto dei fatti di rilievo disciplinare intervenuti nel frattempo a carico del dottor C.

9. Avverso tale delibera il dottor C. ha depositato una ulteriore istanza per la nomina di un commissario ad acta e motivi aggiunti all'originario ricorso di ottemperanza.

10. Con deliberazione del 18 settembre 2013 il CSM ha rinnovato il conferimento dell'incarico alla dottoressa M.

11. Avverso tali delibere il dottor C., che già aveva presentato una ulteriore istanza per la nomina di un commissario ad acta, ha proposto motivi aggiunti di ricorso.

12. Con sentenza 26 maggio 2014, n. 5571, il T.A.R. per il Lazio ha accolto il ricorso del dottor C., escludendo il rilievo delle sopravvenienze penali (iscrizione nel registro degli indagati per una vicenda non correlata all'attività professionale) e disciplinari (provvedimento cautelare di trasferimento), in quanto note o comunque conoscibili dal CSM prima della deliberazione del 26 luglio 2012, già dichiarata nulla con la sentenza n. 4711/2013.

13. Per l'effetto il T.A.R.:

a) ha dichiarato nulli gli atti impugnati per violazione del giudicato;

b) ha disposto la nomina di un commissario ad acta perché, nel termine di sessanta giorni, provvedesse all'attribuzione dell'incarico in sostituzione del CSM, affidandone l'individuazione al Primo Presidente della Corte di cassazione o ad altro magistrato da questi delegato;

c) ha dichiarato la cessazione dalle funzioni e dall'ufficio di Procuratore di Ancona senza necessità di ulteriori provvedimenti esecutivi.

14. Con decreto in data 9 giugno 2014, il Primo Presidente della Corte di cassazione ha nominato commissario ad acta il dottor Giuseppe Q., magistrato in quiescenza.

15. Con sentenza 31 marzo 2015, n. 1682, il Consiglio di Stato, sezione IV, ha respinto l'appello proposto dalla dottoressa M. contro la sentenza n. 4711/2013.

16. Con altra sentenza in pari data, n. 1686, la stessa Sezione ha respinto gli appelli (allibrati rispettivamente ai nn.rr.gg. 4928 e 5245 del 2014), proposti dalla dottoressa M. e dal CSM contro la sentenza n. 5571/2014 e ha disposto il prosieguo dell'attività procedimentale da parte del nominato commissario ad acta.

17. In data 30 maggio 2015 il commissario ha presentato al T.A.R. per il Lazio istanza di chiarimenti ai sensi dell'art. 114, comma 7, c.p.a., con particolare riguardo alla perduranza e all'eventuale ampiezza delle sue funzioni alla luce della normativa sopravvenuta (art. 2, comma 4, del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, nella l. 11 agosto 2014, n. 114, che - modificando l'art. 17, comma 2, della l. 24 marzo 1958, n. 195 - ha limitato i poteri del giudice dell'ottemperanza in tema di incarichi direttivi e semidirettivi conferiti dal CSM).

18. Con istanza depositata il 12 giugno 2015 la dottoressa M. ha chiesto al Presidente del T.A.R. per il Lazio la trasmissione degli atti al CSM per l'esecuzione della sentenza n. 5571/2014, essendo inutilmente decorso il termine assegnato al commissario per l'espletamento dell'incarico e in applicazione della nuova disciplina di legge.

19. Con sentenza 7 settembre 2015, n. 11080 - oggetto del presente giudizio - il T.A.R. per il Lazio, sez. I:

a) ha ritenuto la nuova normativa immediatamente applicabile per la sua natura di "norma processuale d'urgenza" e, di conseguenza, venuto meno il potere attribuito dal giudice al commissario e cessato l'incarico di quest'ultimo, che non avrebbe adempiuto il proprio mandato prima dell'entrata in vigore della modifica legislativa;

b) ha ribadito l'obbligo del CSM di "adempiere all'ordine, contenuto nelle indicate sentenza, di procedere alla integrale rinnovazione della procedura comparativa...valutando non solo i profili oggetto della decisione del giudice, ma pure quelli comunque rilevanti, ancorché sopravvenuti, ai fini della complessiva rivalutazione della posizione dei diversi candidati quanto alla loro idoneità all'incarico alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento dei pubblici uffici di cui all'art. 97 della Costituzione";

c) ha assegnato al CSM il termine di sessanta giorni per l'adempimento.

20. Il dottor C. ha interposto appello contro la su menzionata sentenza n. 11080 del 2015 chiedendone al contempo la sospensione dell'efficacia esecutiva anche inaudita altera parte.

21. Per resistere all'appello si sono costituiti in giudizio la dottoressa M., il CSM e il Ministero della giustizia.

22. Con decreto presidenziale 11 settembre 2015, n. 4147, è stata accolta la richiesta di un provvedimento cautelare d'urgenza.

23. Con ordinanza 22 settembre 2015, n. 4301, la Sezione ha accolto la domanda cautelare dell'appellante condannando gli intimati alla rifusione delle spese della fase cautelare quantificate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila).

24. Consta che, nel frattempo e successivamente alle sentenze di questa Sezione nn. 1682 e 1686 del 31 marzo 2015, si sono succeduti i fatti che seguono:

a) in data 9 aprile 2015 la Sezione disciplinare del CSM ha inflitto al dottor C. la sanzione disciplinare della censura e del trasferimento d'ufficio al Tribunale di Tivoli con funzioni di giudice;

b) la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24825, delle Sezioni unite della Corte di cassazione:

I) ha respinto l'impugnazione proposta da C. contro la sanzione della censura inflittagli dal CSM (che è divenuta così definitiva);

II) ha riformato la sentenza disciplinare del CSM nella parte in cui ha applicato la misura accessoria della perdita permanente dell'idoneità all'esercizio delle funzioni direttive e semidirettive in quanto effetto non previsto dalla legge a titolo di sanzione disciplinare definitiva;

c) ha restituito gli atti alla Sezione disciplinare del CSM in diversa composizione;

d) con provvedimento dell'11 dicembre 2015, il commissario ad acta ha nominato nella carica la dottoressa M.;

e) il CSM ha impugnato la sentenza n. 1686/2015 innanzi alle Sezioni unite della Corte di cassazione chiedendone la sospensione dell'efficacia esecutiva a norma degli art. 111 c.p.a. e 373 c.p.c.;

f) con reclamo depositato il 22 dicembre 2015 innanzi al T.A.R. per il Lazio (sempre nel giudizio allibrato al n.r.g. 9592 del 2012), il dottor C. ha contestato il provvedimento del commissario ad acta, chiedendone la sospensione dell'efficacia esecutiva anche inaudita altera parte;

g) con decreto in pari data, n. 5883, il Presidente del T.A.R. per il Lazio ha respinto la domanda cautelare;

h) in data 4 gennaio 2016, la dottoressa M. ha preso possesso dell'ufficio;

i) con ordinanza 15 gennaio 2016, n. 70, il Consiglio di Stato, Sezione IV, ha respinto la domanda cautelare proposta dal CSM in relazione al ricorso per cassazione avverso la sentenza di questa Sezione n. 1686 del 2015;

l) pronunziando sul reclamo proposto dal dottor C. contro il provvedimento commissariale di nomina della controinteressata, il T.A.R. per il Lazio lo ha respinto con sentenza 3 marzo 2016, n. 2813.

25. In relazione al presente appello, la dottoressa M. ha depositato "brevi note" in data 30 marzo 2016.

26. Alla camera di consiglio del 31 marzo 2016, l'appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

27. Con l'appello proposto avverso la sentenza del T.A.R. per il Lazio n. 11080/2015 il dottor C. ha articolato quattro autonomi motivi sostenuti dalle seguenti argomentazioni:

a) in disparte la dubbia legittimità costituzionale della novella legislativa, questa, nell'escludere l'applicabilità nei confronti del CSM dell'art. 114, comma 4, lett. a) e c), c.p.a., non sarebbe intervenuta sulla lettera d) dello stesso comma, cosicché rimarrebbe intatto - come avrebbe riconosciuto lo stesso CSM con la sua memoria di primo grado - il potere di nomina del commissario ad acta;

b) il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere immediatamente operanti le particolari limitazioni apportate dalla novella ai poteri del giudice dell'ottemperanza perché queste, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (Sez. un., 2 febbraio 2015, n. 1823), non varrebbero nei riguardi delle sentenze pronunziate prima della sua entrata in vigore;

c) in via subordinata, lo ius superveniens non potrebbero comunque trovare applicazione nella fattispecie, in quanto il commissario avrebbe già esercitato il proprio potere attraverso le richieste istruttorie rivolte al CSM e sarebbe abnorme attribuire a una norma processuale un effetto retroattivo tale da travolgere un provvedimento giudiziale legittimamente esercitato; tanto sarebbero già stato affermato - espressamente e non incidentalmente - nella sentenza n. 1686/2015 di questa Sezione;

d) inoltre, la decisione impugnata sarebbe erronea nella parte in cui - in contrasto con il giudicato formatosi sulle sentenze della Sezione n. 1682/2015 e n. 1686/2015 - riconoscerebbe al CSM, in sede di riesercizio del potere, la discrezionalità di valutare non solo i profili oggetto della decisione del giudice, ma anche quelli sopravvenuti.

28. Dal canto suo, la dottoressa M.:

a) ha contestato la tesi dell'inapplicabilità della normativa sopravvenuta;

b) ha considerato inconferente la sentenza richiamata delle Sezioni unite (perché in quel caso il commissario avrebbe già svolto essenzialmente il proprio incarico, mentre nel caso presente non vi sarebbe nemmeno un principio di adempimento del mandato);

c) ha ritenuto inesistente il contrasto con le statuizioni della sentenza n. 1686/2015, perché il T.A.R. sarebbe stato chiamato a garantire concreta attuazione al giudicato anche alla stregua delle sopravvenienze normative;

d) ha affermato che, al momento del nuovo esercizio del potere, il CSM non potrebbe non tenere conto di importanti circostanze sopravvenute, quale in particolare il procedimento e poi il provvedimento disciplinare inflitto al dottor C. che ne determinerebbe l'incompatibilità funzionale rispetto all'incarico in contestazione.

29. Il CSM e il Ministero della giustizia hanno svolto considerazioni di segno analogo, sostenendo l'avvenuta implicita abrogazione della lett. d) dell'art. 114, comma 4, c.p.a., per effetto della quale la competenza ad eseguire i giudicati in questa particolare materia spetterebbe in via esclusiva al Consiglio.

30. In via preliminare, il Collegio rileva che:

a) la ricostruzione in fatto, come sopra riportata (in parte ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure e non contestata dalle parti costituite), risulta per tabulas dalla documentazione versata in atti e, in particolare, dai provvedimenti giurisdizionali meglio specificati in precedenza;

b) sono inammissibili, per evidente tardività, le note depositate dalla dottoressa M. il giorno precedente la camera di consiglio, in violazione dei termini perentori dimidiati risultanti dal combinato disposto degli artt. 73, comma 1, e 87, comma 3, c.p.a.;

c) poiché, peraltro, tali note sollevano una questione che sarebbe rilevabile d'ufficio (asserita improcedibilità dell'appello per cessazione della materia del contendere o per sopravvenuta carenza di interesse, a seguito dell'avvenuta nomina della dottoressa M. disposta con il ricordato provvedimento commissariale in data 11 dicembre 2015), il Collegio ne rileva la pacifica infondatezza in quanto il commissario ha adottato il proprio provvedimento in esecuzione dell'ordinanza cautelare n. 4301/2015: l'atto non sopravvivrebbe a un'eventuale definizione del giudizio in senso difforme per l'effetto caducante che ne seguirebbe (cfr. C.d.S., sez. V, 22 settembre 2015, n. 4431; sez. IV, 14 marzo 2016, n. 991; entrambe nella scia dei principi elaborati dall'Adunanza plenaria nella sentenza 28 gennaio 2015, n. 1, in particolare §§ 3.1.-3.3.).

31. Il primo motivo dell'appello (pagine 6-8 del ricorso), è fondato.

31.1. È fuori discussione che la novella del 2014, pur riducendo gli strumenti a disposizione del giudice dell'ottemperanza in tema di conferimento ai magistrati ordinari degli incarichi direttivi e semi-direttivi, non ha escluso l'applicabilità della lett. d), comma 4, dell'art. 114 c.p.a.; resta dunque intatto, nel giudizio di ottemperanza, il potere del giudice amministrativo di nominare, ove occorra, un commissario ad acta.

31.2. Per giungere a una diversa conclusione, l'Avvocatura Generale ipotizza che, dall'impianto complessivo della riforma, dovrebbe dedursi l'avvenuta implicita abrogazione della citata lett. d).

31.3. Siffatta tesi è però insostenibile, in quanto contrasta sia con la chiara lettera delle disposizioni in esame - l'art. 17, comma 2, l. n. 195 del 1958 come novellato dal d.l. n. 90 del 2014, nella parte di interesse, dispone espressamente che «... Nel caso di azione di ottemperanza, il giudice amministrativo, qualora sia accolto il ricorso, ordina l'ottemperanza ed assegna al Consiglio superiore un termine per provvedere. Non si applicano le lett. a) e c) del comma 4 dell'art. 114 del codice del processo amministrativo...» - sia con i criteri ermeneutici comunemente accolti e, in particolare, con la necessità di elaborare una esegesi della nuova normativa conforme ai valori espressi dalla Costituzione, dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE, che raggiunge la massima portata espansiva proprio in relazione ai giudizi di esecuzione dei giudicati, dove è più avvertita l'esigenza di assicurare alla parte vittoriosa il bene della vita effettivamente riconosciuto dal giudicato (cfr. sul punto le dirimenti conclusioni cui è pervenuta l'Adunanza plenaria nella sentenza 15 gennaio 2015, n. 3, §§ 5.1. e 5.2., ivi i riferimenti alla giurisprudenza della Corte EDU).

31.4. L'obiettivo della riforma del 2014 è stato quello di istituire un diritto processuale singolare, confezionato specificamente per una ben determinata tipologia di controversie aventi ad oggetto i provvedimenti del CSM di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi.

Questa tesi è ancor più confortata dalla lettura del testo originale dell'art. 2 del d.l. n. 90 del 2014 che - con disposizione poi caduta in sede di conversione in legge - stabiliva che "contro i provvedimenti concernenti il conferimento o la conferma degli incarichi direttivi e semi direttivi, il controllo del giudice amministrativo ha per oggetto i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere manifesto".

Se dunque la riforma ha inteso creare un regime singolare per una determinata categoria di atti amministrativi, individuati in funzione dell'Autorità emanante e dell'oggetto, è indispensabile interpretare la nuova disciplina nel senso maggiormente coerente con i canoni dell'eguaglianza di trattamento e di non discriminazione (art. 3 Cost. e 20 e 21 Carta UE), e dell'effettività della tutela giurisdizionale avverso gli atti della P.A. riconosciuti illegittimi (artt. 24, 97, 103 e 113 Cost., 47 Carta UE, 6 CEDU). Il che:

a) impedisce di estendere l'ambito di fattispecie eccezionali mercé la configurazione di abrogazioni tacite in una materia così delicata, che non può non essere stata oggetto di puntuale attenzione da parte del Governo prima (al momento dell'emanazione del decreto-legge) e del Parlamento poi (in sede di conversione in legge del provvedimento d'urgenza);

b) induce ad una esegesi rigorosa della norma eccezionale sancita dal novellato art. 17, comma 2, l. n. 195 del 1958, a mente dell'art. 14 disp. prel. c.c. (cfr. sul punto, fra le tante e da ultimo, C.d.S., Ad. plen., 9 febbraio 2016, n. 2, § 5.4.);

c) solleva dall'onere di sottoporre il più volte menzionato art. 17, comma 2, ad uno scrutinio preliminare di legittimità costituzionale, altrimenti inevitabile, ma nella specie irrilevante e superfluo perché - come detto - la novella non influisce per nulla sulla permanenza del potere di nomina di un commissario ad acta da parte del giudice amministrativo;

d) l'effetto pratico della riforma, invero, consiste semplicemente nella impossibilità per il giudice dell'ottemperanza di procedere direttamente all'emanazione (o alla determinazione del contenuto) del provvedimento in luogo dell'amministrazione (come previsto dalla lett. a) dell'art. 114 c.p.a.), ovvero di dare esecuzione a sentenze non passate in giudicato (come previsto dalla lett. c) dell'art. 114 c.p.a.).

31.5. Tenuto conto dei principi elaborati dall'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (con la sentenza 27 aprile 2015, n. 5, §§ 9.3 e segg.), da quanto precede deriva - come anticipato - la fondatezza del primo motivo dell'appello con assorbimento del secondo motivo, in tutte le sue diverse articolazioni (pagine 8-10 del ricorso), perché esso presuppone l'avvenuto venir meno, a regime, della disposizione sancita dalla ricordata lett. d) dell'art. 114 c.p.a., effetto giuridico che, per le ragioni in precedenza illustrate, è sicuramente da escludersi.

32. Occorre invece esaminare espressamente il terzo e quarto mezzo di gravame (pagine 10-14 del ricorso in appello) che, intimamente connessi, possono essere scrutinati congiuntamente.

32.1. Nel far ciò, il Collegio deve evidenziare preliminarmente che:

a) la questione dei limiti del potere del soggetto chiamato all'ottemperanza (sia esso il commissario o il CSM) non è stata sollevata né nell'istanza del commissario medesimo, né in quella della dottoressa M.;

b) poiché tuttavia il T.A.R. ha ritenuto di esprimersi sulla questione, è giocoforza occuparsene in questa sede per rispondere, sul punto, all'appello del dottor C.;

c) rimane però estraneo all'oggetto del presente giudizio il provvedimento commissariale in data 11 dicembre 2015, reclamato dal dott. C. ma confermato dalla precitata sentenza del T.A.R. per il Lazio n. 2813 del 2016 (che non risulta impugnata alla data della deliberazione della presente decisione); sicché, in questa sede, non è consentita alcuna valutazione della rispondenza dell'operato del Commissario ad acta al bene della vita effettivamente riconosciuto dal giudicato de quo agitur, ai precetti formulati dalle successive sentenze rese dal giudice amministrativo nella tormentata vicenda, alle statuizioni delle pronunce disciplinari intervenute sul punto (e in particolare a quella delle Sezioni unite n. 24825 del 2015).

32.3. I motivi sono fondati e devono essere accolti.

32.4. In sintesi, il Tribunale territoriale, nell'affermare l'obbligo del CSM di procedere "alla integrale rinnovazione della procedura comparativa", lo ha considerato tenuto "nella propria discrezionalità, non solo a determinarsi secondo i limiti imposti dalla rilevanza sostanziale della posizione soggettiva azionata e consolidata in sentenza, ma anche a prendere in esame la situazione controversa nella sua complessiva estensione, valutando non solo i profili oggetto della decisione del giudice, ma pure quelli comunque rilevanti, ancorché sopravvenuti, ai fini della complessiva rivalutazione della posizione dei diversi candidati quanto alla loro idoneità all'incarico alla stregua dei principi d'imparzialità e buon andamento dei pubblici uffici di cui all'art. 97 della Costituzione, per provvedere definitivamente sull'oggetto della pretesa evitando ogni possibile elusione del giudicato e curando la efficacia sostanziale della tutela giurisdizionale accordata mediante la scelta del soggetto più meritevole in sede di rinnovazione dello scrutinio comparativo".

32.5. Viene in rilievo dunque il tema dell'incidenza delle sopravvenienze nell'esecuzione del giudicato.

32.6. Il tema era già stato trattato in via immediata e diretta (e dunque non incidentalmente) al § 4.1 della sentenza n. 1682/2015, che, va ricordato per completezza, non è passata in giudicato, perché nei suoi riguardi, come dianzi specificato (§ 24), è stato proposto ricorso per cassazione, ma la cui efficacia non è stata sospesa (cfr. ordinanza di questa Sezione n. 70 del 2016).

Vale la pena di trascrivere i suoi passaggi salienti, per il significato di carattere generale che rivestono: "Osserva la Sezione come il tema delle sopravvenienze nel corso del procedimento amministrativo, istituzionalmente concluso in un arco temporale delimitato, e la questione del raccordo con le attribuzioni dell'amministrazione, la cui natura permanente ed inesauribile contempla in ipotesi anche la plurima riedizione del potere amministrativo, siano stati oggetto di notevole attenzione da parte della giurisprudenza amministrativa, tesa a trovare un punto di equilibrio tra le posizioni della parte pubblica e di quella privata.

L'attuale punto di approdo (dato dalla sentenza del Consiglio di Stato, ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2 che, esplicitamente, si propone di risolvere "questioni che attengono, in primo luogo, all'esigenza di conferire adeguata effettività alle sentenze del giudice amministrativo e, al contempo, alla necessità, da un lato, di contenere in tempi ragionevoli la risposta giurisdizionale e, dall'altro, di evitare inutili duplicazioni di accesso alla tutela giurisdizionale stessa") è frutto di un processo di concentrazione della tutela davanti al giudice dell'ottemperanza (le cui linee fondanti erano state già individuate da Consiglio di Stato, sez. IV, 16 luglio 2012, n. 4133), a sua volta esito di una progressiva disamina della pluralità di tematiche ivi convergenti, condotta tenendo presente la particolarità del giudizio amministrativo, in rapporto non solo con le disposizioni del processo civile, ma anche con le esperienze di altre giurisdizioni europee (per questo profilo, Consiglio di Stato, sez. IV, 18 aprile 2013, n. 2183).

L'evocata decisione dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato (15 gennaio 2013, n. 2) proprio sul tema qui dedotto ha affermato che l'esigenza di certezza, propria del giudicato, ossia di un assetto consolidato degli interessi coinvolti, non consente all'Amministrazione, quando essa rinnova il potere, di riconsiderare secondo una nuova prospettazione, situazioni che, esplicitamente o implicitamente, hanno formato oggetto di esame da parte del giudice.

Si tratta di una conclusione in linea con orientamenti consolidati di questo Consiglio che affermano come occorra che la controversia fra l'amministrazione e l'amministrato trovi ad un certo punto una soluzione definitiva. Dunque occorre impedire che l'amministrazione proceda più volte all'emanazione di nuovi atti, in tutto conformi alle statuizioni del giudicato, ma egualmente sfavorevoli al ricorrente, in quanto fondati su aspetti sempre nuovi del rapporto, non toccati dal giudicato e il punto di equilibrio va determinato imponendo all'amministrazione - dopo un giudicato di annullamento da cui derivi il dovere o la facoltà di provvedere di nuovo - di esaminare l'affare nella sua interezza, sollevando, una volta per tutte, tutte le questioni che ritenga rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili non ancora esaminati (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 6 febbraio 1999, n. 134; id., sez. IV, 5 agosto 2003, n. 4539; id., sez. VI, 9 febbraio 2010, n. 633; id., sez. IV, 12 giugno 2013, n. 3259; id. sez. IV, 6 ottobre 2014, n. 4987).

Fondamentalmente, quello che afferma la giurisprudenza è che non possono porsi a carico del privato gli errori e le omissioni della fase istruttoria, che spetta all'amministrazione e che si connota per il dovere di completezza dell'acquisizione di fatti ed interessi (dovere ora positivamente previsto dall'art. 6 della l. n. 241 del 1990).

Quindi l'amministrazione non può strumentalmente servirsi delle proprie attribuzioni di carattere generale per porre rimedio alle carenze procedimentali del caso specifico, carenze provocate da fatti imputabili ad essa stessa.

Travasando le dette argomentazioni nella fattispecie in esame, non può non notarsi come il tema della comparazione tra i pretendenti all'incarico direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona sia stato svolto dal C.S.M. in almeno due diverse occasioni, una prima volta, con la delibera del 16 settembre 2009, annullata dal T.A.R. del Lazio con sentenza 14 settembre 2010, n. 32321, confermata in appello, e una seconda volta, con delibera del 26 luglio 2012, anch'essa annullata dal T.A.R. del Lazio con la sentenza 10 maggio 2013, n. 4711.

Questo evidenzia come il punto di equilibrio tra potere pubblico e aspettativa privata sopra tracciato sia stato già raggiunto e come qualsiasi ulteriore considerazione di fatti diversi o sopravvenuti faccia spostare l'indice verso una inammissibile superiorità dell'amministrazione, nonostante che questa abbia in concreto violato gli obblighi positivamente previsti a suo carico. In questo senso, qualsiasi valutazione di elementi non considerati, siano essi pregressi e non previamente risaltanti o successivi e non conferenti, appare comunque in violazione dei limiti del doppio annullamento intervenuto.

Questo non significa che i fatti sopravvenuti non abbiano una loro rilevanza. In molti casi, infatti, gli eventi sopravvenuti possono addirittura escludere in radice la possibilità di attribuire al privato l'utilità sperata, tuttavia la sede della loro considerazione non è quella del procedimento già concluso e doppiamente valutato dal giudice amministrativo, ma quella di un eventuale nuovo e diverso iter, fondato su presupposti o modalità autonome".

32.7. Gli argomenti spesi dalla decisione n. 1686/2015 devono essere ribaditi in questa sede, con gli approfondimenti che seguono - effettuati alla stregua dei principi, ricondotti a sistema, elaborati dalle plurime Adunanze plenarie che hanno affrontato il delicato tema degli effetti del tempo e delle sopravvenienze sulle situazioni giuridiche dedotte in giudizio anche in relazione alla portata precettiva dei giudicati (cfr. Ad. plen., n. 2 del 2016 cit.; 13 aprile 2015, n. 4; n. 2 del 2013 cit.; 3 dicembre 2008, n. 13; 11 maggio 1998, n. 2; 21 febbraio 1994, n. 4; 8 gennaio 1986, n. 1, cui si rinvia a mente degli artt. 74, 88, comma 2, lett. d), e 114, comma 3, c.p.a.) - in forza dei quali:

a) l'esecuzione del giudicato amministrativo (sebbene quest'ultimo abbia un contenuto poliforme), non può essere il luogo per tornare a mettere ripetutamente in discussione la situazione oggetto del ricorso introduttivo di primo grado, su cui il giudicato ha, per definizione, conclusivamente deciso; se così fosse, il processo, considerato nella sua sostanziale globalità, rischierebbe di non avere mai termine, e questa conclusione sarebbe in radicale contrasto con il diritto alla ragionevole durata del giudizio, all'effettività della tutela giurisdizionale, alla stabilità e certezza dei rapporti giuridici (valori tutelati a livello costituzionale e dalle fonti sovranazionali alle quali il nostro Paese è vincolato); da qui l'obbligo di esecuzione secondo buona fede e senza che sia frustrata la legittima aspettativa del privato alla stabile definizione del contesto procedimentale;

b) l'Amministrazione soccombente a seguito di sentenza irrevocabile di annullamento di propri provvedimenti ha l'obbligo di ripristinare la situazione controversa, a favore del privato e con effetto retroattivo, per evitare che la durata del processo vada a scapito della parte vittoriosa;

c) questa retroattività dell'esecuzione del giudicato non può essere intesa in senso assoluto, ma va ragionevolmente parametrata alle circostanze del caso concreto ed alla natura dell'interesse legittimo coinvolto (pretensivo, oppositivo, procedimentale);

e) tale obbligo, pertanto, non incide sui tratti liberi dell'azione amministrativa lasciati impregiudicati dallo stesso giudicato e, in primo luogo, sui poteri non esercitati e fondati su presupposti fattuali e normativi diversi e successivi rispetto a quest'ultimo;

d) nella contrapposizione fra naturale dinamicità dell'azione amministrativa nel tempo ed effettività della tutela, un punto di equilibrio è stato tradizionalmente rinvenuto nel principio generale per cui l'esecuzione del giudicato può trovare limiti solo nelle sopravvenienze di fatto e diritto antecedenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile; sicché la sopravvenienza è strutturalmente irrilevante sulle situazioni giuridiche istantanee, mentre incide su quelle durevoli nel solo tratto dell'interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima;

e) in materia di procedure concorsuali (come quella per cui è causa), il giudicato cassatorio che tuteli interessi pretensivi, incide su situazioni giuridiche istantanee, come tali insensibili alle sopravvenienze (i fatti sopravvenuti, peraltro, potrebbero essere per il ricorrente di segno sia positivo - ad es., l'acquisizione di un titolo in origine non posseduto - che negativo); sul piano generale, che qui viene in questione, la distinzione è del tutto irrilevante;

f) anche per le situazioni istantanee, però, la retroattività dell'esecuzione del giudicato trova un limite intrinseco e ineliminabile (che è logico e pratico, ancor prima che giuridico), nel sopravvenuto mutamento della realtà - fattuale o giuridica - tale da non consentire l'integrale ripristino dello status quo ante (come esplicitato dai risalenti brocardi factum infectum fieri nequit e ad impossibilia nemo tenetur) che integra il presupposto esplicito della previsione del risarcimento del danno, per impossibile esecuzione del giudicato, sancita dall'art. 112, comma 3, c.p.a.; deve trattarsi, come ovvio però, di ostacoli incontrovertibili (si pensi, per esempi vicini alla fattispecie in esame, alla soppressione dell'Ufficio cui aspira il ricorrente vincitore di un giudizio avente ad oggetto una procedura concorsuale; alla carenza di un requisito soggettivo previsto dalla normativa sopravvenuta che renderebbe impossibile lo svolgimento di determinate funzioni e così via).

32.8. Dalle considerazioni ora esposte discende l'accoglimento dell'appello e la riforma della sentenza impugnata; conseguentemente il Collegio:

a) fornisce al commissario ad acta i chiarimenti richiesti nei termini che precedono;

b) rigetta l'istanza della dottoressa M.

33. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

34. La determinazione finale delle spese e dei compensi riconoscibili al commissario ad acta nonché l'indicazione delle parti sulle quali farle gravare, saranno effettuate dal T.A.R. per il Lazio a conclusione del giudizio di ottemperanza ancora pendente presso il medesimo ufficio (n.r.g. 9592 del 2012).

35. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e - tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55 - sono liquidate in solido in favore del dottor C. come da dispositivo.

36. Resta a carico solidale delle parti soccombenti il contributo unificato versato dal dottor C. in relazione al presente giudizio di appello che dovrà essere a questi restituito.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata:

a) fornisce al commissario ad acta i chiarimenti richiesti nei sensi esposti in motivazione;

b) respinge l'istanza della dottoressa M.

Condanna Elisabetta M., il Ministero della giustizia e il Consiglio superiore della magistratura, in solido fra loro, a pagare in favore di Alberto C., le spese processuali del doppio grado di giudizio, che liquida nell'importo di complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge (15% a titolo di rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A.).

Dispone, a carico solidale delle parti soccombenti, la restituzione al dottor C. del contributo unificato versato in relazione al presente giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

A. Di Majo

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