Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 26 aprile 2016, n. 1614

Presidente: Balucani - Estensore: Deodato

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, annullava, in accoglimento del ricorso proposto dal Sig. Muhammad Umar Mushtaq, il decreto prot. n. 2012/105062, notificato il 24 febbraio 2015, con cui la Prefettura di Brescia aveva respinto la domanda di emersione dal lavoro irregolare, giudicandolo viziato dall'erronea considerazione dell'inidoneità della tessera sindacale rilasciata dall'associazione sindacale "SeiUGL" ad attestare, ai fini dell'applicazione dell'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 109 del 2012, la presenza dello straniero in Italia al 31 dicembre 2011.

Avverso la predetta decisione proponeva appello il Ministero dell'interno, contestando la correttezza della statuizione gravata, là dove si fonda sull'erronea qualificazione del suddetto sindacato come "organismo pubblico", ai fini della valida attestazione della presenza dello straniero sul territorio nazionale al 31 dicembre 2011 e, quindi, della sua regolarizzazione, e domandando la riforma della sentenza impugnata e la conseguente reiezione del ricorso di primo grado.

Resisteva l'originario ricorrente difendendo la correttezza della decisione impugnata dal Ministero dell'interno e chiedendone la conferma.

Con ordinanza in data 8 ottobre 2015 veniva sospesa l'esecutività della sentenza appellata.

Il ricorso veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 14 aprile 2016.

2. L'appello è fondato, alla stregua delle considerazioni di seguito esposte, e va accolto.

3. Come, infatti, correttamente sostenuto dall'Amministrazione appellante, all'associazione sindacale denominata "SeiUGL" non può essere riconosciuta la qualifica di "organismo pubblico", che, alla stregua del disposto dell'art. 5, comma 1, d.lgs. cit., legittima l'attestazione della presenza nel territorio dello Stato alla data del 31 dicembre 2011 dello straniero che intende ottenere l'emersione dal lavoro irregolare.

Là dove, infatti, esige che la presenza in Italia dello straniero alla data suddetta debba essere "attestata da documentazione proveniente da organismi pubblici", la suddetta disposizione ha evidentemente inteso evitare regolarizzazioni fraudolente ed affidare la prova di uno dei requisiti della procedura ad enti provvisti di potestà pubbliche e, quindi, certificative, di guisa da fondare l'emersione dal lavoro irregolare su una dimostrazione documentale affidabile e qualificata, quale quella proveniente da organismi pubblici.

Avuto, quindi, riguardo alla ratio della disposizione, deve intendersi preclusa ogni interpretazione della nozione di "organismo pubblico" che la estenda fino a ricomprendervi anche associazioni private (quale il sindacato in questione) che non svolgono alcuna funzione pubblicistica sulla base di convenzioni, contratti o accordi con una pubblica amministrazione.

Se, infatti, appare ammissibile una lettura della disposizione in esame che, in via eccezionalmente estensiva, ascriva entro il suo ambito applicativo anche soggetti privati incaricati, tuttavia, formalmente dell'espletamento di compiti pubblicistici di assistenza o di accoglienza di stranieri, che vale ad assegnare un'attendibilità qualificata alle attestazioni da esse rilasciate, non può, invece, reputarsi predicabile la classificazione come "organismo pubblico", ai fini che qui rilevano, di un ente privato che si occupa del sostegno dei lavoratori immigrati, ma non nello svolgimento di funzioni delegate da soggetti pubblici istituzionalmente preordinati a quel compito (che, sole, si ripete possono fondare l'equiparazione, per quanto qui rileva, di un ente privato a un organismo pubblico).

Solo in questa seconda ipotesi, infatti, può intendersi soddisfatta quell'esigenza di affidabilità della certificazione richiesta ai fini della regolarizzazione dello straniero, che è stata sopra individuata come la ratio della previsione, mentre nel primo caso l'interesse pubblico a una documentazione attendibile resterebbe irrimediabilmente vanificata, siccome affidata a soggetti del tutto estranei a qualsiasi controllo pubblicistico della loro attività.

4. Alle considerazioni che precedono conseguono l'accoglimento dell'appello del Ministero dell'interno e, in riforma della decisione appellata, la reiezione del ricorso di primo grado.

5. Sussistono, nondimeno, ragioni di equità per la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della decisione appellata, respinge il ricorso di primo grado. Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

A. Bartolini e al. (curr.)

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