Corte di cassazione
Sezione IV civile (lavoro)
Sentenza 29 aprile 2016, n. 8568

Presidente: Nobile - Estensore: Lorito

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza resa pubblica in data 11 novembre 2014, confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede con cui era stata accertata l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato il 5 gennaio 2012 dalla Toscana Energia Clienti s.p.a. (successivamente incorporata da Eni s.p.a.) nei confronti di R. Loredana, parzialmente riformando la statuizione emessa in ordine alle conseguenze risarcitorie del provvedimento espulsivo.

A fondamento del decisum la Corte territoriale osservava, in estrema sintesi, che oggetto della contestazione disciplinare, era stato il comportamento negligente per omissione assunto dalla lavoratrice in qualità di incaricata del controllo anche delle operazioni di tesoreria compiute dalla collega di lavoro F. Ilaria, e sfociate nella indebita appropriazione dell'importo di circa euro 150.000,00 nel solo dicembre 2009; che, tuttavia, non era stata fornita la prova da parte datoriale, del conferimento alla R. di poteri di controllo sulle operazioni contabili poste in essere dalla collega (consistiti nel versamento di assegni con contestuale prelievo in contanti); che irrilevante era da ritenersi la produzione documentale attinente al giudizio penale instaurato nei confronti della lavoratrice, di cui parte reclamante chiedeva l'acquisizione; che il fatto contestato era, pertanto, da ritenersi insussistente.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la Eni s.p.a. sostenuto da quattro motivi. Resiste con controricorso l'intimata.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In ordine logico, deve essere esaminata con priorità l'eccezione di intervenuto giudicato sollevata dalla parte intimata con la memoria illustrativa depositata ex art. 378 c.p.c.

L'eccezione è ammissibile. Il giudicato esterno è infatti rilevabile ex officio anche in sede di legittimità, potendo i documenti giustificativi ivi essere prodotti sino all'udienza di discussione, qualora si siano formati - così come nella specie - successivamente alla notifica del ricorso per cassazione (vedi ex aliis, Cass. 1° giugno 2015, n. 11365).

Essa va, tuttavia, disattesa.

Parte intimata ha infatti prodotto la sentenza emessa all'udienza del 1° ottobre 2015 dalla Corte d'appello di Firenze (avente ad oggetto la pretesa risarcitoria azionata da Eni s.p.a. nei confronti della R., per omesso controllo, quale coordinatrice del servizio Tesoreria, in relazione agli ingenti ammanchi di cassa verificatisi, nella misura di euro 3.939.000,00), non corredata dal relativo certificato di cancelleria, in violazione del principio affermato da questa Corte, e che va qui ribadito, secondo cui affinché il giudicato esterno possa fare stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria (vedi Cass. 19 settembre 2013, n. 21469).

L'incompletezza della documentazione prodotta, sotto il profilo testé esaminato, osta alla verifica della intervenuta cristallizzazione delle statuizioni ivi contenute e della rilevanza esterna del valore normativo della pronuncia indicata. E ciò a prescindere dall'assorbente considerazione che, alla stregua di quanto si evince dagli atti ritualmente acquisiti in giudizio di merito, che nella fattispecie in esame l'eccezione di giudicato non poteva configurarsi attesa la diversità di petitum e di causa petendi tra la fattispecie oggetto dell'azione risarcitoria proposta dall'Eni e quella in esame.

Con il primo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 l. 300/1970, 2119 c.c., 115 e 116 c.p.c. nonché dell'art. 1, comma 59, l. 92/2012 in relazione al comma 1, n. 3, art. 360 c.p.c.

Ci si duole che la Corte di merito abbia tralasciato di considerare le circostanze di fatto ritualmente allegate, acquisite nel procedimento penale e relative alle registrazioni contabili non corrette svolte dalla R., ancorché non avessero formato oggetto della contestazione disciplinare, atteso che all'epoca, il loro accertamento era ancora in corso.

La pregressa conoscenza da parte della R., dell'indebito utilizzo della cassa della tesoreria desumibile dalla documentazione descritta (attestata dai molteplici assegni a firma della predetta, rinvenute nella disponibilità della collega F.), consentiva di lumeggiare il comportamento osservato dalla dipendente, e di ritenere provato, anche mediante il ricorso a presunzioni, l'addebito di omesso coordinamento e controllo del servizio cassa in relazione alle molteplici sottrazioni avvenute nel mese di dicembre 2009.

Il motivo è fondato nei termini di seguito esposti.

Un ordinato iter motivazionale induce a tratteggiare le linee salienti della generale disciplina limitativa dei mezzi di prova in appello.

Con le sentenze gemelle delle Sezioni Unite nn. 8202-8203 del 2005, il pregresso indirizzo maggioritario sui "nova" secondo cui il divieto alla produzione di nuovi mezzi di prova in sede di gravame non riguardava le prove costituite come quelle documentali, è stato ribaltato, di guisa che, per quanto attiene al rito del lavoro, la loro acquisizione al processo è stata ritenuta ammissibile se giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al deposito del ricorso e della memoria difensiva. Tale rigoroso sistema di preclusioni trovava, peraltro, secondo la Corte di legittimità, un ulteriore contemperamento - ispirato alla esigenza della ricerca della "verità materiale", cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento - nei poteri d'ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell'art. 437, secondo comma, c.p.c., ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, nonostante il verificarsi di decadenze o preclusioni, perché la regola della irreversibilità dell'estinzione del diritto alla produzione subisce un'eccezione in considerazione della specifica natura dei diritti tutelati.

Sulla precipua nozione di indispensabilità del mezzo istruttorio e sul corretto governo delle prove in appello, è, dunque, modulato il motivo di ricorso con il quale la società - richiamando specificamente la sollecitazione all'esercizio dei poteri istruttori officiosi formulata in entrambi i gradi del giudizio di merito - ha denunziato la violazione dei dettami di cui all'art. 1, comma 59, l. 92/2012.

Si impone, quindi, l'esigenza di individuare - sia pure in via di estrema sintesi - gli elementi costitutivi di tale nozione.

È stato rilevato in dottrina, con condivisibile approccio, come la prova indispensabile sia un quid pluris rispetto alla prova meramente rilevante, dal momento che il relativo giudizio presuppone l'identificazione dei fatti principali e la determinazione del thema probandum, riguardando il tema della idoneità del mezzo probatorio a dare conferma, diretta o indiretta, dell'esistenza (o inesistenza in caso di prova contraria), di tali fatti.

Si è anche affermato, nei vari approdi dottrinari, che lo scrutinio in ordine alla indispensabilità dei mezzi di prova è funzionalizzato a verificare se dalla ipotizzata esistenza del fatto posto ad oggetto della prova, è possibile dedurre in modo necessario e sufficiente, l'esistenza del fatto posto ad oggetto della domanda; e si è anche aggiunto che il concetto di indispensabilità, più intenso di quello di rilevanza, va modulato alla stregua del parametro della decisività, sicché sono ammissibili in giudizio solo le prove che appaiono idonee da sole, a fondare una decisione, sia essa di conferma o di riforma (in tal senso si è anche pronunciata questa Corte, con riferimento al giudizio di rinvio, in ordinanza del giorno 11 febbraio 2015, n. 2729 alla cui stregua la produzione di nuovi documenti, in deroga al divieto ex art. 437 c.p.c., è possibile anche in caso di giudizio di rinvio qualora essi abbiano una speciale efficacia dimostrativa e siano ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione della causa, in quanto dotati di un grado di decisività e certezza tale che, da soli considerati, conducano ad un esito necessario della controversia).

Nel contesto di una apprezzabile varietà di orientamenti che ha animato il dibattito in sede dottrinaria e giurisprudenziale in ordine al significato da assegnare al termine scrutinato, questa Corte, muovendo dall'inquadramento delle disposizioni che a tale termine fanno riferimento (nello specifico art. 1, comma 59, l. 92 del 2012) nella categoria delle norme elastiche, al fine di tutelare ineludibili esigenze di certezza del diritto, ritiene condivisibile l'approccio interpretativo secondo cui il mezzo istruttorio è indispensabile quando appaia idoneo, per lo spessore contenutistico che lo connota, a sovvertire il verdetto di primo grado, nel senso di mutare il contenuto di uno o più giudizi di fatto sui quali si basa la pronuncia impugnata, fornendo un contributo decisivo all'accertamento della "verità materiale", in coerenza con i principi del giusto processo (art. 111, commi 1 e 2, Cost.).

Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, si impone l'evidenza dell'errore di fondo che connota l'impugnata sentenza, per avere i giudici del gravame, benché compulsati all'esercizio dei poteri officiosi loro conferiti dal disposto di cui al comma 59, art. 1, l. 92 del 2012, in ordine alla acquisizione di documentazione relativa al giudizio penale, respinto ogni istanza istruttoria sul rilievo della mera irrilevanza dei documenti di cui si chiedeva la produzione, senza spiegare in modo esaustivo le ragioni per le quali le circostanze in maniera specifica e dettagliata addotte dalla società in ordine alla decisività del materiale probatorio considerato, fossero prive del cennato requisito.

Né assume rilievo ai fini qui considerati, la circostanza, parimenti posta dalla Corte distrettuale a fondamento del decisum, della irrilevanza di ogni deduzione formulata da parte reclamante in relazione a fatti diversi da quelli enunciati in sede di contestazione disciplinare, e qualificati da una diversa connotazione psicologica (dolosa invece che colposa), data la ampiezza dei termini in cui sono state denunziate le mancanze ascritte alla dipendente, sussunte nella categoria di "gravi irregolarità" riscontrabili nell'esercizio - del tutto incontroverso fra le parti - delle funzioni di coordinatore di tesoreria, come nella medesima lettera di contestazione 15 novembre 2012 successivamente specificate.

Conclusivamente, deve ribadirsi che la ricorrente, in sede di gravame (a verbale dell'udienza 5 giugno 2013 come in dettaglio riportato nel presente ricorso), aveva esplicitamente sollecitato l'acquisizione della documentazione inerente al giudizio penale in corso, facendo valere specificamente la decisività attinente allo strumento probatorio, e che la Corte distrettuale è venuta meno al doveroso scrutinio della idoneità dei fatti provati in via documentale, ad eventualmente sovvertire il responso di primo grado, in relazione al materiale istruttorio già acquisito al processo.

In definitiva, alla luce delle superiori ragioni che assorbono logicamente ogni ulteriore censura (la seconda, attinente alla omessa considerazione delle funzioni ascritte alla R.; la terza riguardante la omessa pronuncia sulla domanda avanzata in via di subordine, di conversione del licenziamento da giusta causa in giustificato motivo soggettivo; la quarta concernente il governo delle spese), la impugnata sentenza va cassata e rinviata alla Corte di Appello di Bologna affinché, nel riesaminare la questione e disponendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione, applichi il seguente principio di diritto "il mezzo istruttorio è indispensabile quando appaia idoneo, per lo spessore contenutistico che lo connota, a sovvertire il verdetto di primo grado, nel senso di mutare il contenuto di uno o più giudizi di fatto sui quali si basa la pronuncia impugnata, fornendo un contributo decisivo all'accertamento della verità materiale, in coerenza con i principi del giusto processo".

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Bologna.