Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 8 giugno 2016, n. 2446

Presidente: Balucani - Estensore: Noccelli

FATTO E DIRITTO

1. Biotest Pharma GmbH (di qui in avanti, per brevità, Biotest), con sede in Dreieich (Germania), è un'azienda che si occupa della produzione di emoderivati in Europa e vanta in questo settore un'esperienza pluridecennale; è dotata di impianti in grado di effettuare tutte le fasi di frazionamento del plasma e di produzione di medicinali emoderivati, ivi compresi l'albumina, le immunoglobuline di terza generazione e i concentrati dei fattori della coagulazione.

1.1. Con il d.m. del 20 ottobre 2005, pubblicato in G.U. n. 18 del 10 gennaio 2016, è stato aggiornato l'elenco di cui ai decreti del 25 dicembre 2014 e del 12 febbraio 1993 dei centri di produzione di emoderivati autorizzati alla stipula di convenzioni con i centri regionali e tra di essi era stata inclusa, tra le altre imprese, anche l'odierna società appellata.

1.2. Il 23 luglio 2014 Biotest ha inviato al Ministero della Salute la propria istanza per l'inserimento tra le aziende produttrici di medicinali emoderivati ammesse alla stipula di convenzioni con le Regioni per la lavorazione del plasma.

1.3. Il Ministero della Salute, con la nota del 4 marzo 2013, ha trasmesso alla società la valutazione dell'Agenzia Italiana del Farmaco (di qui in avanti, per brevità, A.I.F.A.) affinché Biotest, con riferimento ai rispettivi punti segnalati nella medesima, potesse fornire gli elementi necessari al completamento dell'istanza, curandone direttamente la trasmissione all'A.I.F.A.

1.4. Il 25 aprile 2013 Biotest, secondo le indicazioni date dal Ministero, ha trasmesso direttamente all'A.I.F.A. e, per conoscenza, al Ministero quanto richiestole, precisando, con riferimento alla lavorazione e alla cessione del plasma nei Paesi dove hanno sede gli stabilimenti di frazionamento della stessa Biotest, che in detti Paesi «il plasma (ivi raccolto) è lavorato in un regime di libero mercato compatibile con l'ordinamento comunitario e raccolto sia presso centri pubblici aventi natura no-profit che presso centri privati aventi natura profit, dietro dazione di un rimborso a favore dei donatori corrispettivo delle spese di viaggio e del tempo dedicato alla donazione».

1.5. Il 14 aprile 2014 il Ministero della Salute ha trasmesso alla società interessata la propria determinazione, in questa sede impugnata, con la quale è stata rigettata la domanda volta ad ottenere l'inserimento tra i centri di produzione degli emoderivati autorizzati alla stipula delle convenzioni con le Regioni e le Province autonome per la lavorazione del plasma raccolto sul territorio nazionale ai sensi del d.m. 12 aprile 2012.

1.6. Tale provvedimento riteneva che non fosse stato rispettato, in particolare, «il requisito di cui alla lettera c) del d.m. citato, relativo al processo di frazionamento del plasma effettuato in stabilimenti ubicati in Paesi dell'Unione Europea in cui il plasma raccolto non sia oggetto di cessione a fini di lucro e sia lavorato in regime di libero mercato compatibile con l'ordinamento comunitario».

2. Avverso tale provvedimento Biotest ha proposto ricorso avanti al T.A.R. per il Lazio, lamentandone l'illegittimità per la affermata violazione dell'art. 15, comma 2, della l. n. 219 del 2005 e degli artt. 10, 36 e 49 della l. n. 96 del 2010 in combinato disposto degli artt. 101-102 e 168 TFUE, e ne ha chiesto l'annullamento.

2.1. Si è costituito il Ministero dell'Interno per resistere al ricorso, di cui ha chiesto la reiezione.

2.2. Con la sentenza n. 1370 del 21 gennaio 2015 il T.A.R. per il Lazio ha accolto il ricorso, annullando la determinazione adottata il 14 aprile 2014 dal Ministero della Salute.

2.3. Il giudice di primo grado, pur dando atto che il requisito individuato dal Ministero della Salute è diverso da quello della gratuità della donazione del sangue, ha osservato che «nella fattispecie in esame il suddetto Ministero non ha tenuto conto che la società ricorrente ha dimostrato la sussistenza di elementi tali da evitare i pericoli denunciati dalla gravata determinazione della cross contamination e delle differenti situazioni epidemiologiche» (p. 8 della sentenza impugnata).

2.4. Il T.A.R. capitolino, avendo ritenuto dimostrato da parte della società ricorrente il possesso del requisito attinente alle adeguate dimensioni industriali, ne ha tratto la conclusione che «i rischi prospettati che avevano giustificato l'adozione della gravata determinazione di rigetto non potevano ritenersi in concreto sussistenti», accogliendo, quindi, il secondo motivo di censura proposto da Biotest e annullando la determinazione (p. 9 della sentenza impugnata).

3. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Ministero della Salute, deducendo, con un unico ed articolato motivo, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., dell'art. 1, comma 3, del d.m. n. 61509 del 2012, recante attuazione dell'art. 15 della l. n. 219 del 2005, così come modificato dalla l. n. 96 del 2010, il travisamento dei fatti e l'erronea applicazione delle disposizioni regolanti la materia.

3.1. L'Amministrazione ha perciò chiesto la riforma, previa sospensione, della sentenza qui impugnata, con conseguente reiezione del ricorso proposto in primo grado da Biotest.

3.2. Si è costituita l'appellata Biotest, con memoria difensiva depositata il 24 aprile 2015, per chiedere la reiezione dell'appello.

3.3. Con ordinanza n. 1874 del 29 aprile 2015 il Collegio ha accolto l'istanza cautelare proposta dal Ministero appellante, sospendendo, ai sensi dell'art. 98 c.p.a., l'esecutività della sentenza impugnata.

3.4. Infine nella pubblica udienza del 5 maggio 2016 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

4. L'appello proposto dal Ministero della Salute è fondato e deve essere accolto.

4.1. Oggetto del presente giudizio, come si è accennato nella premessa in fatto, è la domanda di Biotest volta ad ottenere l'inserimento tra i centri di produzione degli emoderivati autorizzati alla stipula delle convenzioni con le Regioni e le Province autonome per la lavorazione del plasma raccolto sul territorio nazionale ai sensi del d.m. 12 aprile 2012.

4.2. Si controverte qui della corretta interpretazione ed applicazione dell'art. 40 della l. n. 96 del 2010 - legge comunitaria 2009 - che ha modificato l'art. 15, comma 2, della l. 21 ottobre 2005, n. 219, nel modo seguente:

4.3. «Ai fini della stipula delle convenzioni di cui al comma 1, i centri e le aziende di frazionamento e di produzione di emoderivati devono essere dotati di adeguate dimensioni, disporre di avanzata tecnologia e avere gli stabilimenti idonei ad effettuare il processo di frazionamento ubicati nei Paesi dell'Unione europea in cui il plasma raccolto non è oggetto di cessione a fini di lucro ed è lavorato in un regime di libero mercato compatibile con l'ordinamento comunitario. I suddetti centri ed aziende devono produrre i farmaci emoderivati oggetto delle convenzioni di cui al comma 1, dotati dell'autorizzazione all'immissione in commercio in Italia».

4.4. In applicazione dell'art. 15, comma 2, della l. n. 219 del 2005, siccome novellato dall'art. 40 della l. n. 96 del 2010, il Ministero della Salute ha emanato il d.m. del 12 aprile 2012, pubblicato nella G.U. 26 giugno 2012, n. 147, il cui art. 1, comma 3, prescrive che i centri e le aziende, sotto la responsabilità del loro legale rappresentante, alleghino all'istanza la documentazione attestante il possesso dei seguenti requisiti, ai sensi del comma 2 dell'art. 15 della l. n. 219 del 2005 e successive modificazioni ed integrazioni:

a) adeguate dimensioni industriali;

b) ciclo lavorativo ad avanzata tecnologia;

c) processo di frazionamento del plasma effettuato in stabilimenti ubicati in Paesi dell'Unione Europea in cui il plasma raccolto non sia oggetto di cessione ai fini di lucro e sia lavorato in regime di libero mercato compatibile con l'ordinamento comunitario;

d) autorizzazione all'immissione in commercio in Italia dei farmaci emoderivati;

e) idoneità degli stabilimenti alla lavorazione secondo le vigenti norme nazionali ed europee.

4.5. Il Ministero della Salute, con la determinazione qui contestata, ha respinto l'istanza di Biotest perché non risulterebbe rispettato il requisito di cui alla lett. c) (processo di frazionamento del plasma) appena richiamata.

4.6. Nel caso di specie, infatti, il legale rappresentante di Biotest ha dichiarato che in Germania il sangue è raccolto anche da enti profit.

4.7. In Germania, cioè, il plasma è raccolto anche presso centri profit, intendendosi per tali i centri che dalla donazione del sangue - sia essa volontaria o dietro dazione di un modico corrispettivo per le spese di viaggio e per il tempo dedicato alla donazione - ricavano un profitto, svolgendo, quindi, attività lucrativa.

5. Ora il primo giudice, pur riconoscendo che il requisito di cui alla lett. c) (processo di frazionamento del plasma) è diverso da quello di cui alla lett. a) (adeguate dimensioni industriali), ha ritenuto che il possesso di adeguate dimensioni industriali, da parte di Biotest, scongiuri i rischi di cross contamination e di altre situazioni epidemiologiche paventati dalla delibera impugnata e ne ha tratto, quindi, la conclusione che il diniego del Ministero della Salute sia ingiustificato.

5.1. È evidente l'erroneità di tale motivazione, che ha sovrapposto e assorbito il requisito di cui alla lett. a) con quello, ben diverso, di cui alla lett. c), la cui sussistenza e la cui portata, anche nel contesto del diritto europeo, il primo giudice avrebbe invece dovuto accertare.

5.2. La previsione secondo cui il processo di frazionamento del plasma effettuato in stabilimenti ubicati in Paesi dell'Unione Europea in cui il plasma raccolto non è oggetto di cessione ai fini di lucro ed è lavorato in regime di libero mercato compatibile con l'ordinamento comunitario, di cui all'art. 1, comma 3, lett. c), del d.m. del 12 aprile 2012, deve essere collocata e letta all'interno di un quadro normativo, nazionale ed europeo, particolarmente complesso e delicato.

5.3. Essa, come si è accennato, attua la disposizione dell'art. 15, comma 2, della l. n. 219 del 2005, sopra citata, che a sua volta, però, recepisce le indicazioni provenienti dalla Direttiva 2002/98/CE.

5.4. Fondamentale è, al riguardo, quanto prevede anzitutto l'art. 4 della citata Direttiva, che qui si riporta testualmente.

5.5. «1. Gli Stati membri designano l'autorità o le autorità responsabili per l'applicazione dei requisiti della presente direttiva.

2. La presente direttiva non impedisce ad alcuno Stato membro di mantenere in vigore o introdurre nel proprio territorio misure di protezione più rigorose purché siano conformi al trattato.

In particolare, uno Stato membro può introdurre requisiti per le donazioni volontarie e gratuite, che includono il divieto o la restrizione delle importazioni di sangue e suoi componenti, per assicurare un elevato livello di tutela della salute e per conseguire l'obiettivo di cui all'articolo 20, paragrafo 1, purché siano soddisfatte le condizioni del trattato.

3. Nell'esercitare le attività contemplate dalla presente direttiva, la Commissione può fare ricorso all'assistenza tecnica e/o amministrativa, a reciproco vantaggio della Commissione e dei beneficiari, in riferimento all'identificazione, preparazione, gestione, vigilanza, verifica e controllo, nonché in riferimento alle spese di sostegno».

5.6. L'art. 20, § 1, di tale Direttiva, a sua volta, così dispone:

«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per incoraggiare le donazioni volontarie e gratuite di sangue per assicurare che il sangue e i suoi componenti siano forniti, per quanto possibile, mediante tali donazioni».

6. Per comprendere il significato e il limite di tale normativa, a livello europeo, occorre considerare la sentenza Humanplasma della Corte di Giustizia UE, sez. I, 9 dicembre 2010, in c. 421-09.

6.1. In tale sentenza, al § 35, la Corte di Giustizia ha valorizzato il ventitreesimo "considerando" della Direttiva n. 2002/98/CE, secondo cui le donazioni di sangue volontarie e non remunerate costituiscono un fattore che può contribuire a garantire un elevato livello degli standard di sicurezza del sangue e dei componenti del sangue e, quindi, della tutela della sanità pubblica.

6.2. Ha aggiunto il giudice europeo che, nel valutare il rispetto del principio di proporzionalità in materia di sanità pubblica da parte della legislazione del singolo Stato membro, occorre tenere conto del fatto che «lo Stato membro può decidere il livello entro il quale intende garantire la tutela di tale bene collettivo e il modo in cui questo livello deve essere raggiunto» (§§ 32 e 29 della sentenza Humanplasma).

6.3. Il minimum di tale livello è quello garantito dall'art. 21 della Direttiva citata, poiché ancora di recente, nella sentenza Léger della sez. IV, 29 aprile 2015, in c. 528-13, la Corte di Giustizia UE ha ricordato, nel § 61, che, come risulta in particolare dall'art. 21 della Direttiva n. 2002/98/CE, «per garantire la qualità e la sicurezza del sangue e dei componenti del sangue, ciascuna donazione di sangue deve essere controllata in conformità dei requisiti enunciati nell'allegato IV di detta direttiva, fermo restando che tali requisiti sono destinati ad evolvere di pari passo con il progresso tecnico-scientifico».

6.4. Ora la Corte europea, nella citata pronuncia Humanplasma, ha ritenuto che l'art. 28 CE, letto in combinato disposto con l'art. 30 CE, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale - nel caso di specie quella austriaca - la quale preveda che l'importazione di sangue o di componenti del sangue provenienti da uno Stato membro - nel caso di specie proprio la Germania - sia lecita soltanto a condizione che, così come prescritto per i prodotti nazionali, le donazioni di sangue alla base di tali prodotti siano state effettuate non solo senza corresponsione di una remunerazione ai donatori, ma anche senza riconoscimento, a costoro, di un modesto rimborso delle spese da essi sostenute per effettuare le donazioni stesse.

6.5. La Corte di Giustizia, nel § 43 della sentenza, ha anche precisato che «considerato isolatamente, l'obbligo secondo cui la donazione di sangue deve essere effettuata senza dar luogo ad alcun rimborso delle spese sostenute dal donatore non è, comunque, necessario per garantire la qualità e la sicurezza del sangue e dei componenti del sangue», ammettendo, nel successivo § 44, che modesti segni di riconoscimento, consumazioni e rimborso delle spese di spostamento collegate alla donazione siano compatibili con la donazione volontaria e non remunerata, sicché tali elementi possono essere considerati come idonei a pregiudicare la qualità e la sicurezza di tali donazioni e la tutela della sanità pubblica.

6.6. Ma non è di questo, come correttamente rileva il Ministero appellante, che si controverte nel presente giudizio.

6.7. La delibera qui impugnata, infatti, ha inteso respingere l'istanza non già perché la legislazione tedesca ammette tali modesti segni di riconoscimento ai donatori - non contrastando tali segni, come ha rilevato la Corte di Giustizia, con il principio di gratuità - bensì per la decisiva ragione che in Germania il sangue viene commercializzato da enti profit e, dunque, ceduto anche a scopo di lucro.

6.8. La gratuità delle donazioni, dunque, è un problema ben differente dalla cessione a scopo di lucro del plasma.

7. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, quali si ricavano dall'esame della giurisprudenza della Corte di Giustizia, il divieto di commercializzazione del sangue, stabilito dalla l. n. 219 del 2005 e dal d.m. del 12 aprile 2012, attuativo della stessa, non contrasta con il diritto europeo nella misura in cui esso tende ad evitare che la commercializzazione del sangue in un sistema misto come quello tedesco, con la conseguente cessione dello stesso a fini di lucro da parte dei centri di raccolta, possa costituire un maggiore rischio per la salute pubblica.

7.1. Il divieto di cessione a fini di lucro del sangue e dei suoi componenti, stabilito dalla legge italiana, risponde anzi pienamente alla previsione dell'art. 4, n. 2, della Direttiva 2002/98/CE, secondo cui «uno Stato membro può introdurre requisiti per le donazioni volontarie e gratuite, che includono il divieto o la restrizione delle importazioni di sangue e suoi componenti, per assicurare un elevato livello di tutela della salute e per conseguire l'obiettivo di cui all'articolo 20, paragrafo 1, purché siano soddisfatte le condizioni del trattato», e a quella dell'art. 20 della stessa Direttiva, secondo cui «gli Stati membri adottano le misure necessarie per incoraggiare le donazioni volontarie e gratuite di sangue per assicurare che il sangue e i suoi componenti siano forniti, per quanto possibile, mediante tali donazioni».

7.2. Non possono condividersi, pertanto, le pur pregevoli considerazioni svolte dalla società appellata, da ultimo nella memoria difensiva depositata il 18 dicembre 2015 (p. 16), secondo cui non è la mera gratuità del sangue a garantire, di per sé, la sicurezza del plasma raccolto, ma le modalità di raccolta, la certificazione dei centri trasfusionali.

7.3. Se tale rilievo è in astratto condivisibile, infatti, non per questo esso può sostituire o, addirittura, cancellare il principio di gratuità, poiché la gratuità dell'intero processo di raccolta, con la maggiore capillarità e selettività dei controlli che esso comporta, è una ulteriore garanzia della sicurezza, incrementando il livello di tutela della salute pubblica, obiettivo che l'art. 20 della Direttiva appena ricordato espressamente raccomanda ed incentiva.

7.4. La scelta operata in Germania, deduce l'appellata (pp. 15-16 della citata memoria), dipenderebbe dal fatto che la raccolta non remunerata non garantisce l'autosufficienza del Paese e quindi, pur auspicando e sostenendo la gratuità delle donazioni e della raccolta del plasma, essa ha ritenuto di affidare la raccolta anche a centri privati di specchiata rispondenza alla normativa europea.

7.5. I donatori vengono quindi controllati sia da centri profit che no profit e non vi sarebbe, secondo Biotest, un maggior rischio nell'un caso anziché nell'altro, tanto più che le condizioni epidemiologiche della Germania sono, addirittura, migliori che in Italia.

7.6. Il plasma tedesco e gli emoderivati, aggiunge anzi l'appellata, sono garantiti addirittura dalla certificazione PMF (Plasma Master File) che, invece, non assiste il plasma nazionale, paradossalmente meno sicuro di quello tedesco.

7.7. L'argomento, pur suggestivo, non è tuttavia persuasivo, poiché, se non è qui in discussione la scelta del legislatore tedesco di configurare un sistema misto pubblico-privato nella raccolta del sangue, nemmeno per altro verso può ritenersi che, in rapporto a tale sistema, quello italiano, rigorosamente ed esclusivamente pubblico, sia ingiustificatamente discriminatorio e restrittivo della concorrenza.

7.8. Come ha chiarito la stessa Corte di Giustizia nella più volte citata sentenza Humanplasma, e, in particolare, nel § 40, infatti, «il semplice fatto che uno Stato membro imponga norme meno rigorose di quelle applicabili in un altro Stato membro non significa che queste ultime siano incompatibili con gli artt. 28 CE e 30 CE».

7.9. Ora nel caso di specie, se è pur vero che la normativa dell'Unione europea per la produzione degli emoderivati è valida in tutti i Paesi europei e che gli stabilimenti collocati sul territorio europeo devono conseguentemente risultare idonei, in quanto soggetti ai medesimi standard sulla base dei controlli delle rispettive autorità nazionali e dalle stesse autorizzati, è pur vero che con il requisito posto dall'art. 15, comma 2, della l. n. 219 del 2005 e recepito nella fonte secondaria, il d.m. del 12 aprile del 1012, il legislatore nazionale ha voluto porre l'accento su un aspetto peculiare a maggiore garanzia della qualità e della sicurezza nella lavorazione del plasma nazionale per la produzione di emoderivati da destinare al Servizio Sanitario Nazionale, a tutela della salute pubblica.

7.10. La ratio della disposizione primaria, laddove prevede il requisito che gli stabilimenti di frazionamento del plasma siano ubicati in Paesi europei «in cui il plasma raccolto non sia oggetto di cessione a fini di lucro», è da ricercare, in particolare, nella necessità di garantire che siano minimizzati i rischi di cross contamination per il plasma italiano proveniente da donazione volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita del sangue e dei suoi componenti, principio fondante dell'intero sistema trasfusionale, in Italia, voluto dalla l. n. 219 del 2005.

7.11. Non a caso, infatti, l'art. 4 della l. n. 219 del 2005 pone un principio di ordine pubblico, alla stregua del quale «il sangue umano non è fonte di profitto», che deve essere ritenuto valido non solo per la gratuità delle donazioni, ma anche per il frazionamento del plasma e, cioè, nell'intero processo di lavorazione degli emoderivati, a tutela della salute pubblica.

7.12. Gli impianti ubicati in Paesi con differenti situazioni epidemiologiche, dove viene lavorato il plasma oggetto di cessione ai fini di lucro e, quindi, raccolto da donazioni anche occasionali, potrebbe esporre ad un aumentato rischio di contaminazione il plasma italiano proveniente, per l'80%, da donatori periodici, accuratamente selezionati e sottoposti a sistematici controlli, che donano gratuitamente e responsabilmente per fini solidaristici, attraverso la preziosa attività svolta da Associazioni e Federazioni di donatori volontari di sangue.

7.13. L'esistenza di controlli, in Germania, addirittura più accurati di quelli eseguiti in Italia, quand'anche sia circostanza vera, non incrina la necessità di perseguire e garantire una maggiore sicurezza nella raccolta del sangue, da parte del legislatore nazionale, attraverso il sistema totalmente gratuito di donazione e lavorazione del sangue.

8. Ne segue, pertanto, che l'esclusione di Biotest, in mancanza del requisito previsto dall'art. 1, comma 3, lett. c), del d.m. 12 aprile 2012, è pienamente legittima e conforme alle previsioni del diritto nazionale ed europeo.

9. La sentenza impugnata, quindi, deve essere integralmente riformata, con conseguente reiezione del ricorso proposto in primo grado da Biotest.

10. Le spese del doppio grado di giudizio, considerata la novità della questione, possono essere interamente compensate tra le parti.

11. Rimane definitivamente a carico dell'odierna appellata il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in primo grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto dal Ministero della Salute, lo accoglie e per l'effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado da Biotest Pharma GmbH.

Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Pone definitivamente a carico di Biotest Pharma GmbH il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso di primo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.