Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 8 aprile 2016, n. 24819

Presidente: Fiale - Estensore: Mengoni

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanze del 4 novembre 2014 e 15 novembre 2014, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze rigettava le istanze proposte da Fabrizio D.S. volte ad ottenere la revoca dell'obbligo di presentazione presso i Carabinieri disposto con provvedimento del Questore - convalidato dallo stesso G.i.p. - ai sensi dell'art. 6, l. 13 dicembre 1989, n. 401; rilevava il Tribunale che, nell'ambito della procedura di cui alla norma citata, l'intervento del Giudice è limitato alla fase della convalida di cui al comma 3 - come peraltro confermato dalla lettera dei commi 2 ed 8-bis della medesima previsione, nonché dalla giurisprudenza di questa Corte - sicché la revoca della misura può esser richiesta soltanto all'autorità amministrativa.

2. Propone ricorso per cassazione il D.S., a mezzo del proprio difensore, deducendo la violazione dell'art. 6, comma 5, e, in subordine, invocando la questione di costituzionalità. Premesso che l'obbligo di presentazione di cui all'art. 6, comma 2, l. n. 401 del 1989 costituisce pacificamente una misura di prevenzione, non dovrebbe esser negato all'interessato il diritto di rivolgersi all'autorità giudiziaria per ottenerne la revoca in fase di esecuzione; quel che è previsto, invece, con riguardo a tutte le altre misure della stessa natura, comprese quelle disposte nei confronti di indiziati di appartenere a consorterie mafiose. D'altronde, qualora si ritenesse che il potere di revoca dell'obbligo spetti al solo Questore, l'interessato sarebbe costretto a rivolgersi al magistrato amministrativo ogniqualvolta questi non risponda alla relativa istanza, dovendo così sostenere elevate spese; e comunque, anche a fronte di un provvedimento, lo stesso non avrebbe diritto a sottoporlo ad un controllo giurisdizionale così restando "ostaggio" dell'autorità di Polizia anche per anni, fino ad un massimo di 8. Ne deriverebbe che l'art. 6, comma 5 - che prevede revoca e modifica dell'obbligo - dovrebbe esser interpretato nel senso di assegnare al solo Giudice detto potere, non già al Questore; pena la palese violazione di numerosi precetti costituzionali (artt. 3, 13, 24, 25, 102), in ordine ai quali, in subordine, si invoca la proposizione della relativa questione di legittimità.

3. Con requisitoria scritta del 6 luglio 2015, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, trattandosi di provvedimento avverso il quale non è previsto il ricorso per Cassazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è fondato.

L'art. 6, comma 5, l. n. 401 del 1989 stabilisce che il divieto di cui al comma 1 (avente ad oggetto l'accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive, nonché altri luoghi "sensibili") e l'ulteriore prescrizione di cui al comma 2 (obbligo di comparire personalmente nell'ufficio di polizia competente), disposti nei confronti delle persone denunciate o condannate ai sensi del comma 1, non possono avere durata inferiore a un anno e superiore a cinque anni e sono revocati o modificati qualora, anche per effetto di provvedimenti dell'autorità giudiziaria, siano venute meno o siano mutate le condizioni che ne hanno giustificato l'emissione; orbene, per quanto la norma non specifichi quale autorità sia competente a provvedere in tema di revoca o modifica, ritiene il Collegio che la stessa debba esser individuata nell'autorità giudiziaria, allorquando il provvedimento del Questore - oltre al divieto di accesso - abbia ad oggetto l'obbligo di presentazione come nel caso di specie.

5. A tale conclusione si perviene in ragione della natura dell'obbligo medesimo - quale misura di prevenzione che incide sulla libertà personale - per come costantemente affermata dalla giurisprudenza di legittimità (tra le ultime, Sez. 3, n. 31387 del 22 aprile 2015, Baraldi, Rv. 264244; Sez. 3, n. 23958 del 4 marzo 2014, Valeri, Rv. 259659), nonché da quella costituzionale.

Con particolare riferimento a quest'ultimo profilo, la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 193 del 30 maggio 1996, ha affermato che «il provvedimento che impone l'obbligo a comparire negli uffici di polizia viene a configurarsi come atto idoneo ad incidere sulla libertà personale del soggetto tenuto a comparire, imponendone la presenza negli uffici addetti al controllo dell'osservanza della misura e comportando, altresì, una restrizione della sua libertà di movimento durante una fascia oraria determinata. Questo carattere della misura, evidenziato, del resto, già in sede parlamentare, con il richiamo all'art. 13 della Costituzione, spiega perché essa sia stata circondata da particolari garanzie, che si completano nel previsto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza di convalida del giudice per le indagini preliminari». Del pari, con la sentenza n. 144 del 19 maggio 1997, la Corte costituzionale ha ribadito «l'esigenza che l'adozione della stessa (la misura in esame) sia circondata, sul piano processuale, da quelle garanzie che la giurisprudenza ha da tempo indicato quando, pur ammettendo che provvedimenti provvisori possano essere adottati dall'autorità di pubblica sicurezza in situazioni caratterizzate da necessità ed urgenza, ha stabilito che gli stessi, qualora si risolvano in misure limitative della libertà personale, debbano essere sottoposti al vaglio dell'autorità giudiziaria (sentenze nn. 27 del 1959 e 74 del 1968). Quanto sopra al fine di garantire un controllo sul provvedimento da parte del giudice, in conformità di quanto disposto dall'art. 13 della Costituzione, nonché per assicurare, in detta occasione, la garanzia del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione». Da ultimo, con la sentenza n. 512 del 20 novembre 2002, la Corte costituzionale ha ribadito che «una linea giurisprudenziale pacificamente acquisita anche dalla giurisprudenza ordinaria è nel senso che il provvedimento di cui si sta discutendo - a differenza del divieto di accesso alle competizioni sportive - configura "un atto idoneo ad incidere sulla libertà personale del soggetto tenuto a comparire, imponendone la presenza negli uffici addetti al controllo dell'osservanza della misura" (con richiamo alla citata sent. n. 193 del 1996). Dunque, ancorché prefiguri una compressione di "portata e conseguenze molto più limitate sulla libertà personale del destinatario" rispetto a misure quali l'arresto o il fermo di polizia giudiziaria (sentenza n. 144 del 1997), il provvedimento del questore rientra pur sempre ed a pieno titolo nelle previsioni dell'art. 13 della Costituzione. Da tale qualificazione discendono alcuni corollari. In primo luogo, la necessità di una adeguata motivazione del provvedimento da parte del questore, il quale, come questa Corte ha ribadito nella già richiamata sentenza n. 193 del 1996, è sempre tenuto a documentare e valutare accuratamente le "circostanze oggettive e soggettive" che lo inducono a ritenere necessario, oltre il divieto di accesso, anche l'obbligo di presentazione al posto di polizia. In secondo luogo, la natura di atto suscettibile di incidere sulla libertà personale impone che il giudizio di convalida effettuato dal giudice per le indagini preliminari non possa limitarsi ad un mero controllo formale, bensì, come la giurisprudenza ordinaria ha precisato, debba essere svolto in modo pieno».

Una disciplina, quindi, compatibile con l'assetto costituzionale, poiché tale da garantire una tutela sostanziale - anche di natura giurisdizionale, con il pieno esercizio del diritto di difesa - a fronte di una misura che incide sulla libertà personale, sia pur nei limitati termini di cui all'art. 6, comma 2; termini ribaditi ancora dalla stessa Corte costituzionale con la sent. n. 136 del 20 aprile 1998, con la quale si è precisato che «le misure di cui all'art. 6 della legge n. 401 del 1989, non preordinate di per sé alla repressione e sanzione di fattispecie criminose, hanno una incidenza sulla libertà personale (...) limitata, assumendo il carattere di rimedio di livello minimale adeguato allo scopo di prevenzione cui è deputato».

6. Orbene, ritiene il Collegio che tale prospettiva ermeneutica - affermata dalla Corte costituzionale con riferimento alla fase della convalida - debba riflettere i propri effetti sulla successiva (ed eventuale) fase della modifica o della revoca dell'obbligo di presentazione, quando sollecitate dall'interessato, imponendo anche al riguardo l'intervento del Giudice per le indagini preliminari; opinare diversamente, e quindi limitare tale garanzia al solo momento genetico della misura, risulterebbe infatti non solo contrario alla disciplina ed alla ratio della stessa, ma anche foriero di seri dubbi di costituzionalità - quantomeno nell'ottica dell'art. 3 Cost. - con riguardo a coloro che sono sottoposti alle misure di prevenzione "tipiche" di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, quand'esse parimenti incidenti sulla libertà del soggetto.

7. Con riguardo al primo profilo, rileva questa Corte che proprio il costante richiamo alla natura di misura di prevenzione dell'obbligo in esame, così come alla diretta incidenza dello stesso sullo status libertatis, anche per molti anni, giustifica ex se la necessità che il Giudice - non l'autorità amministrativa - possa esser chiamato a pronunciarsi sulla permanenza di quei requisiti che hanno fondato l'obbligo medesimo, così come sulle modalità esecutive dello stesso che abbiano una concreta ed effettiva incidenza sul rispetto della misura e, pertanto, sulla limitazione della libertà (ad esempio, in ordine al numero di volte in cui il soggetto deve presentarsi in occasione di ogni incontro sportivo). D'altronde, ammettere - come pacifico - che il G.i.p., in sede di convalida, possa ridurre o modificare la portata e la durata dell'obbligo di presentazione individuato nel provvedimento genetico, e poi però sostenere che lo stesso Giudice non possa più esser sollecitato per la verifica della sussistenza di quei presupposti che avevano giustificato l'ordinanza medesima, apparirebbe irrazionale; ciò, in particolare, con riguardo al decorso del tempo, magari di anni, che può influire non poco sull'esistenza e sulla valutazione delle medesime esigenze preventive e, soprattutto, del giudizio di pericolosità individuale che parimenti fonda la misura, pacificamente richiesto sempre come concreto ed attuale (Sez. un., n. 44273 del 27 ottobre 2004, Rv. 229110; di seguito, tra le altre, Sez. 3, n. 20789 del 15 aprile 2010, Beani, Rv. 247186).

Una verifica, quindi, che soltanto il Giudice deve essere chiamato a compiere, in fase genetica quale controllo sul provvedimento amministrativo, successivamente quale risposta all'istanza in tal senso formulata dall'interessato, alla luce delle deduzioni proposte.

8. Una soluzione diversa - come si accennava - evidenzierebbe poi un serio contrasto con l'art. 3 Cost., specie con riguardo ai destinatari delle misure di prevenzione "tradizionali" ex d.lgs. n. 159 del 2011; ed invero, come l'art. 7 di tale decreto stabilisce che sono disposte dal Tribunale quelle misure che incidono sulla libertà personale (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, obbligo di soggiorno nel comune di residenza), così il successivo art. 11 prevede che le stesse sono revocate o modificate proprio dallo stesso Ufficio «quando sia cessata o mutata la causa» che le ha determinate. Per identità di ratio, ed in assenza di elementi significativi che autorizzino una difforme procedura, pertanto immotivata, occorre dunque garantire anche ai destinatari della misura di prevenzione "atipica" dell'obbligo di presentazione di cui all'art. 6, l. n. 401 del 1989 il ricorso al Giudice per richiedere la revoca o la modifica della stessa. Ancora più qualora si consideri che, se le misure di prevenzione applicate dall'autorità giudiziaria ex d.lgs. n. 159 del 2011 possono aver una durata non superiore a cinque anni (art. 8), l'obbligo di presentazione di cui all'art. 6 in esame può giungere fino ad otto anni - e comunque non può essere inferiore a cinque anni - nei confronti di persona già destinataria del divieto, giusta comma 5 della norma in esame.

Quel che giustifica quantomeno una tutela equiparata.

9. Deve esser superato, quindi, il diverso orientamento pur espresso da questa Corte (Sez. 3, n. 15261 del 12 marzo 2009, D'Angelo, Rv. 243261; Sez. 3, n. 38851 del 5 luglio 2013, non massimata Sez. 3, n. 26641 del 22 maggio 2013, Pironti, non massimata) - sostenuto in ragione di una natura eminentemente amministrativa della misura, e quindi dell'intera procedura, con intervento giurisdizionale incidentale e nella sola fase genetica, che non pare però conciliarsi con la lettura operatane dalla Corte costituzionale, con la natura da questa riconosciuta all'obbligo di presentazione e, pertanto, con le garanzie - anche in punto di tutela giurisdizionale - che alla stessa debbono conseguire. Né, peraltro, può esser valorizzato in senso contrario il comma 8 dell'art. 6 in esame (come da Sez. 3, n. 14340 del 31 gennaio 2012, Rocco, non massimata), a mente del quale "nei casi di cui ai commi 2, 6 e 7, il Questore può autorizzare l'interessato, per gravi e comprovate esigenze, a comunicare per iscritto allo stesso ufficio o comando di cui al comma 2 il luogo di privata dimora o altro diverso luogo, nel quale lo stesso interessato sia reperibile durante lo svolgimento di specifiche manifestazioni agonistiche"; trattasi, all'evidenza, di un provvedimento che incide sulla mera modalità esecutiva dell'obbligo, senza interessarne i presupposti o la portata limitativa della libertà personale, sì da non poter esser assimilato al caso, del tutto diverso, in cui proprio questi siano fatti oggetto di una richiesta da parte dell'interessato, volta a verificarne la perdurante sussistenza.

10. Devesi quindi affermare il principio di diritto per cui, nel caso di provvedimento impositivo dell'obbligo di presentazione di cui all'art. 6, comma 2, l. n. 401 del 1989, unitamente al divieto di accesso di cui al comma 1, sulla richiesta di revoca o di modifica provvede il Giudice per le indagini preliminari già investito della convalida del provvedimento medesimo.

Ne consegue che l'ordinanza del Tribunale di Firenze deve essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti allo stesso Ufficio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al G.i.p. del Tribunale di Firenze.

Depositata il 15 giugno 2016.

P. Dubolino, F. Costa

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