Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 16 giugno 2016, n. 163

Presidente: Zucchelli - Estensore: Gaviano

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso notificato il 18 aprile 2013 e ritualmente depositato l'avv. Salvatore Zappalà impugnava dinanzi al T.A.R. per la Sicilia la nota n. 16538/110 del 29 marzo 2013 del Segretario generale della Presidenza della Regione siciliana, con la quale veniva riferito che il Presidente della stessa Regione aveva comunicato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - con atto del precedente giorno 26 - il ritiro della designazione del medesimo avv. Zappalà quale componente laico della Sezione consultiva del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione.

Si costituivano in giudizio in resistenza al ricorso la Presidenza della Regione siciliana, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Presidenza della Repubblica, con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato.

Il Tribunale adìto respingeva la domanda cautelare di parte ricorrente. In sede di appello questo Consiglio, tuttavia, con ordinanza n. 596/2013 l'accoglieva, osservando - tra l'altro - che "dopo la comunicazione impugnata in primo grado la Regione non preannuncia l'adozione di un provvedimento formale di revoca della designazione".

A seguito di tale pronuncia il Presidente della Regione emanava indi il decreto n. 194 del 4 luglio 2013 con il quale, alla luce dell'ordinanza cautelare n. 596, considerata "l'esigenza di certezza, economicità e stabilità dell'azione amministrativa, ed in adesione a quanto riportato dal C.G.A. nella citata ordinanza", adottava "il presente provvedimento di ritiro, già espresso con atto presidenziale n. 15952 del 26 marzo 2013 (...)".

Con atto di motivi aggiunti l'impugnativa di parte veniva pertanto estesa al decreto presidenziale n. 194/2013 con la formulazione di una nuova domanda cautelare, che trovava accoglimento da parte del Tribunale mediante ordinanza n. 731/2013.

2. All'esito del giudizio di primo grado lo stesso T.A.R. con la sentenza n. 851/2014 accoglieva il ricorso dell'avv. Zappalà, reputato fondato, e annullava i provvedimenti impugnati.

A fondamento della decisione venivano svolte, in particolare, le considerazioni di seguito riportate.

"Le disposizioni regolanti l'esercizio del potere di nomina dei componenti laici del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana escludono del tutto una possibile incidenza di profili connessi alla persona del designante, o alla maggioranza politica di cui lo stesso sia espressione.

Trattandosi di nomina ad una funzione giustiziale, le disposizioni richiamate hanno riguardo unicamente a profili di idoneità tecnico-professionale, nonché a requisiti di terzietà, indipendenza ed autonomia regolati da altre disposizioni del medesimo articolato normativo.

(...) Ne consegue che la compatibilità costituzionale della figura prevista dall'autonomia speciale è subordinata al rigoroso rispetto del ridetto principio di terzietà, indipendenza ed autonomia (...).

Un potere di nomina funzionale non all'interesse pubblico ad un corretto esercizio della funzione giustiziale, ma al legame personale o politico fra l'amministrazione regionale designante ed il designato, smentirebbe in radice tale posizione di terzietà (effettiva ed apparente).

Ne consegue che un'interpretazione adeguatrice delle richiamate disposizioni, regolanti i poteri di designazione e di nomina, esclude che la cessazione del designante dalla carica legittimi il suo successore a revocare, per ciò solo, la designazione del componente dell'organo territoriale di giustizia amministrativa.

Fra le sopravvenute ragioni di fatto che consentono una legittima rivisitazione dell'interesse pubblico, non può dunque annoverarsi il cambio di maggioranza politica, o comunque il mutamento della persona fisica insediata nell'organo, considerato che - come detto - la natura della funzione oggetto del potere di designazione, dovendo accreditarsi come effettivamente terza ed imparziale, è strutturalmente e funzionalmente incompatibile con un legame fra il designante e il designato condizionato dalle sorti politico-amministrative del primo".

3. Avverso tale sentenza seguiva la proposizione del presente appello da parte della Presidenza della Regione siciliana, che sottoponeva a critica gli argomenti a base della decisione del T.A.R. domandandone la riforma.

L'originario ricorrente si costituiva in giudizio in resistenza all'appello deducendone l'inammissibilità e soprattutto l'infondatezza.

Con ordinanza di questo Consiglio del 9-11 luglio 2014 la domanda cautelare proposta dalla Presidenza della Regione veniva respinta, osservandosi che l'appello non offriva, almeno a una sommaria delibazione, "convincenti argomenti per discostarsi dalle motivazioni che sorreggono la sentenza impugnata", e che si ravvisava "l'incongruenza della motivazione sulla quale poggia l'atto di ritiro gravato".

Da ultimo la parte appellata documentava, infine, l'intervenuto rilascio da parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, in data 15 gennaio 2016, di un parere favorevole alla nomina dell'avv. Zappalà quale componente laico del C.G.A.R.S.

Alla pubblica udienza del 5 maggio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. L'appello è infondato.

5a. L'Amministrazione appellante allega con il suo primo motivo la mancanza di necessità, nel caso concreto, di una specifica motivazione del ripensamento da parte dell'Autorità amministrativa. Questo sulla base di due ragioni.

In primo luogo, in quanto la scelta dei candidati idonei alla copertura della carica per cui è causa rientrerebbe tra le attività caratterizzate da un alto grado di discrezionalità dell'organo politico, e la relativa designazione presidenziale regionale rivestirebbe, ferma restando la necessità del possesso dei requisiti di legge, un carattere fiduciario.

In secondo luogo, per la ragione che il decreto impugnato non costituiva una revoca ma solo un atto di mero ritiro, avente a oggetto un provvedimento allo stato inefficace, dal momento che il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa nella seduta del 19 luglio 2012 aveva reso parere di non idoneità dell'interessato a ricoprire l'incarico.

Per quanto esposto, il decreto non sarebbe stato soggetto ai principi dell'autotutela e ai conseguenti obblighi di motivazione.

5b. Il motivo è infondato.

Anche ammesso, invero, di voler ipoteticamente accedere, solo per un attimo, alle premesse qualificatorie sulle quali la doglianza in esame è impostata, e pertanto al presupposto della non necessità di una motivazione del ritiro della designazione dell'interessato, non per questo verrebbe meno la possibilità, e doverosità, del sindacato giurisdizionale sulla motivazione che l'Amministrazione ha comunque in concreto addotto per giustificare il proprio nuovo intervento. È rimasto invero indiscusso il tradizionale principio giurisprudenziale della sindacabilità della motivazione addotta dall'Amministrazione anche nelle ipotesi in cui la stessa, prima della generalizzazione del relativo obbligo operata con l'art. 3 della l. n. 241/1990, fosse eventualmente solo facoltativa.

6a. Con il secondo mezzo dell'appello viene dedotto che il decreto del 4 luglio 2013 sarebbe stato, in ogni caso, adeguatamente motivato.

Questo in virtù del suo richiamarsi, per un verso, alla "esigenza di certezza, economicità e stabilità dell'azione amministrativa, ed in adesione a quanto riportato dal C.G.A. nella citata ordinanza"; per altro verso - e soprattutto - al "mutamento della situazione di fatto che ha determinato una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario" (mutamento che sarebbe stato determinato, in tesi, dalla valutazione negativa espressa dal Consiglio di Presidenza il 19 luglio 2012 circa il possesso da parte dell'appellato dei requisiti necessari).

La motivazione di un provvedimento, si osserva, dovrebbe essere difatti ricostruita, anche al di là del tenore testuale dell'atto, alla luce dei documenti dell'istruttoria e del contesto complessivo del relativo procedimento.

6b. Rileva il Collegio che l'esame di questo mezzo presuppone che sia identificata l'effettiva motivazione posta a base dei provvedimenti regionali impugnati.

A questo riguardo occorre ricordare le valutazioni espresse in proposito dal primo Giudice.

Il Tribunale ha osservato che "... la motivazione degli atti di ritiro impugnati nel presente giudizio prescinde del tutto dall'elemento della idoneità dell'avv. Zappalà, riguardando il diverso ed autonomo profilo del c.d. spoil system.

La nota impugnata con il ricorso introduttivo è infatti motivata unicamente con la seguente espressione "attesa la natura fiduciaria dell'atto di designazione e stante la cessazione del mandato del soggetto designante".

Il decreto impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, come ricordato, altro non è che una formalizzazione dell'atto di ritiro da ultimo citato, a seguito della richiamata ordinanza del C.G.A. n. 596/2013 che, in sede di appello cautelare, aveva stigmatizzato la circostanza della mancata "adozione di un provvedimento formale di revoca della designazione".

Il decreto infatti, citando il precedente atto di ritiro, e precisando che lo stesso "risulta emanato in relazione alla situazione di fatto che ha determinato una nuova valutazione dell'interesse pubblico", espressamente dichiara di volersi uniformare all'obbligo conformativo portato dal ridetto giudicato cautelare.

In nessun punto dei due provvedimenti (quello impugnato con il ricorso introduttivo, e quello impugnato con il ricorso per motivi aggiunti), si menziona il profilo della idoneità, ed il connesso parere del Consiglio di Presidenza.

Sicché la tesi di una connessione motivatoria fra le due vicende è smentita per tabulas: la Presidenza della Regione Siciliana, a seguito del parere negativo del Consiglio di Presidenza sulla designazione, avrebbe potuto in tesi ritirare la designazione medesima per ragioni legate alla sua legittimità in relazione all'elemento della idoneità del designato, ma ha ritenuto di non farlo: preferendo invece intervenire espressamente su di un profilo ancor più preliminare, vale a dire sulla non più perdurante opportunità della designazione a seguito del mutamento della persona del designante".

6c. Orbene, il Collegio è dell'avviso che l'impostazione del primo Giudice possa essere sostanzialmente confermata, non essendo stati forniti elementi suscettibili di inficiarla.

Come ha posto in evidenza il T.A.R., effettivamente l'impugnata nota del 29 marzo 2013 menzionava quale unica ragione giustificativa del ritiro della designazione dell'interessato quella della "natura fiduciaria dell'atto di designazione" e della "cessazione del mandato del soggetto designante".

Quanto al successivo decreto presidenziale del 4 luglio 2013, recante una formalizzazione dell'atto di ritiro precedente ("... è adottato il presente provvedimento di ritiro, già espresso con atto presidenziale prot. n. 15952 del 26 marzo 2013..."), va subito rimarcato che esso non ha ripudiato la motivazione in precedenza esposta, bensì si è limitato ad affiancare a essa un riferimento a un non meglio precisato "mutamento della situazione di fatto che ha determinato una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario".

Non è superfluo aggiungere, inoltre, che questo nuovo e criptico richiamo non è stato presentato alla stregua della motivazione di una nuova volizione amministrativa, dichiaratamente correttiva o almeno integrativa della precedente, ma solo come un atto meramente ricognitivo che voleva riferirsi al provvedimento del 26 marzo del 2013 ("CONSIDERATO che l'atto amministrativo di ritiro di cui sopra risulta emanato in relazione al mutamento della situazione di fatto che ha determinato una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario; ...").

Da qui la ragionevole conclusione che la motivazione recata dal nuovo atto regionale poteva essere reputata, al più, come integrativa di quella del precedente, ma certo non come sostitutiva di questa.

6d. Una volta ricostruita la motivazione giuridica del ritiro della designazione dell'interessato, si rivela agevole confutare il motivo d'appello in esame.

6e. Posto che detto ritiro è rimasto giustificato, infatti, con la "natura fiduciaria dell'atto di designazione" e la "cessazione del mandato del soggetto designante", restano intatte la rilevanza e la forza del ragionamento, qui riportato nel precedente paragrafo 2, con cui il T.A.R. ha censurato tale motivazione richiamando la superiore necessità di salvaguardare i valori di terzietà, indipendenza e autonomia dei componenti laici del C.G.A.R.S. Ed è appena il caso di evidenziare che con l'appello non si è nemmeno tentato di superare il merito di tale ragionamento, che non potrebbe essere certo confutato attraverso un semplice e apodittico richiamo a un preteso carattere fiduciario della nomina in discussione.

6f. Né la motivazione del ripensamento regionale potrebbe trovare, come viene sostenuto nell'atto d'appello, un sufficiente ancoraggio nel sopraggiunto riferimento a un "mutamento della situazione di fatto che ha determinato una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario".

Il nuovo atto regionale, oltre a non precisare a quale "mutamento della situazione di fatto" si riferisca, non chiarisce quale "interesse pubblico" sarebbe stato fatto oggetto di una "nuova valutazione", né soprattutto in quali termini. E il T.A.R. ha già dimostrato, con un approfondito procedimento logico rimasto insuperato, le ragioni per le quali la motivazione della Regione non può essere riferita al profilo dell'idoneità dell'interessato, aspetto al quale alcun preciso riferimento è stato operato.

Il provvedimento regionale, d'altra parte, per notori principi non potrebbe nemmeno essere integrato in parte qua dagli atti defensionali dell'Avvocatura dello Stato.

6g. Quanto, infine, all'argomento dell'appello circa la necessità di avere riguardo anche al contesto in cui l'atto regionale s'inseriva, il Collegio non può non notare che quando la designazione dell'interessato è stata ritirata il T.A.R. del Lazio aveva appena chiarito, con la propria sentenza 28 gennaio 2013, n. 963, che il parere sfavorevole emesso dal Consiglio di Presidenza il 19 luglio 2012 non costituiva l'atto conclusivo del procedimento promosso dal Presidente della Regione, né aveva portata vincolante per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla quale competeva assumere in concreto la decisione sul prosieguo del procedimento.

Di conseguenza, la generica formulazione del decreto regionale del 4 luglio 2013 richiamante una "nuova valutazione dell'interesse pubblico" vede confermata, proprio da una considerazione del contesto, la propria inettitudine a esprimere in modo trasparente un preciso interesse pubblico atto a fondare l'atto di ritiro in contestazione.

7. In conclusione, le ragioni complessivamente esposte impongono il rigetto dell'appello in quanto infondato, potendo dunque rimanere assorbite le censure riproposte dall'appellato.

Le spese processuali del presente grado di giudizio sono liquidate secondo la soccombenza dal seguente dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo respinge.

Condanna l'Amministrazione appellante al rimborso all'appellato delle spese processuali del presente grado di giudizio, che liquida nella misura di euro tremila oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

G. Fiandaca, E. Musco

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