Corte di cassazione
Sezione VI civile
Sentenza 14 settembre 2016, n. 17991

Presidente: Manna - Estensore: Falaschi

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 20 giugno 2013 la Corte d'appello di Perugia ha accolto la domanda proposta da Roberta e Paola N., in proprio e nella qualità di eredi di Franco N., intesa ad ottenere l'equa riparazione del danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole di un giudizio introdotto nell'anno 1992 dinanzi al Tribunale di Frosinone, fase per la quale vi era stato già il ristoro, e proseguito poi avanti alla Corte di appello di Roma, con atto notificato dal medesimo de cuius nel settembre 2004, definito nel settembre 2010, costituite le eredi nel settembre 2009, commisurato l'indennizzo in Euro 350,00 iure hereditatis ed Euro 1.000,00 iure proprio per ciascuna ricorrente limitatamente al grado di appello.

Per la cassazione di tale decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso, affidato a tre motivi.

Fissata pubblica udienza al 9 aprile 2015, con ordinanza interlocutoria è stata disposta la rinnovazione della notificazione del ricorso, adempimento assolto dall'Amministrazione con atto notificato il 2 novembre 2015, e rinviata la causa a nuovo ruolo. Le N. sono rimaste intimate anche dopo l'ulteriore notificazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l'adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 6 della l. n. 89 del 2001 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il Ministero lamenta l'erronea attribuzione dell'indennizzo alle N. sia iure hereditatis sia iure proprio, in quanto alle stesse non spetterebbe essendo il de cuius, introdotto il gravame con atto di citazione notificato nel settembre 2004, deceduto il 1° luglio 2005, per cui nessun ritardo sarebbe maturato; del pari, per la fase successiva, poiché le originarie ricorrenti si erano costituite nel giudizio presupposto solo nel settembre 2009, definito con sentenza del settembre 2010.

La censura è fondata.

Occorre premettere che, nel caso di specie, vi è la necessità di distinguere l'azione esercitata dalle N., quali eredi di Franco N., da quella relativa alla durata non ragionevole del processo vantata iure proprio dalle stesse N.

In tema di equa riparazione ai sensi della l. n. 89 del 2001, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo, l'erede ha diritto al riconoscimento dell'indennizzo, iure proprio, soltanto per il superamento della predetta durata verificatasi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall'art. 110 c.p.c., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla l. n. 89 del 2001 non si fonda sull'automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l'interesse alla sua rapida conclusione (Cass. n. 23416 del 2009; Cass. n. 2983 del 2008). In altri termini, non può assumersi come riferimento temporale di determinazione del danno l'intera durata del procedimento, ma è necessario procedere ad una ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al fine di valutarne separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia, escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale sofferto dal dante causa e quello personalmente patito dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo, non ravvisandosi incompatibilità tra il pregiudizio patito iure proprio e quello che lo stesso soggetto può far valere pro quota e iure successionis, ove già entrato a far parte del patrimonio del proprio dante causa (in termini, Cass. n. 21646 del 2011; nello stesso senso: Cass. n. 10517 del 2013; Cass. n. 995 del 2012; Cass. n. 1309 del 2011; Cass. n. 13803 del 2011).

In proposito, giova ricordare che di recente (Cass. n. 4004 del 2014) questa Corte, nel ribadire il principio di cui sopra, ha chiarito che a diverse conclusioni in merito alla computabilità del periodo tra il decesso dell'originaria parte nel giudizio presupposto e la costituzione dei suoi eredi non può neanche pervenirsi, traendo spunto dalla recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 585 del 2014, che, dirimendo un contrasto tra sezioni semplici in merito alla possibilità che il contumace nel processo presupposto possa far valere il diritto all'equa riparazione per la non congrua durata dello stesso, ha statuito la equiparazione - ai fini della possibile insorgenza del diritto al ristoro del danno non patrimoniale - tra parti costituite e parti chiamate a partecipare a quel giudizio, ma in esso non intervenute, proprio alla luce dei postulati predetti.

Non può neanche sottacersi che nella recente sentenza - di irricevibilità - della Seconda Sezione della CEDU del 18 giugno 2013, in causa Fazio e altri c. Italia, si è affermato che la qualità di erede di una parte nel procedimento presupposto non conferisce, di per sé, il diritto a considerarsi vittima della, eventualmente maturata, durata eccessiva del medesimo e che l'interesse dell'erede alla conclusione rapida della causa difficilmente è conciliabile con la sua mancata costituzione nello stesso, dato che solo attraverso l'intervento nel procedimento l'avente diritto ha l'opportunità di partecipare e di influire sull'esito dello stesso.

Nella specie risulta, quindi, illogico e incoerente il computo della durata irragionevole determinato dalla corte di merito quanto alla determinazione del diritto iure hereditatis, dal momento che al tempo del decesso di Franco N. alcun credito era caduto in successione per essere decorsi solo nove mesi dall'introduzione del giudizio di appello. Inoltre la Corte di appello di Perugia ha errato anche nel considerare, ai fini del computo della durata complessiva del giudizio quanto alla posizione vantata iure proprio, quale riferimento temporale di determinazione del danno l'intera durata del procedimento, senza valutare che l'erede assume la qualità di parte (cfr., in tema di impugnazione, Cass., 17 aprile 2012, n. 5992) ed ha diritto a una definizione del giudizio in tempi ragionevoli solo dalla sua costituzione nel giudizio presupposto, per cui essendo decorso solo un anno fra la loro costituzione nel giudizio in prosecuzione e la sua definizione, nessun ritardo risulta maturato.

Con il secondo ed il terzo motivo l'Amministrazione deduce il vizio di motivazione, oltre a violazione dell'art. 2 della l. n. 89 del 2001, quanto alla mancata verifica di una effettiva legittimazione attiva delle N. essendo parte del giudizio presupposto l'impresa Riam.

Le censure rimangono assorbite dall'accoglimento del primo mezzo.

Dunque, alla luce delle considerazioni sopra svolte, il primo motivo di ricorso va accolto, assorbiti i restanti, con conseguente annullamento del decreto impugnato nei sensi di cui in motivazione.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2.

Nel merito la domanda di equa riparazione per il danno non patrimoniale va pertanto rigettata.

Le spese del giudizio innanzi alla Corte d'appello vanno poste a carico per l'intero delle N., per il principio di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di equa riparazione; condanna le N. alla rifusione delle spese del giudizio di merito e di legittimità, liquidate, per ciascuna fase, in Euro 500,00, oltre a spese prenotate e prenotande a debito.

P. Dubolino, F. Costa

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