Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 20 luglio 2016, n. 42577

Presidente: Savani - Estensore: Fidanzia

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 maggio 2014 la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riqualificato nella originaria imputazione di violenza privata il fatto inquadrato dal Tribunale di Viterbo nella fattispecie di cui all'art. 392 c.p., ha condannato A. Daniela alla pena di giustizia per avere parcheggiato la propria autovettura davanti al garage dell'immobile di P. Pina impedendo a quest'ultima l'accesso e l'utilizzo del proprio garage.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, con atto sottoscritto dal suo difensore, affidandolo ai seguenti motivi.

2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la prescrizione del delitto di cui all'art. 610 c.p. maturata tra la data di deposito della sentenza d'appello e la pendenza del termine per proporre ricorso per cassazione.

2.2. Con il secondo motivo è stato dedotto vizio di motivazione e violazione dell'art. 597 c.p.p.

La ricorrente contesta che la più grave qualificazione giuridica del fatto ha inciso sulla stessa procedibilità dell'azione penale e quindi in senso peggiorativo nei confronti dell'imputata, ove ha riqualificato un reato procedibile a querela di parte riconducendolo ad una fattispecie procedibile d'ufficio.

2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione dell'art. 179, lett. c), c.p.p.

La Corte territoriale ha direttamente pronunciato la sentenza che ha riqualificato giuridicamente il fatto contestato senza prospettare preventivamente tale questione alle parti consentendo loro di interloquire e dedurre concretamente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il secondo motivo è fondato e va pertanto accolto.

È orientamento consolidato di questa Corte che in presenza della sola impugnazione dell'imputato, non costituisce violazione del divieto di reformatio in peius la nuova e più grave qualificazione giuridica data al fatto dal giudice dell'appello, quando resti comunque ferma la pena irrogata, e ciò anche se ciò comporti un più grave trattamento penitenziario (Sez. 2, n. 2884 del 16 gennaio 2015, Rv. 262286).

Ciò che assume quindi rilevanza, per valutare se la diversa qualificazione giuridica del fatto dia o meno luogo ad una violazione dell'art. 597, comma 3, c.p.p., è che rimanga immutato il trattamento sanzionatorio applicato all'imputato o che comunque la posizione processuale dello stesso, in ordine al fatto ascrittogli, non risulti deteriore per effetto di tale operazione ermeneutica, tanto è vero che incorre nella violazione del divieto di reformatio in peius anche il giudice che prosciolga l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza impugnata.

Coerente con tale ricostruzione è l'affermazione di questa Corte secondo cui viola il divieto della reformatio in peius la sentenza del giudice d'appello che, in difetto di impugnazione del P.M., abbia ritenuto sussistente una circostanza aggravante esclusa dal giudice di primo grado, onde farne derivare la procedibilità d'ufficio del reato contestato (Sez. 5, n. 10543 del 24 gennaio 2001, Rv. 218328; Sez. 4, n. 31917 del 6 marzo 2009, Rv. 244685).

Analogamente ed a maggior ragione, in assenza dell'impugnazione da parte del P.M., proprio perché la posizione dell'imputato viene ad essere parimenti pregiudicata rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, la diversa qualificazione giuridica del fatto da parte del giudice del gravame dà luogo ad una violazione del divieto della reformatio in peius allorquando, per effetto di tale operazione ermeneutica, venga ad essere ritenuto configurabile un delitto procedibile d'ufficio, escluso dal primo giudice, in luogo di uno punibile a querela (nel caso di specie, violenza privata e non più esercizio arbitrario delle proprie ragioni a norma dell'art. 392 c.p. in una situazione in cui difettava, peraltro, la condizione di procedibilità, non essendo stata ritenuta valida la querela dal giudice di secondo grado).

L'accoglimento del secondo motivo determina l'assorbimento di tutti gli altri motivi.

Deve quindi annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al residuo delitto come ritenuto dal Tribunale perché l'azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al residuo delitto come ritenuto dal Tribunale perché l'azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela.

Depositata il 7 ottobre 2016.

R. Garofoli

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