Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 8 settembre 2016, n. 43666

Presidente: Cammino - Estensore: Alma

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 10 maggio 2016, a seguito di giudizio di appello ex art. 310 c.p.p., il Tribunale di Milano ha dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare (originariamente della custodia in carcere e successivamente sostituta con quella degli arresti domiciliari) disposta nei confronti di Gabriele C. con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano in data 21 agosto 2015 in relazione ad una serie di episodi di ricettazione.

2. Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Milano, deducendo con motivo unico la violazione di legge contenuta nel provvedimento impugnato alla luce del fatto che l'orientamento della giurisprudenza di legittimità richiamato nel provvedimento stesso si riferisce al caso della declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio e non al caso, come quello in esame, nel quale il Giudice per l'udienza preliminare ha disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero perché procedesse con le forme della citazione diretta a giudizio (richiesta per la tipologia dei reati in contestazione). In sostanza, secondo il ricorrente, con la richiesta di rinvio a giudizio si era realizzato il passaggio "di fase" del processo ed attraverso la restituzione degli atti al Pubblico Ministero vi è stata la regressione del processo a fase diversa e, pertanto, deve ritenersi che dall'ordinanza ex art. 33-sexies c.p.p. i termini di custodia dovevano decorrere nuovamente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato.

2. Appare doveroso prendere le mosse dal comma 2 dell'art. 303 c.p.p. che testualmente dispone: "Nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del procedimento [recte: provvedimento - n.d.r.] che dispone il regresso o il rinvio ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i termini previsti dal comma 1 relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento" e ciò senza dimenticare che la Corte costituzionale, con sentenza 7-22 luglio 2005, n. 299 (Gazz. Uff. 27 luglio 2005, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità di detto comma, nella parte in cui non consente di computare ai fini dei termini massimi di fase determinati dall'art. 304, comma 6, del codice di procedura penale, i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi dalla fase o dal grado in cui il procedimento è regredito.

Il contenuto di detta norma deve, poi, tenere conto del disposto del comma 1 dell'art. 303 c.p.p. che a sua volta ricollega la perdita di efficacia della custodia cautelare quando - come è il caso dei reati per i quali si procede - dall'inizio della sua esecuzione è decorso il termine di sei mesi "senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio".

La questione di diritto che si pone è allora quella di stabilire se l'ordinanza ex art. 33-sexies c.p.p. con la quale il Giudice dell'udienza preliminare dispone la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per l'emissione del decreto di citazione a giudizio a norma dell'art. 552 comporta una regressione di "fase" ai sensi e per gli effetti dell'art. 303, comma 2, c.p.p.

Secondo il Tribunale del riesame la restituzione degli atti al Pubblico Ministero a seguito del provvedimento assunto in udienza preliminare non costituisce una regressione in senso tecnico perché in base al primo comma dell'art. 303 c.p.p. il provvedimento è stato assunto all'interno della medesima fase cautelare decorrente dall'esecuzione della misura, fase che sarebbe venuta ad esaurirsi solo con l'emissione del decreto che dispone il giudizio sostanzialmente ritenendo che a tal fine l'udienza preliminare sia da ritenersi compresa nella fase delle indagini preliminari.

Riscontri a tale orientamento sono rinvenibili nelle pronunce di legittimità che hanno chiarito che «I termini di durata della custodia cautelare, stabiliti per la fase che inizia con l'esecuzione della misura cautelare e che si conclude con il provvedimento che dispone il giudizio, non decorrono nuovamente nel caso in cui nel corso dell'udienza preliminare sia dichiarata la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, perché la declaratoria di nullità interviene nell'unica fase ancora non conclusa e non determina la regressione del procedimento ad una fase diversa» (Sez. 2, n. 24498 del 25 maggio 2006, Origlia, Rv. 234660) e, ancora, che «Ai fini della regressione del procedimento - che determina nuova decorrenza dei termini di custodia cautelare - deve farsi riferimento al concetto di fase in senso proprio, così come individuata al comma primo dell'art. 303 c.p.p. La prima di dette fasi, comprendendo gli atti compiuti fino alla emissione del decreto che dispone il giudizio, include tanto le indagini preliminari, quanto la udienza preliminare, senza possibilità di distinguere, al suo interno, alcuna articolazione in sotto-fasi distinte; ne consegue che la mancata emissione - nei termini previsti - del decreto che dispone il giudizio, impedisce il passaggio alla fase successiva del procedimento, il quale, pertanto, non può subire regressione alcuna e non può determinare nuova decorrenza della custodia cautelare» (Sez. 5, n. 20080 del 23 marzo 2001, Mancuso, Rv. 218887).

Ora, se è ben vero, come segnala il ricorrente, che le sentenze citate si riferiscono ai diversi casi di nullità dell'atto di esercizio dell'azione penale, che nel linguaggio comune la "fase delle indagini preliminari" è differente dalla "fase del giudizio" e che il momento del passaggio dall'una all'altra si registra con l'esercizio dell'azione penale (o, addirittura, secondo alcuni con il provvedimento ex art. 415-bis c.p.p.) deve essere tuttavia evidenziato che le "fasi cautelari", così come scandite dall'art. 303 c.p.p., non sono perfettamente sovrapponibili alle "fasi processuali" così come indicate anche dallo stesso ricorrente.

Ciò trova un chiaro riscontro nel fatto che il Legislatore al comma 1, lett. a), dell'art. 303 c.p.p. ha sostanzialmente ricollegato il momento finale della primigenia fase cautelare all'emissione del provvedimento che "dispone" il giudizio così di fatto creando una distinzione tra i decreti e le ordinanze (ex artt. 429, 440, 455 e 552 c.p.p.) o le azioni (ex art. 449 c.p.p.) che determinano il passaggio di fase cautelare e le mere richieste (ex artt. 416 e 454 c.p.p.) che non lo determinano.

Ecco che allora non v'è ragione per distinguere il caso in cui all'interno della medesima fase cautelare è riscontrata una nullità nell'atto di esercizio dell'azione penale da quello in cui - come nel caso in esame - pur non necessitando una declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio, la non correttezza della strada processuale intrapresa dal Pubblico Ministero impone comunque l'emissione di ordinanza ex art. 33-sexies c.p.p.

Bene ha fatto quindi il Tribunale, alla luce dell'interpretazione che ha dato al disposto dell'art. 303 c.p.p. in conformità ai principi sopra enunciati, a dichiarare la perdita di efficacia della misura cautelare che era in corso di applicazione nei confronti dell'indagato Gabriele C.

3. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Depositata il 14 ottobre 2016.

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