Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Ordinanza 1° dicembre 2016, n. 24624

Presidente: Rordorf - Estensore: D'Ascola

FATTO E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Codacons e il suo legale rappresentante avv. Giuseppe Ursini, ricorrente anche in proprio, hanno proposto ricorso presso il Tar Lazio per l'annullamento del decreto del Presidente della Repubblica del 27 settembre 2016 di indizione del referendum popolare confermativo della legge costituzionale approvata dal Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Interno e il Ministero della Giustizia, difesi dall'avvocatura dello Stato, hanno eccepito il difetto assoluto di giurisdizione del giudice amministrativo.

In pendenza di questo ricorso, iscritto al Tar Lazio con il n. 10914/2016, i ricorrenti hanno pertanto proposto il presente Regolamento preventivo di giurisdizione, datato 24 ottobre 2016, notificato il giorno dopo e depositato il 26.

Hanno poi depositato "Istanza di trattazione urgente", con la quale hanno chiesto che, in considerazione dell'imminente celebrazione della consultazione referendaria fissata per il 4 dicembre 2016, il regolamento venga sollecitamente deciso.

Il Presidente aggiunto, pervenute le conclusioni del Procuratore Generale, ha fissato l'adunanza camerale per il 22 novembre 2016 abbreviando i termini di costituzione delle parti intimate e quelli per il successivo deposito di memorie in modo tale da consentire la decisione sul ricorso entro la data fissata per la consultazione referendaria.

L'avvocatura dello Stato ha depositato "controricorso", previa rituale notifica a controparte. Nel costituirsi in giudizio per le Amministrazioni resistenti, ha precisato che la Presidenza della Repubblica è priva di legittimazione processuale, posto che il Ministro o il Presidente del Consiglio, che controfirmano l'atto del Presidente della Repubblica, «ne assumono la responsabilità con la conseguente legittimazione passiva in sede processuale».

I ricorrenti hanno depositato "memoria ex art. 380-ter c.p.c.".

Gli altri soggetti istituzionali evocati nel giudizio - le due Camere e i parlamentari presentatori di richieste referendarie - non hanno svolto attività difensiva.

2. Preliminarmente occorre soffermarsi sulla ritualità del procedimento, che è stato regolato con il provvedimento presidenziale di fissazione del 9 novembre 2016.

Al ricorso si applica, in forza della disposizione transitoria di cui al comma 2 dell'art. 1-bis della l. n. 197/2016, il disposto dell'art. 380-ter c.p.c., novellato dalla legge testé citata.

Le nuove disposizioni disciplinano i ricorsi già depositati alla data di entrata in vigore della l. n. 197 (29 ottobre 2016), per i quali non sia stata ancora fissata adunanza in camera di consiglio.

Il nuovo art. 380-ter prevede che sulle istanze di regolamento di giurisdizione il presidente richiede al pubblico ministero le conclusioni scritte e che dette conclusioni e il provvedimento che fissa l'adunanza sono notificati almeno venti giorni prima agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima della adunanza.

Nella specie, stante la sollecitazione di parte ricorrente e l'imminenza della consultazione popolare, è stato ritenuto opportuno comprimere i termini di legge, per un bilanciamento dei valori di rango costituzionale del diritto di difesa e di corretto e tempestivo svolgimento delle operazioni referendarie.

Si è in tal modo seguito un meccanismo di abbreviazione dei termini, già instaurato, con riguardo a controversia incidente su consultazione elettorale, nel caso deciso con la sentenza n. 9151/2008.

Sono stati depositati gli scritti difensivi sopraindicati. Parte ricorrente, oltre a replicare in memoria alle eccezioni dell'avvocatura, ha chiesto di essere sentita.

Senza nulla eccepire in ordine alla formazione del contraddittorio, le parti costituite sono comparse all'adunanza camerale e i ricorrenti hanno prodotto ordinanza 21 novembre 2016 del Tar Lazio, che ha disposto la sospensione del processo n. 10914/2016 in attesa della decisione delle Sezioni Unite sul Regolamento.

Il Collegio, sebbene il terzo comma del novellato art. 380-ter c.p.c. stabilisca che in camera di consiglio la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti, onde perfezionare sotto ogni profilo lo scambio difensivo ha ammesso una breve discussione orale, limitandola a un difensore per i ricorrenti congiuntamente difesi e uno per le amministrazioni resistenti. Il pubblico ministero nulla ha aggiunto allo scritto depositato.

È stato in tal modo adottato un ulteriore correttivo al fine di adeguare il rito camerale alle esigenze costituzionali di rispetto del diritto di difesa e al concreto loro svolgersi nella specie, considerata la compressione dei termini di deposito delle memorie resa necessaria dall'incombente scadenza referendaria.

3. Il ricorso del cittadino elettore Ursini e del Codacons mira all'annullamento degli atti contenenti le richieste di referendum presentati all'Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione e del d.P.R. di indizione del referendum, decreto che sarebbe viziato nella parte in cui recepisce l'ordinanza dell'Ufficio Centrale, la quale ha stabilito il quesito da sottoporre alla consultazione popolare, che è il seguente: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione" approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?».

In sintesi si sostiene che tale quesito riporta testualmente "la rubrica del disegno di riforma" costituzionale approvato dal Parlamento, ma non sarebbe rispettoso dell'art. 16 della l. 352/1970, perché non consentirebbe di comprendere il contenuto della riforma.

Secondo i ricorrenti, le leggi di revisione costituzionale richiedono un quesito che indichi "ogni singolo articolo della Costituzione oggetto di revisione e il rispettivo contenuto".

L'avvocatura dello Stato ha rilevato che, come esposto nell'istanza di Regolamento, ricorso analogo è già stato proposto da altri soggetti ed è stato definito, previo intervento ad adiuvandum del Codacons, con sentenza n. 10445/2016 del Tar Lazio. Il Tar ha dichiarato l'inammissibilità per difetto assoluto di giurisdizione, in quanto l'atto del Presidente della Repubblica e il quesito sarebbero insuscettibili di sindacato giurisdizionale, non essendo «riconducibili all'esercizio di attività amministrativa ma all'esplicazione di funzioni di garanzia e di controllo aventi carattere neutrale poste a presidio dell'ordinamento».

Il controricorso aggiunge che il d.P.R. che indice il referendum è un atto costituzionalmente dovuto, il quale recepisce il quesito stabilito nell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum, ordinanza da ritenere insindacabile secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato.

In memoria parte ricorrente ha ribadito la tesi che vuole l'Ufficio Centrale non legittimato a pronunciarsi sulla conformità del quesito all'art. 16 della l. 352/1970, trattandosi di compito rimesso agli Organi chiamati ad indire il referendum.

Dopo aver sottolineato le differenze di disciplina tra referendum abrogativo e referendum costituzionale, la memoria Ursini-Codacons deduce che il quesito referendario è da considerare parte dell'attività svolta dal Consiglio dei Ministri nell'esercizio di potere amministrativo a carattere vincolato. Gli stessi provvedimenti dell'Ufficio Centrale, il quale ha di recente conosciuto le istanze di revocazione delle Ordinanze, offrirebbero argomenti in tal senso, poiché alludono a un procedimento "contraddistinto da una sequenza di fasi procedimentali", che sfocia nel d.P.R.

Dunque i provvedimenti dell'UCR sarebbero endoprocedimentali e non avrebbero quel carattere integrativo di un'unica procedura "di natura e funzione legislativa", indicata dalle conclusioni del Procuratore Generale, dalle quali deriverebbe l'assenza di strumenti «di tutela avverso i provvedimenti in forza dei quali viene indetto il referendum».

4. In ordine alla questione che ha formato oggetto del ricorso al Tar di cui qui si discute v'è difetto assoluto di giurisdizione.

Giova subito rilevare che con sentenza n. 24102/2016 del 28 novembre scorso è stato dichiarato inammissibile il ricorso, recante il n. 22576/2016, con cui il Codacons ed il suo legale rappresentante anche in proprio avevano chiesto la cassazione delle ordinanze con le quali l'Ufficio centrale per il referendum ha ammesso le richieste referendarie che sono state oggetto del decreto del Presidente della Repubblica del 27 settembre 2016.

Le Sezioni Unite hanno affermato che l'ordinanza emessa dall'Ufficio centrale per il referendum, non avendo sostanziale natura di atto di giurisdizione, «non è suscettibile d'impugnazione giurisdizionale, men che mai dinanzi alla Corte di Cassazione di cui quello stesso Ufficio costituisce una articolazione interna».

Queste conclusioni vanno poste a base anche della conclusione cui si perviene nell'esaminare, sotto il profilo sollecitato dal regolamento, il ricorso avverso il d.P.R. di indizione del referendum costituzionale.

Le argomentazioni spese nella sentenza del 28 novembre in gran parte assorbono la materia del contendere. Il d.P.R. viene infatti impugnato esclusivamente in relazione a quel segmento della sequenza di atti, provenienti da organi diversi dello Stato, di cui è investito l'Ufficio Centrale.

L'attività dell'Ufficio, benché esso abbia natura soggettivamente giurisdizionale, è stata ritenuta funzionale al procedimento referendario e alla modificazione dell'ordinamento generale. A ciò è volto l'insieme eterogen[e]o di compiti, materiali e decisori, affidatigli dalla legge, compiti che «non assumono rilevanza autonoma, a tutela di specifici interessi».

Le Sezioni Unite hanno notato inoltre che l'ordinanza resa dall'Ufficio viene qualificata come definitiva dall'art. 32 l. n. 352/1970, norma in tema di referendum abrogativo: sfugge quindi a un'impugnazione diretta in sede giurisdizionale, ma non a quella per conflitto di attribuzione.

È già agevole con questi richiami dedurre che se non è sindacabile, per via della sua natura, l'atto al quale risale la violazione denunciata, ancor meno potrà esserlo il decreto presidenziale che lo recepisce.

La circostanza che il d.P.R. giunga a conclusione di un procedimento composto di varie fasi non vale ad attribuire natura di atto amministrativo al decreto presidenziale e in particolare a quel suo contenuto riferibile all'ordinanza dell'Ufficio Centrale.

Il ricorso per Regolamento deduce (pag. 8) che detto Ufficio non poteva pronunciarsi sulla conformità del quesito all'art. 16 della l. n. 352/1970, competenza che spetterebbe in via esclusiva al Consiglio dei Ministri e al Presidente della Repubblica. Per sostenere questa tesi vengono messe a confronto le disposizioni in tema di referendum costituzionale e referendum abrogativo e ci si duole della circostanza che gli organi costituzionali che sono intervenuti a valle dell'operato dell'UCR non abbiano riformulato il quesito.

La difesa di parte ricorrente non spiega però perché da questa sorta di autolimitazione discenda che sarebbe "evidente" la natura "amministrativa del potere relativo alla determinazione" del quesito.

Questa configurazione della questione non attiene al tipo di valutazione che l'UCR doveva compiere, ma, poiché espone l'alternatività tra potere dell'UCR e potere del Consiglio dei Ministri di formulare il quesito, sembra profilarla come contestazione della esistenza stessa del potere dell'UCR di pronunciarsi, nell'ordinanza ammissiva del referendum costituzionale, anche sul quesito.

Dunque parte ricorrente si esprime in termini che sottintendono un conflitto tra poteri (cfr. Corte cost. n. 102/1997) che partecipano del procedimento referendario e di quello di formazione legislativa cui questo tipo di referendum è teso.

Senonché il Consiglio dei Ministri e il Presidente della Repubblica non solo non hanno ravvisato alcuna lesione della loro sfera, ma hanno dato séguito all'attività cui l'ordinanza era finalizzata, senza attivare alcun conflitto.

4.1. La contestazione in ordine all'esercizio nel merito del potere di indire il referendum è prospettata anche in relazione alla violazione dell'art. 16, il che fonderebbe un "eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti" (ricorso pag. 5).

Gli atti difensivi dei ricorrenti considerano indubitabile (memoria ex art. 380-ter, pag. 10) la natura amministrativa del Decreto presidenziale di indizione.

È questa la verifica che è richiesta alle Sezioni Unite, giacché ai fini del riparto della giurisdizione rileva il "petitum" sostanziale, come prospettato nella domanda, restando superata la rilevanza ai fini della giurisdizione degli aspetti, maggiormente approfonditi da parte ricorrente, relativi al mancato esercizio del potere di formulare il quesito, sui quali si è già detto.

Sul punto appare condivisibile la tesi secondo cui gli atti oggetto del ricorso sono resi in funzione della procedura referendaria, che attiene (oppositivamente nel caso del referendum abrogativo, come si è notato in dottrina e giurisprudenza) al processo di revisione costituzionale e non all'esercizio di un potere dell'amministrazione.

Il Tar del Lazio (sentenza 10445/2016) ha opportunamente ricordato che, nonostante sia doverosa ogni cautela nell'ampliare il novero dei casi di insindacabilità assoluta, o, come altrove si legge, di atti esenti da giurisdizione, non è ravvisabile nella specie una ipotesi di atto amministrativo soggetto al sindacato giurisdizionale.

Il contenuto del provvedimento presidenziale è infatti la risultante di una sequenza di atti che va dalla comunicazione al Governo dell'approvazione secondo la maggioranza di cui al primo o terzo comma dell'art. 138 Cost. (art. 1 della l. n. 352/1970), alla richiesta di referendum, agli adempimenti delle Camere nel caso di richiesta proveniente da membri di una di esse (art. 6), al deposito degli atti presso la Corte di cassazione, fino all'indizione del referendum da parte del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri.

La predisposizione, nell'art. 16, della formula del quesito da sottoporre a referendum di revisione costituzionale (o su legge costituzionale) limita i margini decisionali degli organi procedenti più che nel caso di referendum abrogativo, per il quale si innesca un procedimento più complesso.

Si deve quindi ritenere che ci si trovi di fronte a un'attività procedimentalizzata e vincolata, volta alla realizzazione della verifica referendaria, indispensabile per la ultimazione del processo di revisione costituzionale, in cui l'opera dei poteri dello Stato è connessa e interdipendente. Essa sfugge, quanto alla materia qui esaminata, che risale all'operato dell'Ufficio Centrale per il referendum, alla qualificazione di attività amministrativa soggetta, in quanto tale, al controllo giurisdizionale, tanto del giudice amministrativo che del giudice ordinario.

In tal senso, salve le dinamiche dei rapporti tra i poteri a vario titolo coinvolti (cfr., per riferimenti, in motivazione, Corte cost. n. 37/2000 sull'inadeguatezza di un quesito abrogativo e Cass., Sez. un., 5490/1994 sulla gestione dei conflitti), risulta insindacabile il d.P.R. di indizione del referendum di revisione costituzionale.

4.2. Non si ravvisa infine alcuno dei profili di incostituzionalità ventilati in sede di discussione orale in relazione alla non impugnabilità per questa via del provvedimento che indice il referendum.

Né, stante l'oggetto della contesa, appare ipotizzabile alcuna lesione dei principi che regolano, nella dimensione del diritto europeo, i principi dell'equo processo e del diritto a un ricorso effettivo.

5. Discende da quanto esposto, conformemente alla richiesta del Procuratore Generale, la declaratoria di difetto assoluto di giurisdizione e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

Resta assorbita ogni questione relativa alla legittimazione a ricorrere o a resistere al ricorso (cfr. Cass. 24102/2016, § 7).

P.Q.M.

La Corte dichiara il difetto assoluto di giurisdizione in ordine a quanto forma oggetto del procedimento pendente dinanzi al Tribunale regionale amministrativo per il Lazio recante il numero di ruolo generale 10914/2016.

Condanna i ricorrenti in solido alla refusione delle spese di lite in favore delle amministrazioni resistenti, liquidate in euro 5.000 per compenso, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.