Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 21 gennaio 2009, n. 280

FATTO

Con atto notificato il 9 settembre 2008 e depositato il 16 seguente il Comune di Milano ha appellato la sentenza 28 luglio 2008 n. 3045 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Milano, sezione prima, con cui, in parziale accoglimento del ricorso proposto dall'on. Vittorio Sgarbi avverso il provvedimento sindacale 8 maggio 2008 n. 381300 avente ad oggetto la revoca della sua nomina quale componente della Giunta comunale e della connessa delega per le attività culturali, tale provvedimento è stato annullato per omessa comunicazione di avvio del procedimento ed è stato dichiarato il diritto del ricorrente a percepire il trattamento economico connesso alla carica per il periodo successivo alla rimozione, mentre è stata respinta la domanda di risarcimento del danno all'immagine.

Premesso che in data 31 luglio 2008 l'on. Sgarbi ha presentato le proprie dimissioni dalla carica di assessore, motivate con il venir meno del rapporto di fiducia con il Sindaco ed alcuni membri della Giunta milanese, optando per il mantenimento della carica di Sindaco del Comune di Salemi a cui nel frattempo è stato eletto, a sostegno dell'appello il Comune di Milano ha dedotto:

1. Violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento istituzionale del Comune e delle norme sul procedimento amministrativo.

La revoca in questione esula dall'attività amministrativa della p.a. e dai procedimenti amministrativi, ricollegandosi a valutazioni di opportunità politico-amministrativa rimesse in via esclusiva al Sindaco, sicché non occorre la previa contestazione degli addebiti né è dovuta la comunicazione di avvio del procedimento a norma dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990. D'altra parte, la revoca si è resa necessaria in quanto, nonostante ripetuti richiami, l'Assessore non si è conformato al programma del Sindaco ed alle decisioni della Giunta, con la conseguenza dell'insorgere della necessità di risolvere la crisi nell'immediatezza, senza ulteriore contraddittorio, valutata dal Sindaco stesso e rispondente pienamente al criterio della ragionevolezza costituente il solo limite di legittimità per la valutazione in questione.

2. Violazione dell'art. 21 octies, co. 2., della legge n. 241 del 1990.

Nel caso di specie, stanti i comprovati, numerosi episodi eclatanti di dissidio e le stesse difese scritte ed orali svolte dal ricorrente nel giudizio di primo grado, che dimostrano l'insanabilità della rottura del rapporto fiduciario, è evidente che l'ulteriore contraddittorio non avrebbe potuto determinare un provvedimento diverso; pertanto ai sensi della norma in rubrica il TAR non avrebbe potuto pronunciare l'annullamento.

3. Illegittima condanna del Comune di Milano al pagamento dell'indennità assessorile, nel periodo successivo alla revoca, per violazione del disposto normativo (artt. 47, co. 3, e 60, co. 1, n. 12, del d.lgs. n. 267/2000) di non cumulabilità delle cariche di assessore comunale e sindaco.

Il TAR non ha tenuto conto della non cumulabilità - almeno sotto il profilo economico - delle due cariche e del divieto di ricoprire la carica di assessore oltre il termine di presentazione della candidatura a sindaco.

L'appellato si è costituito in giudizio e, anche con successive memorie, ha chiesto la reiezione dell'appello insistendo, nell'ipotesi in cui si ritenesse non dovuta la comunicazione di avvio del procedimento, per la fondatezza dell'ulteriore censura di difetto di motivazione, da esso svolta in primo grado. A sua volta il Comune ha replicato in memoria.

All'odierna udienza pubblica l'appello è stato posto in decisione previa trattazione orale, nel corso della quale, tra l'altro, è stato dichiarato che l'on. Sgarbi ha disconosciuto le proprie dimissioni ed ha impugnato la nomina del nuovo assessore ed è stata eccepita l'inammissibilità dell'appello per mancanza di apposito provvedimento sindacale.

DIRITTO

1. Com'è esposto nella narrativa che precede, con l'appello in esame si controverte della revoca, disposta con provvedimento sindacale 8 maggio 2008 n. 381300, della nomina dell'on. Vittorio Sgarbi quale componente della Giunta comunale di Milano e della connessa delega alla firma degli atti di competenza del Sindaco per le attività in materia di cultura, conferite con atti del 19 giugno 2006 e 22 novembre 2007.

2. In via preliminare, va respinta l'eccezione di inammissibilità dell'appello sollevata da parte appellata con riguardo alla mancanza di provvedimento sindacale di promozione del medesimo appello.

Al riguardo, si osserva che l'atto introduttivo del giudizio risulta munito in calce di mandato speciale a firma del Sindaco ed accompagnato dalla deliberazione autorizzativa della Giunta comunale. Tanto è più che sufficiente a far ritenere ritualmente introdotto il giudizio stesso. La Sezione ha infatti già avuto modo di precisare che, secondo l'ordinamento degli enti locali (art. 50, co. 2, del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 262, che riproduce l'art. 36, co. 1, della legge 8 giugno n. 142 del 1990), il sindaco, quale rappresentante legale dell'ente locale, "è l'organo che lo rappresenta in giudizio ed ha il potere di conferire la procura al difensore senza che occorra alcuno specifico mandato da parte della Giunta a mezzo della deliberazione di autorizzazione alla lite. Questa, d'altra parte, è condizione di efficacia e non requisito di validità della costituzione in giudizio dell'ente pubblico e, pertanto, può intervenire anche nel corso del processo - ma sempre prima che la causa passi in decisione - con effetto sanante delle eventuali irregolarità in precedenza verificatesi" (cfr. questa sez. V, 2ottobre 2006 n. 6399; cfr., altresì, nello stesso senso in fattispecie in cui era eccepita l'assenza di deliberazione dirigenziale autorizzativa della promozione della lite da parte del Sindaco, Cons. St., sez. VI, 9 giugno 2006 n. 3452).

Né incidono sulla procedibilità dell'appello, nonché del ricorso di primo grado, le dimissioni dalla stessa carica presentate (poi disconosciute) dall'on. Sgarbi successivamente alla revoca, stante la permanenza dell'interesse dell'una e dell'altra parte se non altro in relazione alla domanda del ricorrente, connessa a quella annullatoria, risarcitoria per perdita dell'indennità di carica e per danno all'immagine, accolta parzialmente (quanto al primo profilo) dal primo giudice con statuizione espressamente contestata dall'appellante.

3. Nel merito, l'appello deve ritenersi fondato.

4. Ricordato che con la sentenza di cui si discute è stata condivisa la censura di violazione degli artt. 7 ss. della legge 7 agosto 1990 n. 241 per omesso avviso di avvio del procedimento di revoca e che l'appellato ha riproposto l'altra censura di difetto di motivazione (che, diversamente da quanto prospettato dallo stesso appellato, non è stata accolta dal TAR, il quale si è limitato a ritenere fondato il ricorso "sotto l'aspetto procedimentale" ed "indipendentemente da ogni valutazione delle ragioni sottese alla (...) adozione" del provvedimento impugnato), si osserva che anche con riguardo a dette questioni la Sezione ha già espresso il proprio orientamento (cfr., in ispecie, 8 marzo 2005 n. 944 e 23 gennaio 2007 n. 209).

4.1. In particolare, circa il contesto normativo di riferimento sono stati evidenziati i seguenti profili:

- l'evoluzione normativa intervenuta: la legge n. 81 del 1993 ha stabilito (art. 12, il quale premette un comma all'art. 36 della legge n. 142 del 1990) che il sindaco ed il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell'amministrazione del comune o della provincia, propongono gli indirizzi generali di governo da approvare da parte del consiglio ed ha attribuito (art. 16, che sostituisce l'art. 34 della legge n. 142 del 1990) esclusivamente al sindaco o presidente della provincia, eletto non più dal consiglio ma dal corpo elettorale, la potestà di nominare e revocare uno o più assessori, prevedendo solo che ne sia data motivata comunicazione al consiglio. La successiva legge 3 agosto 1999 n. 265 ha assegnato direttamente al sindaco o presidente della provincia, sentita la giunta, il compito di formulare il programma di governo, senza prevederne una formale approvazione da parte del consiglio (art. 11, comma 10). Infine, il vigente testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267) dispone che "Il sindaco e il presidente della provincia nominano i componenti della giunta (...). Il sindaco e il presidente della provincia possono revocare uno o più assessori, dandone motivata comunicazione al consiglio" (art. 46);

- la circostanza che generalmente le disposizioni del d.lgs. n. 267 del 2000 concernono direttamente la motivazione del provvedimento, in conformità al disposto dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241 ed alla costante e consolidata giurisprudenza amministrativa, con cui è stata sottolineata la distinzione tra provvedimento e sua comunicazione o notificazione, nonché l'irrilevanza, ai fini della validità del provvedimento stesso, della mancanza di motivazione nella comunicazione o notificazione, ovvero della presenza di eventuali irregolarità delle medesime;

- l'anomalia della fattispecie in esame rispetto al principio generale di cui innanzi, essendo prevista per la revoca una comunicazione motivata al consiglio comunale, ma non anche una giustificazione da rendere al diretto interessato, né uno specifico voto di ratifica da parte del consiglio stesso;

- e tuttavia la congruenza di tale anomalia nel suddetto contesto normativo, in quanto tendente a favorire l'effettiva gestione dell'amministrazione locale da parte del sindaco o presidente della provincia, senza assegnare eccessivo rilievo all'eventuale cessazione di singoli assessori nello svolgimento quinquennale del mandato, purché ciò sia sostanzialmente condiviso dal consiglio, anche implicitamente;

- la revoca dell'incarico di assessore posta essenzialmente nella disponibilità del sindaco o presidente della provincia, sicché la comunicazione motivata appare tendenzialmente diretta al mantenimento di un corretto rapporto collaborativo tra sindaco-giunta/presidente provincia-giunta ed il consiglio comunale o provinciale, il quale potrebbe eventualmente opporsi ad un atto del genere, ma con l'estremo rimedio della mozione di sfiducia motivata (art. 37 della legge n. 142 del 1990, come sostituito dall'art. 18 della legge n. 81 del 1993, ed art. 52 del d.lgs. n. 267 del 2000), però comportante in caso di approvazione lo scioglimento del consiglio stesso;

- la valutazione in base al descritto quadro normativo dell'obbligo di motivazione del provvedimento di revoca, il quale perciò può senz'altro ritenersi assolto ove la motivazione si fondi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrative, rimesse in via esclusiva al sindaco o presidente della provincia, attinenti ad esigenze sia di carattere generale (quali i rapporti con l'opposizione od i rapporti interni alla maggioranza consiliare), sia di carattere particolare (quali la necessità di maggiore operosità ed efficienza in specifici settori dell'amministrazione locale o l'affievolirsi del rapporto fiduciario tra il capo dell'amministrazione e singolo assessore), senza che occorra specificare i singoli comportamenti addebitati all'interessato; tanto avuto riguardo alla natura del procedimento, non tipico sanzionatorio bensì di revoca di un incarico fiduciario, insindacabile in sede di legittimità - se non sotto profili formali e di manifesta irragionevolezza od illogicità - stante l'anzidetta, ampia discrezionalità spettante al capo dell'amministrazione locale.

4.2. In quest'ottica, circa il problema della necessità o meno dell'informazione dell'inizio del procedimento la Sezione ha ritenuto "che la revoca dell'incarico di assessore comunale sia immune dalla previa comunicazione dell'avvio del procedimento in considerazione della specifica disciplina normativa vigente in materia", sopra riportata, giacché "le prerogative della partecipazione possono essere invocate quando l'ordinamento prende in qualche modo in considerazione gli interessi privati in quanto ritenuti idonei ad incidere sull'esito finale per il migliore perseguimento dell'interesse pubblico, mentre tale partecipazione diventa indifferente in un contesto normativo nel quale la valutazione degli interessi coinvolti è rimessa in modo esclusivo al Sindaco, cui compete in via autonoma la scelta e la responsabilità della compagine di cui avvalersi per l'amministrazione del Comune nell'interesse della comunità locale, con sottoposizione del merito del relativo operato unicamente alla valutazione del consiglio comunale". È stato perciò affermato che, al fine di consentire di risolvere immediatamente la crisi verificatasi nell'ambito del governo locale, il procedimento in questione è "semplificato al massimo" e si articola nella valutazione della situazione da parte del sindaco, nella scelta sindacale di modificare la composizione della giunta nell'interesse della comunità locale e nella comunicazione motivata di ciò al consiglio comunale, "senza l'interposizione della comunicazione dell'avvio del procedimento all'assessore assoggettato alla revoca, la cui opinione è irrilevante per la normativa attuale salvo che non venga fatta propria dal consiglio comunale" (cfr., in particolare, la cit. n. 209 del 2007).

5. Il Collegio non ha motivo di dissentire dalle meditate argomentazioni e conclusioni riferite ai paragrafi 4.1 e 4.2 che precedono; argomentazioni e conclusioni che anzi intende qui ribadire, alla stregua delle quali va accolto il primo motivo dell'appello in esame, diretto a far valere l'erroneità dell'assunto del TAR in ordine all'obbligo partecipativo, restando assorbito il secondo motivo, evidentemente subordinato, di violazione dell'art. 21 octies della legge n. 241 del 1990.

6. Viene pertanto in rilievo la questione, come detto riproposta dall'appellato, concernente il preteso difetto di motivazione.

La doglianza non può essere valutata positivamente.

Nella specie, il provvedimento di revoca datato 8 maggio 2008 si fonda espressamente sul venir meno del rapporto di fiducia tra il Sindaco e l'assessore alla cultura on. Sgarbi, nella considerazione che il medesimo "ha assunto in varie occasioni, anche pubbliche, un atteggiamento non consono ai doveri di pubblico amministratore" ed "ha tenuto comportamenti contrari alla lealtà nei confronti del Sindaco e della Giunta incidendo negativamente sull'operato ed immagine di tali organi e creando un clima di tensione interno alla maggioranza politica".

In linea con le tesi di cui al precedente paragrafo 4.1, tale motivazione va apprezzata come congrua, adeguata e quindi valida a sorreggere lo stesso provvedimento, il quale mostra che l'esercizio da parte del Sindaco del potere conferitogli dall'art. 46, ultimo comma, del d.lgs. n. 267 del 2000 è giustificato da ragioni di opportunità politico-amministrative di carattere, si, particolare, stanti i contrasti insorti tra Sindaco ed Assessore e nell'ambito della Giunta, ma anche generale, stanti i riflessi esterni della manifestazione anche in occasioni pubbliche di tali contrasti; contrasti già di per sé utili ad accreditare l'enunciazione del venir meno di quel giudizio, espresso attraverso gli atti di nomina e di delega, di fiducia sulla idoneità del nominato a rappresentare gli indirizzi del Sindaco delegante ed a perseguirne gli obiettivi programmatici. È inoltre evidente come, tenuto conto che quanto qui importa è la cessazione della "fiducia" intesa nel senso appena detto, da un lato restino estranei alla fattispecie profili riguardanti le capacità tecniche dell'Assessore revocato e, dall'altro lato, non rilevino singoli episodi (peraltro notori - come posto in luce negli interventi consiliari sulla comunicazione della revoca -, non smentiti dall'interessato e talora ampiamente riportati dalla stampa), sicché non incide sull'affermata legittimità della revoca né l'eventuale conferimento di altro e ben diverso incarico, quale la sovrintendenza di mostre, né il mancato addebito di specifici fatti e comportamenti.

7. In conclusione, l'appello va accolto e, in riforma della pronuncia appellata, il ricorso di primo grado dev'essere respinto, ovviamente senza che occorra trattare della domanda risarcitoria ivi avanzata ed il correlato terzo motivo d'appello.

Tuttavia, la peculiarità della vicenda consiglia la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l'appello in epigrafe e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.