Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 8 aprile 2024, n. 285

Presidente: Giovagnoli - Estensore: Francola

FATTO

Con ricorso notificato al Comune di Palermo ai sensi dell'art. 114, comma 1, c.p.a. il 10 ottobre 2023 e depositato ai sensi dell'art. 87, commi 2 e 3, c.p.a. il 23 ottobre 2023, la Società Immobiliare Margherita s.r.l. in liquidazione domandava l'emissione dei provvedimenti necessari ad assicurare l'ottemperanza al decreto n. 38 del 3 febbraio 2022 con il quale il Presidente della Regione Siciliana, in conformità al parere n. 11/2022 reso all'esito dell'Adunanza del 14 dicembre 2021 dal C.G.A.R.S. a Sezioni riunite in senso favorevole all'accoglimento del proposto ricorso straordinario, aveva annullato, per difetto di motivazione, la delibera del Consiglio comunale di Palermo n. 293 del 26 luglio 2018 di rigetto della proposta di deliberazione del Capo Area pianificazione del territorio riguardante l'approvazione della istanza di partecipazione al Programma di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio - P.R.U.S.S.T. avente ad oggetto la realizzazione di un residence per anziani.

L'annullamento era, in particolare, fondato sulla rilevata carenza di motivazione della decisione assunta dal Consiglio comunale di discostarsi dai pareri favorevoli resi in sede di conferenza di servizi da tutti gli uffici tecnici interessati e coinvolti senza indicare le ragioni della propria differente scelta nemmeno sul piano degli interessi pubblici perseguiti.

Il Comune di Palermo si costituiva opponendosi all'accoglimento del ricorso in quanto inammissibile ai sensi dell'art. 243-bis, comma 4, d.lgs. n. 267/2000 durante l'attesa del visto della Corte dei conti sul piano di riequilibrio presentato.

Nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2024 il Collegio, dopo avere udito il difensore del ricorrente, tratteneva il ricorso in decisione.

DIRITTO

L'ammissibilità del rimedio dell'ottemperanza per garantire l'esecuzione dei decreti decisori dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica ed al Presidente della Regione Siciliana non è sempre stata ammessa nel nostro ordinamento giuridico.

Secondo quanto chiarito dalla Corte costituzionale (sentenza 7 aprile 2023, n. 63) la centralità della natura (vincolante o meno) del parere reso dall'organo consultivo (Consiglio di Stato o Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana) emerge chiaramente dal processo di evoluzione che ha interessato il rimedio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

Siffatto processo - pur non comportando una giurisdizionalizzazione dell'istituto, al quale va comunque riconosciuta una natura "giustiziale" che formalmente differisce da quella giurisdizionale (sentenze n. 24 del 2018 e n. 73 del 2014) - ha determinato l'ampliamento delle garanzie e degli strumenti di tutela a disposizione di chi si avvale di tale rimedio proprio sulla base della mutata natura vincolante del parere dell'organo consultivo.

La Corte di giustizia delle Comunità europee, sin dal 1997 (sezione quinta, sentenza 16 ottobre 1997, in cause riunite da C-69/96 a 79/96, Garofalo e altri), aveva invero affermato la legittimazione del Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario a sollevare questione pregiudiziale comunitaria, reputando sussistenti i caratteri necessari per qualificarlo, ai detti specifici fini, come «giurisdizione nazionale»: origine legale, carattere permanente, indipendenza, obbligatorietà del suo intervento, procedura ispirata al principio del contraddittorio ed applicazione di norme giuridiche per la risoluzione delle questioni.

Per converso, a livello nazionale, la possibilità di esperire l'azione di ottemperanza per l'esecuzione del decreto del Presidente della Repubblica che decide il ricorso straordinario e la legittimazione del Consiglio di Stato a sollevare in sede di parere su ricorso straordinario questione di legittimità costituzionale sono state inizialmente escluse, rispettivamente, dalla Corte di cassazione (Sezioni unite civili, sentenza 18 dicembre 2001, n. 15978) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 254 del 2004).

È significativo che entrambe le pronunce abbiano escluso l'esperibilità dei predetti rimedi proprio sul rilievo della possibilità per l'autorità amministrativa di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, rendendo così la decisione imputabile giuridicamente alla prima e non al secondo.

Tali posizioni sono state, in seguito, superate. Il processo di ampliamento delle garanzie procedimentali e dei rimedi esperibili in sede di ricorso straordinario ha subìto un impulso determinante in seguito agli interventi legislativi rappresentati dalla l. n. 69 del 2009, che ha sancito il carattere vincolante del parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario e ha previsto - in coerenza con i criteri posti dall'art. 1 della l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza della Corte Costituzionale) (sentenza n. 73 del 2014) - la possibilità di sollevare incidente di legittimità costituzionale. Successivamente, il d.lgs. n. 104 del 2010 ha limitato l'esperibilità del ricorso straordinario alle sole materie di competenza del giudice amministrativo e ha espressamente previsto la possibilità di azionare il giudizio di ottemperanza per la corretta esecuzione del decreto presidenziale.

In particolare, il comma 2 dell'art. 69 della l. n. 69 del 2009, modificando l'art. 14 del d.P.R. n. 1199 del 1971, ha eliminato la potestà del Governo di deliberare in senso difforme rispetto al parere espresso dal Consiglio di Stato, il quale assume, dunque, i connotati di una vera e propria statuizione vincolante; dal che la giurisprudenza ne ha fatto discendere il carattere sostanzialmente decisorio.

Proprio facendo leva sulle innovazioni legislative introdotte nel 2009 e nel 2010, la Corte di cassazione, partendo dall'intervenuta progressiva assimilazione del ricorso straordinario al ricorso giurisdizionale amministrativo, ha cambiato la propria precedente giurisprudenza e ha riconosciuto l'ammissibilità dell'azione di ottemperanza per l'esecuzione dei decreti resi su ricorsi straordinari (Cass., Sez. un., n. 2065 del 2011) e la sindacabilità di questi ultimi da parte della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione (Cass., Sez. un., n. 23464 del 2012).

Alla base del mutato indirizzo ha rivestito peso determinante l'intervenuta eliminazione del potere di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, in quanto ciò «conferma che il provvedimento finale, che conclude il procedimento, è meramente dichiarativo di un giudizio: che questo sia vincolante, se non trasforma il decreto presidenziale in un atto giurisdizionale (in ragione, essenzialmente, della natura dell'organo emittente e della forma dell'atto), lo assimila a questo nei contenuti, e tale assimilazione si riflette sull'individuazione degli strumenti di tutela, sotto il profilo della effettività» (Cass., Sez. un., n. 2065 del 2011).

Analogo atteggiamento si rinviene nella giurisprudenza amministrativa sull'esperibilità dell'azione di ottemperanza, anche in questo caso dando rilievo decisivo allo ius superveniens, che ha attribuito carattere vincolante al parere del Consiglio di Stato (Ad. plen., sentenza 6 maggio 2013, n. 9).

La natura sostanzialmente giurisdizionale del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è, dunque, riconosciuta al fine di assicurare un grado di tutela non inferiore a quello proprio dei rimedi esperibili innanzi agli organi di giustizia amministrativa (C.d.S., Sez. V, 22 aprile 2020, n. 2554).

Donde, il duplice corollario dell'ammissibilità del ricorso per ottemperanza per assicurare l'esecuzione del decreto presidenziale decisorio e del radicamento della competenza in unico grado del Consiglio di Stato ai sensi del combinato disposto degli artt. 112, comma 2, lett. b), e 113, comma 1, c.p.a. (così C.d.S., Sez. IV, 13 marzo 2018, n. 1584).

Giova aggiungere ancora che il decreto decisorio sul ricorso straordinario, una volta divenuto definitivo, è assimilabile al giudicato amministrativo ed è quindi suscettibile di essere azionato nel giudizio di ottemperanza (C.d.S., Sez. III, 2 dicembre 2014, n. 5959).

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in relazione ai decreti decisori dei ricorsi straordinari al Presidente della Regione Siciliana.

La Corte costituzionale, con la sentenza del 7 aprile 2023, n. 63, ha, infatti, dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma 5, del d.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l'esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato) che consente al Presidente della Regione di discostarsi dal parere del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana per la decisione del ricorso straordinario, previa deliberazione della Giunta regionale.

Affermata, dunque, l'ammissibilità del rimedio, occorre soffermarsi sulla questione di rito sollevata dal Comune di Palermo ed attinente all'incidenza sul corso del giudizio di ottemperanza del deliberato piano di riequilibrio in attesa del visto della Corte dei conti.

Il riferimento è all'art. 243-bis, comma 4, d.lgs. n. 267/2000 nella parte in cui statuisce la sospensione delle "procedure esecutive" intraprese nei confronti dell'ente che abbia deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziaria pluriennale dalla data della deliberazione sino alla data di approvazione o di diniego.

Il Collegio osserva che la procedura in questione è preordinata ad evitare le conseguenze, gravi ed impattanti, del dissesto finanziario per gli enti locali che versino in una situazione di squilibrio strutturale del bilancio. La deliberazione di un piano di riequilibrio - rimesso alla approvazione e al controllo della Corte dei conti ex art. 243-quater d.lgs. cit. - è, infatti, finalizzata a responsabilizzare gli organi dell'ente territoriale ai fini della definizione e della assunzione di ogni iniziativa utile al risanamento, così da evitare il ricorso alla gestione commissariale.

L'istituto è destinato ad operare nei casi in cui in cui gli strumenti ordinari di riequilibrio, di cui agli artt. 193 (deliberazione di "salvaguardia degli equilibri di bilancio") e 194 ("riconoscimento di legittimità dei debiti fuori bilancio") del d.lgs. n. 267/2000, non siano sufficienti a superare le condizioni di squilibrio, correlato alla incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni esigibili a causa della mancanza di risorse effettive a copertura delle spese e, solitamente, della correlata mancanza o grave carenza di liquidità disponibile; squilibrio che assume connotazione "strutturale" quando il deficit - da disavanzo di amministrazione o da debiti fuori bilancio - esorbita le ordinarie capacità di bilancio e di ripristino degli equilibri e richiede mezzi ulteriori, extra ordinem (in termini di fonti di finanziamento, dilazione passività, ecc.).

La procedura di riequilibrio - che può essere avviata fino a quando non siano stati assegnati dalla Corte dei conti i termini per l'adozione delle misure correttive, con cui ha inizio il dissesto guidato, di cui all'art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 - prevede che la relativa deliberazione sia trasmessa, entro cinque giorni, alla competente sezione regionale della Corte dei conti e al Ministero dell'interno (art. 243-bis, comma 1, cit.).

Dalla data di esecutività della deliberazione (e fino alla data di approvazione o di diniego di approvazione del piano da parte della sezione regionale per il controllo della Corte dei conti), sono sospese (ex lege) le "procedure esecutive" intraprese nei confronti dell'ente (art. 243-bis, comma 4).

Per consolidato intendimento, nel novero delle "procedure esecutive" assoggettate al regime di sospensione rientra anche il giudizio di ottemperanza (C.d.S., Sez. V, 7 aprile 2023, n. 3614).

Per questa ragione l'applicazione dell'art. 243-bis, comma 2, cit. al giudizio di ottemperanza deve ritenersi il risultato di un'opzione esegetica semplicemente estensiva, e dunque di ordine strettamente letterale, anziché propriamente analogica.

Occorre, tuttavia, comprendere se la sospensione di cui alla disposizione citata interessi tutti i giudizi di ottemperanza o soltanto quelli direttamente implicanti un esborso di risorse economiche.

L'art. 243-bis, comma 4, d.lgs. n. 267/2000 non distingue le procedure di espropriazione forzata di cui al Libro III, Titolo II, artt. 483 e ss. c.p.c. da quelle di esecuzione di obblighi in forma specifica disciplinate dal Libro III, Titolo III e Titolo IV del c.p.c., aventi rispettivamente ad oggetto l'adempimento di obbligazioni di dare (l'esecuzione per rilascio o consegna, artt. 605 e ss. c.p.c.) e l'esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare (artt. 612 e ss. c.p.c.).

Il che indurrebbe a ritenere applicabile la sospensione di cui all'art. 243-bis, comma 4, d.lgs. n. 267/2000 a qualsiasi tipologia di procedura esecutiva ivi inclusa anche quella inerente agli obblighi di fare, con conseguente estensione anche al giudizio di ottemperanza a prescindere dall'attività amministrativa che l'Amministrazione sarebbe tenuta ad espletare per la corretta esecuzione del giudicato rimasto ineseguito.

Sennonché, la finalità della procedura di riequilibrio e la necessità di assicurare piena tutela alle ragioni di quanti lamentino condotte inerti delle Pubbliche Amministrazioni in spregio a precipui obblighi di agire involgenti l'esercizio di poteri pubblici ai sensi degli artt. 112 e ss. c.p.a. induce il Collegio a privilegiare un'interpretazione restrittiva dell'art. 243-bis, comma 4, d.lgs. n. 267/2000, limitandone la portata applicativa della sospensione ivi prevista soltanto alle ottemperanze implicanti l'iscrizione a bilancio di un precipuo impegno di spesa e non anche una mera attività amministrativa.

Se, infatti, lo scopo del piano di riequilibrio è prevenire la dichiarazione di dissesto, la sospensione delle procedure esecutive è propedeutica a salvaguardare, anzitutto, la deliberazione del piano di riequilibrio da parte del Consiglio comunale e la successiva valutazione dello stesso da parte della Corte dei conti, onde evitare che l'eventuale prosecuzione delle iniziative dei creditori possa pregiudicare l'attendibilità dei dati riportati nel piano e la conseguente decisione della Corte dei conti.

Pertanto, l'ottemperanza che si traduca in attività non immediatamente incidenti sul bilancio deve ritenersi consentita.

Nel caso in esame, il Comune di Palermo è tenuto soltanto a riesaminare la precedente determinazione assunta in relazione all'istanza della ricorrente e non anche ad effettuare un immediato esborso economico incidente sul bilancio.

Di conseguenza, il ricorso per ottemperanza proposto, avendo ad oggetto un facere e non un dare, deve ritenersi procedibile e non soggiace alla sospensione di cui all'art. 243-bis, comma 4, d.lgs. n. 267/2000, dovendo il Comune di Palermo riesaminare l'istanza della ricorrente pronunciandosi con un provvedimento espresso per poi, eventualmente, sospendere le successive attività di dare che, rinvenendo la propria fonte nel precedente provvedimento, implichino l'erogazione di somme di denaro qualora il piano di riequilibrio deliberato sia ancora sottoposto al giudizio della Corte dei conti.

In pratica l'art. 243-bis, comma 4, d.lgs. n. 267/2000 non inibisce il rimedio dell'ottemperanza fino all'adempimento dell'obbligo di facere, paralizzando in seguito gli eventuali obblighi di dare che, all'esito della precedente attività di fare, divengano attuali.

Il ricorso nel merito è fondato.

Tenuto conto, infatti, dell'insussistenza della eccepita causa ostativa all'ottemperanza del decreto n. 38 del 3 febbraio 2022 del Presidente della Regione Siciliana, il Comune di Palermo è tenuto all'espletamento delle attività conseguenti all'annullamento della delibera consiliare impugnata, ed ossia al riesame dell'istanza della ricorrente.

Pertanto, deve essere affermata la persistenza dell'obbligo da parte del Comune di Palermo di adottare i provvedimenti necessari per dare esecuzione al citato decreto, assumendo le determinazioni del caso nel termine di 180 giorni decorrenti dalla notificazione o comunicazione della presente pronuncia.

Non ricorrono, invece, i presupposti per la condanna del Comune di Palermo al pagamento di una penalità di mora per ogni giorno di ritardo ai sensi dell'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., risultando manifestamente iniquo siffatto rimedio nella fattispecie in esame, considerata la peculiare complessità della questione interpretativa inerente all'applicabilità o meno della sospensione di cui all'art. 243-bis, comma 4, d.lgs. n. 267/2000.

Decorso infruttuosamente il termine assegnato, ai medesimi adempimenti provvederà in via sostitutiva un Commissario ad acta, individuato nel Prefetto di Palermo, con facoltà di delega ad un funzionario del medesimo ufficio.

Il Commissario dovrà insediarsi entro dieci giorni dalla scadenza del termine sopra indicato, e provvedere, sotto la sua personale responsabilità, a dare esecuzione nel più breve tempo possibile al decreto del Presidente della Regione Siciliana n. 38 del 3 febbraio 2022.

Le spese per l'eventuale attività commissariale - sin d'ora liquidate in complessivi euro 3.000,00 ma che saranno dovute solo nel caso in cui, in difetto di esecuzione comunale nell'indicato termine di 180 giorni, si renda effettivamente necessaria l'attività dell'ausiliario commissariale - saranno a carico dell'inadempiente Amministrazione che, persistendo nell'inerzia, vi dia causa.

La peculiare complessità della questione interpretativa inerente alla non applicabilità dell'art. 243-bis, comma 4, d.lgs. n. 267/2000 giustifica l'integrale compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sezione giurisdizionale, definitivamente pronunciando sul ricorso per ottemperanza, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto:

- dichiara l'obbligo del Comune di Palermo di dare esecuzione al decreto n. 38 del 3 febbraio 2022 del Presidente della Regione Siciliana, entro il termine di giorni centoottanta dalla comunicazione o notificazione della presente decisione;

- nomina fin da ora Commissario ad acta il Prefetto di Palermo con facoltà di delega ad altro funzionario competente del medesimo ufficio, che provvederà in via sostitutiva rispetto all'Amministrazione nel più breve tempo possibile;

- quantifica in euro 3.000,00 a carico del Comune di Palermo le spese per l'eventuale futura attività del Commissario ad acta, alle condizioni di cui motivazione;

- demanda al Commissario ad acta di trasmettere la presente sentenza, con gli atti eventualmente richiesti, alla Procura regionale della Corte dei conti qualora si sia reso necessario il proprio insediamento;

- compensa per intero le spese processuali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Manda alla Segreteria di trasmettere copia della presente decisione alle parti, nonché al Commissario ad acta presso la sua sede di servizio.