Brevi considerazioni sulla costituzionalità
del riconoscimento legale delle convivenze di fatto (*)

Gianpaolo Fontana (**)

Nel 1940 Arturo Carlo Jemolo nell'interrogarsi sull'esistenza di un concetto definito di famiglia perveniva alla conclusione che si trattava di un "istituto la cui giuridicità è a tal punto fissata dalla tradizione ed inserita nella coscienza comune, che a nessuno passerebbe per la mente di contestarla".

Credo non ci sia premessa migliore per introdurre queste brevi considerazioni dedicate alle problematiche costituzionali, vecchie e nuove, poste dal riconoscimento giuridico delle famiglie di fatto.

In primo luogo va sottolineato come la famiglia (assai più di altri) è tema sul quale si scontrano sensibilità morali diverse ed anche pregiudiziali ideologiche che ne rendono faticosa una serena riflessione giuridica e costituzionale la quale tenga in debito conto non solo l'evoluzione del costume e del modo di intendere i rapporti di coppia ma soprattutto le nuove dimensioni dei diritti fondamentali meritevoli di riconoscimento e tutela.

È sin troppo noto, infatti, quanto il tema risenta fortemente dalla visione e concezione della famiglia che ci deriva dalla storia del costume ed anche dalle tradizioni culturali nazionali le quali, a loro volta, sono condizionate da valori religiosi di ispirazione cattolica che pervadono largamente il comune sentire sociale. Non è un caso, allora, che quello delle unioni e delle famiglie di fatto è tema che si è imposto all'attenzione della classe politica e dell'opinione pubblica nazionale con un apprezzabile ritardo rispetto ad altri paesi europei.

Negli ultimi tempi il dibattito pare conoscere una significativa accelerazione; la presentazione in sede parlamentare di diverse proposte legislative, alcune decisioni assunte in sede comunitaria nonché talune iniziative assunte da alcune Regioni e comuni hanno riproposto con forza il tema; più di recente va ricordata l'approvazione avvenuta il 18 dicembre 2006 da parte del Senato dell'ordine del giorno che impegna il Governo a presentare entro il 31 gennaio 2007 un disegno di legge sulle unioni di fatto per il riconoscimento di diritti, anche in materia fiscale, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte di unioni di fatto e ciò a prescindere dal genere e dall'orientamento sessuale dei conviventi.

L'evoluzione del costume, della morale nonché l'erompere di nuovi modelli di relazione interpersonale hanno reso ineludibile una risposta legislativa per colmare rilevanti vuoti di disciplina normativa i quali, del resto, coinvolgono ed interessano una porzione rilevante del tessuto sociale; alla crisi delle modalità tradizionali di convivenza e di vita familiare ha corrisposto negli ultimi decenni, infatti, un rilevantissimo aumento delle forme di convivenza atipiche e di fatto, non riconducibili entro gli schemi della famiglia matrimoniale tradizionalmente intesa.

Sotto altro profilo la sottovalutazione in sede legislativa delle novità e dei mutamenti in atto nella società pare rappresentare eloquente sintomo del più generale scollamento della società politica rispetto alle dinamiche correnti nella società civile oltreché del ritardo dell'ordinamento nazionale ad adeguarsi ai cambiamenti in atto negli altri ordinamenti europei e nello stesso ordinamento comunitario.

Resta il fatto che quello dei diritti delle coppie di fatto è tema di rilevante complessità il quale, per restare al profilo giuridico, ha riflessi di natura civilistica, previdenziale, assistenziale, tributaria e penale; esso, peraltro, conosce una tale varietà ed eterogeneità di espressioni da renderne oltremodo problematica una trattazione unitaria ed indifferenziata (DEL PRATO).

Nel corso degli ultimi anni non sono, tuttavia, mancati timidi segnali con i quali il legislatore ha preso atto dell'esistenza di forme di relazione familiare più estese e non pienamente riconducibili al modello tradizionale. La legge n. 154 del 2001, per citare solo un esempio, nel dettare misure contro la violenza nelle relazioni familiari fa riferimento, infatti, sia alla famiglia matrimoniale che ad altre forme di convivenza familiare; numerosi altre, invero, sono le previsioni normative (anche regionali) seppure frammentarie e disorganiche, che prendono in considerazione le convivenze di fatto.

Ciò di cui si avverte la mancanza, dunque, è una disciplina di principio organica ed unitaria che fornisca un quadro normativo generale che possa valere per le diverse forme di unione e di convivenza familiare diverse da quelle tradizionali.

Occorre, tuttavia, rimuovere il rifiuto ideologico e morale mostrato nei confronti della famiglia di fatto il quale non ha, di certo, agevolato l'approfondimento delle modalità tecniche e delle soluzioni normative più idonee alla tutela giuridica delle coppie di fatto; rifiuto che se conforme alla tradizione pare non reggere ad una rigorosa analisi del diritto vigente (BIANCA) e men che meno degli stessi principi costituzionali.

Non deve allora stupire se le perduranti e gravi lacune del nostro ordinamento abbiano indotto la giurisprudenza (sia comune sia costituzionale) ad assolvere ad un ruolo suppletivo che ha posto rimedio ai vuoti di tutela e di disciplina più evidenti ed intollerabili, per mezzo di un'interpretazione adeguatrice ed evolutiva delle norme legislative e dei principi costituzionali. Basti pensare al riconoscimento del diritto a succedere nel contratto di locazione al convivente more uxorio e, più in generale, alla tutela del diritto all'abitazione a favore dei soggetti legati a stabile convivenza (Corte cost. n. 404 del 1988) ovvero, in caso di uccisione del partner, alla risarcibilità del danno morale e patrimoniale a favore del convivente nei confronti del terzo che ne abbia cagionato la morte (Cass. 2988/1994) o ancora, in sede di determinazione dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge separato e del c.d. assegno divorzile, all'obbligo giudiziale di tener conto dell'eventuale sostegno economico ricevuto nell'ambito di una convivenza more uxorio (Cass. 5024/1996).

La necessità di un organico intervento del legislatore resta, infatti, confermata dal fatto che il ricorso a strumenti negoziali di autoregolamentazione dei diritti e degli obblighi dei soggetti conviventi more uxorio, pur in astratto possibile, trova ostacoli difficilmente superabili, soprattutto in talune norme dell'ordinamento civile; si pensi, per citare l'esempio più evidente, nella materia dei lasciti ereditari al divieto sancito dall'art. 458 c.c. di stipulare patti successori ovvero alla inopponibilità nei confronti dei terzi degli acquisti ricompresi nel regime di comunione ordinaria, stante l'efficacia inter partes del contratto ex art. 1372 c.c.

I ritardi del legislatore sono, del resto, resi ancor più vistosi dalle autonome iniziative assunte da alcune Regioni le quali nell'adottare i propri statuti hanno posto il problema del riconoscimento delle situazioni giuridiche soggettive, personali e patrimoniali, derivanti dalle nuove e diverse forme di convivenza (cfr. Corte cost. sentt. nn. 372, 378, 379 del 2004). Dette previsioni statutarie regionali, pur non essendo state dichiarate incostituzionali, sono state private di ogni valenza giuridico-prescrittiva e trattate alla stregua di norme programmatiche non vincolanti, dunque, ma aventi una funzione di tipo meramente culturale e politico.

Detta giurisprudenza costituzionale sta chiaramente ad indicare che, nonostante la riforma del Titolo V della Costituzione, evidenti esigenze di salvaguardia del principio di uguaglianza affidano al legislatore statale la competenza a dettare la disciplina normativa in tali materie, le quali rientrano negli ambiti di competenza esclusiva statale, appunto, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. i), l) e m) della Costituzione.

Prima delle concrete misure legislative che potranno essere messe in campo occorre preliminarmente interrogarsi sull'ammissibilità, estensione e limiti costituzionali di una regolamentazione giuridica dei rapporti personali e patrimoniali delle unioni di fatto costituite tra partner di sesso diverso ed anche del medesimo sesso.

In proposito la disposizione costituzionale di riferimento è l'art. 29 della Costituzione il cui primo comma, in particolare, prevede che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio; con specifico riferimento al tema della famiglia accanto all'art. 29 Cost. rilevano anche gli artt. 30, 31 e 36 Cost. i quali si danno cura di garantire il diritto-dovere di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio, di agevolare la formazione della famiglia con particolare riguardo alle famiglie numerose e di assicurare il diritto a ciascun lavoratore ad una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.

E, tuttavia, non possono essere trascurati principi costituzionali fondamentali e di più ampia portata, quali quello della tutela dei diritti inviolabili della persona, sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.), quello dell'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale (art. 2 Cost.) nonché lo stesso principio di uguaglianza senza distinzioni di sesso, appunto (art. 3 Cost.).

Anzi è da ritenersi che detti principi, in quanto fondamentali, vantino un pregio assiologico ed una valenza ermeneutica tale da condizionare l'esatta interpretazione dei contenuti normativi dell'art. 29 Cost. i quali scontano, peraltro, una qualche vaghezza semantica.

Il punto di partenza per verificare l'esistenza di obblighi o, al contrario, di divieti costituzionali di protezione non può non può che essere costituito dal fatto che la dottrina maggioritaria e la stessa Corte costituzionale abbiano ricondotto la famiglia di fatto (quale particolare tipologia di formazione sociale) nell'ambito di tutela previsto dall'art. 2 Cost.; né può essere ignorato che, sotto altro profilo, la Corte costituzionale ha ribadito in diverse occasioni la non assimilabilità alla famiglia matrimoniale di altre forme di convivenza non fondate sul matrimonio.

Ragioni di formalità, certezza, serietà e stabilità del vincolo matrimoniale, infatti, ad avviso del giudice costituzionale, impongono una tutela legislativa di favore e privilegiata nei riguardi delle famiglie matrimoniali (cfr., più di recente, Corte cost. 310/1989, 8/1996, 2/1998, 313/2000, 352/2000, 491/2000, 461/2005) le quali concorrono a realizzare un apprezzabile interesse pubblico alla ordinata, stabile e solidale convivenza dei consociati.

Pur rigettando le questioni di costituzionalità tendenti ad una equiparazione tra i diritti delle coppie di fatto con quelli della famiglia matrimoniale, la Corte costituzionale ha riconosciuto la possibilità di sindacare sotto il profilo della ragionevolezza le eventuali ingiustificate disparità di trattamento delle analoghe condizioni di vita derivanti dalla convivenza di fatto e da quella coniugale (166/1998, 461/2000). Altro motivo che contribuisce a rendere insuperabile l'intervento del legislatore statale è dato dal fatto che la discrezionalità ad esso riconosciuta nella concreta disciplina dei diritti delle coppie di fatto impedisce al giudice costituzionale l'adozione di sentenze additive.

Come si tenterà di argomentare l'irrilevanza giuridica o, addirittura, il divieto costituzionale verso il riconoscimento di diritti delle unioni di fatto pare opzione interpretativa contraria alla lettera ed allo spirito della Costituzione; essa può trovare spiegazione solo in argomentazioni di tipo morale, religioso in ogni caso non giuridico-costituzionali.

Parte della dottrina, infatti, ha ritenuto che la scelta compiuta dall'art. 29 Cost. di contrassegnare come naturale la famiglia matrimoniale equivalga implicitamente ad una valutazione sfavorevole delle diverse forme di convivenza non fondate sul matrimonio e ritenute, dunque, immeritevoli di tutela.

La tradizione ed il costume ci hanno consegnato un'idea e una concezione del matrimonio come unione stabile ed indissolubile tra due persone di sesso diverso volta a fini procreativi. L'idea tradizionale di matrimonio e di famiglia era legata non solo alla indissolubilità del vincolo (rimosso dall'ordinamento civile solo nel 1970) ma connotato da una radicata primazia maritale e paterna.

Ora, sia la natura indissolubile del vincolo matrimoniale sia la finalizzazione a scopi riproduttivi sia ancora la originaria impostazione autoritaria e gerarchica del matrimonio e della famiglia sono venute meno nella legislazione ordinaria grazie alla riforma del diritto di famiglia del 1975 ed in seguito ad interventi ablativi e monitori del giudice costituzionale.

È sin troppo agevole constatare, dunque, come larga parte dell'idea tradizionale del matrimonio e della stessa famiglia su di esso fondata siano venute meno per progressivi ed incessanti adeguamenti dell'ordinamento costituzionale e legislativo alle nuove sensibilità maturate nella società e nel costume.

Resta, dunque, da verificare in che senso e fino a che punto il matrimonio possa giuridicamente accreditarsi ancora quale società naturale, nel senso giusnaturalistico dell'espressione, a fronte di mutamenti così radicali.

Il carattere naturale del matrimonio e della famiglia su di esso fondata, pure vivacemente discusso in sede costituente con varietà di posizioni ed accenti, resta l'argomento più ricorrentemente usato da quanti sono favorevoli ad accreditare un unico modello di famiglia ed intendono escludere forme di riconoscimento e tutela dei diritti delle unioni e delle convivenze atipiche e di fatto.

Risulta necessario, pertanto, almeno accennare alle diverse opzioni interpretative che sono state proposte in merito. La formula società naturale è stata da taluni ritenuta come riconoscimento della natura pregiuridica ed insopprimibile della famiglia; da altri è stata intesa quale vero e proprio diritto naturale della famiglia intesa come ordinamento sovrano rinviante a regole di diversa provenienza (SANTORO PASSARELLLI, LOMBARDI); altri ancora hanno sottolineato gli aspetti di spiccata autonomia dell'ordinamento familiare rispetto ad altri tipi di ordinamenti (compreso quello statale) tenuti a non interferire nella organizzazione interna dei rapporti familiari. Non sono, poi, mancate letture storicistiche dell'espressione, tendenti ad accreditare una nozione storicamente cangiante e mutevole dell'istituto familiare a seconda dei contesti sociali e dell'evoluzione dei costumi (BARCELLONA).

Non è, infine, sfuggita la intrinseca contraddittorietà della concezione giusnaturalistica della famiglia matrimoniale la quale, in quanto naturalmente fondata si pretenderebbe al tempo stesso preesistente ed autonoma dal diritto ma regolata e conformata dallo stesso diritto positivo (BIN).

Invero l'impostazione per così dire normativistica della famiglia risulta ancor più rafforzata dalla constatazione della varietà di discipline normative esistenti negli altri ordinamenti statali (specie in ambito comunitario) nonché dal mancato riconoscimento di una soggettività giuridica e di diritti autonomi della famiglia slegati da quelli dei suoi componenti.

Relegare nell'irrilevanza costituzionale o peggio sostenere una implicita contrarietà costituzionale a forme di riconoscimento e tutela delle forme di convivenza diverse da quelle fondate sul matrimonio appare, dunque, non solo frutto di una interpretazione eccessivamente formalistica dell'art. 29 Cost. ma insostenibile alla luce degli artt. 2 e 3 della Costituzione i quali reclamano una tutela non discriminata dei diritti inviolabili della persona anche nell'ambito di formazioni sociali (come la famiglia di fatto) diverse da quella della famiglia matrimoniale.

Come accaduto con altre tematiche di forte impatto morale e simbolico anche sulle unioni di fatto larga parte del dibattito è stato caratterizzato da contrapposizioni fortemente ideologizzate che hanno posto in termini spesso drammatici l'alternativa tra tutela della famiglia matrimoniale e quella della famiglia di fatto, come se dal riconoscimento di questa ultima potessero derivare effetti destabilizzanti sulla prima.

Resta il sospetto, allora, che un'interpretazione poco avveduta delle disposizioni costituzionali di riferimento miri a puntellare una morale per lo più imposta che nulla ha a che fare con il diritto positivo e costituzionale.

La stessa Corte costituzionale piuttosto di recente (sent. 494/2002), riconoscendo il diritto dei figli incestuosi a svolgere indagini sulla paternità, ha evidenziato l'insostenibilità di un "ordine pubblico familiare" in quanto tale suscettibile di conformare in senso limitativo i diritti della persona. Non pare, in altri termini, potersi ricavare dalle disposizioni costituzionali l'idea di un interesse superiore della famiglia contrapposto a quello dei singoli (CECAMORE) e persino capace di impedire il riconoscimento di diritti della persona in ambito diverso.

Se la famiglia davvero è il primo e fondamentale esempio di formazione sociale nella quale trovano soddisfazione esigenze (appunto) naturali ed insopprimibili di affettività ed intimità della persona, ciò si deve al legame materiale e spirituale di solidarietà, comunanza e convivenza che trova tradizionalmente espressione nella famiglia matrimoniale ma che può trovare, e di fatto trova, accoglienza anche nelle altre forme di unione e convivenza non fondate sul matrimonio. L'esistenza di una tutela costituzionale di favore per la famiglia matrimoniale non può essere di ostacolo al riconoscimento legale ed a forme di tutela di altri tipi di unioni non fondate sul matrimonio (CARETTI, ROPPO). Il valore personalistico ed il vincolo solidaristico che nella famiglia matrimoniale trovano storicamente garanzia e riconoscimento devono, in altri termini, trovare adeguate forme di protezione e di riconoscimento anche al di fuori del matrimonio laddove si dimostrino meritevoli di tutela alla stregua di un giudizio di effettività, reciprocità e sufficiente stabilità.

Ciò posto uno dei problemi più delicati sarà quello di stabilire in via normativa quale la stabilità temporale minima del vincolo assunto dai conviventi affinché gli stessi possano aspirare al riconoscimento formale della loro unione ed all'accesso a misure di tutela e promozione.

Sulle unioni omosessuali, in particolare, s'impongono talune considerazioni.

In termini di stretto diritto, occorre sottolineare, come dalla lettera dell'art. 29 Cost. non si evinca la diversità di genere sessuale dei coniugi essendo, invero, detta diversità talmente scontata e presupposta in epoca costituente da essersi ritenuto non necessario esplicitarla. Rilevanti novità ed aperture verso forme di matrimonio omosessuale sono, peraltro, state colte nell'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (CALIFANO, GROPPI).

E, tuttavia, accedendo alla tesi che l'ambito di tutela offerto dall'art. 29 Cost. presupponga la eterosessualità dei coniugi, in difetto di una qualsivoglia disciplina sulle unioni di fatto comunque connotate, le coppie omosessuali, disposte a contrarre validamente il vincolo matrimoniale, rimarrebbero (diversamente dalle coppie eterosessuali) pressoché senza alcuna possibilità di scelta, rimanendo prive del riconoscimento dei diritti personali e patrimoniali derivanti dal loro legame affettivo. La tutela di diritti della persona che originano dal rapporto di convivenza omosessuale paiono esigere, dunque, in maniera ancora più evidente una qualche forma di riconoscimento e tutela.

Da siffatto deficit di tutela consegue la lesione dei diritti inviolabili della persona alla quale non sarebbe consentito né il pieno svolgimento della propria personalità né l'esercizio dei diritti e l'adempimento dei doveri di solidarietà nell'ambito della propria relazione affettiva e del proprio regime di convivenza (art. 2 Cost.) dando adito, peraltro, con tutta evidenza ad una discriminazione fondata sull'orientamento sessuale (art. 3 Cost.).

Alla luce dei principi costituzionali di uguaglianza (senza distinzione di sesso) e di promozione della dignità umana e sociale nonché dello sviluppo della personalità dell'individuo nell'ambito delle formazioni sociali, resta priva di una valida giustificazione costituzionale l'esclusione di forme di regolamentazione giuridica e di protezione delle coppie omosessuali.

Sotto altro profilo il riconoscimento delle convivenze di fatto anche omosessuali è al centro di precise sollecitazioni comunitarie oltre che di scelte legislative compiute in altri ordinamenti nazionali europei. Piuttosto di recente la direttiva UE n. 38 del 2004 prevede il diritto all'ingresso e soggiorno nell'ambito comunitario del partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabilmente attestata.

Resta, sotto altro profilo, in tutta la sua complessità il tema del rapporto tra le unioni di fatto paraconiugali (siano esse omosessuali o eterosessuali) con le convivenze parentali o le convivenze di mutuo aiuto costituite, cioè, tra due o più persone sulla base di legami affettivi e di convivenza affatto diversi.

Dette forme di convivenza si fondano su un dato meramente comunitario e solidaristico che esula del tutto da intenti di vita in comune ovvero di esclusività paraconiugale e forse financo di coabitazione. L'esistenza di tali realtà costituisce conferma della problematicità dell'approccio giuridico ad un tema così delicato quale quello delle relazioni che coinvolgono la sfera intima ed affettiva degli individui.

Le tematiche appena abbozzate, infatti, rendono evidente che (al di là di ogni monito di ordine giusnaturalistico) le difficoltà di maggior rilievo nella disciplina normativa dei diritti e dei doveri che originano da legami affettivi sono rappresentate da un uso strumentale delle tutele specie di tipo pubblicistico (tributarie, previdenziali, assistenziali) che potrebbero favorire scelte di convenienza che nulla hanno a che vedere con la creazione di forme di vita in comune e lo sviluppo della personalità dei soggetti coinvolti. Da qui le difficoltà di un approccio normativistico, nel momento in cui ci si accosta alla disciplina di sfere così intime della persona, così difficilmente classificabili e sindacabili.

Ben si spiega, allora, la preferenza accordata in altri ordinamenti (tedesco e francese per esempio) a soluzioni normative modellate prevalentemente sul terreno dell'autonomia negoziale, con regimi giuridici flessibili ed agevolmente adattabili alla molteplicità di interessi e situazioni che possono aversi.

Si ritiene, dunque, che una qualche tutela delle forme di convivenza di fatto (eterosessuale ed omosessuale) debba esservi, seppure nei limiti della discrezionalità legislativa e del principio di ragionevolezza, i quali impediscono (ovviamente) l'adozione di misure legislative privilegiate e di maggior favore verso le famiglie non matrimoniali ma anche una tutela indifferenziata tra queste ultime e le famiglie matrimoniali.

Note

(*) Per gentile concessione dell'autore e del sito Sintesi dialettica per l'identità democratica.

(**) Ricercatore di diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università «Roma Tre» di Roma.

Data di pubblicazione: 19 febbraio 2007.