Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 1° febbraio 2017, n. 2612

Presidente: Rordorf - Estensore: D'Antonio

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d'appello di Trento - sezione distaccata di Bolzano - con sentenza del 10 maggio 2014, in riforma della sentenza del Tribunale di Bolzano, ha rigettato la domanda di Konrad T., dottore commercialista iscritto alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei dottori commercialisti, con cui chiedeva l'annullamento del provvedimento adottato dalla Giunta esecutiva della Cassa, di archiviazione della sua domanda di pensione quale conseguenza dell'annullamento delle annualità di iscrizione dal 1986 al 2001 e del 2008 a causa dell'esercizio da parte del ricorrente della professione di commercialista in situazione di incompatibilità. Secondo il T. il provvedimento era stato adottato in carenza di potere della Cassa poiché dalle norme di legge era attribuito alla Cassa il potere di accertare la continuità dell'esercizio della professione di commercialista e non anche il potere di sindacare la legittimità di tale esercizio.

La Corte territoriale ha affermato che intendeva aderire al recente indirizzo espresso dalla Corte di cassazione con sentenza del 13 novembre 2013, n. 25526 secondo cui ai sensi del combinato disposto degli artt. 20 e 22 della l. n. 21/1986 il potere di indagine riconosciuto alla Cassa aveva ad oggetto non solo il fatto storico dell'esercizio della professione ma anche implicitamente e necessariamente la sua legittimità esponendosi in caso contrario a dubbi di costituzionalità.

Richiamati pertanto i passaggi salienti della decisione citata la Corte territoriale ha riconosciuto in capo alla Cassa un'autonoma potestà di verifica del legittimo esercizio della professione ivi compresa l'inesistenza di cause di incompatibilità. Ha quindi rilevato che nella specie risultava incontestato e comunque comprovato dalle risultanze della verifica ex art. 4 d.lgs. n. 139/2005 compiuta dall'Ordine dei dottori commercialisti di Bolzano come da nota del 14 settembre 2009 lo svolgimento della professione da parte del T., in alcuni periodi, in condizioni di incompatibilità.

Avverso la sentenza ricorre il T. con un unico articolato motivo. La Cassa si è costituita con controricorso. L'Inps ha depositato procura speciale.

Con ordinanza interlocutoria n. 9489 del 2 marzo 2016 il Collegio, rilevando la sussistenza di due contrastanti indirizzi interpretativi e ravvisando una questione di massima di particolare importanza circa la sussistenza o meno di un potere della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei dottori commercialisti (CNPADC) di annullare periodi contributivi durante i quali, a seguito di verifiche della Cassa stessa, la professione di dottore commercialista sia stata svolta in situazione di incompatibilità, potere che secondo il ricorrente è ravvisabile solo a favore del Consiglio dell'Ordine, ha chiesto che su detta questione si pronuncino le Sezioni Unite.

Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che non si prospettano i profili di inammissibilità denunciati essendo delineati nel ricorso con chiarezza e proprietà sia il contenuto delle censure, sia l'esposizione in fatto e che l'accertamento eseguito dall'Ordine dei Commercialisti, di cui si dà atto anche nella pronuncia della Corte d'appello, circa la sussistenza di periodi in cui l'attività professionale è stata svolta in condizioni di incompatibilità, è stata valutata dal giudice di merito che ha ritenuto accertata tale incompatibilità sulla base del provvedimento dell'Ordine, incompatibilità che non forma oggetto delle censure del ricorrente nel presente giudizio.

1. Con un unico articolato motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1, 3, 17, 18, 20, 22 l. n. 21/1986; degli artt. 2, 3, 29, 34 del d.P.R. n. 1067/1953, dell'art. 4 disp. prel. c.c. anche in combinato disposto con l'art. 2, comma 3, l. n. 319/1975 e dell'art. 23 l. n. 773/1982.

Censura la sentenza nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che la Cassa aveva il potere di annullare i periodi contributivi durante i quali la professione era stata svolta in condizioni di incompatibilità ed afferma che l'accertamento della legittimità dell'iscrizione all'albo professionale spettava esclusivamente al Consiglio dell'Ordine.

Richiama l'art. 34 del d.P.R. n. 1067/1953 nonché l'art. 22 della l. n. 21/1986 dai quali secondo il ricorrente risultava evidente che l'accertamento della legittimità dell'iscrizione all'albo professionale, condizione per l'esercizio della libera professione di commercialista, spettava esclusivamente al Consiglio dell'Ordine competente, mentre alla Cassa competeva il potere di accertamento del requisito dell'esercizio della professione con carattere di continuità. Secondo il ricorrente il legislatore aveva operato una rigida determinazione e delimitazione delle competenze rispettive dei due organi e che soltanto a fronte di un provvedimento di cancellazione la Cassa avrebbe potuto invalidare i corrispondenti periodi di iscrizione. Censura quanto sostenuto dalla Corte territoriale che, recependo le motivazioni della sentenza della Corte di cassazione n. 25526/2013, aveva affermato che il potere della Cassa di accertare d'ufficio il requisito del legittimo esercizio della professione sarebbe stato implicitamente attribuito alla Cassa e che tale potere si distinguerebbe dall'espressa potestà attribuita al Consiglio dell'Ordine di accertare gli eventuali casi di incompatibilità ai fini dell'eventuale cancellazione dell'iscrizione dall'albo.

Il ricorrente deduce inoltre l'ininfluenza della disposizione del Regolamento della Cassa in base al quale non si consideravano utili alla maturazione dell'anzianità di iscrizione periodi durante i quali l'attività professionale era stata svolta in condizioni di incompatibilità, atteso che tale regolamento era un mero atto interno privo di efficacia normativa che mai avrebbe potuto derogare alla legge.

Quanto alla circostanza che per i dottori commercialisti mancava una disposizione analoga a quella vigente per la Cassa Avvocati e per la Cassa Geometri osserva che allorché la Corte di cassazione era stata chiamata ad interpretare tale normativa ne aveva tratto la conferma dell'esistenza di una norma generale esclusiva e non certo inclusiva. Censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto non necessario prevedere a tutela del professionista garanzie analoghe a quelle previste per la cancellazione dall'albo.

2. Il motivo è infondato.

Deve richiamarsi, in primo luogo, quanto esposto nell'ordinanza interlocutoria della Sezione lavoro che ha evidenziato l'esistenza nella giurisprudenza di questa Corte di due diversi orientamenti sulla questione "della sussistenza o meno di un potere" della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei dottori commercialisti (CNPADC) "di annullare periodi contributivi durante i quali la professione di dottore commercialista sia stata svolta in situazione di incompatibilità", ove detta situazione non abbia condotto alla cancellazione dall'albo del professionista.

Alcune pronunce, infatti, negano l'esistenza di un siffatto potere in capo alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei dottori commercialisti (ad es. Cass. n. 3493 del 1996 e da ultimo Cass. n. 13853/2009), mentre altre sentenze lo riconoscono o comunque lo affermano in funzione dell'erogazione dei trattamenti previdenziali ed assistenziali (ad es. Cass. n. 5344 del 2003 e da ultimo Cass. n. 25556/2013 e n. 24140/2014).

Secondo il primo orientamento "la Cassa di previdenza ed assistenza dei dottori commercialisti ha solo il potere... di accertare la sussistenza o meno dell'esercizio della libera professione, ma non quello di verificare la legittimità dell'iscrizione all'albo professionale per una causa di incompatibilità ai sensi del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 (ordinamento della professione di dottore commercialista), in quanto tale potere spetta unicamente al Consiglio dell'Ordine dei dottori commercialisti".

Tale posizione era assolutamente maggioritaria (Sez. lav., Sentenza n. 3493 del 13 aprile 1996, Sez. lav., Sentenza n. 7389 del 4 luglio 1991, Sez. lav., Sentenza n. 4572 del 12 luglio 1988, Sez. lav., Sentenza n. 4441 del 6 luglio 1988, Sez. lav., Sentenza n. 3296 del 4 aprile 1987) fino alla fine degli anni '90 ed era confortata dall'assunto che, in questa materia, la competenza ad incidere sul possesso di status - l'iscrizione all'albo - deve risultare espressamente da una norma che la attribuisca, con la conseguenza che non può essere esercitata se non dagli organi a cui è espressamente riconosciuta senza possibilità che altri possano rivendicarne la potestà con interpretazioni estensive od applicazioni analogiche.

Sotto altro profilo, poi, si rilevava che la certezza legale dell'iscrizione è suscettibile di essere messa in discussione solo in via principale, ossia nelle controversie in cui è accertata, in via principale, la legittimità delle determinazioni adottate dagli organi competenti, tant'è che - si concludeva - anche "l'autorità giudiziaria non ha il potere-dovere di accertare in via incidentale", ossia fuori dal giudizio promosso in via principale, i vizi che riguardano il provvedimento di iscrizione.

Recentemente questa posizione è stata ribadita con la decisione n. 13853 del 15 giugno 2009 la quale, sulla premessa che i provvedimenti di cancellazione dall'albo dei dottori commercialisti, in caso di situazioni di incompatibilità, competono, per legge, solo al Consiglio dell'Ordine, ha ulteriormente rilevato che, a tal fine, l'art. 34 del d.P.R. n. 1067 del 1957 regola in termini articolati la procedura per l'accertamento e la declaratoria di incompatibilità e prevede specifiche garanzie procedimentali a favore dell'interessato, tra cui l'audizione dello stesso e la possibilità di proporre ricorso contro la decisione assunta (produttivo, in quanto tale, di efficacia sospensiva). Consentire alla Cassa l'esercizio di siffatta potestà valutativa comporterebbe, dunque, una lesione sia delle competenze istituzionali del Consiglio dell'Ordine, sia delle garanzie poste a favore dell'interessato.

La competenza della Cassa di previdenza, per contro, è univocamente definita dall'art. 22 della l. n. 21 del 1986 ed ha un ambito diverso perché attiene "alla sussistenza dell'esercizio di fatto della attività professionale con carattere di continuità", verifica, tuttavia, che non può estendersi fino al controllo della legittimità dell'esercizio medesimo perché comporterebbe proprio la verifica del diritto all'iscrizione all'albo.

Manca del resto - osserva ancora la Corte - una norma analoga a quella prevista per altre professioni (in specie, per la Cassa Avvocati e Procuratori l'art. 2, comma 3, della l. n. 319 del 1975 e, per la Cassa Geometri, l'art. 22, comma 4, della l. n. 773 del 1982) che consenta all'ente previdenziale di dichiarare, anche prima dell'accertamento da parte del competente Ordine, l'inefficacia dei periodi in cui la professione è stata svolta in condizioni di incompatibilità.

Secondo un diverso orientamento (Sez. lav., Sentenza n. 618 del 25 gennaio 1988, Sez. lav., Sentenza n. 5344 del 4 aprile 2003), invece, i poteri di verifica e accertamento della Cassa di previdenza non conoscono limiti poiché, da un lato, l'ente previdenziale ha "ai sensi dell'art. 11, lettera B), legge n. 100 del 1963, il potere di accertare la sussistenza o meno dell'esercizio della libera professione" e, dall'altro, ha anche il potere "ex artt. 20 e 22, terzo comma, legge n. 21 del 1986, di verificare il legittimo esercizio della medesima, quindi l'inesistenza di situazioni di incompatibilità". Nella sentenza n. 5344 del 2003 viene escluso che, con riguardo al profilo in esame, si ponga una questione di verifica (anche solo incidentale) di legittimità dell'iscrizione all'albo, discendendo la potestà della Cassa di previdenza direttamente dalla sua titolarità del potere di verifica dell'esercizio della libera professione, che costituisce, per gli iscritti all'albo, requisito fondamentale, ma non esclusivo per l'iscrizione alla Cassa medesima.

Nelle più recenti pronunce della Sezione lavoro di questa Corte è ripreso un percorso argomentativo sostanzialmente analogo a quanto già affermato da Cass. n. 5344/2003.

In particolare Sez. lav. n. 25526 del 2013 (riprendendo la pronuncia del 2003) - pur dando atto del persistere di contrasti all'interno della giurisprudenza della Corte circa il potere della CNPADC di annullare periodi contributivi durante i quali la professione di commercialista sia stata svolta in situazione di incompatibilità - in motivazione afferma, discostandosi consapevolmente dall'allora più recente orientamento di Sez. lav. n. 13853 del 2009, che la CNPADC è titolare di un autonomo potere di verifica (non meramente incidentale della legittimità dell'iscrizione all'albo) della legittimità dell'esercizio della professione da parte del singolo commercialista, azionabile a prescindere dalle attribuzioni - e dal loro esercizio concreto da parte - del Consiglio dell'ordine dei dottori commercialisti, potendosi ciò desumere dalle espresse previsioni normative di cui agli artt. 20 e 22, comma 3, della l. 29 gennaio 1986, n. 21. La Cassa deve, infatti, secondo Sez. lav. n. 25526 del 2013, accertare la sussistenza del requisito del legittimo esercizio della professione, che si riscontra, tra l'altro, nell'assenza di situazioni di incompatibilità.

La successiva pronuncia della Sez. lav. in materia, ossia la n. 24140 del 12 novembre 2014 ha aderito sostanzialmente al precedente del 2013 concludendo, quindi, per la sussistenza di un autonomo potere (anche) della CNPADC di accertare la legittimità, ossia in assenza di cause di incompatibilità, dell'esercizio della professione di dottore commercialista.

3. Fatte tali premesse ritiene la Corte di aderire all'indirizzo interpretativo da ultimo affermatosi di cui le due sentenze del 2013 e 2014 citate costituiscono le più recenti espressioni.

In via preliminare occorre richiamare la normativa rilevante ai fini della decisione sottolineandosi che l'Ordine professionale e la Cassa sono regolati da distinte disposizioni normative.

In particolare il d.P.R. n. 1067 del 1953 sull'Ordinamento della professione di dottore commercialista prevede, per quel che qui rileva, all'art. 3 che "l'esercizio della professione di dottore commercialista è incompatibile con l'esercizio della professione di notaio, con l'esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui, con la qualità di ministro di qualunque culto, di giornalista professionista, di mediatore, di agente di cambio, di ricevitore del lotto, di appaltatore di servizio pubblico, di esattore di pubblici tributi e di incaricato di gestioni esattoriali. L'iscrizione nell'albo non è consentita agli impiegati dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni, ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, sia vietato l'esercizio della libera professione".

L'elenco dei casi contenuti nella norma riguarda attività "professionali" il cui contestuale esercizio rispetto alla professione di commercialista è suscettibile di generare una situazione di conflitto di interessi (ossia tale da poter porre in contrasto l'interesse del cliente con il dovere del commercialista di tutelare questo in via prioritaria) ovvero una situazione di dipendenza.

Dalla lettera della disposizione, inoltre, la condizione che può dar luogo alla situazione di incompatibilità in alcuni casi si riferisce al solo dato soggettivo (l'assunzione della "qualità di"), mentre per altre ipotesi è necessario un dato oggettivo, consistente "nell'esercizio" concreto della diversa attività (della professione di notaio ovvero del commercio in nome proprio ed altrui). Si tratta di una differenza di rilievo: nella prima ipotesi, infatti, la mera assunzione della diversa qualifica da parte del dottore commercialista determina l'incompatibilità senza necessità di ulteriore accertamento del concreto esercizio di fatto dell'attività conseguente.

Nella seconda - ossia nei casi di esercizio della professione di notaio e esercizio del commercio in nome proprio od altrui - è invece necessario un concreto accertamento sull'attività svolta dal commercialista.

Il successivo d.lgs. n. 139/2005 di costituzione dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, a norma dell'art. 2 della l. 24 febbraio 2005, n. 34, in tema di incompatibilità, per quel che qui rileva, ha specificato che "L'esercizio della professione di dottore commercialista esperto contabile è incompatibile con l'esercizio, anche non prevalente, né abituale: a) della professione di notaio; b) della professione di giornalista professionista; c) dell'attività di impresa, in nome proprio o altrui e, per proprio conto, di produzione di beni o servizi, intermediaria nella circolazione di beni o servizi, tra cui ogni tipologia di mediatore, di trasporto o spedizione, bancarie, assicurative o agricole, ovvero ausiliarie delle precedenti; d) dell'attività di appaltatore di servizio pubblico, concessionario della riscossione di tributi; e) dell'attività di promotore finanziario... Le ipotesi di incompatibilità sono valutate con riferimento alle disposizioni di cui al presente articolo anche per le situazioni in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo".

Per quanto attiene alla disciplina della Cassa assume rilievo l'art. 22 della l. n. 21 del 29 gennaio 1986 che regola la materia dell'iscrizione e che recita "1. Sono obbligatoriamente iscritti alla Cassa i dottori commercialisti iscritti all'albo professionale che esercitano la libera professione con carattere di continuità. L'iscrizione è facoltativa per i dottori commercialisti iscritti a forme di previdenza obbligatoria o beneficiari di altra pensione, in conseguenza di diversa attività da loro svolta, anche precedentemente alla iscrizione all'albo professionale... 3. L'accertamento della sussistenza del requisito dell'esercizio della professione avviene sulla base dei criteri stabiliti dal comitato dei delegati ed è effettuato dalla Cassa periodicamente e comunque prima dell'erogazione dei trattamenti previdenziali e assistenziali". L'art. 20 (Controllo delle comunicazioni) stabilisce, inoltre, che "La Cassa ha facoltà di esigere dall'iscritto e dagli aventi diritto a pensione indiretta, all'atto della domanda di pensione o delle revisioni, la documentazione necessaria a comprovare la corrispondenza tra le comunicazioni inviate alla Cassa medesima e le dichiarazioni annuali dei redditi e del volume d'affari, limitatamente agli ultimi quindici anni. La Cassa può altresì inviare questionari con richiesta di conoscere elementi rilevanti quanto all'iscrizione e alla contribuzione. In caso di mancata risposta nel termine di novanta giorni, viene sospesa la corresponsione della pensione fino alla comunicazione della risposta".

Per completezza si ricordi anche l'art. 2, lett. g), del Regolamento di disciplina delle funzioni di previdenza il quale stabilisce che i commercialisti devono dichiarare ai fini dell'iscrizione alla cassa l'Ordine locale nel cui albo sono iscritti nonché l'insussistenza di condizioni di incompatibilità previste dall'ordinamento professionale, nonché l'art. 7 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale della Cassa il quale prevede che "Ai fini previdenziali ed assistenziali, non si considerano utili alla maturazione dell'anzianità di iscrizione i periodi continuativi o cumuli di periodi frazionati superiori all'anno o multipli di esso, durante i quali l'attività professionale sia stata concretamente svolta in una delle condizioni di incompatibilità, previste dall'art. 3 del D.P.R. n. 1067/1953 e successive integrazioni o modificazioni".

4. Ciò premesso va, in primo luogo, sottolineato che, come emerge dalla normativa sopra citata, l'Ordine professionale e la Cassa sono regolati da discipline legislative distinte con diverse finalità e che in particolare, per quel che qui rileva, il Consiglio dell'Ordine valuta situazioni di incompatibilità con incidenza sull'iscrizione all'albo (cfr. artt. 3 e 34 del d.P.R. n. 1067/1953, ora 4 e 49 d.lgs. n. 139/2005), mentre la Cassa - per la cui iscrizione è necessaria, confermandosi la diversità di regime, non solo l'iscrizione all'albo, ma anche, quale ulteriore requisito specifico, l'esercizio della libera professione con carattere di continuità (art. 22 citato) - espleta i suoi compiti in relazione alla funzione di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti senza effetto sull'iscrizione all'albo professionale ed il presente giudizio è, proprio, limitato all'accertamento del legittimo esercizio della libera professione ai fini dell'erogazione delle prestazioni professionali richieste dal commercialista.

Stante la non necessaria coincidenza tra le condizioni che determinano l'iscrizione all'albo e quella che comporta l'iscrizione alla Cassa, non si ravvisano ostacoli, sotto un primo profilo, che l'accertamento circa la sussistenza di situazioni di incompatibilità sia esercitato anche dalla Cassa, ai limitati fini della regolare iscrizione alla stessa e dell'erogazione delle prestazioni previdenziali.

Va ulteriormente sottolineato, come ricordato da Cass. 2003, che l'iscrizione all'albo professionale del Dottore commercialista non comporta necessariamente l'obbligatorietà dell'iscrizione alla Cassa. Infatti, l'art. 22 ("Iscrizione alla Cassa") della l. n. 21/1986 citato, prevede, oltre l'iscrizione obbligatoria, in via di eccezione, che "L'iscrizione è facoltativa per i Dottori commercialisti iscritti a forme di previdenza obbligatoria o beneficiari di altra pensione, in conseguenza di diversa attività da loro svolta, anche precedentemente alla iscrizione all'albo professionale...". D'altra parte va aggiunto quanto stabilisce il successivo art. 32, per gli "iscritti in più albi professionali", secondo cui: "1° comma. L'iscritto alla Cassa, iscritto o che si iscriva anche in albi relativi ad altre professioni, deve optare per una delle Casse di previdenza delle professioni nel cui albo [è] iscritto entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge o della nuova iscrizione. 2° comma. Sono salvi i diritti acquisiti da coloro che all'entrata in vigore della legge hanno già maturato il diritto a pensione nei confronti della Cassa. 3° comma. La mancata opzione di cui al comma 1° comporta la cancellazione d'ufficio dalla Cassa di previdenza ed assistenza dei Dottori commercialisti e la restituzione dei contributi a norma del comma 1° dell'art. 21...".

5. Pervenendo, più specificamente, ad esaminare la questione della titolarità di un autonomo potere della Cassa di verificare l'esercizio della professione di commercialista in situazione di incompatibilità deve affermarsi che tale potere trova la sua prima ed evidente affermazione nell'obbligo della Cassa, ai fini dell'iscrizione alla stessa, di accertare l'"esercizio della libera professione in via continuativa". L'espressione "esercizio della libera professione" non è dissociabile dalla verifica che detto esercizio sia anche legittimo e dunque non esercitato in situazione di incompatibilità e con la garanzia, cioè, che non vi sia "lesione dei principi di onorabilità, indipendenza, imparzialità a causa di conflitti di interesse, dipendenza materiale o psicologica nei confronti del cliente, limitazione dei diritti civili e delle capacità di azione sia civile che penale", principi che lo stesso ricorrente richiama desumendoli dalla circolare ministeriale n. 3/2011: l'attività professionale è qualificabile come "libera professione" se di questa presenta tutte le caratteristiche ivi compreso il suo esercizio in conformità alle norme che la disciplinano, tra le quali quella che impone di non esercitarla in stato di incompatibilità. Non si può non considerare che l'esercizio della professione in situazione di incompatibilità costituisce una situazione che per l'ordinamento non è meritevole di tutela ed è foriera di conseguenze sullo status del professionista molto importanti tali da determinare la sua estromissione dall'esercizio della professione il cui esercizio illecito non può sicuramente arrecargli indebiti vantaggi. In tal senso l'esercizio legittimo dell'attività professionale costituisce un prius logico e giuridico, un presupposto di fatto, necessario anche per valutare e riconoscere il periodo di attività svolta ai fini previdenziali.

L'esplicita previsione per altri professionisti del potere delle Casse di appartenenza di accertare l'insussistenza di situazione di incompatibilità, lungi dal costituire elemento a favore della tesi sostenuta da parte ricorrente, costituisce, invece, la miglior prova che una diversa tesi valida per i commercialisti costituirebbe un'anomala previsione nel quadro generale delle libere professioni del tutto ingiustificata stante l'analoga rilevanza della professione del commercialista e l'incidenza della loro attività sulla società civile. Si ricordi in specie, per la Cassa Avvocati e Procuratori, l'art. 2, comma 3, della l. n. 319 del 1975 e, per la Cassa Geometri, l'art. 22, comma 4, della l. n. 773 del 1982.

Ulteriori elementi a conforto della tesi qui accolta debbono essere tratti poi dagli artt. 20 e 22, comma 3, della l. n. 21 del 1986, i quali stabiliscono che la Cassa di previdenza accerta "la sussistenza del requisito dell'esercizio della professione... comunque prima dell'erogazione dei trattamenti previdenziali e assistenziali" effettuando, "all'atto della domanda di pensione", controlli finalizzati ad accertare la "corrispondenza tra le comunicazioni inviate(le)... e le dichiarazioni annuali dei redditi e del volume di affari... (degli) ultimi quindici anni", anche per "conoscere elementi rilevanti quanto all'iscrizione e alla contribuzione".

Da questo complessivo dato normativo si ricava che "la Cassa, prima dell'erogazione dei trattamenti assicurativi, è tenuta ex lege a verificare l'esistenza del requisito del legittimo esercizio della professione, che si manifesta, tra l'altro, nell'assenza di situazioni d'incompatibilità".

In tal senso deve essere accolto e condiviso il percorso argomentativo di Sez. lav. n. 25526 del 2013 che dà rilievo alla facoltà della Cassa di "esigere dall'iscritto e dagli aventi diritto a pensione indiretta, all'atto della domanda di pensione o delle revisioni, la documentazione necessaria a comprovare la corrispondenza tra le comunicazioni inviate alla Cassa medesima e le dichiarazioni annuali dei redditi e del volume d'affari, limitatamente agli ultimi quindici anni", sotto comminatoria di sospensione del trattamento, rilevando che se l'esercizio di tale verifica fosse limitato al solo fatto storico della professione e non anche alla legittimità della stessa, si tratterebbe di attribuzione del tutto singolare, nel senso di "riconoscerle poteri autoritativi di natura oggettivamente amministrativa senza che nel contempo pretendere che con essi si accerti che l'assicurato abbia maturato legittimamente il proprio credito pensionistico".

La sentenza prosegue rilevando che non appare congruo sostenere che dalla pur ampia dizione degli "«elementi rilevanti» quanto all'iscrizione debba espungersi proprio quello di maggior spessore, vale a dire che l'interessato abbia mantenuto l'iscrizione alla cassa legittimamente (ovvero in assenza di cause di incompatibilità), ancor di più se si considera la perdurante funzione pubblicistica (v. art. 2 d.lgs. n. 509 del 1994) svolta dalla cassa medesima pur dopo la sua trasformazione in ente di diritto privato".

Circa il rilievo di parte ricorrente secondo cui la dizione contenuta nell'art. 20 "elementi rilevanti quanto all'iscrizione e alla contribuzione" deve intendersi riferita all'iscrizione alla Cassa e non già all'Ordine e con ciò, secondo il commercialista, escludendosi che la norma citata possa costituire la fonte del potere della Cassa di accertare l'esistenza dell'incompatibilità riservata all'Ordine. La questione è stata risolta dal precedente Cassazione del 2013 nel senso che l'espressione è riferibile proprio all'iscrizione all'Ordine atteso che le questioni relative all'iscrizione alla Cassa sono da questa ben conosciute "poiché la Cassa conosce per scienza diretta i propri iscritti o del perdurare di essa nel periodo oggetto della prestazione erogabile: infatti, gli albi professionali sono pubblici e consultabili da chiunque".

Deve, comunque, rilevarsi che pur volendo aderire all'interpretazione del ricorrente la questione non è tuttavia argomento di tale spessore da consentire di pervenire alla diversa tesi sostenuta dal ricorrente atteso che, come si è detto, la fonte della titolarità del potere della Cassa è da ravvisarsi nel riconoscimento ad essa di esigere dal commercialista la prova dell'esercizio della libera professione in via continuativa, libera professione di commercialista che è solo quella esercitata in conformità alle norme che la disciplinano con la conseguenza che la Cassa non deve limitarsi ad accertare la perdurante iscrizione all'Ordine ma deve svolgere verifiche periodiche, sulla base dei criteri stabiliti dal comitato dei delegati organo interno della Cassa e, comunque, prima dell'erogazione delle prestazioni.

Un ulteriore argomento a favore della tesi qui accolta emerge dalla considerazione che, allorché non sia più possibile un intervento del Consiglio dell'Ordine e, in ispecie, nel momento della verifica dei presupposti per l'erogazione del trattamento previdenziale, cui si associa naturalmente la cessazione dell'iscrizione all'albo, manca la possibilità giuridica per il Consiglio dell'Ordine di attivare gli strumenti di verifica della sussistenza di una situazione di incompatibilità. In tale situazione non può disconoscersi un ambito di valutazione alla Cassa di previdenza, pur se rilevante ai soli fini previdenziali non suscettibile di influire sulle connotazioni di status pregresse.

Non costituisce, infine, argomento contrario alla tesi qui accolta la circostanza che con riferimento all'accertamento di situazioni di incompatibilità la disciplina della Cassa non prevede l'osservanza di una procedura per l'accertamento e la sua declaratoria al contrario di quanto avviene per l'Ordine per il quale sono previste specifiche garanzie procedimentali a favore dell'interessato, tra cui l'audizione dello stesso e la possibilità di proporre ricorso contro la decisione assunta. Tali garanzie risultano adeguatamente tutelate dall'osservanza delle norme generali di cui alla l. n. 241/1990 che disciplina il procedimento amministrativo e riconosce il diritto di prendere visione degli atti del procedimento, di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento, di dare notizia dell'avvio del procedimento mediante comunicazione personale, l'obbligo di motivazione del provvedimento assunto. Nella specie neppure è indicata la violazione di alcune di dette norme.

Risulta, anzi, che, aperta e comunicata la procedura di verifica della sussistenza di situazioni di incompatibilità, la Cassa aveva invitato il ricorrente a trasmettere la documentazione relative all'attività dallo stesso svolto, la data di inizio e cessazione dell'attività, la copia della dichiarazione dei redditi e che acquisito anche l'esito della verifica condotta dall'Ordine professionale di Bolzano, la Cassa aveva disposto l'annullamento di alcune annualità di iscrizione alla Cassa. L'iter procedimentale di fatto attuato ha ampiamente garantito la difesa del T.

6. In conclusione deve essere affermato il seguente principio di diritto:

la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei dottori Commercialisti è titolare del potere di accertare, sia all'atto dell'iscrizione alla Cassa, sia periodicamente e comunque prima dell'erogazione di qualsiasi trattamento previdenziale, che l'esercizio della professione non sia stato svolto nelle situazioni di incompatibilità di cui all'art. 3 del d.P.R. n. 1067/1953, ora art. 4 d.lgs. n. 139/2005, ancorché tale incompatibilità non sia stata accertata dal Consiglio dell'Ordine competente.

7. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato atteso che la decisione impugnata si è uniformata ai principi qui affermati.

Stante la complessità della materia e le contrastanti decisioni assunte dai giudici di merito, che hanno recepito l'orientamento interpretativo della Suprema Corte affermatosi all'epoca delle rispettive pronunce, giustifica la compensazione delle spese di causa.

Avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P. Gallo

L'arricchimento senza causa

Giuffrè, 2024

M. Di Pirro

Compendio di diritto civile

Simone, 2024

P. Emanuele

Compendio di diritto parlamentare

Simone, 2024