Tribunale regionale di giustizia amministrativa per il Trentino-Alto Adige
Trento
Sentenza 10 aprile 2017, n. 126

Presidente: Vigotti - Estensore: Tassinari

FATTO

L'odierno ricorrente, in relazione a condotte tenute nel corso del servizio svolto in qualità di assistente di polizia giudiziaria presso la casa circondariale di Trento, è stato sottoposto a procedimento penale per i reati di cui agli artt. 323 (abuso d'ufficio) e 340 (interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità) c.p. e all'art. 72 (abbandono del posto di servizio) della l. 1° aprile 1981, n. 121. Nello specifico l'esposizione a processo dell'agente penitenziario è derivata dall'aver egli colloquiato con alcuni detenuti, in violazione di norme di legge e regolamento, asseritamente fomentando atti di protesta da parte dei medesimi. Per i reati di abuso d'ufficio e abbandono del posto di servizio il procedimento penale si è concluso con l'assoluzione in primo grado per l'insussistenza del fatto e perché il fatto non costituisce reato. Per il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, dopo la condanna in primo grado, l'assoluzione in appello è intervenuta con riferimento all'art. 530, comma 2, c.p.p. A seguito di tali pronunce di esclusione di responsabilità, il ricorrente, in base alla disposizione di cui all'art. 18 del d.l. n. 67/1997, convertito nella l. n. 135/1997, ha chiesto all'amministrazione giudiziaria il rimborso delle spese legali sostenute, rimborso negato con il provvedimento ora impugnato in ragione della non "piena coincidenza degli interessi facenti capo al dipendente inquisito ed alla amministrazione di appartenenza" che la vicenda denoterebbe.

Il ricorso è affidato al seguente articolato motivo: violazione di legge ed errata interpretazione della norma. Il provvedimento impugnato viola l'art. 18 del d.l. n. 67/1997, convertito in l. n. 135/1997, quantomeno nell'interpretazione che della norma viene data dalla intimata amministrazione. Diversamente da quanto ritiene quest'ultima, infatti, il ricorrente, distribuendo la posta, stava espletando i propri doveri di ufficio quando è accaduto il fatto che ha dato origine al procedimento penale poi conclusosi con l'assoluzione. Tali circostanze (la non commissione di reati provata dalle intervenute assoluzioni e l'espletamento del servizio) dovrebbero automaticamente condurre al riconoscimento delle spese legali in favore del ricorrente poiché quest'ultimo avrebbe portato a compimento gli interessi dell'amministrazione. L'interpretazione del citato art. 18 operata dall'amministrazione escluderebbe la possibilità di ottenere il rimborso ogniqualvolta i giudizi per responsabilità siano, come del tutto ingiustamente nella fattispecie, avviati dalla amministrazione stessa. L'archiviazione del procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente a seguito delle pronunce del giudice penale, inoltre, evidenzia un comportamento contraddittorio da parte della resistente che, purtuttavia, non ha ritenuto di riconoscere le spese legali per la non conformità della condotta del dipendente ai doveri d'ufficio.

Infine il ricorrente ha avanzato istanza per l'accertamento della congruità degli importi richiesti a rimborso o per l'accertamento della misura ritenuta congrua.

Si è costituito in giudizio il Ministero della giustizia diffusamente argomentando per l'infondatezza del ricorso ed eccependo l'inammissibilità dell'istanza per l'accertamento della congruità.

Alla pubblica udienza del giorno 6 aprile 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Le censure proposte non meritano di essere apprezzate favorevolmente.

L'art. 18 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito nella l. 23 maggio 1997, n. 135, subordina il rimborso delle spese legali a favore di dipendenti di amministrazioni statali coinvolti in giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, non solo all'esclusione della loro responsabilità ma, altresì, alla circostanza che i predetti giudizi siano promossi in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali.

Nella fattispecie in esame il giudicato formatosi nei confronti del dipendente, rappresentato dalla sentenza di assoluzione emessa in primo grado e dalla sentenza di assoluzione, ancorché con la formula dell'art. 530, comma 2, emessa in secondo grado, integra il presupposto, richiesto dalla norma di cui si tratta, dell'esclusione della responsabilità del dipendente statale in ordine ai fatti contestati. Va peraltro ricordato che il rimborso di cui trattasi assolve la funzione di ripristinare la situazione di esposizione economica del dipendente ingiustamente coinvolto in procedimenti giudiziari, addossando l'onere relativo all'amministrazione di appartenenza, implicitamente ma coerentemente riconoscendo l'immedesimazione tra l'azione del dipendente e la funzione dell'ente di appartenenza. Perciò, l'interpretazione rigorosa dell'inciso "in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali", comporta che l'assunzione a carico dell'amministrazione dei costi di difesa sconta la riconducibilità dei fatti nell'ambito puntuale dei doveri di istituto propri del dipendente. La mera prestazione lavorativa, pertanto, non rileva sufficientemente alla luce delle finalità del sistema che implica, viceversa, che i fatti e i comportamenti denotino una comunione degli interessi perseguiti dal dipendente e dall'amministrazione di appartenenza, come confermato dalla condivisibile e consolidata giurisprudenza evidenziata dall'amministrazione resistente.

Nella fattispecie in esame il ricorrente, con l'asserito fine di consegnare la corrispondenza postale, disattendendo le disposizioni e la prassi vigente e senza autorizzazione, si è recato in una sezione diversa da quella di assegnazione intrattenendosi a colloquiare con detenuti. Nel clima di tensione e conflittualità che, nella circostanza, si era creato nei reparti detentivi e che sarebbe di lì a poco sfociato in una manifestazione di protesta più marcata, l'inopinata presenza in un reparto detentivo diverso e l'ingiustificato e, comunque, inopportuno, colloquio con i detenuti, evidenziano una condotta che, benché non censurata in sede disciplinare, non è consonante con la funzione svolta e non trova corrispondenza negli interessi dell'amministrazione, anche a prescindere dall'insussistenza, accertata in sede penale, del fine di fomentare la protesta.

In altri termini, i fatti che hanno portato a giudizio il ricorrente non appaiono in diretta connessione con i fini dell'amministrazione, né, in particolare, può affermarsi che solo ponendo in essere la condotta incriminata il ricorrente ha assolto bene, esercitandoli diligentemente, i propri compiti (cfr. C.d.S., sez. IV, n. 1190/2013; Cass., sez. lav., n. 24652/2008). Non è dato, quindi, riscontrare, nella fattispecie di cui è causa, l'ulteriore imprescindibile presupposto che, oltre all'assenza di responsabilità definita con sentenza o provvedimento, condiziona il riconoscimento del rimborso delle spese legali ai dipendenti secondo le norme più volte richiamate: l'impugnato provvedimento di diniego risulta, pertanto, immune dal vizio dedotto, la cui infondatezza comporta la reiezione del ricorso, anche per le domande relative alla determinazione degli importi pretesi a rimborso.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio a favore della amministrazione resistente nella misura di euro 2.000,00 oltre ad accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.