Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
Sezione II
Sentenza 12 aprile 2017, n. 255

Presidente: Scano - Estensore: Aru

FATTO

Con delibera n. 25 del 29 novembre 2011 il Consiglio comunale di Carloforte disciplinava l'utilizzo dell'immobile di proprietà comunale, sito in Corso Tagliafico n. 2, nel quale, tra l'altro, aveva sede da tempo l'Associazione Turistica Pro Loco.

L'atto deliberativo stabiliva che l'utilizzo dei locali da parte della Pro Loco doveva essere regolato con apposito contratto di locazione e con pagamento di un canone annuale da definirsi a norma di legge.

Con determina dirigenziale n. 18 del 27 gennaio 2012 veniva approvato lo schema del contratto di locazione col quale il canone annuo veniva fissato in euro 100,00.

Il successivo 22 marzo 2012 il Comune di Carloforte e l'Associazione Pro Loco stipulavano il contratto di locazione della durata di 9 anni.

L'art. 11 stabiliva, in considerazione della natura e delle attività del conduttore, che il canone era concordemente fissato nell'importo simbolico di euro 100,00 annui.

Con l'impugnata determina dirigenziale n. 663 del 1° agosto 2016 veniva annullata in autotutela la precedente determina n. 18/2012 nel rilievo che quest'ultima, nella quantificazione del canone, non si era conformata all'atto di indirizzo del Consiglio comunale e alla vigente disciplina contabile, e che l'interesse pubblico al conseguimento di un canone di locazione ancorato al prezzo di mercato e non ad un prezzo simbolico non consentiva la prosecuzione del rapporto locatizio alle originarie condizioni.

Con il ricorso in esame l'Associazione ricorrente ha impugnato tale delibera lamentandone l'illegittimità per i motivi illustrati nell'atto introduttivo del giudizio.

Per resistere al ricorso si è costituito il Comune di Carloforte che, con difese scritte, ne ha chiesto il rigetto, vinte le spese.

Con ordinanza n. 1004 del 30 dicembre 2016 il Tribunale ha disposto l'integrazione documentale del fascicolo di causa chiedendo alle parti di versare agli atti una copia integrale del provvedimento impugnato.

Quanto richiesto è stato depositato in Segreteria il successivo 10 gennaio 2017.

Con memoria e produzioni documentali la ricorrente ha quindi insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Alla pubblica udienza del 22 marzo 2017, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo l'Associazione ricorrente contesta la legittimità del provvedimento impugnato per violazione dell'art. 7 della l. n. 241/1990 in quanto l'avviso di avvio del procedimento inviato dal Comune di Carloforte non avrebbe specificato le ragioni per le quali si procedeva all'annullamento d'ufficio della determina n. 18/2012, impedendo, così, di fatto, l'esercizio del diritto di partecipazione procedimentale.

L'argomento, seppur confortato da talune pronunce giurisprudenziali, anche del TAR Sardegna, ad avviso del Collegio non merita accoglimento.

Sono invero condivisibili le contrarie argomentazioni di altra e preferibile giurisprudenza, che per comodità espositiva si riporta per esteso, sicuramente più aderente al dato normativo e alla concreta finalità dell'avviso di inizio del procedimento di sollecitare l'instaurazione e lo svolgimento del contraddittorio nel corso dell'istruttoria procedimentale e non già prima del suo inizio:

"... Una comunicazione d'avvio del procedimento è solo una comunicazione d'avvio, non deve già contenere i motivi del provvedimento finale.

Gli elementi della comunicazione d'avvio del procedimento sono predeterminati dalla legge, che all'art. 8 l. 241/1990 stabilisce che essa deve contenere: a) l'amministrazione competente; b) l'oggetto del procedimento promosso; c) l'ufficio e la persona responsabile del procedimento; c-bis) la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione; c-ter) nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza; d) l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti.

In ricorso si deduce che in realtà nella comunicazione d'avvio mancherebbe la motivazione per la quale l'amministrazione ha deciso di avviare il procedimento di annullamento in autotutela. Ma si è appena letta la norma e si è visto che questo elemento non è previsto. D'altronde, chiedere una adeguata motivazione già nella comunicazione d'avvio significa trasformarla in un provvedimento anticipato, cosa che è senz'altro fuori dalla prospettiva del legislatore della l. 241/1990..." (TAR Lombardia, Brescia, n. 314 del 18 febbraio 2011).

Sul punto vedi anche TAR Campania, Napoli, Sez. I, 25 settembre 2013, n. 4414:

"... il precetto contenuto nell'art. 8 della legge n. 241/1990 - secondo il quale la comunicazione di avvio del procedimento deve indicare l'oggetto del procedimento promosso - deve intendersi sufficientemente rispettato quando venga indicata la questione che sarà esaminata dall'amministrazione con l'apporto collaborativo e difensivo del privato, senza la necessità di una dettagliata specificazione delle ragioni poste a fondamento del procedimento attivato; difatti, la ratio della disposizione in esame è quella di consentire la partecipazione dell'interessato al procedimento ed è nell'ambito di esso che questi può esercitare il diritto di difesa, dovendo la motivazione specifica della decisione amministrativa essere piuttosto contenuta nel provvedimento finale adottato all'esito del contraddittorio endoprocedimentale con il privato (cfr. TAR Calabria Catanzaro, Sez. I, 17 ottobre 2011 n. 1724; TAR Calabria Catanzaro, Sez. II, 2 luglio 2010 n. 1428; TAR Lazio Roma, Sez. III, 24 giugno 2004 n. 6174)".

Di qui, senza necessità di ulteriori argomentazioni, la reiezione della censura.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 21-nonies della l. n. 241/1990 in quanto il provvedimento di annullamento in autotutela non sarebbe intervenuto, come richiesto dalla legge, entro un termine ragionevole ma ben 4 anni dopo l'adozione dell'atto annullato.

E ciò, a maggior ragione, a seguito della modifica introdotta con la l. n. 124/2015, che ha fissato in 18 mesi il limite massimo per l'adozione dei provvedimenti di annullamento in autotutela.

Neanche tale argomento è decisivo.

L'esigenza di assicurare la certezza dei rapporti giuridici sottesa dall'art. 21-nonies citato vale, infatti, con riferimento ai provvedimenti amministrativi volti a definire in via immediata l'assetto di interessi tra privati e pubblica amministrazione.

Diversa è invece la vicenda di provvedimenti volti a regolamentare, come nella specie, rapporti di durata, in relazione ai quali l'accertamento dell'originaria illegittimità può sempre determinare un intervento in autotutela da parte dell'amministrazione al fine di scongiurare il perpetuarsi di situazioni di pregiudizio - nella specie economico - per l'ente pubblico.

Con riguardo al caso in esame, pertanto, ben appare consentito, e finanche doveroso, e anche oltre il limite temporale di cui sopra, l'intervento del Comune di Carloforte che, una volta avvedutosi che la prosecuzione alle originarie condizioni del rapporto contrattuale con l'Associazione ricorrente avrebbe potuto incrementare il pregiudizio per le casse comunali, ha ritenuto di intervenire (per il futuro) al fine di adeguare le proprie precedenti determinazioni all'esigenza di rapportare il canone di locazione dell'immobile alle prescrizioni di cui alla delibera del Consiglio comunale n. 25/2011 di indirizzo per la concessione in locazione dell'immobile per cui è causa.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.

Come esposto in narrativa, con ordinanza istruttoria il Tribunale ha disposto l'acquisizione di copia conforma all'originale del provvedimento impugnato giacché quella versata agli dalle parti, a causa di quello che è stato poi indicato come un refuso, lasciava intendere di essere incompleta.

Orbene, le ragioni dell'atto di autotutela restano confermate nel contrasto tra la previsione di un canone di locazione di simbolici 100,00 euro l'anno e la prescrizione dell'atto di indirizzo di cui alla delibera consiliare n. 25 del 29 novembre 2011 per la quale il canone di locazione dell'immobile per cui è causa doveva essere stabilito "a norma di legge".

Anzitutto il Collegio rileva che l'interesse patrimoniale sotteso dalla determinazione dell'ente, finalizzata come detto all'adeguamento del canone di locazione ai parametri di legge, costituisce ex se, senza necessità di ulteriori dissertazioni argomentative, una valida attestazione della sussistenza dell'interesse pubblico prevalente ai sensi dell'art. 21-nonies della l. n. 241/1990.

In secondo luogo, non può non restare affidata alla valutazione discrezionale dell'ente comunale, e non alle considerazioni della stessa ricorrente, la sussistenza o meno della convenienza di perseguire l'interesse pubblico, di promozione e informazione turistica, connesso con l'attività istituzionale della Pro loco anche mediante l'affitto a prezzo irrisorio di un immobile facente parte del patrimonio comunale.

In terzo luogo l'interesse dell'amministrazione al ripristino della legalità con riguardo ad un profilo di particolare rilevanza pubblica, e cioè l'utilizzazione del patrimonio immobiliare secondo modalità remunerative per le casse comunali, ben può ritenersi prevalente rispetto all'interesse dell'Associazione ricorrente a permanere nell'immobile in questione nel quale opera stabilmente da anni sulla base di un contratto di locazione che - salvi eventuali profili di tutela di competenza del giudice dei diritti - non costituisce valido impedimento all'annullamento della decisione di concedere in locazione un immobile di pregio a soli 100,00 euro annui.

Quanto al quadro normativo di riferimento, l'art. 32, comma 8, della l. n. 724 del 23 dicembre 1994 stabilisce testualmente che "A decorrere dal 1° gennaio 1995 i canoni annui per i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei comuni sono, in deroga alle disposizioni di legge in vigore, determinati dai comuni in rapporto alle caratteristiche dei beni, ad un valore comunque non inferiore a quello di mercato, fatti salvi gli scopi sociali" (si è espressamente evidenziata la parte che consente la concessione a condizioni di favore).

L'art. 32, comma 1, della l. n. 383 del 7 dicembre 2000, inoltre, prevede che "Lo Stato, le regioni, le province e i comuni possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato previste dalla legge 11 agosto 1991, n. 266, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali".

Ebbene, il tenore letterale delle anzidette disposizioni, invocate dalla ricorrente a supporto delle proprie tesi, evidenzia in senso contrario che la regola generale è quella della locazione degli immobili facente parte del patrimonio comunale ad un valore comunque non inferiore a quello di mercato, con facoltà di deroga - con concessione addirittura in comodato - per il caso di perseguimento di scopi promozione sociale.

Resta dunque evidente che laddove l'ente comunale non ritenga di esercitare le anzidette facoltà, in relazione alle quali la decisione dell'amministrazione è connotata da ampia discrezionalità insindacabile come noto in sede giurisdizionale, deve trovare applicazione la regola generale di concessione in locazione al prezzo di mercato.

Orbene, la determinazione oggetto di annullamento in autotutela (n. 18 del 27 gennaio 2012) aveva ritenuto di concedere l'immobile in questione non in comodato ma in locazione per un canone di soli 100,00 euro l'anno.

Tale scelta, quanto all'ammontare del canone, si rivela in contrasto con la delibera del Consiglio comunale n. 25 del 29 novembre 2011, che nel rinviare al contratto di locazione da stipularsi con previsione "... di un canone annuale da definirsi a norma di legge..." non aveva affatto optato per la "deroga" in favore degli scopi sociali, con conseguente obbligo di applicazione, in fase attuativa, della disposizione generale che rinvia al prezzo di mercato.

Sotto questo profilo è irrilevante la circostanza evidenziata dalla ricorrente che l'art. 11 del contratto di locazione stipulato, in punto di canone di locazione, facesse riferimento alla natura e all'attività dei conduttori, non potendo il dirigente incaricato della stipula legittimamente discostarsi dall'atto di indirizzo del Consiglio comunale che, come detto, non aveva ritenuto di accedere alla facoltà di deroga prevista dalla legge.

Del tutto generico e privo di pregio si rivela, infine, l'ultimo motivo di impugnazione, col quale si contesta l'eccesso di potere per sviamento di potere giacché, come detto, la decisione comunale impugnata ben trova adeguato supporto giuridico nel quadro normativo vigente.

In conclusione il ricorso siccome infondato, va respinto.

La particolarità della fattispecie oggetto della controversia giustifica peraltro la compensazione integrale delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

M. Marazza

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