Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 12 giugno 2017, n. 2852

Presidente: Caringella - Estensore: Lotti

FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, Sez. I, con la sentenza 25 giugno 2016, n. 528, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dall'attuale parte appellante per l'annullamento del provvedimento di esclusione dell'appellante stessa (società De Vizia Transfer s.p.a.) dalla gara indetta dal Comune di Alghero per l'aggiudicazione del servizio di raccolta integrata dei rifiuti urbani e servizi connessi nel Comune di Alghero, nonché per l'annullamento di tutti gli atti indicati nell'epigrafe della sentenza del TAR appellata.

Il TAR ha rilevato sinteticamente che:

- la possibilità di prevedere una clausola di sbarramento è prevista specificamente all'art. 83, comma 2, d.lgs. n. 163/2006, con fissazione di un criterio, non rigido e/o predeterminato, di "appropriatezza"; quindi suscettibile di valutazione "caso per caso" in relazione alla tipologia dell'appalto e dell'oggetto del bando;

- la clausola di sbarramento, nel caso di specie fissata in 45 punti, rappresenta il 65% del punteggio massimo dei 70 punti globali riservati all'offerta tecnica e la soglia è stata specificamente prevista nel disciplinare al punto 12, pag. 34 del disciplinare;

- la valutazione dell'"appropriatezza" della soglia va compiuta ex ante; ininfluente è quindi il numero dei partecipanti che in concreto viene ammesso in applicazione del limite minimo e questo dato non deve, cioè, condizionare la valutazione in ordine alla adeguatezza della decisione effettuata "a monte", e in termini generali, dalla lex specialis;

- la riparametrazione delle offerte tecniche è stata prevista nel disciplinare al punto 12, di pag. 28 e la parametrazione era contemplata dal bando di gara in forma unica e non plurima;

- la "doppia riparametrazione" non costituisce un obbligo previsto da alcuna norma di legge;

- in ordine al modus operandi dell'operazione di applicazione della "riparametrazione" risulta che il Comune l'abbia effettuata correttamente, come avviene in via ordinaria;

- non applicabile una riparametrazione "anticipata" al solo fine di superare la soglia di sbarramento-qualità.

- l'applicazione della doppia riparametrazione determinerebbe una ingiustificata (duplice) elevazione delle valutazioni (nella prima fase, con applicazione sui singoli coefficienti), premiando le offerte che hanno un intrinseco deficit qualitativo, che non può essere ignorato;

- per quanto concerne la valutazione dell'offerta tecnica e l'attribuzione dei punteggi effettuata dalla Commissione, oltre ad essere pacifico che tali valutazioni rientrano nel merito dell'analisi dei servizi offerti, si ritiene di condividere la posizione dell'organo collegiale;

- le censure formulate contro l'ammissione di Ambiente 2.0-Aimeri Ambiente alla gara risultano quindi inammissibili, avendo De Vizia una posizione di interesse di mero fatto, non giuridicamente tutelabile.

La parte appellante contestava la sentenza del TAR, deducendone l'erroneità sotto il profilo della soglia di sbarramento, della riparametrazione (doppia o singola) e dei giudizi e punteggi attribuiti alla ricorrente De Vizia.

Con l'appello in esame chiedeva, quindi, l'accoglimento del ricorso di primo grado, riproponendo inoltre le censure del ricorso di primo grado assorbite dal TAR.

Si costituivano il Comune e la parte controinteressata appellati chiedendo la reiezione dell'appello.

All'udienza pubblica dell'11 maggio 2017 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente si deve osservare che le questioni trattate nella parte dell'atto introduttivo del giudizio eccedono i limiti dimensionali del ricorso e non devono essere esaminate dal Collegio.

Infatti, il previgente limite, applicabile al caso di specie ratione temporis, fissato dal decreto dal Presidente del Consiglio di Stato con il decreto 25 maggio 2015, pubblicato in Gazzetta ufficiale 5 giugno 2015, in attuazione di quanto previsto dall'art. 120, comma 6, del medesimo codice, come modificato dall'art. 40 d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, con la l. 11 agosto 2014, n. 114 prevedeva un numero massimo di 30 pagine, escluse intestazioni e riassunto dei motivi (della lunghezza massima, rispettivamente, di due pagine).

Come è noto, riguardo alla sinteticità degli atti di giudizio, l'art. 3, comma 2, c.p.a. dispone che "il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica".

Della sinteticità dei ricorsi giurisdizionali amministrativi il legislatore tratta nuovamente nel successivo art. 26 c.p.a., il quale, nella versione risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1, lett. d), d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160, dispone che "quando emette una decisione, il giudice provvede anche sulle spese del giudizio, secondo gli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile, tenendo anche conto del rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità di cui all'articolo 3, comma 2".

Il legislatore ha dettato norme specifiche in tema di sinteticità degli atti processuali di parte per i casi nei quali il ricorso investa provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture.

In riferimento a tali casi, l'art. 120, comma 6, c.p.a. dispone a questo proposito che "al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con il principio di sinteticità di cui all'articolo 3, comma 2, le parti contengono le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nei termini stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria riconosciute degli avvocati amministrativisti. Con il medesimo decreto sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti. Il medesimo decreto, nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi, tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. Dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali dell'atto. Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti; il mancato esame delle suddette questioni costituisce motivo di appello avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della sentenza di appello".

Per completezza si segnala che la l. 25 ottobre 2016, n. 197, in vigore dal 29 ottobre 2016, ha abrogato le ultime alinee dell'art. 120, comma 6, c.p.a. dalle parole "Con il medesimo decreto" e ha introdotto fra le disposizioni di attuazione del medesimo codice l'art. 13-ter, in base al quale "il giudice è tenuto ad esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione".

A completamento della normativa sulla sinteticità dei ricorsi il Presidente del Consiglio di Stato in data 22 dicembre 2016 ha emanato il decreto n. 167/2016, con il quale ha minuziosamente reintrodotto i limiti dimensionali dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo.

Tale decreto, all'art. 3, dispone che "b) nel rito ordinario, nel rito abbreviato comune di cui all'art. 119, nel rito appalti, nel rito elettorale di cui all'art. 130 e seguenti del codice del processo amministrativo, e nei giudizi di ottemperanza a decisioni rese nell'ambito di tali riti, 70.000 caratteri (corrispondenti a circa 35 pagine nel formato di cui all'art. 8)".

Da tali limiti è escluso "il riassunto preliminare, di lunghezza non eccedente 4.000 caratteri (corrispondenti a circa 2 pagine nel formato di cui all'art. 8), che sintetizza i motivi dell'atto processuale".

2. Nel caso di specie, esaminando l'atto di appello, si evidenzia che, a prescindere dall'abnormità delle dimensioni dello stesso (pari a 124 pagine), anche applicando tale ultimo decreto del Presidente del Consiglio di Stato in data 22 dicembre 2016, n. 167, che è più favorevole per l'appellante, può essere esaminato l'atto di appello, escluse le intestazioni e il riassunto preliminare (che può farsi coincidere con la parte denominata "Fatto" dall'appellante) fino a pag. 39, ove sono contenute le censure (peraltro ricopiate pedissequamente con la tecnica del "copia ed incolla" dal ricorso di primo grado) attinenti ai motivi di primo grado riproposti in appello in quanto assorbiti dal giudice di prime cure.

Tale evenienza (riproposizione dei motivi del ricorso di primo grado) potrebbe, in astratto, giustificare il superamento dei limiti dimensionali, ma per poter essere esaminati l'appellante deve ottenere l'autorizzazione preventiva dal Presidente del Consiglio di Stato ex art. 6 del suddetto decreto del 2016, ovvero, applicando correttamente il decreto vigente del 2015, l'autorizzazione prevista al punto 11 da parte del presidente di Sezione o di un Magistrato delegato.

In assenza di tale autorizzazione, la parte dell'appello eccedente i limiti sopra descritti non è esaminabile.

3. Passando all'esame della parte dell'atto di appello sottoponibile a questo giudice in quanto rientrante nei limiti dimensionali consentiti, e prescindendo da ogni altra eccezione preliminare, stante l'infondatezza dell'appello, si deve evidenziare che con il primo motivo di appello la De Vizia contesta la sentenza impugnata per aver ritenuto corretto l'operato della commissione di gara che non ha applicato la riparametrazione dei coefficienti.

Il Collegio conferma, come ha già fatto il TAR in modo chiaro, che nel disciplinare non è indicato da nessuna parte che la commissione avrebbe dovuto compiere un'ulteriore attività riparametrando tutti i singoli criteri in modo che il più elevato tra tutti quelli presentati avesse il punteggio pari a 1 e tutti gli altri fossero stabiliti proporzionalmente (cd. "doppia riparametrazione").

Infatti, nel sistema degli appalti pubblici nessuna norma di carattere generale impone, per le gare da aggiudicare con il criterio dell'offerta più vantaggiosa, l'obbligo della stazione appaltante di attribuire alla migliore offerta tecnica in gara il punteggio massimo previsto dalla lex specialis, mediante il criterio della c.d. doppia riparametrazione atteso che nelle gare da aggiudicarsi con detto criterio [la] riparametrazione ha la funzione di ristabilire l'equilibrio fra i diversi elementi qualitativi e quantitativi previsti per la valutazione dell'offerta solo se e secondo quanto voluto e disposto dalla stazione appaltante con il bando, con la conseguenza che l'operazione di riparametrazione deve essere espressamente prevista dalla legge di gara per poter essere applicata e non può tradursi in una modalità di apprezzamento delle offerte facoltativamente introdotta dalla commissione giudicatrice.

Infatti, la discrezionalità che pacificamente compete alla stazione appaltante nella scelta, alla luce delle esigenze del caso concreto, dei criteri da valorizzare ai fini della comparazione delle offerte, come pure nella determinazione della misura della loro valorizzazione, non può non rivestire un ruolo decisivo anche sul punto della c.d. riparametrazione che, avendo la funzione di preservare l'equilibro fra i diversi elementi stabiliti nel caso concreto per la valutazione dell'offerta (e perciò di assicurare la completa attuazione della volontà espressa al riguardo dalla stazione appaltante), non può che dipendere dalla stessa volontà e rientrare quindi già per sua natura nel dominio del potere di disposizione ex ante della stessa Amministrazione.

Anche di recente, la Commissione speciale del Consiglio di Stato, nel parere 2 agosto 2016, n. 1767 reso sulle linee guida del codice dei contratti pubblici concernenti il RUP, l'offerta economicamente più vantaggiosa e i servizi di architettura e ingegneria, ha precisato che "poiché nessuna disposizione primaria la impone, la riparametrazione attiene a una scelta discrezionale della stazionale appaltante e, per essere legittimamente adottata, come criterio di computo del punteggio, dev'essere espressamente e chiaramente prevista nel bando" (cfr. punto 2.5).

Anche l'ANAC nella Delibera n. 1005 del 21 settembre 2016 - Linee Guida n. 2, di attuazione del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recanti "Offerta economicamente più vantaggiosa" ha stabilito che "Quando i punteggi relativi a un determinato criterio sono attribuiti sulla base di subcriteri può accadere che nessun concorrente raggiunga il punteggio massimo previsto; ciò rischia di alterare la proporzione stabilita dalla stazione appaltante tra i diversi elementi di ponderazione, specie quando la valutazione è basata sul metodo aggregativo compensatore. La stazione appaltante procede, se previsto nel bando di gara, alla riparametrazione dei punteggi per riallinearli ai punteggi previsti per l'elemento di partenza. L'operazione di riparametrazione può avvenire sia in relazione ai criteri qualitativi sia in relazione ai criteri quantitativi (laddove non siano previste modalità che consentono di attribuire alla migliore offerta il punteggio massimo) con riferimento ai punteggi relativi ai singoli criteri o, laddove siano previsti, in relazione ai singoli sub-criteri. La stazione appaltante può procedere, altresì, a una seconda riparametrazione dei punteggi ottenuti per la parte tecnica o quella economica, complessivamente considerate. Anche in questo caso condizioni essenziali per procedere alla riparametrazione è che la stessa sia prevista nel bando di gara e che siano chiaramente individuati gli elementi che concorrono a formare la componente tecnica e la componente economica".

Nel caso in esame, il disciplinare di gara non solo non ha previsto la riparametrazione, ma non ha neppure rinviato all'allegato P del d.P.R. n. 207/2010 che prevede tale operazione.

Deve, peraltro evidenziarsi che la contestata "seconda" riparametrazione è stata, invece, espressamente prevista nel disciplinare soltanto per l'ipotesi "che nessun concorrente raggiunga il punteggio massimo previsto (70 punti), a garanzia del mantenimento del rapporto qualità/prezzo indicati (70/30)". In questo caso "saranno attribuiti 70 punti al concorrente col punteggio più alto (migliore offerta tecnica) e agli altri concorrenti i valori ottenuti mediante proporzione lineare".

Tale espressa previsione, connessa ad un caso specifico, indica chiaramente la volontà della lex specialis di escludere la riparametrazione in ogni altra circostanza.

4. In relazione al rapporto tra seconda riparametrazione e soglia di sbarramento si deve ritenere che la circostanza che la previsione delle soglie siano previste solo successivamente non è implica inequivocabilmente che la soglia debba essere calcolata successivamente alla riparametrazione.

Dalla lettura del disciplinare, infatti, è evidente che la riparametrazione si pone come attività conclusiva volta ad attribuire il punteggio finale ai concorrenti e non è certo funzionale, né è pensata, per poter consentire ai concorrenti di superare la soglia di sbarramento.

Infatti, la finalità della soglia di sbarramento di cui all'art. 83 d.lgs. n. 163/2006 è quella di garantire una qualità elevata delle offerte presentate e tale finalità sarebbe vanificata se fosse possibile innalzare tale soglia attraverso la riparametrazione dei coefficienti, consentendo così il passaggio alla fase successiva anche di offerte di qualità non elevata, che diventano elevate in virtù di semplici operazioni aritmetiche.

Qualora la stazione appaltante decida di inserire nel disciplinare di gara sia una soglia di sbarramento sia la riparametrazione, è necessario procedere prima all'esclusione dei concorrenti che eventualmente non raggiungano il punteggio minimo richiesto e, successivamente, alla riparametrazione dei punteggi ottenuti dai concorrenti rimasti in gara.

Ciò al fine di evitare che la riparametrazione possa diventare uno strumento per eludere la soglia e recuperare offerte tecniche che, avendo ricevuto un punteggio tecnico inferiore a quello minimo previsto dalla soglia, sono state giudicate qualitativamente inadeguate.

5. Riguardo alla non appropriatezza della soglia di sbarramento, che sarebbe "troppo elevata", si deve evidenziare in primo luogo che la valutazione dell'"appropriatezza" della soglia va compiuta ex ante essendo conseguentemente ininfluente il numero dei partecipanti che in concreto viene ammesso in applicazione del limite minimo.

In secondo luogo, occorre far riferimento all'oggetto dell'appalto e agli obiettivi che la stazione appaltante si prefigge con l'indizione della gara; nel caso di specie, l'oggetto dell'appalto è il servizio di raccolta integrata dei rifiuti urbani (e servizi connessi) di tutto il territorio del Comune di Alghero, caratterizzato da un flusso turistico nel periodo estivo che porta ad un aumento della popolazione di quasi due volte rispetto a quella residente in inverno.

Il servizio messo a gara è progettato in senso innovativo rispetto al passato in quanto diretto alla razionalizzazione della raccolta del sistema stradale con contestuale razionalizzazione/estensione della raccolta porta a porta e con la previsione di "sistemi personalizzati" di raccolta nel periodo estivo per le grandi utenze turistiche.

Pertanto, il contratto di appalto implica, invero, "una radicale modifica del sistema di raccolta dei rifiuti, al fine di adeguarsi ai principi e direttive di creazione di un 'ciclo' di raccolta e smaltimento dei rifiuti moderno e innovativo".

Da tali evenienze, si evince che la soglia indicata per la verifica delle offerte tecniche presentate dai concorrenti alla gara de qua è ragionevolmente appropriata rispetto all'oggetto della gara medesima e rientra nella sfera di discrezionalità insindacabile della stazione appaltante.

6. I giudizi ed i punteggi attribuiti all'appellante rientrano anch'essi nella sfera di discrezionalità (tecnica) insindacabile della stazione appaltante, non evidenziandosi profili di manifesta irragionevolezza, illogicità o errori di fatto (cfr., ex multis, C.d.S., sez. V, 30 aprile 2015, n. 2198; 23 febbraio 2015, n. 882; 26 marzo 2014, n. 1468; sez. III, 13 marzo 2012, n. 1409) ovvero ancora salvo che non vengano in rilievo specifiche censure circa la plausibilità dei criteri valutativi o la loro applicazione, non essendo sufficiente che la determinazione assunta sia, sul piano del metodo e del procedimento seguito, meramente opinabile, in quanto il giudice amministrativo non può sostituire - in attuazione del principio costituzionale di separazione dei poteri - proprie valutazioni a quelle effettuate dall'autorità pubblica, quando si tratti di regole (tecniche) attinenti alle modalità di valutazione delle offerte.

7. Per quanto riguarda la riproposizione dei motivi non esaminati, ferma l'inammissibilità argomentata al punto 2 della presente sentenza, all'esito del giudizio di infondatezza dell'appello, riguardante l'esclusione dell'appellante, segue la carenza di legittimazione ad impugnare l'aggiudicazione effettuata nei confronti di Ambiente 2.0, in riferimento alla posizione della consorziata indicata come esecutrice del servizio Aimeri Ambiente.

8. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l'appello deve essere respinto in quanto infondato.

Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Inoltre, alla stregua di quanto ha già sancito la Sezione con sentenza 11 giugno 2013, n. 3210 e 26 luglio 2016, n. 3372, sussistono i presupposti per l'applicazione della norma sancita dall'art. 26, comma 2, c.p.a.

Sul punto occorre rilevare che l'attuale testo normativo, novellato dal d.lgs. n. 195 del 2011, entrato in vigore l'8 dicembre 2011, dispone che "Il giudice condanna d'ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio. Al gettito delle sanzioni previste dal presente comma si applica l'articolo 15 delle norme di attuazione".

Tale norma si lega a quanto sancito dall'art. 26, comma 1, c.p.a., come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. d), d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160, secondo cui "Quando emette una decisione, il giudice provvede anche sulle spese del giudizio, secondo gli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile, tenendo anche conto del rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità di cui all'art. 3, comma 2".

Sul piano sistematico, dunque, si staglia una previsione normativa di chiusura dell'ordinamento processuale amministrativo che consente di approntare, in via generale e residuale, un'adeguata reazione alla violazione del principio internazionale e costituzionale del giusto processo, espressamente richiamato dall'art. 2, comma 1, c.p.a., non diversamente tipizzata (si pensi agli artt. 18, comma 7, e 123, comma 1, c.p.a.); di guisa che tutte le violazioni di tale superiore principio ricevano una adeguata sanzione (cfr. C.G.A., 19 aprile 2012, n. 395, in ordine alla violazione del dovere di sinteticità).

Si evita, altresì, la beffa di norme processuali, prescrittive di oneri ed obblighi, ma minus quam perfectae, ovvero prive di una sanzione.

Emblematico è il caso della violazione del dovere di sinteticità sancito dall'art. 3, comma 2, c.p.a., strumentalmente connesso al principio della ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2, c.p.a.), a sua volta corollario del giusto processo, che assume una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dal rilievo dell'interesse pubblico in occasione del controllo sull'esercizio della funzione pubblica e che è infatti icasticamente richiamato dal comma 1.

La sinteticità degli atti costituisce uno dei modi - e forse tra i più importanti - per arrivare ad una giustizia rapida ed efficace; essa è declinata in varie norme del codice: si pensi alla disciplina dell'udienza pubblica, dove si prevede che qualora lo chiedano "le parti possono discutere sinteticamente" (art. 74); al processo cautelare "nella camera di consiglio le parti possono costituirsi e i difensori sono sentiti ove ne facciano richiesta. La trattazione si svolge oralmente e in modo sintetico" (art. 55, comma 7); sulla stessa scia si muovono gli artt. 40, comma 1, lett. c) e d), e 101, comma 1, c.p.a. (in relazione al contenuto del ricorso introduttivo in primo grado e in appello); parimenti utile è ricordare, in chiave comparata, l'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., laddove stabilisce che il ricorso deve contenere "L'esposizione sommaria dei fatti della causa" (cfr., sul punto, Cass. civ., Sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698 che ha fatto applicazione della norma in esame, dichiarando inammissibile un ricorso in cassazione, dopo aver richiamato il dovere di sinteticità degli scritti difensivi).

È pacifica la natura sanzionatoria della misura pecuniaria in esame, che tipizza uno dei casi di temerarietà del giudizio e che prescinde da una specifica domanda nonché dalla prova del danno subito, ed il cui gettito, commisurato a predeterminati limiti edittali, è destinato al bilancio della giustizia amministrativa, atteso che lo scopo della norma è quello di tutelare la rarità della risorsa giudiziaria, un bene non suscettibile di usi sovralimentati o distorti, soprattutto a presidio dei casi in cui il suo uso è davvero necessario (cfr., sul punto, C.d.S., sez. V, n. 1733 del 2012; Cass. civ., sez. I, n. 17902 del 2010, cui si rinvia a mente dell'art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.).

Per quanto concerne la quantificazione della pena, entro i limiti edittali sanciti dall'art. 26, comma 2, cit., il Collegio ritiene di determinarla nella misura del contributo unificato, avuto riguardo ai criteri applicativi elaborati dalla giurisprudenza ai sensi dell'originario secondo comma dell'art. 26 c.p.a. che, in parte qua, ben possono orientare l'esercizio del potere di scelta della misura della sanzione pecuniaria (nella specie si tratta di correlare la misura pecuniaria alle spese di lite, cfr. C.d.S., sez. V, n. 1733 del 2012 cit.; sez. V, n. 3252 del 2011, cui si rinvia a mente dell'art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.).

La segreteria della Sezione provvederà agli adempimenti conseguenti alla condanna della ricorrente, ex art. 26, comma 2, c.p.a., secondo quanto previsto dagli artt. 202 e ss. d.P.R. n. 115/2002 in ordine al recupero delle somme dovute all'erario a titolo di sanzione pecuniaria processuale.

L'applicabilità delle su menzionate disposizioni al processo amministrativo è pacifica sulla scorta di quanto stabilito in via diretta dall'art. 208 d.P.R. n. 115 cit.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello principale come in epigrafe indicato, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore del Comune e del controinteressato Ciclat, spese che liquida in euro 5.000,00, oltre accessori di legge, a favore di ciascuna parte.

Condanna l'appellante al pagamento di una sanzione pari all'ammontare del contributo unificato che è tenuto a versare in relazione al presente ricorso, ex art. 15 delle norme di attuazione del c.p.a.

Manda alla Segreteria per i conseguenti adempimenti relativi al pagamento della predetta sanzione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

F. Tundo (cur.)

Codice tributario

La Tribuna, 2024

G. Basile

Schemi di diritto commerciale

Neldiritto, 2024

M. Bencini e al. (curr.)

Delitti di corruzione

Giuffrè, 2024